SENZA CENSURA N.14
GIUGNO 2004
Crisi e indotto Fiat
Intervista ad un delegato Fiom della Lear, azienda del primo indotto Fiat.
Qual è stata alla Lear la reazione agli avvenimenti di Melfi?
Noi abbiamo scioperato in Lear il giorno dello sciopero generale di quattro ore
proclamato dalla Fiom due, tre giorni dopo la carica della polizia.
Doveva esserci lo sciopero di tutto il gruppo Fiat il martedì, poi è stato
spostato al mercoledì per tutto il settore metalmeccanico in risposta alla
carica.
Purtroppo ho sentito dire da parte di molti lavoratori qui – ma sono sicuro che
la cosa sia avvenuta anche in altri stabilimenti – cose tipo: noi non facciamo
sciopero per quelli di Melfi perché loro non hanno mai fatto un cazzo. Noi
stessi quando abbiamo presentato il precontratto abbiamo chiesto ai compagni di
Melfi di fare un’ora di sciopero e non hanno fatto un minuto di sciopero e così
si è creato un po’ di conflitto tra i lavoratori. Molti dicevano: questi si
svegliano adesso e noi è una vita che lottiamo.
Termini Imerese si è mossa, ma hanno innescato una sorta di guerra fra poveri.
So che non è una posizione condivisibile, ma per fare un esempio, noi siamo
quelli che fra poco finiranno nella merda perché Mirafiori chiude, loro hanno il
lavoro; se il lavoro ce l’hanno solo loro, non ce l’abbiamo noi. Oltretutto noi
abbiamo sempre lottato per mantenercelo e loro non hanno mai fatto nulla e
quando noi avevamo bisogno loro non ci sono stati, quando loro hanno avuto
bisogno, la Fiat ha lottato per tutti.
La realtà di Melfi è molto complicata, uno stabilimento nato poco più di 10 anni
fa, i lavoratori assunti erano tutti giovanissimi, non sindacalizzati, spesso al
primo rapporto di lavoro o comunque il primo in regola, in una zona con un tasso
di disoccupazione altissimo, uno stabilimento ultramoderno, ipertecnologico
della Fiat nato ricattando lo Stato: o ci date i finanziamenti e apriamo a Melfi
o andiamo all’estero.
Una delle accuse che lancia il padronato piuttosto che il governo è: voi del
sindacato fate tanto casino oggi ma all’epoca tutte quelle condizioni di lavoro
le avete firmate; ma all’epoca non c’erano le condizioni per firmare altro,
anche perché era uno stabilimento nuovo in toto e partiva da zero.
Mi pare che quei lavoratori siano cresciuti. Il mio punto di vista è che i
lavoratori, che oggi hanno una media di 30-35 anni, siano cresciuti in quella
fabbrica in un periodo della vita durante il quale già normalmente si matura e
si acquisiscono nuovi bisogni: a vent’anni ti può andare bene lavorare con
quelle condizioni perché altro non c’è, se ti va bene al massimo vai a zappare
la terra e ti pagano a giornata. In dieci anni questi lavoratori si sono trovati
di fronte a nuove esigenze, la casa, il costo della vita che aumenta, ecc. (tra
l’altro, un’altro tormentone che viene sostenuto dai media e che ha attecchito
tra gli altri operai è quello che dice che siccome il costo della vita lì è
inferiore – che secondo me è una balla – non sarebbe così giusto da parte loro
richiedere salari più alti). Dunque, in questi dieci anni gli operai di Melfi
sono arrivati all’esasperazione date le pessime condizioni di lavoro e credo che
la Fiat gli abbia dato una mano a farli incazzare, ad esempio facendo le mandate
a casa durante gli scioperi.
Il fatto è che i lavoratori rispetto a Melfi adesso entrano da vincitori e se il
capo gli va a rompere le palle tu gli dici “non mi rompere i coglioni” e punto,
perché si sono conquistati quella forza lì, lo hanno dimostrato e hanno vinto in
uno stabilimento in cui c’erano 3.000 provvedimenti disciplinari all’anno,
provvedimenti che vengono dati se il lavoratore non riesce a stare dietro alla
macchina, se sbaglia qualcosa gli vengono tolte due ore di lavoro o viene
multato; una situazione di repressione assoluta per dieci anni.
C’è un punto di vista che i lavoratori non avevano mai colto, ossia, il
padronato dice: vogliamo salari più bassi, le gabbie salariali, perché lì il
costo della vita è più basso, quindi vanno pagati di meno; tra i lavoratori noi
cerchiamo di far passare l’idea basilare per cui a parità di lavoro corrisponde
parità di salario (e lì la situazione era invece di più lavoro con meno salario
rispetto a noi, perché sono più produttivi rispetto agli operai del nord). Ma
agli operai sfuggono alcune cose: quei lavoratori hanno per certi aspetti un
costo della vita inferiore, però hanno poche strutture, ad esempio per studiare,
così molti ragazzi partono incidendo sul budget familiare. Oppure mancanza di
strutture sanitarie, così molta gente per potersi curare deve spostarsi. Tutto
questo incide moltissimo sulla vita e il suo costo. Quello che voglio dire è che
l’idea per cui debbano esserci differenziazioni salariali, perché c’è una
qualche differenza nel costo della vita, è una palla. Però un po’ di conflitto
su questo aspetto l’ho notato. Io parlo per la Lear, dove ho visto una
partecipazione altissima allo sciopero; noi abbiamo i contratti di solidarietà,
dunque quella settimana lì lo stabilimento era semi-vuoto, c’era solo la mia
linea che lavorava, cioè quaranta persone, perché Punto e Punto-Idea erano ferme
a causa del blocco di Melfi e le uniche vetture presenti in stabilimento erano
la Libra e la 176, prodotte lì. Il 90% per cento dei lavoratori ha scioperato.
E’ andata bene.
A livello dei delegati Fiom c’è stato un ragionamento sulla posizione strategica
di Melfi rispetto al gruppo Fiat? Quanto incideva il fatto che fermandosi Melfi,
si fermava tutto il resto piuttosto che Termini Imerese, il cui blocco non aveva
lo stesso peso di Melfi?
Io sono in direzione provinciale Fiom, qui a Torino. Circa due anni e mezzo fa,
all’epoca in cui ci furono le lotte dei lavoratori Fiat contro i tagli, i
licenziamenti, i nostri compagni a Torino dicono che c’erano le condizioni per
occupare la fabbrica; fu una mobilitazione riuscitissima ma che finì male con
l’accordo separato, anzi, diversi accordi che hanno visto la fine della lotta.
La Fiom da sola non è riuscita a far proseguire la lotta, anche perché i
lavoratori che hanno votato per tre mesi consecutivi contro quei tagli, hanno
visto poi Fim e Uilm firmare un accordo con l’azienda che prevedeva esattamente
quei tagli, e si è creata una divisione e un senso di sconfitta tra di loro.
Secondo me l’unità sindacale è utile solo se alla base c’è qualcosa di solido
per i lavoratori, io non sono per l’unità a tutti costi, se c’è l’unità
sindacale deve essere un bene per gli operai non andare a loro discapito. Però
purtroppo la rottura dell’unità incide. Ad esempio, quando due dei sindacati
abbandonano e alla fine firmano sui licenziamenti, la debolezza si crea
comunque.
Dunque, quando ci sono state quelle lotte, quello a cui noi puntavamo era di far
partire Melfi perché, già all’epoca, pensavamo che partendo Melfi, l’unico
stabilimento produttivo del gruppo, l’unico che può mettere in ginocchio la
Fiat, potevamo davvero ottenere un piano industriale dalla Fiat. Ma non è
partita. Nelle assemblee di queste settimane, quello che è stato assolutamente
necessario dire ai lavoratori per sostenere la lotta di Melfi era che loro
riaccendevano i riflettori sulla questione Fiat e che quindi bisognava essere
grati a quei lavoratori perché riaccendevano un problema che è soprattutto
nostro, perché Melfi ancora produce, Mirafiori invece sta morendo come Termini
Imerese, quindi quella lotta poteva servire a noi per riaprire una vertenza con
Fiat, per avere una garanzia sul futuro occupazionale, perché venissero
mantenuti dei livelli produttivi accettabili su Mirafiori, perché ci fosse una
redistribuzione delle produzioni sui diversi stabilimenti.
A Mirafiori si producono ad esempio vetture come la Idea che è una vettura
nuova, di cui si stanno vendendo già macchine a chilometri zero e c’è una linea
che non è saturata al 100%; alla Lear sia la Idea che la Punto passano sulla
stessa linea al 50% ciascuna, nelle ultime settimane c’è stato un incremento
della Punto e un abbassamento dell’Idea del 30%, pur essendo una vettura
nuovissima. Questo significa che le vetture non vanno, che la Fiat non riesce a
reggere con le altre case. Adesso fa partire la Musa che è fatta sulla stessa
scocca della Idea, cioè è la stessa macchina identica, a parte un po’ il muso e
il portellone dietro, ma che costa molto di più, che quindi non avrà molte
vendite e fa concorrenza alle altre macchine Fiat!
Un pezzo fondamentale per la sopravvivenza dello stabilimento, della produzione
Punto che si faceva a Mirafiori, è stato spostato a Melfi; questione sulla quale
due anni fa Fim e Uilm, firmando l’accordo separato, dissero che si trattava di
un buon accordo perché nonostante i tagli, la Fiat aveva garantito che
rimanevano le vetture, tra cui la Punto, che invece abbiamo perso. I lavoratori
queste cose qua le vedono.
Dunque, dicevamo, bisogna lavorare su Melfi per avere anche noi altre condizioni
su Mirafiori e questo ha acceso un po’ i lavoratori.
Che percezione hai del fatto che con questo tipo di organizzazione che c’è alla
Fiat, come del resto in qualsiasi altra fabbrica integrata, lo sciopero in uno
stabilimento ha ripercussioni immediate anche sugli altri?
La peggiore, del tipo: loro hanno il lavoro, noi no, facciamo un sacco di cassa
integrazione e adesso ne facciamo ancora di più perché loro sono fermi per
questioni interne solo a Melfi (perché questa è stata la prima impressione dei
lavoratori). Discorso su cui faceva leva la Fiat per dividere gli stabilimenti,
poi ripreso anche dai media.
Alla fine però facendo propaganda e informazione in modo capillare, questa cosa
è rientrata. Non so però quanto ci siano le condizioni per riaprire una vertenza
generale Fiat, ma mi auguro che si faccia, perché Mirafiori è più di là che di
qua.
Tutto è nato dalla vertenza per i precontratti in alcuni stabilimenti
dell’indotto di Melfi; quindi, la Fiom ha giocato questa carta sapendo che su
questa questione si sarebbe creata poi la catena di lotte negli altri
stabilimenti?
Che la Fiom abbia presentato lì i precontratti questo sì, ma non credo che abbia
valutato precedentemente l’idea di una ricaduta sulla Fiat. Che si creasse quel
blocco a Melfi credo che non se lo aspettasse nessuno, anche perché la cosa
anche se gestita bene dalla Fiom, è stata molto di base, proprio di ribellione
dei lavoratori rispetto alle condizioni di sfruttamento e una mandata a casa
senza neanche una richiesta di cassa integrazione da parte di Fiat.
Ci sono stati tentativi di coordinamento a livello di Rsu della Fiat, e di che
tipo? C’è stata l’idea che se anche si lavora ad esempio per la Lear o un’altra
azienda dell’indotto si lavora comunque per la Fiat, è stato superato questo
“blocco”?
Noi abbiamo tentato per un paio di anni di far partire un coordinamento delle
Rsu Fiom di tutti gli stabilimenti Lear in Italia, ma nei fatti non ci siamo
riusciti. Conta che la Lear è una multinazionale a sé, ma è in realtà non è
altro che una mossa della Fiat, perché alcune parti che la Fiat aveva
all’interno – come la selleria – le ha poi terziarizzate e oggi hai una
multinazionale che punta ad avere il monopolio sulla produzione delle parti
mobili dell’auto. La Lear è primo indotto, proprio una costola della Fiat; se
blocchi la Lear, blocchi la Fiat. Un punto di forza che noi abbiamo e quello di
un just-in-time molto stretto: da quando viene prodotto il sedile a quando
arriva in Fiat passano 4 ore, il che vuol dire che con 5 ore di sciopero è già
un bel danno di per sé e puoi danneggiare Mirafiori.
Noi abbiamo tentato questo coordinamento ma ci siamo riusciti male, ma non per
nostra mancanza; gli stabilimenti più sindacalizzati della Lear, sono quelli di
Orbassano e Grugliasco.
Nelle due aziende di Grugliasco e Orbassano (che adesso non esiste più) c’è un
livello di sindacalizzazione altissima. Negli ultimi anni, con pochissime ore di
sciopero, le lotte sono costate poco ai lavoratori in termini di ore perse, ma
sono servite a portare a casa ottimi risultati rispetto alle condizioni di
lavoro. Sono aziende in cui la lotta sindacale ha creato un ambiente di lavoro
“migliore” rispetto alle altre aziende metalmeccaniche.
Grugliasco produceva vetture di bassa gamma, ossia utilitarie, mentre ad
Orbassano erano arrivate vetture di alta gamma come Libra, un pezzo di Marea, la
166, almeno fino all’anno scorso. Ma quelle vetture di alta gamma hanno fatto si
che lo stabilimento si indebolisse dal punto di vista produttivo, perché
lavoravano su un solo turno, ecc., diventando uno stabilimento quasi morto.
L’azienda ha tentato all’inizio dell’anno scorso di dar via lo stabilimento di
Orbassano, chiudendolo e vendendolo. Ci dissero, visto che lo stabilimento non
rendeva più, che l’operazione sarebbe stata quella di spostare un tot di
lavoratori di Orbassano a Grugliasco e viceversa. Dopodiché sarebbe stato
venduto, senza ripercussioni sul piano occupazionale. Era evidentemente una
balla perché in Lear abbiamo da anni un problema rispetto a malattie
professionali, tendiniti e cose così, dovute non ad un grandissimo sforzo fisico
ma a lavorazioni ripetute che portano traumi o microtraumi ai tendini. Abbiamo
perciò fatto scoppiare un caso dopo le sentenze che davano ragione ai lavoratori
(su denuncia della Fiom nel 1997).
Soprattutto ad Orbassano, gli stabilimenti contavano molti lavoratori non
idonei. Quindi, l’obiettivo dell’azienda, con l’operazione degli spostamenti,
era in realtà quello di vendere Orbassano ad un’altra azienda che si sarebbe poi
occupata della chiusura dello stabilimento, facendo fuori sia i lavoratori non
idonei di Orbassano, sia quelli non idonei di Grugliasco inseriti col
trasferimento nello stabilimento di Orbassano.
Era evidente che Orbassano non reggeva, tentare di tenerla in piedi era quasi
impossibile, abbiamo chiesto insistentemente all’azienda di prendere altre
lavorazioni, altre commesse, ma la Lear ha un cliente unico, la Fiat, e in
Italia lavora solo per la Fiat.
Dopo un’assemblea infuocata, sfociata in un blocco dei cancelli, ci siamo
“conquistati” Orbassano in un tavolo di confronto con l’azienda; siamo riusciti
come Fiom a far si che nessun lavoratore venisse lasciato a casa. Abbiamo
concordato che in un lasso di tempo di pochi mesi (dalla metà alla fine del
2003), tutti i lavoratori di Orbassano venissero spostati nello stabilimento di
Grugliasco e nessun lavoratore ha perso il posto di lavoro.
Ci sono comunque delle eccedenze, per cui abbiamo i contratti di solidarietà
avviati da circa tre anni che ci hanno permesso che non ci fossero fuoriuscite
di lavoratori. Negli ultimi anni comunque avevamo perso moltissimi lavoratori
perché l’azienda (da bravi americani che con i soldi ottengono tutto) ha
incentivato molti giovani ad andarsene con buone uscite da 40-50-60 milioni di
lire.
Comunque, per arginare l’eccedenza di lavoratori siamo in regime di solidarietà
da più di due anni, che è un’alternativa alla cassa integrazione, permette di
avere un pagamento in percentuale (all’incirca un 60%) per lavoratori che stanno
a casa, cioè un pagamento proporzionale al tuo salario, che impedisce che
l’azienda arrivi alla mobilità (invece la cassa integrazione viene pagata in una
cifra fissa per il mese solare, divisa poi per le ore realmente fatte a casa, il
che penalizza i lavoratori più anziani).
Il contratto di solidarietà esclude la fuoriuscita di lavoratori ed è
distribuito su tutti i lavoratori, c’è la rotazione di tutti, per cui non ci
sono linee penalizzate i cui lavoratori stanno a casa per mesi; permette a noi
di avere un maggiore controllo e all’azienda impedisce di avere mano libera su
tutto. E’ stata una vera conquista perché l’azienda avrebbe fatto fuori molti
lavoratori, soprattutto quelli giovani e con una mobilità corta. Siamo in
contratto di solidarietà fino al 2005; avevamo poi concordato che a fine
percorso avremmo valutato la possibilità di concedere delle mobilità
all’azienda, però esclusivamente volontarie e finalizzate alla pensione.
In mezzo a tutte queste cose c’è stata la questione del precontratto.
Dalla fine del 2003 lo stabilimento di Orbassano non esiste più e tutti i
lavoratori sono a Grugliasco; alla metà dell’anno scorso, dopo le assemblee con
i lavoratori abbiamo presentato il precontratto; il 95% dei lavoratori ha
accettato la piattaforma e lì è iniziata la lotta, siamo arrivati alla penultima
settimana di luglio dell’anno scorso in cui sono partiti una serie di scioperi a
singhiozzo a Grugliasco che hanno messo in seria difficoltà l’azienda. C’era
l’idea, secondo me sbagliata, che alla Lear, che è una delle aziende del primo
indotto che va avanti con meno sforzo rispetto alle altre, si potesse, un po’
per la forza sindacale interna, un po’ per la forza che si ha rispetto alla
Fiat, portare a casa il precontratto in breve tempo. Questo a mio avviso è stato
un gravissimo errore di valutazione perché se consideriamo che la Lear è una
costola della Fiat, la presentazione del precontratto apre un problema politico
enorme. La Fiat mai e poi mai avrebbe concesso che alla Lear si firmasse un
precontratto.
Dunque alla fine di luglio, dopo giorni di sciopero a singhiozzo, dopo
un’assemblea ai cancelli, i lavoratori decidono di passare all’assemblea
permamente ad oltranza.
Uno sciopero ad oltranza in quel contesto lì era da evitare. Primo perché era
evidente che la lotta non sarebbe durata poco, secondo, per una questione di
tempi: era l’ultima settimana di luglio e dopo una settimana i lavoratori
andavano tutti in ferie.
I lavoratori hanno fatto quella scelta, siamo arrivati al presidio permanente
dei cancelli, l’azienda ha tentato degli abboccamenti, di dividere i lavoratori.
C’è stata una partecipazione enorme alla lotta, notte e giorno, e i lavoratori
erano assolutamente organizzati.
Dopo gli scioperi a singhiozzo, il martedì mattina è dunque partito questo
sciopero a oltranza e l’assemblea permanente; l’azienda ha tentato di dividere i
lavoratori accusando la Fiom, addirittura emettendo comunicati, mandati ai
gabbiotti, in cui si diceva che le richieste della Fiom erano assurde, che
l’azienda era disposta a venire incontro ai lavoratori, soprattutto per quanto
riguardava il salario, ad anticipare la contrattazione di secondo livello,
quindi PDR, ecc, sostenendo così che la Fiom non voleva la contrattazione
sindacale. Naturalmente ciò era falso e in realtà l’azienda non aveva dato
alcuna disponibilità, non aveva mostrato nessun tipo di apertura. La polizia è
stata lì davanti sin dal primo giorno ma non c’è mai stato nessuno scontro, solo
alcuni momenti di tensione o di intimidazione da parte loro.
Il giovedì della stessa settimana sono incominciati ad arrivare ai lavoratori
gli avvisi di garanzia. Venivano elencati il blocco delle merci, delle attività
produttive, gli atti di violenza come minacce o il blocco dei camion, nomi e
fatti, giorno per giorno, ora per ora e si richiedeva la rimozione dei blocchi
ai cancelli. L’azienda fa questo elenco di 30-40 lavoratori, tra cui tutta l’RSU
della Fiom, con accuse campate in aria, come quella di aver impedito l’ingresso
alle persone, cosa che è totalmente falsa visto che l’adesione allo sciopero era
assoluta, ed era ciò che bruciava di più all’azienda.
Alla Fiat non arrivavano più pezzi, non arrivava più niente e si faceva mandare
i sedili dagli stabilimenti del sud con gli aerei, con dei costi esorbitanti;
forse sarebbe costato di meno concederci subito i precontratti (naturalmente da
un punto di vista economico e non politico).
Giravano lettere dall’Unione Industriali di Torino a tutte le aziende, in cui
dicevano chiaramente: la Fiom sta preparando i precontratti, noi vi diffidiamo
dal firmare questi accordi e vi garantiamo la massima tutela e copertura legale;
dunque un’indicazione molto chiara. Alcuni precontratti sono stati firmati nella
zona, ma non nelle aziende della Fiat.
Inizialmente da noi sembrava che da parte dell’azienda ci fosse una qualche
apertura, era trapelato che stessero valutando la possibilità ma non volessero
essere i primi a firmarlo, come dire: non vogliamo essere noi i responsabili di
un’azione che può avere un effetto a cascata su tutte le altre aziende. Invece
non c’è stata alcuna apertura e la Fiat ha imposto il divieto di firma. Quando
la Lear non manda i sedili, tra l’altro, paga delle penali altissime.
La Fiat ha consentito alla Lear di non pagare le penali a patto che non firmasse
il precontratto. L’ha sostenuta in ogni modo.
C’è un piccolo stabilimento dell’indotto Fiat della zona il cui padrone ha
accettato il precontratto, non rispetto alla parte salariale, ma solo per quella
normativa (che però è la parte più importante), ma è un’azienda che produce
motorini e non sedili, quindi ha una caduta molto minore sul gruppo.
Mi sembra che in generale, all’interno della Fiat, i precontratti non siano
partiti. In alcune zone, come a Modena, perché è stato bocciato dai lavoratori
stessi. Mi chiedo come mai la Fiom, nonostante questo contesto, da voi abbia
invece pensato di presentarlo.
Perché c’era la convinzione giusta di avere una forza sindacale grossa in quello
stabilimento che avrebbe posto le condizioni per la presentazione del
precontratto. E’ stato un ragionamento fatto dall’RSU e dalla struttura
sindacale perché era un dato di fatto che lo stabilimento a livello sindacale è
fortissimo, con molti iscritti (ad oggi 700 in tutto, compresi gli indiretti e
gli impiegati; anche se a livello impiegatizio negli stabilimenti in generale la
forza non c’è, abbiamo quasi 300 iscritti, che non sono pochi). Rispetto alla
vertenza abbiamo avuto il 95% di adesioni.
A parte la Lear che ha più forza, è stato un errore di valutazione, ma in realtà
è stato giusto farlo in quel momento ed è stata messa di mezzo la Fiat, che non
è cosa da poco. Probabilmente è stata sottovalutata l’intromissione della Fiat
rispetto alla questione Lear.
Riprendendo la cronologia; gli avvisi di garanzia che richiedevano la rimozione
dei blocchi (tra l’altro con un elenco di nomi di lavoratori presi un po’ a
casaccio per terrorizzarli, in cui sono stati inseriti alcuni che magari davanti
ai cancelli non c’erano neanche o che non stanno bene di salute) e la
convocazione in tribunale per il giorno dopo, hanno avuto la reazione opposta,
cioè non hanno fatto paura ai lavoratori, ma li hanno fatti incazzare ancora di
più.
Abbiamo discusso con i nostri legali che consigliavano comunque di togliere i
blocchi. Abbiamo continuato le assemblee e il venerdì abbiamo mandato dal
giudice solo i nostri legali, ma abbiamo sciolto i picchetti ai cancelli per
evitare altre conseguenze che pesassero sui lavoratori. Con una consapevolezza,
che il giorno dopo era l’ultimo giorno di lavoro, l’azienda non aveva concesso
aperture fino a quel momento, pur con miliardi di difficoltà perché giravano
vetture senza sedili o in Fiat montavano sedili che avevano buttato in mezzo
alla merda tutti sporchi, cagati di piccione, pur di montare i sedili…
Quindi, il giovedì notte sono stati smobilitati i picchetti. La decisione è
stata presa anche perché, fino a giovedì sera, non c’era stata nessuna apertura
da parte dell’azienda e non ci sarebbe stata nemmeno il giorno dopo. C’erano
delle denunce per atti di violenza e proseguire uno sciopero durante il periodo
di ferie era molto complicato.
Il venerdì mattina i nostri legali hanno dichiarato che non c’erano più i
blocchi, il problema non sussisteva più, dunque non c’era motivo di procedere
con uno sgombero.
L’azienda puntava alle denunce, ma le è andata male.
Venerdì ci siamo salutati con una grigliata lì davanti, a pranzo, e con la
promessa di riprendere in settembre a lavorare sul precontratto, per
l’estensione della lotta, per un coordinamento con gli altri stabilimenti del
gruppo Fiat d’Italia.
Durante il nostro blocco, per quanto riguarda il coinvolgimento degli altri
stabilimenti Lear, che i lavoratori richiedevano con forza, abbiamo fatto di
tutto affinché si presentassero almeno le piattaforme, in modo che diventasse
una lotta generalizzata di tutta l’azienda, ma non c’è stata neanche un’ora di
sciopero.
Prima di tutto per mancanza di volontà da parte della Fiom nazionale, poi per
una questione di debolezza interna agli stabilimenti.
Dunque ci siamo salutati con quella promessa, ma con la consapevolezza di
arrivare deboli a settembre, con uno sciopero spezzato dalle ferie, dopo una
settimana in cui non si era riusciti a portare a casa nulla, con i lavoratori
che sono stati convocati dalla Digos giovedì per presentarsi in Questura il
giorno dopo, la paga di agosto decurtata di circa un milione di lire e
un’azienda che ha ricevuto un danno enorme, ma che si presentava forte di fronte
ai lavoratori.
Abbiamo ripreso comunque le assemblee a settembre e abbiamo tentato questo
coordinamento con gli altri stabilimenti. A metà settembre c’è stato uno
sciopero di 3-4 ore, con un picchetto davanti allo stabilimento di Grugliasco,
in coordinamento con tutte le altre RSU di tutte le altre Lear. Un picchetto in
cui si è discusso, ma ci sono state molte diffidenze tra i lavoratori, visto che
tra l’altro ad agosto molti operai degli stabilimenti del sud sono venuti a
lavorare a Grugliasco perché l’azienda doveva riparare il danno che avevamo
provocato. Lo sciopero, però, è andato bene, il coordinamento si è fatto, ma la
cosa è un po’ morta lì.
Credo che in generale sarebbe stato più utile non partire subito con il blocco
dei cancelli, ma continuare con lo sciopero a singhiozzo che potesse permettere
di riprendere la lotta a settembre e farla diventare una lotta più grossa.
Noi pensavamo che ci fossero i margini per riuscire a portare a casa il
precontratto già con gli scioperi a singhiozzo, cioè subito. Poi la situazione
ci è un po’ sfuggita di mano perché i lavoratori avevano deciso lo sciopero ad
oltranza, decisione che magari io non condivido, ma da rispettare. La scontro
politico era molto forte, perché la firma del precontratto per l’azienda voleva
dire far vincere la Fiom e scatenare le altre aziende dell’indotto e tutta la
Fiat.
C’è stata poi una fase in cui tutto si è calmato, ma la Fiom ad un certo punto
ha dichiarato che laddove c’erano le scadenze per le contrazioni di secondo
livello, si potevano inserire i pezzi del precontratto dentro le piattaforme. A
quel punto però il confronto con l’azienda è diventato unitario, noi abbiamo
presentato la piattaforma e l’abbiamo poi concordata con le altre organizzazioni
sindacali. Nella piattaforma avevamo inserito un pezzo del precontratto, cioè
comprendeva una premessa in cui venivano assorbite le richieste del precontratto
presentato a giugno. Così abbiamo riconfermato le richieste normative e un
incremento di un sacco di soldi.
C’è stata subito un’apertura dell’azienda sulla parte economica, ma non su
quella normativa. C’è stata una trattativa che si è conclusa con un accordo
votato dalla grande maggioranza dei lavoratori e con cui non si sono ottenute
tutte le richieste riportate nel precontratto, ma si sono strappate parti
importanti, come ad esempio quella sulle assunzioni, punto cardine della
questione precarietà. Come il punto che dice chiaramente che l’azienda,
convocate le organizzazioni sindacali, con esse stabilisce le tipologie di
assunzione, in base alle necessità di incremento di organico, al lavoro che ci
sarà da fare. Questo è un pezzo che ci siamo giocati solo noi come Fiom, anche
perchè le altre sigle hanno abbandonato tutto subito, visto che la parte a cui
hanno dato attenzione era quella sul salario. Noi battevamo soprattutto sulla
parte normativa. Altre parti dell’accordo, poi, sono tutte a favore
dell’azienda.
Abbiamo comunque ottenuto che l’azienda non avesse mano libera sulle assunzioni
applicando completamente la legge 30. Sul salario abbiamo ottenuto un ottimo PDR.
Viene riconfermato tutto il precedente PDR e aggiunto un aumento salariale da
qui ai prossimi 4 anni.
Questo accordo non è sicuramente il precontratto, ma alcune questioni del
precontratto le abbiamo fatte rientrare dalla finestra e le abbiamo ottenute. Si
sono ristabiliti anche un po’ i rapporti di unità all’interno dello
stabilimento.
Mi hai detto che laddove c’è uno stabilimento Fiat ce n’è uno della Lear. Com’è
dunque il rapporto di servizio con la Fiat, è di tipo strettamente territoriale?
Si. Infatti durante la nostra lotta, come ho detto prima, la Fiat ha fatto
iper-produrre al sud per poter far arrivare i sedili a tutti i costi.
Alcuni delegati Fiom ci dicevano che la presentazione dei precontratti è stato
una scommessa per la riapertura della vertenza sul contratto nazionale. Pensi
che questo tipo di obbiettivo sia stato perseguito e raggiunto?
Sicuramente perseguito, ma non raggiunto. E’ stato fatto molto comunque, siamo
adesso intorno a 600 precontratti firmati e non sono pochi. Il problema sono le
grandi aziende perché, magari, in molti piccoli stabilimenti con pochi
lavoratori, hanno firmato il precontratto, ma sono molto pochi rispetto a tutto
il settore metalmeccanico.
Però è una lotta di lunga durata. Credo che la Fiom abbia fatto bene a
presentarli e a continuare a battere sul precontratto e che questo abbia messo
in difficoltà Fim e Uilm. Quindi, l’applicazione del nuovo contratto nazionale
da loro firmato con Fedrmeccanica, nei fatti non riesce ad esserci perché la
Fiom crea condizioni di “guerriglia” in fabbrica un po’ ovunque.
Un percorso che è stato “isolato” per i precontratti in sé perché solo la Fiom
l’ha fatto, ma è un discorso che va ad incidere in maniera violenta, soprattutto
dopo Melfi, con il congresso, su tutta la CGIL. Epifani ha dovuto gestire, anche
lui, delle trattative per quanto riguarda Melfi, dovendo stare alle scelte della
Fiom e dei lavoratori. C’è anche un problema democratico.
Quanto ha inciso l’elezione di Montezemolo in questo nuovo contesto?
Montezemolo è un pazzo. Sono altri che si muovono, lui è stato messo lì. Non so
quale linea porti avanti, perché non lo abbiamo ancora visto all’opera. D’amato
ha portato avanti una linea di scontro frontale con la Fiom e con la CGIL; non
credo Montezemolo ne porti avanti una diversa, anche se è un burattino.
Rispetto al congresso, io penso che sia assolutamente necessario farlo; stiamo
facendo congressi un po’ ovunque anche in Lear. Il documento Nencini, di
minoranza, non ha preso neanche un voto, quindi da questo punto di vista si
riconferma la validità delle scelte fatte dalla Fiom fino ad adesso.
Io faccio riferimento a Cambiare rotta, che magari dopo questo congresso non
esisterà più, però molte delle istanze del nostro documento sono state in realtà
recepite da questo documento congressuale di maggioranza.
Prime fra tutte il superamento delle regole sulla concertazione. Io ricordo che
durante l’ultimo congresso fatto, la destra stava con la maggioranza e noi
eravamo la minoranza. Il punto cardine delle assemblee era appunto il rapporto
con le regole della concertazione. Loro dicevano: la concertazione è necessaria
deve essere ripresa perché devono essere fissate delle regole, ecc. Noi
dicevamo: la concertazione va superata perché nei fatti è morta e ha dimostrato
di non servire ai lavoratori nel recupero del potere d’acquisto sui salari, ecc.
Tutto questo discorso, che è della sinistra, è stato accolto nel documento del
congresso ed è un forte segnale.
La vicenda di Melfi arriva a bomba anche su questo. Il congresso viene fatto per
spronare la CGIL, prima di tutto sulla questione della democrazia. Melfi è stato
un esempio di democrazia applicata. Cosa che non c’è dovunque, perché vorrei
andare a vedere dove nelle altre categorie, la CGIL fa applicare i propri
contratti… da nessuna parte, o molto poco. In base a come si concluderà il
congresso, se usciranno vincenti – e io credo di si – le scelte fatte dalla Fiom,
si andrà ad incidere sulle scelte del sindacato.
Rispetto alla lotta degli autoferrotranvieri, che so che a Torino ha avuto
momenti di conflittualità abbastanza aperta, c’è stato qualche tipo di
iniziativa a favore? A Milano tutti hanno visto che ha fatto di più la lotta dei
lavoratori dell’ATM piuttosto che, ad esempio, lo sciopero generale precedente;
perché una serie di situazioni, che comunque avevano in piedi delle vertenze
articolate, non hanno pensato di ricomporre queste lotte?
Anche a Torino non c’è stata la volontà di far mobilitare tutti gli altri
settori a seguito delle lotte degli autoferrotranvieri. Come RSU abbiamo
espresso la nostra solidarietà. I lavoratori erano effettivamente solidali con
loro, anche se i media hanno puntato molto sulla difficoltà per i poveri
cittadini di spostarsi o andare a lavorare a causa del blocco degli autobus; è
difficile anche in questo caso far capire ai lavoratori che anche loro avrebbero
fatto i blocchi nella situazione degli autoferro.
C’è stata una solidarietà verbale tramite comunicati e documenti, ma non
effettiva.
E’ una lotta che comunque va ad aggiungersi a quelle della Fiom, di Melfi, è un
periodo di lotta come non si vedeva da tanti anni; in più i lavoratori non solo
lottano, ma resistono e vincono. E fa da monito a tutti gli altri, anche ad una
classe politica che non sostiene i lavoratori, al centro-sinistra che ha creato
la precarietà in questo paese, che non dà alcuna risposta sui temi del lavoro.
Mi pare che proprio Treu abbia detto che, anche se vincesse la sinistra, la
legge 30 non verrebbe cancellata. Legge varata, tra l’altro, perché la sinistra
ha spianato la strada al centro-destra, vedi anche sull’articolo 18.
Quando il centro-destra dice di fare le stesse cose fatte dal centro-sinistra,
ha perfettamente ragione. Schifani, in un intervento sulla delega per le
pensioni, diceva che nel ‘96 la riforma Dini è passata allo stesso modo, tramite
la fiducia. Rifondazione è l’unico partito che ha appoggiato le lotte della Fiom
o quelle sull’articolo 18 o sull’unità sindacale.
La questione della guerra in Iraq ha toccato gli operai?
La guerra è entrata nella nostra quotidianità, ed è bruttissimo, perché la vedi
al Tg5 ogni giorno e quindi è un fatto quotidiano, diventa un normale fatto
della quotidianità. Sicuramente i lavoratori hanno il sentore della guerra ogni
giorno, però non ci sono mobilitazioni contro di essa. Da parte dei lavoratori
da quello che sento in fabbrica c’è sicuramente, in generale, una contrarietà a
questa guerra, ma è una cosa di cui non se ne parla, se non tra compagni.
All’interno della Fiom o nel vostro ambito territoriale torinese, avete una
posizione comune sulla guerra?
Non credo ci sia un qualche riferimento alla resistenza irachena, ma sulla
guerra abbiamo una posizione di netta contrarietà.
Rispetto alla guerra nei Balcani c’era stato qualche progetto di solidarietà o
di raccolta fondi come per la Zastava, questa volta non c’è stato qualche
scambio di questo tipo? Nella base che tipo di coscienza c’è, pensando anche che
ci sono operai immigrati, che hanno una diversa percezione di cosa può essere la
guerra, li tocca più nel profondo…
In fabbrica, tra i lavoratori, la politica non va di moda. Se parli col singolo
operaio sicuramente questa percezione della guerra c’è, ma non c’è alcuna
posizione o presa di coscienza collettiva dei lavoratori.