SENZA CENSURA N.15

NOVEMBRE 2004

 

Al Qaeda in Iraq

Estratto da un intervento del “Comitato di solidarietà con la causa araba”, pubblicato su “Nacion Arabe” n. 52 (estate 2004).

 

La proliferazione di attentati faziosi e indiscriminati permette agli Stati Uniti di rielaborare il proprio ragionamento di dominazione del Paese, oltre a “legittimare” le nuove istanze collaborazioniste irachene, in una nuova fase dell’occupazione.

L’anniversario del primo anno di insurrezione armata in Iraq contro gli occupanti ha coinciso con un fatto importantissimo per il futuro del suo popolo e chiarificatore riguardo le chiavi di interpretazione del confronto in atto dall’inizio dell’occupazione del paese: la catena di attentati, coordinati perpetrati addirittura contro sei chiese cristiane a Baghdad e Mosul il 1° agosto, con un bilancio provvisorio di 12 morti (di cui 11 nelle esplosioni nella capitale) e mezzo centinaio di feriti. Gli attentati sono stati portati a termine di domenica, in concomitanza con la celebrazione della messa, contro chiese ubicate nel centro della capitale (Karrada), ma ugualmente in quartieri popolari e di distinte comunità cristiane.
Responsabili del designato nuovo “governo provvisorio” iracheno, in concreto il cosiddetto consigliere alla sicurezza nazionale, Muwaffaq al-Rubayai, a poche ore dagli attentati hanno identificato gli autori come membri del gruppo di Abu Musad al-Zarqawi, secondo il Pentagono legato alla rete di Al Qaeda. Poche ore più tardi, gli attacchi contro le chiese sono stati rivendicati secondo Al- Jazeera da un, fino ad allora sconosciuto, Comitato di Pianificazione e monitoraggio in Iraq, commessi - dice questo gruppo nella rivendicazione- come risposta “[…] alla Crociata compiuta dagli USA contro i mussulmani in Iraq e Afghanistan”. Da parte loro, tre organizzazioni islamiche (Gli squadroni della Jihad, le Brigate dell’esercito islamico e il Consiglio Consultivo della Jihad) in un comunicato congiunto diffuso in internet il 4 agosto, sotto la firma comune di Centro di Informazione dei Mujahiddin, attribuivano la paternità degli attentati allo stesso Al-Rubayai “[…] con l’appoggio dei sionisti e degli statunitensi”.
Si stima che vivano in Iraq circa 750.000 cristiani. Gli appartenenti alle distinte comunità cristiane del paese si identificano come cittadini iracheni e, così come i membri dei restanti gruppi etnici o religiosi iracheni ( si sostiene che siano addirittura più di 70), aspirano a poter vivere in un paese democratico, in cui il concetto di sovranità prevalga sull’appartenenza comunitaria. Come accade in tutto il medio oriente, gli Arabi cristiani, forse per il loro carattere minoritario o per l’alto livello culturale, sono stati e continuano ad essere parte importante dei depositari delle idee nazionaliste, socialiste e di emancipazione nelle quali hanno risalto le qualità sociali e democratiche che devono reggere la costruzione dei moderni Stati arabi, caratteristiche che oggi nella regione sono disgraziatamente in chiaro regresso.
Dalla lunga decade di sanzioni economiche imposte dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite all’Iraq, e attraverso la sua occupazione da parte di determinati paesi occidentali, per mezzo di private iniziative religiose o governative, si sta stimolando e facilitando l’emigrazione dei cristiani iracheni, così come accade in altri Stati arabi dell’area, in particolare in Giordania e Palestina - in quest’ultimo caso come alternativa parziale pattuita ad Oslo rispetto al riconoscimento e all’applicazione del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi da parte di Israele e della stessa comunità internazionale. Certamente, durante il periodo di embargo, in seguito all’impoverimento determinato dalle sanzioni internazionali, le stesse autorità cristiane irachene mostrarono la propria preoccupazione per un’emigrazione più intensa fra i cristiani iracheni che, prima di emergenti tensioni intercomunitarie con i mussulmani, era dovuta alla loro maggiore qualificazione professionale, che facilitava l’accettazione degli stessi da parte di Paesi terzi. Già allora si denunciò questa incitazione alla migrazione selettiva dei cristiani iracheni.

Confessione e crimini settari
Al culmine dell’occupazione, i cristiani iracheni per quello stesso fatto hanno potuto essere più vulnerabili all’ondata di assassinii selettivi, sequestri ed estorsioni che la comunità accademica e professionale irachena (in particolare quella medica) subiscono dall’inizio dell’occupazione, e che si attribuisce ad organizzazioni mafiose o a servizi segreti, nel concreto israeliani.. In quella che poteva essere una nuova fase, come accadeva con la creazione dello Stato di Israele in Palestina a fine degli anni quaranta e con le comunità giudaiche che abitavano da secoli i territori a maggioranza mussulmana del Medio Oriente arabo, attentati settari come quelli subiti il 1° agosto dai cristiani iracheni, hanno senza dubbio la pretesa di forzare la loro uscita dal Paese e, con ciò, l’omogeneizzazione religiosa dell’Iraq. Nel conseguimento di questo obiettivo paiono convergere le torbide reti identificabili come Al Qaeda e il nuovo imperialismo statunitense associato al sionismo.
Gli attentati del 1° agosto contro le chiese irachene, come quelli perpetrati contro i santuari sciiti di Serbala e al-Khadiniya il 22 marzo (con un bilancio di 223 morti), possono essere considerati crimini settari in senso stretto, che non possono avere alcuna giustificazione in un contesto di guerra di liberazione come quello che vive oggi l’Iraq. Seppure in scala minore, ci sono stati attentati anche contro religiosi e moschee sunniti […]
Questi attacchi costituiscono un fatto importantissimo per la società irachena, nella misura in cui rappresentano un episodio inedito in un paese in cui la convivenza intercomunitaria è stata norma secolare, come bene è stato confermato durante 12 anni di sanzioni e uno di occupazione […]
Una volta eliminato il regime iracheno, dall’ignoranza o dall’interesse si è cercato di presentare l’Iraq come uno Stato fittizio, un puzzle di gruppi etnici e religiosi non amalgamati fra loro, che una volta deposto Saddam Hussein avrebbero cercato di liberarsi l’uno dell’altro. Allo stereotipo di un regime che favoriva i sunniti e reprimeva i kurdi e gli sciiti si è sovrapposto quello di un Paese suddiviso in cantoni comunitari, che potrebbero essere facilmente amministrati concedendo prebende limitate a presunti rappresentanti religiosi o tribali di ciascuna di queste comunità - oltre ai ben noti agenti e mercenari al soldo degli USA, Regno Unito, Israele e dei regimi arabi da decenni.
Tuttavia, risulta semplificativo parlare di comunità religiose o gruppi etnici in Iraq […]; la gamma confessionale araba percorre tutto lo spettro religioso proprio della regione; i sunniti possono essere kurdi o arabi, etc., e così via fino ad innumerevoli combinazioni. […]
La comprensione che gli USA hanno del Medio Oriente - non solo dell’Iraq- è quella di un rozzo e disarticolato territorio che sarebbe più facile controllare se si potesse ricreare a partire da aggruppamenti naturali dei suoi abitanti, che dovrebbero inoltre perdere il referente di essere arabi, per non perdere la facoltà di accedere alla cittadinanza.[…]
Non è necessario insistere sul fatto che tale disegno oltre a ciò si adatta (e legittima) al modello che immagina Israele per il Medio Oriente: un’entità istituita nell’area come Stato etnico-confessionale, come Stato necessariamente a maggioranza giudaica. In questo contesto, bisogna domandarsi perché attraverso l’occupazione dell’Iraq l’amministrazione Bush abbia recuperato l’idea di un pseudo-Stato palestinese, ugualmente suddiviso in cantoni.
Competendo apertamente con la Turchia e al margine degli interessi degli USA infangati nella guerra di guerriglia in Iraq, Israele avanza chiaramente in quella logica centripeta nel Kurdistan iracheno, dove la sua presenza economica e militare - e si afferma anche colonizzatrice- cresce di giorno in giorno dall’inizio dell’occupazione, immaginando insieme a Talabani e Barzani di poter controllare direttamente il petrolio del Kirkuk, incanalato attraverso l’oleodotto di Haifa, alternativo a quello dei Ceyhan, nella costa turca.
Più a sud, gli statunitensi e i britannici si relazionano bene con la gerarchia religiosa sciita - e, attraverso di essa, con l’Iran- desiderando immaginare che potranno ottenere da questa il soggiogamento di quella che si caratterizza come la “comunità maggioritaria” del Paese, irritando con ciò i loro storici alleati kurdo-iracheni, Barzani e Talabani, che sono sbilanciati, come dicevamo prima, apertamente verso Israele. […]

Costruire il nemico “adeguato”
Dimostrata falsa l’argomentazione essenziale con la quale gli USA e i loro alleati hanno preteso di giustificare l’invasione dell’Iraq - la fabbricazione da parte di Saddam Hussein di armi di distruzione di massa-, l’amministrazione Bush continua dall’estate 2003 a cercare di fare di necessità virtù, pretendendo di trasformare davanti all’opinione pubblica quello che chiaramente è il fallimento del loro progetto di dominazione egemonica dell’Iraq. […]
Tutti gli ultimi passi dell’amministrazione Bush in Iraq sono caratterizzati dal fatto che l’insorgenza armata in Iraq non è congiunturale ne’ effimera, e che è necessario cercare una “strategia di uscita”, se non immediata dal Paese - per il momento inimmaginabile per le ripercussioni regionali ed internazionali che avrebbe- almeno dal pantano dell’attuale situazione. La sceneggiatura associata a tale duro risveglio necessita almeno di due elementi. Il primo, un ritiro formale degli occupanti attraverso nuove istanze native che possano sapersi destreggiare come legittime ostentatrici del potere in Iraq[…] . Il secondo elemento è la costruzione di un nemico adeguato, che annulli la percezione finora generalizzata per cui ciò che accade in Iraq è semplicemente un classico processo di guerra di liberazione nazionale. Così, la rinnovata richiesta dell’amministrazione Bush alla “comunità internazionale” attraverso il “trapasso di potere” del 28 giugno perché l’Iraq sia incluso con denaro e soldati, sia sotto l’ombrello delle Nazioni Unite (nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1546 dell’8 giugno) o dell’OTAN (Istanbul, 28 e 29 giugno), vuole inserire il fronte di guerra in Iraq nella cosiddetta “guerra globale contro il terrorismo”, caratterizzando gli atti di resistenza come terrorismo.[…]

Al-Zarqawi e Ansar el-Islam
Negli ultimi mesi, in modo particolare durante il processo formale di “trasferimento dei poteri” che il 28 giugno scorso ha messo fine ad una prima fase dell’occupazione dell’Iraq, gli occupanti e il governo Allawi hanno cercato di concentrare l’attenzione internazionale sul giordano Al Zarqawi e sulla rete di Al Qaeda, senza dubbio con lo spirito di annullare dal punto di vista informativo l’attività insorgente nel paese ed identificarla come un tipo di intervento che disprezza lo sforzo di emancipazione del popolo iracheno e le sue aspirazioni a costruire un Iraq democratico ed integratore, libero dall’occupazione: quella che si caratterizza per gli attentati settari e indiscriminati, o la decapitazione davanti ad una videocamera di un lavoratore straniero - per lo più pratica wahabbita istituzionalizzata in Arabia Saudita.
Non ci sono fatti evidenti che associno Al Zarqawi,, un jihadista della guerra contro i sovietici in Afghanistan nato a Zarqa (Giordania), direttamente ad Al Qaeda, sebbene la teoria e la pratica della sua supposta organizzazione (Tawhid wa al-Jihad, Unità e Jihad) siano identificabili con quelli dell’altra organizzazione.[…]
Si è potuto stabilire un nesso fra Al Zarqawi e Al Qaeda solo quando, nel gennaio 2004, l’intelligence statunitense informò dell’intercettazione di una lettera del primo ad Osama Bin Laden, nella quale diceva di voler affrontare sciiti e sunniti facendo attentati contro di essi, a coloro che genericamente appellava collaborazionisti. Secondo fonti della resistenza irachena, Al Zarqawi sarebbe morto già dall’assalto del 29 marzo 2003 da parte di forze speciali statunitensi e miliziani kurdi di Talabani nell’enclave che Ansar el-Islam aveva nella zona montagnosa intorno a Jurmal, nel Kurdistan iracheno, vicino alla frontiera con l’Iran e, allora, fuori dal controllo del governo di Baghdad, assalto nel quale cento dei suoi membri morirono o fuggirono in Iran. Ansar el-Islam è stata considerata la filiale di Al Qaeda in Iraq.
Rifondata nel settembre 2001 a partire dall’unificazione di vari gruppi salafiti, avrebbe adottato il nuovo nome di Ansar al-Sunna (Fedeli della tradizione del Profeta), rivendicando le loro prime azioni in un Iraq già occupato in un comunicato diffuso in internet nel settembre 2003. Ansar al-Sunna, sempre secondo fonti occidentali, avrebbe contato sull'appoggio di ufficiali iraniani e siriani per ritornare a stabilirsi in Iraq, in particolare nella zona di Mosul. La supposta presenza di Al-Zarqawi o di suoi seguaci a Falluja (bombardata dalla USAF a giugno e luglio per questo motivo) è stata smentita una e più volte dall’interno della città da parte della Resistenza stessa.[…]

Al Qaeda o Resistenza?
Siano o meno trame infiltrate dai servizi segreti occidentali o israeliani, con i loro attacchi contro ebrei a Casablanca ed Istanbul, contro lavoratori e studenti a Madrid, contro sciiti o cristiani in Iraq, Al Qaeda e i gruppi affini, con le proprie azioni, stanno usurpando, distorcendo e togliendo prestigio alla legittima resistenza irachena.[…]
Gli attacchi indiscriminati o contro centri dei nuovi corpi di sicurezza iracheni, che causano un alto numero di vittime civili, sono stati presto condannati da realtà sociali e organizzazioni della stessa resistenza. In febbraio, un comunicato dell’Associazione degli Ulema Mussulmani (AUM), la massima istituzione sannita dell’Iraq, condannò la recente catena di attacchi indiscriminati perpetrati ad Irbil, Baghdad, al-Iskanderiya e Fallouja, e tornò a condannare l’attentato di Baqubah del 28 luglio, che causò numerosissimi morti.[…]
Certamente, la realtà sul campo è ben altra: il fallimento del progetto di dominazione dell’Iraq, così come è stato pensato dal presidente Bush dopo poco più di un anno, è dovuto essenzialmente all’intensa e continua attività insorgente dei gruppi iracheni, come riconoscono gli stessi comandi militari statunitensi in Iraq e ripetono due recenti informative delle camere parlamentari statunitense e britannica.[…]
Il Pentagono riconosce che dopo 15 mesi di guerra in Iraq si è visto obbligato a modificare praticamente tutti i servizi delle Forze Armate USA, particolarmente dell’esercito. La conclusione delle informative parlamentari sopra menzionate è che la situazione in Iraq continua a deteriorarsi e che, per affrontare l’escalation di insorgenza, gli effettivi stranieri dell’occupazione presenti nel Paese sono insufficienti (160.000 in totale di 32 paesi, di cui 148.000 statunitensi). Le stime ufficiose delle forze di occupazione sul numero di ribelli in Iraq oscillano tra i 5.000 e i 20.000 effettivi. Un contingente tanto numeroso è soprattutto iracheno (appena un centinaio di detenuti - 99- sono stranieri, di cui 26 siriani) e formato principalmente da gruppi articolati intorno al partito Baath e vecchi corpi di sicurezza dell’esercito, la cosiddetta “opposizione patriottica” e islamica, che, con l’eccezione di coloro di appartenenza wahabbita, mantengono rispetto e coordinazione fra di loro.[…]

Al-Sadr e l’occupazione
Il ribelle Muqtadar al-Sadr ha pattuito con gli USA di porre fine al dispiegamento delle truppe di occupazione nelle città del centro-sud del paese e nel quartiere di Medina as -Sadr, a Baghdad, attraverso i miliziani del suo cosiddetto Esercito del Iman al-Madhi, oltre ad accettare il processo di “trasferimento del potere” alla fine di giugno, principalmente al fine di trovare comodamente posto fra la gerarchia religiosa sciita.[…]
L’attitudine di Al-Sadr nei confronti dell’occupazione e il processo in corso è estremamente ambigua ed è molto mediatizzata dal gioco di potere dentro il clero sciita (oltre all’implicazione dell’Iran in questo). In ogni caso, la emergente figura di un Al-Sadr non chiaramente identificata con gli occupanti o con l’Iran, come fu il caso di al-Hakim (morto in un attentato nell’agosto 2003) o quello di Al-Sistani, ha permesso di porre in evidenziare come il clero sciita può controllare questa comunità e farle accettare l’occupazione, come confermato in agosto. Fonti arabe segnalavano recentemente contatti fra l’Esercito di al-Madhi e la resistenza a Fallouja.



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