SENZA CENSURA N.14
GIUGNO 2004
Conferenza internazionale sulla prigionia politica
Il Movimento Pro-Amnistia di Euskal Herria ha organizzato la conferenza
internazionale “Prigioniere e prigionieri politici nel secolo XXI” che si è
svolta a Donostia dal 20 al 23 maggio. La conferenza che ha visto la numerosa
partecipazione di compagne/i di diverse parti del mondo (Italia compresa) è
stata un importante ambito di discussione e riflessione per contestualizzare
l’attuale realtà della detenzione politica, della tortura e più in generale
della repressione nell’epoca attuale caratterizzata dalla guerra imperialista.
E’ stata un occasione di socializzazione e conoscenza reciproca delle diverse
lotte che avvengono in ogni angolo del mondo, delle lotte di liberazione e per
l’autodeterminazione dei popoli, delle lotte sociali e di classe e questo dalla
diretta voce dei protagonisti. E’ stata un opportunità per creare legami di
solidarietà internazionale che riguardano l’esistenza di prigioniere e
prigionieri politici, in base alle diverse situazioni carcerarie e ai conflitti
politici che ne sono all’origine. La conferenza si è conclusa con una
partecipata e sentita manifestazione in solidarietà a tutti i prigionieri/e per
le vie di Donostia dove i compagni baschi incarcerati erano simbolicamente tutti
presenti nelle foto sui cartelli portate dai manifestanti. Riportiamo qui di
seguito la dichiarazione di chiusura della conferenza ed uno scritto che ha
introdotto uno dei diversi tavoli di discussione. Per maggiori informazioni è
possibile visitare il sito www.kalera.org.
Dichiarazione della Conferenza
Internazionale in favore
delle Prigioniere e Prigionieri politici
Questa è la dichiarazione che viene fatta da chi ha partecipato alla conferenza
internazionale sulla questione dei prigionieri/e politici organizzata dal
movimento per l’Amnistia del Paese Basco.
Nello stesso modo in cui la repressione che i prigionieri subiscono per mano del
nemico è mutevole, le prigioniere e i prigionieri politici adattano attraverso
proprie dinamiche i loro comportamenti.
Prima di entrare nel merito di questa risoluzione ci sembra importante
analizzare il contesto. La situazione socio-politica attuale è collegata più che
mai alla “globalizzazione”. Per mezzo di questa via, la violenta offensiva che
le forze politico-economiche ostentano, condiziona totalmente la natura, la
situazione ed il futuro dei prigionieri/e di tutto il mondo.
Contesto
La decisione che prende una persona quando si pone sul terreno della lotta
deriva dalla violenza che subisce come individuo, che subisce l’ambiente che ha
intorno e che subisce il suo popolo. La situazione per cui inizia la lotta non è
provocata dai combattenti, ma perché esiste una forza che genera violenza
creando un disequilibrio fra gli individui.
L’intenzione finale che hanno gli Stati-Nazione verso i popoli è la loro
assimilazione e nei casi estremi la loro deportazione. Per ottenere questi
obbiettivi diventa necessario alienare le persone che fanno parte del popolo.
Nel XXI° secolo, l’utilizzo della guerra su tutti i livelli si muove sulla
stessa linea della “globalizzazione”. Infatti, in questo tentativo di
“globalizzazione/assimilazione”, il “pensiero unico” diventa la prima fase
dell’alienazione delle persone e se non si riesce ad ottenere la loro
assimilazione, questa si otterrà e verrà fatta attraverso l’imposizione e la
violenza.
Gli Stati-Nazione si comportano come i gendarmi quando si tratta di concedere o
di negare la legittimità alla lotta. In seguito alle azioni che sono avvenute
l’11 settembre e l’11 marzo a New York ed a Madrid la repressione degli stati
nazione, che è una strategia precedente e permanente, si è fatta sempre più
violenta che mai e questo nel nome della lotta contro il terrorismo.
La situazione ed il carattere dei prigionieri/e, dei rifugiati e di tutte le
persone vittime della repressione, ha come origine un’opzione, una scelta ed una
decisione politica. Così quando i mezzi di assimilazione ideologica falliscono,
la risposta del sistema è la punizione (sanzionatoria).
Diventa indispensabile conoscere le testimonianze dirette delle persone vittime
della violenza, poiché attraverso l’apprendimento della loro esperienza è
possibile comprendere con chiarezza la natura del conflitto. In definitiva loro
sono i principali narratori della cronaca della repressione.
I conflitti non sono la conseguenza di una patologia sociale o di un gruppo
determinato di persone. Le differenti forme di repressione, attraverso sia mezzi
violenti che modi indiretti, rifiutano la libera scelta di autodeterminazione
delle persone oppresse. In modo più concreto la repressione viola i diritti
della naturalezza e dell’origine plurale, utilizzando livelli diversi di
violenza ed a volte rendendola banale.
Il diritto alla resistenza è una risposta delle persone oppresse del tutto
legittima, anche quando può essere violenta nelle sue forme. Tenendo conto che
si tratta di una contro-violenza non si può analizzare attraverso il punto di
vista della legge o dei limiti che gli Stati-Nazione adottano loro stessi. Così,
la violenza che viene utilizzata per la liberazione non va a violare i diritti
umani. Le ingiustizie che si incontrano nello sviluppo del conflitto sono la
causa che producono la sofferenza ed è unicamente il sistema che le alimenta.
La garanzia di tutti i diritti, includendo il diritto alla vita, sarà sostenuta
da tutti quelli che lottano per la libertà. Alla fine, la difesa della vita e
dei diritti umani si può ottenere solo tenendo in conto le necessità degli
individui e delle collettività, quando sono sinceramente democratiche.
In conseguenza di tutto questo
decidiamo quanto segue:
1- Il carattere dei prigionieri politici è strettamente legato al conflitto,
vale a dire al processo ed al percorso dal quale provengono. Sono il risultato
della partecipazione alla lotta. Sono anche il risultato dell’azione repressiva
del sistema che combattono. Per ciò il loro carattere politico è innegabile.
2- Anche il carcere è uno spazio di lotta. In questo spazio, i prigionieri/e si
organizzano come collettivo conquistando una propria identità. Per la
sopravvivenza dei prigionieri/e diventa indispensabile costituirsi in
collettivo. Inoltre è anche uno strumento per la partecipazione nei processi
sociali e politici dai quali gli stessi prigionieri/e provengono, un mezzo per
l’azione politica.
3- La partecipazione dei prigionieri/e è indispensabile nella trasformazione
politica e sociale, nei percorsi di lotta e nelle vie di risoluzione del
conflitto. E’ la loro partecipazione la garanzia del successo di questi processi
politico-sociali.
4- Gli Stati-Nazione a conseguenza dei conflitti da loro stessi generati hanno
prigionieri/e politici, ma non possono ammettere di averne o fanno tutti gli
sforzi possibili per negare questa realtà. Sia la legislazione antiterrorismo
che la politica penitenziaria sono due strumenti designati a tale fine.
5- Mentre il carattere politico dei prigionieri/e viene negato, il trattamento
specifico che gli viene applicato mette in evidenza il loro carattere e la loro
origine. Senza dubbio l’obbiettivo della politica penitenziaria è di farla
finita con la referenzialità (l’essere un punto di riferimento) dei
prigionieri/e politici.
6- Nel nome della lotta al terrorismo, gli Stati-Nazione che rappresentano le
forze imperialiste, facendo valere la loro attitudine violenta , mostrando che
sono i ferventi difensori dei diritti umani e della democrazia , negano
violentemente il carattere politico dei prigionieri/e e la loro possibilità di
essere parte attiva dei processi politico-sociali.
7- Fino a quando il conflitto sarà situato all’interno di un quadro di
affrontamento violento, gli Stati-Nazione prenderanno i prigionieri/e politici
come ostaggi. Il loro obbiettivo è quello di infliggere sofferenza ai
prigionieri ed ai loro familiari, condizionare la lotta popolare e nei modi
possibili di neutralizzarla.
8- La liberazione dei prigionieri/e renderà possibile il passaggio del conflitto
politico da un affrontamento tendenzialmente violento verso un semplice scontro.
Una volta avvenuto questo passaggio si potrà realizzare l’amnistia generale,
vale a dire che le ragioni che hanno generato il conflitto sono risolte. In
questo caso, tutti quelli che sono stati vittime della repressione non avranno
alcuna ragione o motivo per vivere di nuovo questa situazione di sofferenza.
9- La solidarietà verso i prigionieri/e politici non deve negare la loro origine
politica. La solidarietà si deve basare su dei parametri politici senza omettere
l’aspetto umanitario, ma tenendo sempre presente la sua essenza politica.
10- Come persone che hanno partecipato a questa conferenza ci impegniamo a
diffondere questo manifesto nei nostri paesi. Unendoci attorno alla dinamica che
da qui si è sviluppata, ci impegniamo a continuare questo percorso.
Donostia, Euskal Herria, 23 maggio 2004