SENZA CENSURA N.14

GIUGNO 2004

 

Appiccate il fuoco...

Alcune note sulla storia sociale iraquena (1°parte).

 

Questo contributo sugli intrecci tra storia sociale e sviluppo delle formazioni della sinistra araba in Iraq, vuole fornire alcuni spunti di riflessione ai lettori di SC e non una versione organica degli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia di questo paese, rimandando comunque ad alcuni degli studi usciti in Italiano sull’argomento e alla loro relativa bibliografia. Visto l’arco storico considerato e i complessi intrecci delle vicende iraquene, abbiamo deciso di pubblicarlo in due tranche, di cui questa che segue è la prima.

Appiccate il fuoco nobili iracheni
E lavate la vergogna col sangue
Non siamo schiavi
che adornano il collo con collari
non siamo prigionieri
che si lasciano ammanettare
non siamo donne
la cui unica arma è la lacrima
non siamo orfani
che cercano un mandato per l’Iraq
e se chiniamo il capo di fronte all’oppressore
perderemo tutte le delizie del Tigri
(Muhammad al-Obeidi)

Le debolezze strutturali e attuali degli stati arabi sono da attribuirsi alla dinamica economica propria dell’imperialismo, che ne ha fatto le riserve privilegiate delle proprie fonti energetiche e delle derrate agricole in direzione della metropoli e centri logistici strategici della propria politica di espansione e competizione inter-imperialistica acuita dalle crisi precedenti i due conflitti bellici mondiali.
La loro debolezza risiede anche nella creazione per così dire “a tavolino” dei loro confini, senza che fosse tenuta in considerazione non solo l’assetto politico-amministrativo precedente dell’impero ottomano, ma la composizione etnica, le differenze religiose e linguistiche delle popolazioni che andavano ad essere soggette al dominio di un medesimo governo fantoccio creato ad hoc dalle potenze coloniali.
Queste peculiarità erano, e sono, tenute in debita considerazione solo per sfruttarle ai fini di una stratificazione che mantenesse, e mantenga, in piedi l’impalcatura dell’amministrazione coloniale, come concessioni/privazioni nei confronti dell’uno e dell’altro gruppo, - il Libano è un caso paradigmatico in tal senso - , legittimando e consolidando comunque gli equilibri di potere precedenti basati su una struttura sociale che modernizzava il profilo e la funzione delle famiglie che godevano di uno status privilegiato: i grandi proprietari terrieri.
Questi venivano trasformati nella spina dorsale della società sotto il dominio coloniale, assicurandogli un accaparramento della terra e una concentrazione della ricchezza agricola impensabili anche in un qualsiasi paese mediorientale e garantendogli la repressione costante delle rivolte contadine soffocate nel sangue. Per dare un quadro statistico dello sviluppo capitalistico nelle campagne Iraquene, nel 1958, i 2/3 delle terre coltivate erano di proprietà del 2% di tutti coloro che avevano una qualche proprietà terriera, e al cuore della classe dei latifondisti vi erano 49 famiglie che possedevano il 17% di tutte le terre (il 3,6% delle terre coltivate era in proprietà al 64% dei contadini proprietari).
L’iraq, come gli altri paesi del mondo arabo, è una creazione dei vincitori della prima guerra mondiale nella spartizione del territorio dell’Impero Ottomano che assemblano arbitrariamente tre province di questo: prima le province di Baghdad, sunnita e Basra, sciiita – inevitabilmente attratta da Teheran, con caratteristiche diverse tra loro dal punto di vista culturale, economico, religioso, poi nel 1922 la provincia curda di Mosul, aggregata alla nuova formazione statale per sottrarla alla Turchia - che stava conoscendo una significativa rivoluzione nazionale - e che porta la porzione di popolazione curda a diventare circa un quarto di quella complessiva.
La sua struttura produttiva e sociale muta contestualmente alle trasformazioni che investono l’area già durante l’impero ottomano: privatizzazione della terra e trasformazione della popolazione nomade in addetti all’agricoltura d’esportazione e relativa stratificazione sociale, sviluppo embrionale “subordinato” delle infrastrutture di collegamento transnazionale funzionali al rapporto di dipendenza centro-periferia: strade ferrate, porti, pipelines, crescita dell’industria estrattiva e relativa costituzione dei primi nuclei operai, che avranno un peso nell’evoluzione del conflitto di classei.
Il suo governo monarchico hashemita “non autoctono”, messo sul trono dai brits e la sua cricca di cortigiani corrotti, complottatori e spietati,che non hanno mai goduto di un parvenza di legittimità e consenso da parte della popolazione, sono pedina consapevole dei giochi delle potenze coloniali.
Feisal, messo al trono dalla Gran Bretagn, cacciato dai francesi da Damasco, mentre il padre era stato sconfitto dagli Al-Saud - che avevano conquistato la Mecca e Medina - , mitigò ben presto anche la più modesta illusione di una qualche autonomia, essendo ogni decisione riguardo alla politica interna ed estera declinata secondo i voleri dell’Alto Commissario britannico, rispondente al ministero delle Colonie a Londra, e dichiarò esplicitamente: «Io sono uno strumento della politica britannica».
Le libertà “democratiche” di cui si facevano campioni i colonizzatori erano piuttosto risicate e completamente cancellate dalla legge marziale e dall’azione militare vera e propria - tra cui i bombardamenti e l’uso di gas mortali - ogni qual volta ci fosse un accenno di movimento sociale; di conseguenza, le formazioni politiche e sindacali, agenti in clandestinità, vedevano i propri leader spesso imprigionati e assassinati.
Proprio la rigidità del modello coloniale nella gestione del conflitto di classe nelle città e nelle campagne e la mancata possibilità di ascesa sociale, tranne che per ciò che riguarda l’esercito - in cui dalla metà degli anni ’30 gli ufficiali proverranno dalla piccola borghesia urbana - , la mancanza totale di credibilità della monarchia e l’identificazione classista immediata dell’unico e minoritario strato sociale, quello delle famiglie dei grandi proprietari terrieri, che godeva dei benefici dell’occupazione contribuivano a rendere la situazione esplosiva.

L’inquieta pax britannica
Nel 1933 la morte del monarca hashemita, porta al trono Ghazi, giovane sovrano simpatizzante per le correnti nazionaliste e radicali che erano emerse in Iraq. Questo, inviso ai cortigiani, aveva creato una stazione radio a Palazzo, che denunciava regolarmente le macchinazioni anglo-sioniste in Palestina, insisteva che il Kuwait - altra creazione colonialista - faceva parte dell’Iraq e incitava il popolo a rovesciare lo sceicco; inoltre, parlava con convinzione dell’antico progetto della ferrovia Berlino-Baghdad, annullato dalla prima guerra mondiale, suggerendo che doveva essere ripreso.
La sua morte misteriosa, dovuta ad uno strano incidente automobilistico, ma lei cui circostanze non vennero mai totalmente chiarite, alimentò la convinzione popolare della sua uccisione da parte dei cortigiani filo-britannici, la vasta folla, che partecipò ai funerali, si scagliò verbalmente contro quello più odiato gridando: «risponderai del sangue di Ghazi, o Nuri!».
Fu proprio in Iraq che la seconda guerra mondiale produsse le sue conseguenze più profonde. Il ruolo geo-strategico dell’Irak per la Gran Bretagna prima e per gli USA poi, e la necessità della fedeltà militare iraquena – cioè delle 4 divisioni dell’esercito addestrate dagli inglesi - sancita dal trattato del ’30, presupponevano una totale subordinazione della politica irachena ai fini dell’impresa bellica britannica e la conseguente repentina rimozione di ogni ostacolo che si frapponeva a tale fine.
Così il primo ministro Rashid Alì Gaylani, favorevole ad un alleanza con la “neutrale” Turchia e in buoni rapporti con la diplomazia tedesca, venne sostituito da un docile servo filo-britannico che si affrettò ad allontanare il diplomatico tedesco in Iraq e ruppe le relazioni con la Germania.
Quando lo scenario bellico, con il successo degli “Africa Korps” del generale E.Rommel nel nord-africa e la preparazione dell’invasione tedesca nei Balcani, sembrava minacciare seriamente la possibilità di mantenimento della «Pax Britannica» in Medio Oriente, quattro colonnelli nazionalisti, convinti dell’appoggio popolare e dell’odio anti-britannico della popolazione, guidarono, il 1° aprile 1941, l’esercito a impadronirsi del potere a Baghdad, mettendo agli arresti il giovanissimo re Feysal II, succeduto a Ghazi, e riportando al governo Rashid Alì Gaylani.
La guerra durata circa trenta giorni, che opponeva alle ben addestrate truppe indiane, l’isolato e il male armato esercito iraqueno - che comunque resistette valorosamente sotto i continui bombardamenti all’avanzare delle truppe di spedizioni verso Baghdad, riportò temporaneamente l’ordine, che continuò con una dura repressione e l’impiccagione di tutti i capi militari che gli inglesi riuscirono a catturare e la fuga in Iran del governo nazionalista e del capo di stato maggiore dei militari nazionalisti Amin Zaki.

«Per comprendere in termini storici e non ideologici le ragioni effettive di certi contatti e di certe collaborazioni è necessario rifarsi non a schemi di tipo politico desunti dalle vicende europee e proiettati in forza di un “vizio” culturale etnocentrico su realtà storiche e culturali diversissime dalla europea e occidentale in genere, ma alle ragioni profonde di tali realtà e alla loro manifestazioni politiche: in altri termini alle esigenze di lotta per l’indipendenza nazionale che muovevano i movimenti che ebbero quei contatti e stabilirono, in funzione, appunto, dell’indipendenza dei rispettivi paesi, quelle forme di collaborazione. Solo non pretendendo di applicare i nostri schemi e i nostri parametri culturali, ideologici e politici a realtà ed esperienze nate in tutt’altro contesto è possibile evitare fraintendimenti e articolare le posizioni, spesso assai diverse, che all’interno di quelle esperienze pure vi furono e vi sono». (Renzo De Felice, Il fascismo e l’oriente)

Le considerazioni di Antonio Moscato, nel suo libro «Tempeste sull’Iraq», nel paragrafo, Attrazione fatale per la Germania?, - che riportano la citazione di De Felice - danno alcuni elementi importanti di riflessione sui limiti della politica delle sinistre occidentali, sulla scarsa capacità di tenuta dell’accostamento forzoso di alcune figure e correnti nazionaliste arabe o generalmente anti-colonnnizatrici con il nazi-fascismo e sulla sostanziale incomprensione della natura delle collaborazioni tra leader nazionalisti nelle colonie e potenze dell’asse prima e durante il secondo conflitto mondiale.
Da un lato bisogna comprendere il valore di coagulante che lo spirito anti-britannico, o anti-francese, e anti-sionista ebbe proprio quando il tallone di ferro dell’imperialismo e il suo fedele cane da guardia schiacciò la rivolta arabo-palestinese del ’36; la delusione dell’esperienza dei Fronti Popolari e della politica frontista in genere - appoggiati dai partiti comunisti e socialisti - rispetto alla propria politica coloniale fatta di vuote promesse e di una sostanziale continuità del dominio della metropoli; inoltre il carattere della lotta anti-imperialista tout court in cui il principio tattico secondo il quale: «il nemico del mio nemico, è il mio amico» ha una presa reale; non ultimo la mancanza di una prospettiva di classe internazionalista emergente da un movimento sociale ascendente al centro dell’imperialismo, schiacciata o dal nazi-fascismo-franchismo o incanalata verso esperienze fallimentari di collaborazione di classe.

«Perché la questione della rivoluzione popolare da parte delle classi lavoratrici è stata evitata?... Il problemi che i compagni dirigenti al centro del partito non vogliono seriamente orientare il partito verso il potere. Il punto di vista non classista – che vinse nel 1959 - ha profonde radici… Non si tiene conto della questione kurda, mentre è decisiva; lo stesso per la questione contadina; le proposte avanzate vengono rigettate perché non c’è nessuna seria tendenza verso il potere…Senza scatenare una lotta contro le idee di destra della direzione la linea rivoluzionaria non può prevalere… Se tale mentalità predomina, il partito non può essere diretto in modo serio verso l’organizzazione della resistenza armata contro il regime esistente». (Relazione di Zaki Khairi al «Comitato all’estero per l’organizazione», nov. ‘65)

Nel maggio 1942, sia pure con quasi un anno di ritardo rispetto ad altri partiti più deboli e quindi più pronti ad allinearsi, il giornale del PCI scrisse: «il nostro partito vede l’esercito inglese, che ora combatte il nazismo, come un esempio di liberazione. […] Noi siamo dalla parte degli inglesi, […] dobbiamo quindi aiutare l’esercito inglese in Iraq, in qualsiasi modo possibile», schierandosi così di fatto dalla parte della parte della monarchia e dei latifondisti.
I partiti comunisti arabi, nonostante l’opposizione anche della loro componente ebraica in Egitto e in Iraq, accettarono la costituzione dell’Entità sionista, riconosciuta per prima proprio dall’URSS.
La dipendenza da Mosca ha sempre avuto effetti deleteri per il PCI, di cui questi due passaggi non sono che esempi. Ha conosciuto, proprio rispetto alle conseguenze disastrose di tale orientamento – che lo portarono più volte sull’orlo del collasso organizzativo, per aver avuto la propria dirigenza decapitata, i propri quadri arrestati o uccisi, le proprie strutture incapaci di reggere all’urto della repressione - numerosi bilanci e sbocchi politici differenti dalla linea sovietica, in cui la breve influenza dell’esperienza cinese prima e della guerriglia sud-americana poi, nonché numerose scissioni interne sulla linea politica generale, ne arricchiscono la storia.
Come riporta Ilaro Salucci: - unico autore di una storia del movimento comunista in Iraq in italiano - «il PCI è conosciuto come il «partito dei martiri» per l’altissimo numero di propri militanti uccisi dai vari regimi che si sono succeduti in Iraq. Ben due segretari generali vennero uccisi dalla repressione: il fondatore Yusuf Salam Ysuf («Fahd»), impiccato pubblicamente nel 1949 (il suo corpo venne lasciato sulla piazza diverse ore a monito dei lavoratori di Baghdad) dopo che aveva ricostruito e diretto il partito a partire dal 1941 e Husain Ahmad ar-Radi(«Salam’Adil»), arrestato e morto sotto tortura durante il primo regime Bath nel 1963 (ar-Radi aveva diretto il partito a partire dal 1955)».
Successivamente alla sconfitta dell’Intifadah iraquena del ’52, con la feroce repressione e limitazione della libertà di associazione che ne conseguì, la direzione di Hamid Uthman, che guidò il partito per circa un anno, espulse i circa 70 membri più legati alle posizioni moderate precedenti, mutuate dalle direttive sovietiche conseguenti alla spartizioni delle sfere d’influenza suggellata a Yalta, e teorizzò la lotta armata basata sulla costruzione di un «esercito popolare» e la costruzione di «roccaforti rivoluzionarie», più enunciate che realizzate, vista la scarsa consistenza numerica dei militanti, circa 500.
La «Carta Nazionale» adottata dal partito nel marzo ’53, in sostituzione di quella del 1944, poneva esplicitamente l’obiettivo di una: «Repubblica popolare democratica che rappresenti la volontà dei lavoratori, dei contadini, delle masse popolari», riconosceva il diritto di autodeterminazione del popolo curdo, fino alla secessione.
Ma Uthman venne presto sconfessato dal Comitato Centrale e sostituito, e il PCI riprende la teorizzazione della «rivoluzione in due tappe» basata nella prima fase sull’alleanza di una fantomatica «borghesia nazionale progressista» mentre la prospettiva socialista era rinviata alle calende greche in una mitica tappa successiva.
Alla fine degli anni sessanta si apre una discussione che ha al centro la preparazione della “guerra civile” del partito che doveva dispiegarsi contemporaneamente nelle città e nelle campagne, centrata sulla pratica della guerriglia con la prospettiva della presa del potere attraverso l’esercizio della violenza rivoluzionaria, con richiami espliciti all’esperienza cinese e a quella castrista.
Le varie tendenze presenti nel partito vengono tenute insieme in un precario equilibrio e da un timido sbocco organizzativo iniziato nel febbraio del ’67 in cui decide di formare piccole unità armate, mobili e fisse, nelle zone rurali e in una serie di città, e di iniziare una limitata guerra di guerriglia. Ma questo equilibrio si rompe definitivamente con la disfatta araba del giugno del ’67: il 17 settembre 1967 una consistente parte del PCI opera una scissione e fonda il «Partito Comunista Iraqueno(comando centrale)».
Uno degli artefici di questa scissione è un veterano del movimento comunista iraqueno, Azziz Al-Hali Haidar, membro dell’Ufficio Politico, e fondatore del «quadro rivoluzionario», un raggruppamento che si era battuto per la democratizzazione della vita interna la partito.
Il PCI – Comando Centrale rifiuta l’allineamento internazionale con la Russia e la Cina, si batte per la distruzione dello stato d’Israele, saluta positivamente le azioni di guerriglia condotte da due anni nel sud dell’Iraq e procede a formare propri gruppi armati a Baghdad nel corso del ’68, con il nome di «Esercito Popolare».
Nel febbraio del ’69 l’intero Ufficio Politico viene arrestato: due dei cinque membri muoiono sotto tortura, mentre gli altri tre, compreso il segretario Hajj, che inizierà poi una carriera diplomatica, accettano di collaborare con il Bath, denunciando i loro compagni e facendo interventi pubblici in favore del regime.
Il partito riuscirà ad organizzarsi solo un anno dopo in Kurdistan e a stabilire un’alleanza strategica con il PDK di Barzani.
Nel corso degli anni conoscerà scissioni, arresti e terminerà la sua vita nel corso degli anni ’70.
È interessante vedere lo sviluppo dell’ipotesi fochista alla fine degli anni ’60.
Un gruppo di quadri del partito comunista a Baghdad, i cui compagni più influenti erano un ex esule rientrato in Irak da Londra, Khalid Ahmed Zaki, e la guida di un comitato di intellettuali del partito della capitale Najim Mahmood, firmarono un documento in cui si denunciava la politica e i metodi burocratici di entrambi le fazioni - una moscovita, l’altra più radicale – e chiedevano che il dibattito che si stava svolgendo all’interno della leadership fosse allargato a tutti i membri, che ne avrebbero discusso per determinare così la direzione futura del partito. Questo non avvenne e la frazione del PCI-Coment (=comando centrale) propose una fusione con il gruppo di quadri di Mahmmood e Zaki. Questi si unirono al comando centrale a condizione che esso approvasse i piani per lanciare una guerra armata contro la dittatura.


Questi compagni decisero di promuovere il fuoco guerrigliero nel paludoso sud iraqueno, dove il Partito Comunista aveva un considerevole supporto; si impadronirono di una locale stazione di polizia nella regione di Nassirya e continuarono a resistere, mentre il governo decideva di muovere nella regione la Diciannovesima Brigata.
Vennero circondati e Zakì morì nello scontro a fuoco che ne scaturì, mentre gli altri compagni catturati, vennero prima condannati a morte e poi graziati successivamente al colpo di mano del Bath del 17 luglio del ’68.
Nel romanzo, Walimah li-A’shab al-Bahr, ‘Banchetto di Alghe’, di Haidar Haidar, racconto di due esuli comunisti iracheni nell’Algeria degli anni Settanta, questo rivoluzionario viene ricordato da uno dei due protagonisti:
«Khalid Ahmed Zaki, con la consapevolezza di un rivoluzionario sopravvissuto alla vuota esperienza della linea pacifica democratica che aveva condotto il partito alla rovina, presentava il suo documento teorico che spingeva alla sostituzione di una politica da circo con la lotta armata, a partire dalle paludi. Chiamava la leadership politica a essere all’avanguardia in questa lotta. Definiva poi un piano d’azione che si basava sulla campagna, senza però trascurare le città, ed evidenziava la necessità di unificare tutti i settori progressisti».

«L’atmosfera che avvolgeva Baghdad era profumata di rivoluzione»
Così, i coniugi Batatu, tra i più scrupolosi storici dell’Iraq, definiscono le giornate in cui nel gennaio 1948 videro esplodere la più straordinaria insurrezione di massa della storia della monarchia, universalmente conosciuta con il nome di al-wathbah (il salto) e iniziata il 4 dello stesso mese, con le manifestazioni studentesche che protestavano contro l’ipotesi di un nuovo trattato anglo-iraqueno e proseguita con l’ascesa di un movimento sociale che fece ritirare la polizia dalle strade, cadere il governo e minare seriamente, fino allo scoppio del conflitto arabo-israeliano, la “Pax britannica”.
Manifestazioni di massa, scioperi degli operai delle ferrovie, dell’industria estrattiva, del porto e rivolte contadine dovettero confrontarsi con una repressione frontale spietata, con la polizia che aveva l’ordine di sparare in maniera indiscriminata come mezzo per disperdere i cortei, la messa fuori legge delle organizzazioni sindacali, e l’introduzione della legge marziale in maggio.
Il PCI ebbe un ruolo di primo piano nell’organizzazione di tale movimento, sebbene guardasse con sospetto spinte le più radicali e gli slogan che inneggiavano alla repubblica, ma lo scoppio del conflitto con Israele - che spostò all’esterno le contraddizioni e le tensioni esplose all’interno - e il riconoscimento di Israele da parte dell’URSS - il 6 luglio dello stesso anno - esaurirono la spinta propulsiva del movimento e tagliarono le gambe al partito su cui si scatenò una feroce e selettiva repressione: Yusuf Salman Yusuf, che si era opposto al riconoscimento dello Stato di Israele da parte dell’unione Sovietica, insieme agli altri due membri leadership, Zaki Basin e Ash-Shabibi, vennero impiccati e esposti in tre pubbliche piazze.
Questa fu la risposta dell’imperialismo a chi chiedeva aumenti salariali, di «pane e scarpe», diritti democratici, liberazione dei prigionieri politici, e indipendenza nazionale.

La travagliata esperienza della de-colonizzazione
L’esperienza egiziana ebbe una notevole influenza sul processo di organizzazione nell’esercito di differenti componenti politiche, che in Iraq, tramavano per far cadere la monarchia, tra cui i comunisti, i baatisti e i nazionalisti.
La delusione sulle modalità di conduzione del conflitto contro Israele nel ’48 e la constatazione della sospetta rapidità con i governi arabi firmavano la pace con i sionisti era stata parzialmente riscattata dalla rivoluzione egiziana e dalle conseguenze del conflitto che nel ’56 oppose l’Egitto oltre che ai sionisti, alla Francia e alla Gran Bretagna: la sovranità territoriale egiziana era stata salvaguardata, la nazionalizzazione della Compagnia del Canale di Suez era stata difesa e l’Unione Sovietica, tra l’altro, si offrì per finanziare la diga di Assuan.
La costituzione della Repubblica Araba Unita il 1° febbraio del ’58, che vide l’unione di Egitto e Siria prima, a cui si unì successivamente lo Yemen – minacciato dalle interferenze saudite - faceva intravedere la possibilità concreta della riscossa araba e alimentava la fama di liberatore di Nasser che godeva della copertura sovietica e poteva opporsi concretamente a quegli stati alleati degli americani nella regione, come Giordania e Arabia Saudita, così come ai paesi facenti parte il “Patto di Baghdad”, costituitosi nel 1955 e raggruppante: UK, Turchia, Iran, Pakistan, Giordania e Irak.
Un sapiente lavoro di diplomazia preparò il terreno affinché la svolta avesse l’appoggio della RAU ed intervenisse al fianco degli insorti nel caso in cui l’Occidente fosse intervenuto direttamente, usando le clausole del Patto di Baghdad, per invadere l’Iraq; in cambio, il comitato supremo decise all’unanimità che, se le potenze del patto avessero invaso l’Iraq, esso si sarebbe unito alla RAU con effetto immediato.
Il 14 luglio 1958 con un colpo militare promosso da un gruppo di «Ufficiali Liberi», la monarchia venne abolita, e la famiglia reale uccisa, imponenti manifestazioni di massa che aderirono al proclama lanciato alle sei trenta del mattino, impedirono qualsiasi tentativo di riorganizzare dell’ancien régime: «Con il fidato aiuto dei fedeli figli del popolo e delle forze armate nazionali, abbiamo deciso di liberare l’amata patria dalla banda di corrotti installati dall’imperialismo. Fratelli, l’esercito è del popolo e per il popolo, e ha realizzato ciò che voi desideravate […] è vostro dovere sostenerlo nella distruzione che si sta abbattendo sul Palazzo Rihab e sulla casa di Nuri al-Said. Solo proteggendolo dai complotti dell’imperialismo e dei suoi burattini, la vittoria potrà essere completata.»
Agli odiati collaborazionisti fu riservata la sorte che loro avevano riservato ai leader dei partiti d’opposizione, inoltre i corpi di alcuni di loro vennero tagliati a pezzi e bruciati, negandogli una sepoltura mussulmana, mentre i simboli degli occupanti vennero dati alle fiamme.
Se il rovesciamento della monarchia era stato compiuto da non più di tremila soldati, fu la marea montante del movimento popolare - che tra l’altro preoccupava non poco gli ufficiali nazionalisti, che proclamarono immediatamente il coprifuoco – che gli assicurò il successo.
Citando i coniugi Batatu, «la crudeltà con la quale almeno alcuni di loro procedettero a dare sfogo ai loro sentimenti deve avere avuto un peso maggiore nel determinare l’esito storico di quel giorno cruciale di quanto si potrebbe essere disposti ad ammettere a prima vista […] Per prima cosa, affollando le strade e i ponti non solo a Baghdad ma anche in altre città, impedirono i possibili contrattacchi del nemico. Inoltre, grazie alla veemenza, la mobilitazione popolare ebbe un tremendo impatto psicologico. Riempì di paura il cuore dei sostenitori della monarchia e contribuì a paralizzare la loro volontà e a dare al colpo di stato quel carattere irreversibile che fu il suo baluardo più sicuro».
Il governo che venne formato fu un misto di militari e politici, a cui non furono invitati né il PCI, né l’organizzazione nazionale curda, né il PDK di M.Barzani.
Qualsiasi governo che interpretasse realmente le aspirazioni popolari – e questo è un discorso che travalica i confini temporali del ’58-’63 - doveva fare i conti con una radicale riforma agraria che mutasse la distribuzione proprietaria delle terre, una più equa e progressiva imposizione fiscale, un cambiamento di direzione dei flussi di valore provenienti dalla rendita petrolifera, una politica di “alfabetizzazione” e di istruzione di massa e un miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita sociale - rispetto alla politica urbanistica e all’assistenza socio-sanitaria - , il tentativo di dare vita ad uno sviluppo industriale autoctono indipendente, non ultimo una corretto sbocco politico dei sentimenti pan-arabi che animavano la popolazione.
L’attuazione più o meno radicale di queste istanze era il risultato dell’efficacia della pressione popolare e del contrasto tra questa e i ceti maggiormente tutelati - tra cui l’esercito stesso - dall’ordine sociale ereditato.
Questa si giocava nel tiro alla fune tra classi, e cioè nella sedimentazione organizzativa e nella capacità di tenuta delle conquiste popolari, nonché nella risultanza delle sovra-determinazioni nazionali, come la situazione di fermento sociale negli paesi arabi e l’influsso degli altri membri della RAU e dell’Unione Sovietica, sempre e comunque preoccupata che il partito comunista prendesse spinte troppo radicali. La situazione iraquena si può comparare con altri contesti nazionali post-coloniali, in cui le spinte modernizzatici e emancipatrici dei ceti popolari si trovarono a fare i conti con una classe “rivoluzionaria” al potere che non poteva permettersi di gestire un processo di autonomia sociale delle classi subalterne dagli sbocchi incerti e non tutelare l’unica istituzione coagulante e multi-etnica del paese: l’esercito, riproducendone in politica tra l’altro i valori e le modalità di funzionamento, estendendoli a tutta la società, militarizzando (così come avevano fatto i colonialisti) la gestione delle contraddizioni interne.
Questa classe politica non poteva vedere il proprio potere conteso da altri partiti e raggruppamenti dello stesso partito – soprattutto se questi vedevano aumentare il proprio consenso e le proprie capacità organizzative tra le masse – come fu il caso dei nasseriani battisti e dei comunisti - né sottrarsi alla concorrenza egemonica con le altre classi ascendenti negli altri regimi post-coloniali – come fu il caso dell’Egitto e della Siria - , né pensare di essere indipendenti da una adeguata copertura internazionale che la collocasse all’interno di uno dei due blocchi esistenti, limitandone fortemente l’autonomia.
Fu appunto su due questioni nodali, quali la riforma agraria e l’adesione alla RAU, che si giocarono gli equilibri politici post-coloniali dominati da una modalità governativa improntata sulle regole di funzionamento dell’esercito e da una pratica politica che attingeva consapevolmente dalla tradizione bonapartista.
Mentre i nazionalisti panarabi del Bath richiedevano l’unione immediata con la Siria, l’Egitto e lo Yemen, - uscendo poi sconfitti definitivamente nel marzo ’59 da questa battaglia politico-militare fino al colpo di stato del ’63 - i liberali, i comunisti e il primo ministro Qasim si contrapponevano a questo progetto.
Per ciò che riguarda la riforma della terra, promulgata il 30 settembre 1958, questa si ispirava a quella egiziana del ’52, ma in senso più moderato, non volendo distruggere le vecchie classi latifondiste ma arrivare alla loro neutralizzazione; inoltre il prezzo per acquistare la terra confiscata escluse larghi strati di settori contadini (senza capitali e senza accesso al credito) dai benefici della riforma.
La moderazione del PCI si trasformò presto in un tentativo di fare pressione - poi rientrato - attraverso la nascita e la generalizzazione di «società contadine» e la loro mobilitazione di piazza che culminò nel maggio del ’59 con una gigantesca manifestazione a Baghdad; questa spinta a farsi carico di questa fetta di ceti popolari lo contrapponeva agli altri partiti e lo rendeva particolarmente inviso ai proprietari terrieri.
Fu proprio la capacità di mobilitazione del PCI, che difese il governo dai tentativi di rovesciamento violento da parte dei nasseriani e vide ingrossare le sue file e i suoi consensi a preoccupare il governo stesso che procedette alla fine degli anni cinquanta, inizio sessanta, ad arresti, omicidi mirati, intimidazioni verso i militanti del partito a cui negò la legalizzazione – nonostante l’ennesimo adeguamento alle politiche governative imposto da Mosca – proibì la stampa comunista, disciolse l’organizzazione giovanile, e colpì duramente la Lega delle donne irachene e la federazione studentesca, controllate dal partito, oltre a licenziare 6.000 lavoratori accusati di simpatie comuniste, mentre la dirigenza - che non smetteva di fare auto-critiche in favore dell’operato del governo e offrirgli la sua lealtà – non veniva toccata dalla repressione.
La riforma agraria non risolse i problemi dei contadini poveri, la ricchezza petrolifera continuò ad affluire nelle mani delle grandi multinazionali del settore, il processo di organizzazione popolare a causa dell’ammutinamento politico della direzione comunista sotto i colpi del dispotismo politico-militare dell’esercito, venne pericolosamente minato e impedì uno sbocco positivo verso la liquidazione dei nefasti retaggi ereditati dalla tradizione coloniale, mentre la debole e contraddittoria borghesia nazionale non realizzò quella rivoluzione borghese agognata dai comunisti, mentre le interferenze statunitensi nell’area si facevano sempre più incisive.
Va ricordato che a pochi giorni dalla rivoluzione irachena e precisamente il 20 luglio, Chamille Chamoun, presidente del Libano, esponente della destra maronita e fervente sostenitore della “Dottrina Eisenhower” per il Medio-oriente, a cui aveva aderito l’anno precedente, chiese l’intervento degli USA che inviarono 10.000 marines a Beirut, terrorizzato dalla possibilità del ripetersi degli eventi iracheni nel Paese dei Cedri, incalzato, nella guerra civile, da una coalizione che raggruppava i socialisti progressisti del druso Kamal Jumblatt, i nasseriani, il Baas e altri gruppi.
Inoltre, non va dimenticato il colpo di stato - orchestrato dalla CIA e dai servizi segreti britannici - che in Iran aveva cancellato la breve esperienza nazionalista di Mossadegh (’51-‘53), appoggiato dal forte partito comunista, che aveva nazionalizzato l’industria petrolifera in mano ai britannici.

Bibliografia:
1) Filippo Gaja, Le frontiere maledette del Medio Oriente, Maquis Editore, Milano, 1991
2) Ilario Salucci, al-wathbah, movimento comunista e lotta di classe in Iraq (1924-2003), Giovane Talpa, Gorgonzola (MI) 2003
3) Antonio Moscato, Tempeste sull’Iraq, Massari Editore, Grotte di Castro(VT), 2003
4) Tariq Ali, Bush in Babilonia, la ricolonizzazione dell’Iraq, Fazi Editore, Roma, 2004

 

IRAQ: APPUNTI DI STORIA

1947- 1°congresso del partito Baas (Damasco), socialista e panarabo, anticolonialista. “Nazione” è l’intero mondo arabo, “regione” ciascuno stato nei confini artificiali definiti dal colonialismo: il partito ha una direzione nazionale e diverse sezioni regionali. Il Baas si pronuncia per l’unificazione di Siria, Iraq, Palestina, Libano e Giordania, per la proprietà pubblica delle risorse naturali e della grande industria, per la gratuità di sanità ed istruzione.

(1948 - Proclamazione dello stato di Israele)

1952 - Manifestazioni del Partito Baas iracheno contro il rinnovo delle concessioni petrolifere all’Irak Petroleum Company – società di gruppi inglesi, olandesi, francesi e americani – da parte del regime monarchico filoinglese di Nuri Said.

1958 - Insurrezione guidata dai colonnelli Kassem (filocomunista) e Aref: istituzione di un regime rivoluzionario repubblicano di coalizione tra comunisti, Baas e P.D.Curdo.

1961 – La Gran Bretagna concede una formale indipendenza al Kuwait di cui aveva tracciato i confini alla fine della 2a Guerra Mondiale a seguito di accordi con USA e Francia sulla divisione delle arre petrolifere in Medioriente (Red Line Agreement). L’emiro del nuovo stato fantoccio, con cui l’Iraq – sostenuto da associazioni kuwaitiane antibritanniche -rivendicava l’unificazione dal ’33, accoglie il dislocamento di 5600 soldati inglesi e il presidio di unità navali britanniche. Nel ’63 l’Iraq riconosce il Kwait.

(LE FRONTIERE – il Kwait (provincia di Bassora) era stato, così come Siria, Iraq e Palestina, parte integrante della Mesopotamia fino alla caduta dell’impero al termine della 1a guerra mondiale: le frontiere istituite dai colonizzatori inglesi sono tanto arbitrarie quanto artificiali, funzionali solo allo sfruttamento delle risorse.)

1962-’64 – rivolta dei Curdi di Barzani per l’autonomia

(I CURDI – 13 milioni in Turchia, 4 milioni in Iraq, 6 in Iran. In particolare in Iraq popolano una regione ad alta concentrazione petrolifera. Le fazioni nazionaliste curde in Iraq sono state finanziate e armate fino dal ’61 da Israele (determinato a disgregare l’Iraq, potenza araba militare e politica) e sostenute dallo scià e, poi, dai komeinisti iraniani: durante la guerra Iraq-Iran dell’1980-’88, le 2 fazioni di Barzani e Talabani si erano unite ai mullah della repubblica islamica. Gli USA hanno più volte promesso l’indipendenza a Barzani fomentando rivolte antigovernative (1975,1991, 1995): il loro interesse fondamentale era per il petrolio della zona di Kirkuk; i Curdi della Turchia sono invece sempre stati abbandonati alle feroci repressioni dei governi centrali. L’URSS si era fatta portavoce della causa curda fino al ’72 (trattato di amicizia con l’Iraq, accesso privilegiato al petrolio e al mercato iracheno): si adoperò comunque, nel ’74, per evitare l’esplodere del nuovo conflitto. La Turchia avviò contatti con i Curdi Iracheni dal ‘91per tutelare l’integrità delle sue frontiere in un eventuale “dopo Saddam” con autonomia curda in Iraq, ma non in Turchia. La questione Curda andrebbe, quindi, letta nel contesto della decennale guerra mediorientale, non semplicemente come conflitto per l’autodeterminazione. Bisogna anche tenere presente che esistono tribù (es. Zibari), settori di popolazione e militari (jash) sostenitori del governo centrale iracheno.)

1963-’68 – Lotte tra fazioni: prevale Aref; repressione dei baasisti. Il Baas iracheno accentua le posizioni arabo-nazionaliste e indica l’obiettivo della nazionalizzazione del petrolio per finanziare la lo sviluppo del Paese.

1968 – colpo di stato militare incruento appoggiato dal Baas: presidente e 1° ministro è il gen. Hassan Bakr; i militari di destra esclusi dal potere; coalizione di governo di Baas, comunisti e (1970) Partito Democratico Curdo.

1970 – Accordo tra Saddam Hussein e M. Barzani per una zona autonoma curda

1972 – il governo baasista nazionalizza l’Irak Petroleum Company. Avvio di riforma agraria e grandi opere civili (ospedali, scuole, rete idrica).Le trattative con le multinazionali erano state condotte da Saddam Ussein. Trattato di amicizia con l’URSS

1973 –Trattative tra Iraq e Kuwait per l’accesso di entrambi al Golfo Persico (in seguito verrà impedito l’accesso all’Iraq dalla monarchia assoluta kuwaitiana appoggiata dagli azionisti anglo-americani della Kuwait Oil Company).

(1973 - Guerra arabo-israeliana; embargo petrolifero contro Israele, USA, Europa.)

(IL PETROLIO - Nel 1948 l’America possedeva oltre il 55% del petrolio del Medioriente.
Nel 1950 ai paesi produttori era riservata una royalty del 12%, salita al 30% negli anni ‘60-‘70 grazie alla pressione esercitata da alcuni paesi arabi, Iraq per primo. Tra il ’72 e il ’75 l’Iraq diretto dal partito Baas nazionalizza tutto il petrolio e, nel ’73 l’OPEC decide due rialzi del prezzo del petrolio (75+115%): finisce per l’Occidente l’epoca del petrolio a buon prezzo, inizia la pianificazione della guerra in Medioriente e la competizione tra USA e Europei per il controllo delle risorse.)

1974 – finanziata e armata da USA, Iran, Israele, riprende la guerriglia curda: S. Hussein offre di dividere Kirkuk e il petrolio ma Barzani rifiuta. Dopo l’accordo Iran-Iraq per la spartizione dello Chat el Arab, lo scià ritira l’appoggio agli indipendentisti curdi che subiscono una sanguinosa repressione (1975)

(1978-‘79 – Rivoluzione in Iran:cade l’impero filoccidentale dello scià Reza Pahlavi.)

1979 – Saddam Hussein viene eletto presidente

(1979 – Accordi di Camp David sulla Palestina, sponsorizzati dagli USA e firmati dal presidente egiziano A. Sadat e da M. Begin: l’Iraq organizza il 3°“Fronte del Rifiuto” condiviso da un vasto fronte di forze arabe.)

1980 – A seguito della minaccia iraniana di bloccare lo stretto di Ormuz paralizzando il traffico petrolifero, l’esercito iracheno attacca l’Iran rivendicando la sovranità sulle acque navigabili dello Chat El Arab, unico sbocco possibile per le sue esportazioni petrolifere. Rottura del trattato di amicizia con l’URSS; parte del partito comunista si schiera con l’Iran di Komeini: segue pesante repressione dei suoi militanti.

1981 – Israele distrugge con un attacco aereo il reattore nucleare iracheno di Osirak, costruito per scopi civili con forniture francesi.

1984 – gli USA riallacciano le relazioni diplomatiche con l’Iraq sospese dalla guerra arabo-israeliana del ‘67

1988 – fine della guerra Iran-Iraq senza vincitori

1990 – Caduta pilotata del prezzo del petrolio: Saddam Hussein denuncia la politica petrolifera di Kuwait ed Emirati istigata dagli USA e “ostile alla nazione araba”. L’Iraq ottiene che l’OPEC fissi l’aumento graduale del prezzo del barile da 18 a 25$. L’Iraq invade il Kuwait. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU impone l’embargo.

(1991 – Fine dell’URSS)

1991 – la NATO, autorizzata dall’ONU, avvia una feroce campagna militare contro l’Iraq con il bombardamento di Bagdad (16-17 gennaio).Il 26 febbraio l’Iraq si arrende, si ritira dal Kuwait, accetta le ispezioni ONU.

1993 – il governo Usa approva finanziamenti al gruppo antigovernativo del banchiere sciita Chalabi per organizzare:

1995-‘96 – tentativi falliti di insurrezione e colpi di stato.

1998 – Clinton firma l’”Iraq Liberation Act” (97 milioni di $ per armare l’opposizione irachena. Massicci bombardamenti sull’Iraq

2002 – Si prepara la nuova aggressione

2003 – Inizia l’attacco imperialista all’Iraq

LE FORNITURE DI ARMI – I 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sono i maggiori produttori mondiali di armi. Dagli anni ‘60-’70, tutti i Paesi del Medioriente sono stati inondati di materiale bellico: all’uso “politico” (acquisizione di aree di influenza) delle forniture sovietiche si contrapponeva la strategia per l’egemonia militare (scambio fornitura armi – concessione basi) e di colonizzazione economica (gestione del credito) da parte degli USA. “L’emergere del M.O. come area cruciale per le esportazioni di armi USA dipendeva non poco dalla nuova dipendenza statunitense dal petrolio mediorientale … “ (F. Terreri, Armi e affari, Edizioni Associate 1992).
I soli aiuti militari governativi USA a Israele (dal ’49) ammontano a 41,614 miliardi di $ [esclusi gli stanziamenti del Pentagono e delle agenzie federali] (Il Sole 24 Ore, 19-4-’02). Tra i maggiori fornitori all’Iraq figurano, dagli anni ’70, Francia e URSS (67 miliardi di $ tra il 1981 e l’88), l’italiana Valsella fornì tra, l’82 e l’’84, 250.000 mine antiuomo e fu condannata per questo nel ’91.
Dal 1984 l’Iraq si orienta alla produzione in proprio di sistemi d’arma convenzionali e non, importando, in particolare dagli USA, sistemi “dual use” e tecnologia (con il coinvolgimento della BNL di Atlanta): la strategia USA, che aveva privilegiato, insieme ad Israele, il traffico d’armi con l’Iran (scandali Iran-Contras e Irangate) era cambiata e metteva in atto la teoria del “doppio contenimento” volta a prolungare il conflitto indebolendo (armandoli l’uno contro l’altro) entrambe i Paesi “pericolosi” per gli interessi americani.



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