SENZA CENSURA N.15

NOVEMBRE 2004

 

Editoriale

 

“Non dimenticarlo mai: ora non è il

momento adatto per vincere,

ma per combattere le sconfitte”

(B. Brecht)

 

Nel febbraio del 2000 Senza Censura tornava in diffusione dopo diversi mesi di silenzio. Questa volta non come espressione e “bollettino” dei collettivi impegnati nel Coordinamento Nazionale contro l’esecuzione del rivoluzionario afro-americano Mumia Abu Jamal, ma con l’obiettivo di rilanciare il dibattito su repressione e carcere.

La tensione che animava l’originario nucleo redazionale (ed evidenziata dal “sottotitolo” della testata) era determinata dalle condizioni oggettive dell’attuale rapporto di forza tra le classi e da alcune convinzioni di fondo dello stesso gruppo redazionale.

Sotto il primo profilo risultava evidente che non era “più concepibile la resistenza alle azioni repressive come terreno centrale del lavoro di ricomposizione politica: le stesse vicende che hanno seguito gli attacchi di cui da un po’ di tempo sono oggetto, in Italia e negli altri Paesi, le espressioni politiche e sindacali della classe dimostrano chiaramente che non si dà in automatico e immediatamente un “movimento contro la repressione” capace di riaprire realmente spiragli di luce all’orizzonte”.

D’altro canto, il “lavoro” dello Stato nella classe era in quel periodo talmente diffuso ed incisivo (dagli interminabili dibattiti sugli “anni di piombo” ai ripetuti “effetti annuncio” di improbabili - ed impossibili - “soluzioni politiche” … della lotta di classe) da porre all’ordine del giorno della definizione dei rapporti di forza tra le classi la liquidazione stessa di tutte le conquiste di autonomia del proletariato metropolitano italiano. Da questo punto di vista, per la propaganda della Borghesia Imperialista nostrana, il punto centrale era “dimostrare” l’inesistenza di prigionieri politici e quindi di un “conflitto politico” aperto tra le classi.

Ciò poteva essere “dimostrato” nei modi più diversi: anche, ad esempio, “ragionando” sul fatto che vivendo i regimi politici della metropoli imperialista una sostanziale maturità di “democrazia formale”, i prigionieri politici costituivano il risultato di una loro “forzatura soggettiva”; oppure, più argutamente, che la “fase storica” di cui essi stessi erano il prodotto si era ormai completamente esaurita e perciò non rappresentavano ormai che solo se stessi. Invariabilmente lo stesso risultato: nella metropoli imperialista e - nella prospettiva del “nuovo ordine mondiale”, su scala globale non c’era lotta di classe!

In questo senso era, ed è ancora oggi, necessario rimarcare nel corpo della classe e delle sue espressioni sindacali e politiche la linea di confine del confronto storico tra classe e Stato ribadendo che l’esistenza di prigionieri politici, di strategie di controrivoluzione preventiva e di ristrutturazione/controllo del proletariato in qualsiasi regime borghese, data l’ineguaglianza dei rapporti sociali che “governa”, ha carattere strutturale ed insopprimibile tanto quanto il denaro nello scambio tra merci equivalenti, data l’ineguaglianza dei rapporti sociali di produzione che esso “rappresenta”.

Inoltre, e sotto diverso profilo, lo stesso nucleo redazionale era e resta convinto “che le strategie repressive sono il cuore della controrivoluzione, il timone che segna la rotta delle diverse forme del controllo sociale ed un terreno comune non solo alle espressioni sindacali e politiche della classe, ma alla classe stessa (ristrutturazione/militarizzazione del territorio urbano, nuove forme di controllo della forza-lavoro locale ed immigrata, programmi di carcerazione di massa ecc. Tutte le forze del capitale sono impegnate a livello planetario nel continuo tentativo di prevenire, controllare, disinnescare e, se necessario, stroncare ogni forma di resistenza, sociale o politica, che metta in discussione la logica del profitto o gli equilibri di volta in volta necessari per la sua riproduzione e sviluppo. E queste strategie si dispiegano sempre più su scala internazionale coinvolgendo, anche se in forma diverse, milioni di uomini e donne in tutto il mondo”.

Oggi, dopo quasi cinque anni di lavoro, lo stesso nucleo redazionale di Senza Censura decide di aggiornare il sottotitolo della testata modificandolo in “CONTRIBUTI PER UN’ANALISI CRITICA E DI CLASSE DELLA REALTA’”.

Questo non per marcare una discontinuità con l’esperienza precedente, ma per rafforzarla e generalizzarla. Oggi più che mai resta ferma la convinzione della necessità di comprensione delle strategie repressive degli stati del capitale quali modelli informatori dell’insieme dei rapporti sociali borghesi su scala locale e globale. Tuttavia la stessa redazione si sente in dovere di adeguare la testata della rivista al reale processo di lavoro editoriale ed al suo rapporto con le attuali espressioni soggettive della classe come con la classe nel suo complesso nel comune tentativo di riconquistare un’autonomia di pensiero e di azione del proletariato metropolitano del nostro paese.

Ciò, come era chiaro fin dall’inizio del nostro lavoro, va al di là di una semplice logica “resistenziale”, di salvaguardia del proprio esistente e/o del proprio spazio di “agibilità politica”, imponendo la ricerca e lo stimolo di percorsi di ricomposizione della classe dal punto di vista della prospettiva: combattere le sconfitte.

D’altro canto, in questi pochi anni, è la stessa attuale “fase storica”, con la ricchezza di avvenimenti prodottisi, che ci ha confortato nelle nostre convinzioni incaricandosi, molto più efficacemente del nostro debole lavoro, di “liquidare i liquidatori” e di confermare che “la rivoluzione sociale può compiersi soltanto come un’epoca che associa la guerra civile del proletariato contro la borghesia nei paesi più progrediti a tutta una serie di movimenti democratici e rivoluzionari, compresi i movimenti di liberazione nazionale, nei paesi non evoluti, arretrati e nelle nazioni oppresse. Perché? Perché il capitalismo si sviluppa in modo ineguale…” (V.I. Lenin, 1916).

In questo senso la stessa redazione di Senza Censura sente, invece, il bisogno di “riconfermare” la strutturazione per sezioni della rivista (Strategie della Controrivoluzione, Ristrutturazione e Controllo, Repressione e Lotte) perché essa ha rappresentato e rappresenta nel concreto della nostra esperienza “l’incarnazione” di quella lotta su tre fronti (Antimperialismo, Anticapitalismo, Antirevisionismo) che nell’epoca dell’imperialismo ha sempre impegnato la costruzione di qualunque prospettiva rivoluzionaria proletaria.

Ciò non significa accontentarsi di esprimere una “pura critica della totalità esistente”, ma comporta un processo di riappropriazione collettiva dell’esperienza del movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti.

Il che, dal punto di vista del nostro intervento, significa anche pensare Senza Censura come uno strumento ben più ampio di quanto non sia il lavoro redazionale e valorizzare gli stessi rapporti del nucleo redazionale con i collaboratori, con i diffusori e con gli stessi lettori al fine di renderlo uno strumento immediatamente utile alla realtà dei conflitti di classe nel nostro paese e alla necessità di ricostruzione di una prospettiva di liberazione: buon lavoro a tutti.



http://www.senzacensura.org/