SENZA CENSURA N.13
FEBBRAIO 2004
Precontratti in mezzo al guado
Riflessioni sull’esperienza dei precontratti metalmeccanici.
Dovendo tracciare un bilancio provvisorio delle
lotte per i precontratti metalmeccanici, non possiamo fermarci al dato puramente
statistico o all’enfasi riscontrata nei comunicati della FIOM più o meno
recenti. L’impressione di fondo, senza nulla togliere alle generosità con cui si
sono spesi operai e delegati nel corso delle singole vertenze, è quella di un
vistoso arretramento rispetto alle premesse iniziali.
Tali vertenze hanno lo scopo di raggiungere accordi funzionali alla riapertura
del tavolo nazionale (resa necessaria dalla famigerata firma separata di CISL E
UIL il 7 maggio) e si sviluppano a partire da una serie di proposte - sul
salario, sui diritti, sulla continuità delle parti normative del contratto del
luglio 1999 - che vengono presentate allo stesso modo in tutte le aziende
interessate dall’iniziativa.
Accanto a questi temi, si chiede alle aziende un impegno per un accordo
nazionale sottoscritto da tutte le organizzazioni sindacali. Infine, in diverse
imprese, ai temi di carattere nazionale si aggiungono problemi aziendali
sull’occupazione e sulle condizione di lavoro1.
Attualmente (al 14 gennaio 2004) sono più di 2000 le vertenze aperte, che
interessano circa 530.000 metalmeccanici. Le intese raggiunte sono 540 (85.000
metalmeccanici coinvolti) con una netta prevalenza in Emilia Romagna e Lombardia
seguite da Piemonte Toscana e Veneto. A partire dall’agosto 2003, sostenuti da
un’intensa attività di sciopero, i precontratti hanno ottenuto una buona
affermazione anche se territorialmente limitata: un buon numero di vertenze sono
aperte ad esempio tra Modena e Reggio Emilia, dove tra l’altro la FIOM è più
forte e radicata. Ma in generale i preaccordi si susseguono a ritmo incalzante,
tanto che il segretario generale della FIOM, Rinaldini, affermerà: ”abbiamo
aperto un conflitto di lunga durata e stenderemo le vertenze a tutto campo”.
In effetti, inizialmente, i precontratti riguardavano piccole-medie aziende ma
già da settembre 2003 cominciano a coinvolgere grandi gruppi come FINCANTIERI,
MARCEGAGLIA, EUROPA METALLI, CANDY, MERLONI, WHIRPOOL, ANSALDO BREDA.
Nell’euforia generale sempre Rinaldini sottolinea come a firmare siano anche
imprenditori con cariche di rilievo nelle associazioni industriali. E’ il caso
della IMA di Bologna (comparto macchine automatiche, 1.500 dipendenti) azienda
di proprietà del vice-presidente di ASSO-INDUSTRIA bolognese, Alberto Vacchi. Un
po’ ovunque, cominciano a piovere esposti contro il blocco delle merci e in
qualche caso contro i delegati. Sull’aumento salariale (120 euro contro i 90
strappati da FIM e UILM) le aziende cedono piuttosto facilmente; fanno maggiore
resistenza sulla precarietà (legge 30, liberalizzazione delle assunzioni a tempo
determinato) e sull’orario di lavoro.
Parte degli accordi si sono realizzati senza dover ricorrere a forme acute di
lotta, perché le stesse imprese hanno ritenuto più opportuno sedersi al tavolo
della trattativa; in altri casi, le intese sono arrivate a conclusione di una
fase aspra di conflitti, caratterizzata da ore di sciopero articolato o a
singhiozzo o delegato (effettuato solo dalle figure chiave del processo
produttivo). La rigidità della controparte in molte occasioni ha comportato un
livello di iniziative più radicale: blocchi delle merci in entrata e in uscita,
cortei spontanei, contestazioni a dirigenti e sindacalisti FIM e UILM , blocchi
stradali. Ma è mancata in generale una forma di coordinamento e collegamento che
permettesse di consolidare e veicolare questi momenti, aldilà del risultato
aziendale.
Tali mobilitazioni hanno determinato in ogni caso reazioni puntuali da parte
delle associazioni padronali, come a Reggio Emilia dove Associazioni
Industriali, API, CNA e CONFARTIGIANATO hanno diffuso un documento comune di
condanna della “ cultura sindacale antagonista della FIOM, minacciando una crisi
irreversibile delle relazioni sindacali se andrà avanti con i precontratti”. O a
Modena dove l’unione industriali locale ha dichiarato di “valutare un azione
legale contro la FIOM e gli operai che attuano agitazioni irresponsabili ed
estremamente confittuali per giunta illegittime nei contenuti e nelle modalità
di articolazione di esecuzione.
L’intervento di Giovanardi (CCD), che chiede espressamente l’intervento del
Ministro dell’Interno per tutelare gli imprenditori minacciati dalle iniziative
di lotta, pone le premesse affinché tutta la questione sia trattata come
problema di ordine pubblico: la presenza dei carabinieri e della digos davanti
alle fabbriche anticipa di qualche mese quanto accadrà ai lavoratori dei
trasporti pubblici.
Le continue intimidazioni, il linciaggio mediatico alternato a censura totale,
il peso soprattutto economico di svariate ore di sciopero ma, soprattutto,
l’assenza di una prospettiva strategica di più ampio respiro contribuiscono a
far ristagnare le lotte sui precontratti; in tale contesto la FIM e la UILM
hanno stipulato con FEDERMECCANICA nel gennaio 2004 un intesa applicativa
dell’accordo separato del maggio 2003 in cui viene assunto formalmente l’impegno
ad applicare entro il 30 settembre 2004 quanto rinviato dalla legge 30 (ora
decreto 276) alla contrattazione (viene accolto implicitamente nell’accordo
separato tutto l’impianto di quella legge).
Inoltre, dopo il 30 settembre, non varranno più, per l’accordo separato, quelle
norme del contratto del 1999 che impongono all’azienda di acquisire il consenso
del nuovo assunto a part-time per la variazione degli orari (si potranno
assumere lavoratori con contratti par-time senza alcuna certezza sugli orari e
sui turni della prestazione). Mentre viene confermata la cancellazione delle
norme che tutelano nel contratto del 1999 i lavoratori a termine, dopo il 30
settembre 2004 non dovrebbero valere più le norme che regolano il lavoro
interinale, cioè nelle fabbriche potrebbero essere autorizzate tutte le forme di
contratto a termine inferiore a sette mesi, senza vincoli normativi o di
percentuali, applicando così il decreto legislativo 368. Inoltre è prevista la
possibilità di estendere a dismisura l’appalto e la terziarizzazione delle
produzioni da parte delle aziende. Completano il quadro norme sfavorevoli ai
lavoratori sugli straordinari e sul pagamento delle ferie non godute.
L’offensiva rilanciata in tal modo dall’azione congiunta delle associazioni
industriali FIM e UILM ha messo la FIOM con le spalle al muro: dal comunicato
che convoca anticipatamente il congresso nazionale risulta in modo evidente
l’assenza di una strategia di lungo periodo là dove afferma che ”le scelte
compiute con i precontratti e la contrattazione, la pratica della democrazia,
richiedono la definizione di una proposta che dia un senso e una prospettiva al
conflitto sociale aperto per conquistare un CCNL…”.
Risulta oltremodo evidente la difficile gestione del rapporto con la CGIL
(“vogliamo anche, in questo modo, contribuire alla definizione delle decisioni
da parte della CGIL, essendo del tutto evidente che trattasi di questioni
strategiche fondamentali per il futuro del sindacato”) come dire, che in tutta
la vicenda dei precontratti ha avuto in realtà un ruolo decisivo la FIM-CISL con
la FIOM costretta ad inseguire. A tal proposito, esiste un precedente: la
bocciatura da parte dei lavoratori del contratto aziendale firmato da FIM e UILM
ma non dalla FIOM, alla ZANUSSI.
L’accordo firmato era centrato su due pilastri:
- contratti a chiamata, elemento che catalizza l’attenzione pubblica (giornali,
forze politiche) per la sua novità e l’amplificazione della divisione
orizzontale tra lavoratori precari e stabili;
- cambio del sistema di ritmi e tempi della produzione (tmc2) che registra una
forte attenzione da parte degli operai Zanussi per l’aumento dello sfruttamento
che comporta.
Il contratto è bocciato al referendum, ed è una primissima esperienza della
strategia della separazione: le FIOM aziendale e nazionale sono contrarie, a
favore sono la FIM-CISL la UIL-UILM e l’area più riformista della FIOM.
La bocciatura dell’accordo porta FIM e UILM al ritiro della firma, ma anche
all’apprendimento che è necessario rifiutare i referendum per attuare la
strategia degli accordi separati. A questa esperienza si atterranno nelle
vicende future sia nazionali che aziendali2. Ma il problema non è soltanto di
miopia politica. Il 16 gennaio a Riccione viene stilato un documento
sull’iniziativa contrattuale della FIOM che ribadisce la scelta di impedire
sostanzialmente l’attuazione della legislazione del governo, in particolare il
decreto 276 (L.30), il decreto 368 sul mercato del lavoro e il decreto 66 sugli
orari. Solo un mese dopo, a seguito dell’intesa inter-confederale sui contratti
d’inserimento che sostituiscono i contratti di formazione lavoro, la FIOM è
costretta a rimarcare che tale contratto “può essere utilizzato […] nella
consapevolezza che oggi si inserisce nel contesto di un pesantissimo attacco
all’integrità del rapporto di lavoro…”.
L’accordo inter-confederale, pur lasciando spazio alla contrattazione, ha come
punto critico quello di essere immediatamente operativo. Di conseguenza le
imprese potrebbero accedere all’istituto anche senza intesa con le RSU e le
organizzazioni sindacali di categoria”. Appare quantomeno ambiguo proseguire
l’iniziativa per il rinnovo del contratto nazionale quando uno dei punti cardine
della piattaforma, la non applicazione o il governo (?) della legge Biagi sono
vanificati dagli accordi della CGIL con la controparte. Anche i continui
richiami alla democrazia di mandato nei posti di lavoro risultano del tutto
retorici e richiamano alla mente il fallimento del coordinamento degli
autoconvocati. Infatti all’indomani dei famigerati accordi di luglio 1992 e 1993
che, abbattendo la scala mobile, legarono i salari all’inflazione programmata,
decretandone la perdita del potere di acquisto, i lavoratori espressero dissenso
e combattività non solo lanciando i famosi bulloni sulle teste dei firmatari (i
segretari nazionali Trentin, Dantoni e Larizza), ma soprattutto dando vita al
coordinamento dei consigli di fabbrica autoconvocati, detentore di una propria
linea rivendicativa. Questa realtà venne fermata mentre tentava di darsi una
certa autonomia organizzativa e riassorbita poi nei ranghi dei sindacati
istituzionali proprio con il pretesto della democrazia di mandato, cioè con
l’impegno che i negoziatori della triplice sindacale non avrebbero mai più
siglato accordi senza prima aver consultato, per via referendaria, i lavoratori.
La democrazia di mandato venne applicata in modo formale con consultazioni
parziali e spesso pilotate verso accordi al ribasso un po’ in tutte le
categorie. In alcuni stabilimenti Fiat (come Termoli e Melfi) vennero invalidati
gli esiti dei referendum che esprimevano contrarietà al l’inserimento del sabato
lavorativo e della flessibilità oraria.
“Ciò che assicura al capitalismo il sopravvivere della sua sostanza è da un lato
una più capillare organizzazione del consenso, dall’altro, la centralizzazione
del potere che si esprime principalmente attraverso la repressione globale. Le
vecchie forme di organizzazione del consenso, dalla pubblicità agli strumenti di
comunicazione di massa, non sono più di per sé sufficienti per un controllo così
capillare e diretto quale è quello richiesto dall’attuale fase capitalistica. La
centralizzazione estrema del potere (per cui la stragrande maggioranza del
popolo è alienata da ogni reale possibilità di decidere della vita individuale e
pubblica) rischia di isolarne i gestori e di creare un abisso che solo la
rivoluzione potrebbe colmare. L’organizzazione del consenso deve quindi
risolvere questo problema, acquistando sempre più un carattere dinamico. Non si
tratta più soltanto di assicurare consenso o passiva accettazione rispetto
all’organizzazione sociale esistente, ma di utilizzare le istanze di base per
attuare quelle “profonde riforme di struttura” che trovano consenzienti e
obbiettivamente alleati Partito comunista, sindacati, ceti imprenditoriali
progressisti, capitale finanziario internazionale “avanzato”. Gli obiettivi
fondamentali sono la creazione di una frattura profonda tra i contenuti politici
propri dell’autonomia proletaria e il falso miraggio della società del
benessere, di impedire che la democrazia diretta si sviluppi verso forme di
democrazia rivoluzionaria manipolandola entro strutture di democrazia formale,
di realizzare un’alleanza strutturale tra sfruttamento economico e sfruttamento
politico, tra capitale e riformismo. La tendenza è quindi verso una società
totalitaria in cui centralizzazione del potere, organizzazione del consenso,
contestazione istituzionalizzata, legalità repressiva combacino perfettamente
come parti di un mosaico. Ma come già si è detto, questa è soltanto grottesca
utopia.” (Collettivo politico metropolitano, “Lotta sociale e organizzazione
nella metropoli”, gennaio 1970)
Sintesi legge 30 del 2003, ex 848
Riforma Biagi
In data 14 febbraio 2003 è stata approvata la legge delega in materia di
occupazione e mercato del lavoro, frutto di un iter particolarmente lungo:
03.10.2001: il Governo presentava il c.d. Libro Bianco sul mercato del lavoro in
Italia alle parti sociali;
15.11.2001: veniva presentato al Senato il disegno di legge n. 848 di delega al
Governo per l’emanazione dei decreti legislativi di riforma del mercato del
lavoro;
05.07.2002: veniva stipulato tra Governo e parti sociali, esclusa la Cgil, il
Patto per l’Italia con il quale si confermava la validità dell’impostazione
seguita dalla delega;
14.02.2003: il disegno di legge veniva approvato dal Parlamento.
Il provvedimento in considerazione contiene un programma di rivisitazione del
diritto del lavoro, nel senso di un ripensamento profondo del regime
tradizionale di tutela del lavoro subordinato.
Principio cardine cui è ispirato il nucleo centrale della nuova normativa è,
infatti, la realizzazione di una flessibilità in entrata (varie misure
promozionali delle assunzioni connotate da un duplice obiettivo: adeguare il
reclutamento della manodopera alle esigenze aziendali e allargare le possibilità
di accesso all’occupazione) attraverso l’attenuazione delle rigidità
regolamentari nell’impiego del fattore lavoro.
In termini sintetici, la legge delega al Governo di intervenire in sei diversi
ambiti:
Art. 1 – il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi diretti
a stabilire i principi fondamentali in materia di disciplina dei servizi per
l’impiego, con particolare riferimento al sistema di collocamento, pubblico e
privato, e di somministrazione di manodopera – (collocamento ordinario,
somministrazione di manodopera, trasferimento d’azienda - cfr. in particolare,
punto 4, lettere i), m) e p) – entro un anno dalla data di entrata in vigore
della legge (entro il 13 marzo 2004);
Art. 2 – il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi diretti
a stabilire la revisione e la razionalizzazione dei rapporti di lavoro con
contenuto formativo (apprendistato, tirocini, contratto di formazione e lavoro,
incentivi per contratti formativi) – entro il termine di sei mesi dalla data di
entrata in vigore della legge (entro, il 13 settembre 2003);
Art. 3 – il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi recanti
norme per promuovere il ricorso a prestazioni di lavoro a tempo parziale, quale
tipologia contrattuale idonea a favorire l’incremento del tasso di occupazione
al mercato del lavoro (part-time e ricorso al lavoro supplementare) – entro un
anno dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 13 marzo 2004);
Art. 4 – il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi recanti
norme per la disciplina o razionalizzazione delle tipologie di lavoro a
chiamata, temporaneo, coordinato e continuativo, occasionale, accessorio e a
prestazioni ripartite (lavoro a chiamata, lavoro interinale al settore agricolo,
collaborazione coordinata e continuativa, rapporti occasionali, buoni lavoro,
lavoro ripartito o job sharing) – entro un anno dalla data di entrata in vigore
della legge (entro il 13 marzo 2004);
Art. 5 – il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi recanti
disposizioni in materia di certificazione del relativo contratto stipulato tra
le parti, con limitazione al settore privato (certificazione dei rapporti –
resta impregiudicato il diritto a ricorrere in via giudiziale) – entro un anno
dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 13 marzo 2004);
Art. 8 – il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per il
riassetto della disciplina vigente sulle ispezioni in materia di previdenza
sociale e di lavoro, nonché per la definizione di un quadro regolatorio
finalizzato alla prevenzione delle controversie individuali di lavoro in sede
conciliativa, ispirato al criterio di equità ed efficienza (ispezioni sul
lavoro) – entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge (entro il 13
marzo 2004).
Vale la pena sottolineare che accanto alle sopracitate norme, nella legge delega
si rinvengono previsioni immediatamente operative – alla data dell’entrata in
vigore della legge, quindi dal 13 marzo 2003.
Si tratta di interventi in materia di:
disciplina del socio lavoratore di cooperativa (cfr. art. 9, legge n. 30/2003);
agevolazioni per artigiani e commercianti (cfr. art. 10, legge n. 30/2003).
Sintesi del D.lgs. N° 368 del 06.09.01
MOTIVI: E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del
contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo.
L’apposizione del termine al contratto di lavoro deve obbligatoriamente
risultare da atto scritto (non necessario se la durata non è superiore a 12
giorni), nel quale devono essere indicati i motivi.
Copia dell’atto deve essere consegnata al lavoratore entro 5 giorni
dall’assunzione.
PROROGA: La proroga è ammessa una sola volta, con il consenso del lavoratore,
solo se la durata iniziale del Contratto a Termine è inferiore a 3 anni; in
questo caso la durata del contratto, compresa la proroga, non potrà essere
superiore a 3 anni.
La proroga deve essere giustificata da ragioni oggettive e deve riferirsi alla
stessa attività per cui il Contratto a Termine è stato inizialmente stipulato.
DIVIETI: Il lavoro a tempo determinato non è consentito:
per la sostituzione di lavoratori in sciopero;
in casi di Contratti di Solidarietà o Cassa Integrazione che riguardano
lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il Contratto a Termine;
da parte di imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai
sensi della legge 626;
in aziende dove si sia proceduto entro i 6 mesi precedenti a licenziamenti
collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si
riferisce il Contratto a Termine.
SCADENZA DEL TERMINE E SUCCESSIONE DI CONTRATTI: Se il rapporto di lavoro
continua dopo la scadenza del termine l’azienda deve corrispondere una
maggiorazione del 20% per ogni giorno fino al decimo giorno e del 40% per
ciascun giorno ulteriore.
Se il rapporto di lavoro continua oltre il 20° giorno (per contratti di durata
inferiore a 6 mesi) o oltre il 30° giorno (negli altri casi), il contratto si
considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
Se il lavoratore viene riassunto a termine entro 10 giorni (per contratti
inferiori a 6 mesi) oppure entro 20 giorni (per gli altri casi), il secondo
contratto si considera a tempo indeterminato.
Quando si tratti di due assunzioni successive a termine, il rapporto di lavoro
si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo
contratto.
FORMAZIONE E INFORMAZIONE: Il lavoratore assunto a termine deve ricevere una
formazione sufficiente e adeguata al tipo di mansione, al fine di prevenire
specifici rischi connessi all’esecuzione del lavoro. Ai CCNL sono affidate le
modalità di informazione ai lavoratori a tempo determinato circa i posti vacanti
disponibili, in modo da garantire loro le stesse possibilità di ottenete posti
duraturi.
PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE: I lavoratori a tempo determinato godono degli
stessi trattamenti retributivi e normativi dei lavoratori a tempo indeterminato
inquadrati nello stesso livello.
LIMITI QUANTITATIVI: Il numero massimo di Contratti a Termine è determinato dai
Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.
Sono però esclusi dai limiti massimi i Contratti a Termine di durata fino a 7
mesi, come pure i Contratti a Termine stipulati nei seguenti casi:
per ragioni sostitutive o di stagionalità, per l’avvio di nuove attività, per
intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno;
per i giovani dopo un periodo di tirocinio o di stage, e per gli ultra 55enni;
per opere o servizi definiti nel tempo e di carattere straordinario e
occasionale.
DIRITTO DI PRECEDENZA: L’individuazione del diritto di precedenza è affidata ai
Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro. In ogni caso tale diritto si estingue
entro un anno dalla cessazione del rapporto di lavoro e per esercitarlo il
lavoratore deve manifestare la propria volontà entro 3 mesi dalla cessazione del
rapporto di lavoro a termine.
Sull’introduzione del TMC-2 (Tempi dei
Movimenti Collegati)
Il 24/4/2003 fu stipulato un accordo tra la FIAT e le organizzazioni
sindacali FIM, FIOM, UILM, FISMIC di Napoli e Campania e RSU dello stabilimento
di Pomigliano.
L’accordo prevedeva investimenti per 500 milioni di euro all’anno dal 2003 al
2007, e 1500 nuove assunzioni in FIAT e terziarizzate. Erano previsti anche
cambiamenti “importanti” del Processo Produttivo e una nuova Organizzazione del
Lavoro.
Per il Processo Produttivo prevedeva di realizzare “un articolato piano di
revisione delle singole postazioni di lavoro ... per ridurre al minimo possibili
gravosità e frequenze collegate alla movimentazione dei carichi”.
Per l’Organizzazione si doveva realizzare “Un nuovo modello ... basato sul Team
operaio” con “una diversa modalità di fruizione delle pause di lavoro” e una
nuova “metrica di lavoro, per la definizione dei relativi carichi di lavoro ”.
L’accordo non spiegava molto e, visti gli investimenti e le nuove assunzioni che
prevedeva, sembrava tutto rose e fiori, ma non è così. Oggi in fabbrica
cominciano a vedersi i primi effetti negativi di quell’accordo. I nuovi
investimenti e le assunzioni non ci sono state, ma la nuova metrica e la nuova
organizzazione del lavoro cominciano ad essere applicate.
Per capire meglio dove si nascondono le fregature di questo accordo facciamo
un’analisi dei termini e dei concetti che si usano nelle contrattazioni e negli
accordi.
LA GIORNATA LAVORATIVA: Dal punto di vista degli operai la giornata lavorativa è
di 8 ore di cui mezz’ora di mensa. Quindi il tempo in officina è di 7 ore e
mezza.
E’ anche chiaro agli operai che di queste 7 ore e mezza (450 minuti) 6 ore e
cinquanta minuti (410 minuti) sono di lavoro sulla postazione e 40 minuti di
pausa, i 40 minuti in cui l’operaio viene sostituito.
L’azienda invece fa una ulteriore suddivisione. Le 6 ore e cinquanta che
l’operaio passa alla postazione di lavoro sulla linea vengono suddivise in
Tempo Attivo o Effettivo, che è il tempo che l’azienda assegna all’operaio per
svolgere le mansioni della sua postazione. Questo tempo viene stabilito in base
a delle tabelle di metrica del lavoro (il Tmc-2 nel caso dell’accordo).
Fattore Riposo. Ai tempi assegnati alle mansioni (tempi attivi) l’azienda
aggiunge un tempo ulteriore (intorno circa al 5-7% dei tempi attivi) detto
fattore riposo. In pratica, all’operaio è concesso di compiere le operazioni in
un tempo lievemente più lungo di quello astrattamente fissato come tempo attivo.
Ciò per permettergli di riprendersi dai disagi connessi al lavoro in linea (ad
es. ripetitività dell’operazione o scomodità della posizione), quando si trova
in postazione. Quindi, ciò che i padroni e i sindacati chiamano fattori riposo
sono in realtà tempi di lavoro per gli operai.
Finora, sia i tempi attivi che i fattori di riposo sono specificati sul
cartellino che si trova sulla postazione. La somma di questi due tempi dà il
tempo totale. Quindi oltre alla divisione nota a tutti gli operai tra tempi in
postazione e pause, nella contrattazione l’azienda suddivide fittiziamente il
tempo in postazione in tempi attivi e fattori di riposo.
Per capire come si assegnano i tempi attivi alle operazioni da svolgere bisogna
capire cos’è la metrica.
LA METRICA: Con questo termine si indica il modo di misurare i tempi che
occorrono ad un operaio per svolgere l’operazione che la sua mansione prevede.
Il suo lavoro viene scomposto in una serie di elementi semplici (per es.
spostare facile, spostare medio, spostare difficile. Oppure afferrare facile,
medio, difficile, ecc.) e a ciascuno di questi gesti elementari viene assegnato
un tempo.
Il sistema è stato inventato dagli americani. Esso si chiama MTM (Method Time
Measurement). La FIAT utilizza una metrica che è una semplificazione dell’MTM,
il cosiddetto TMC (Tempi dei Movimenti Collegati).
Il metodo non è per niente neutrale come vogliono far credere. Infatti i tempi
stabiliti non sono quelli reali, bensì vengono semplicemente assegnati
astrattamente ad ogni singola operazione. Siamo nel regno dell’arbitrio.
L’azienda infatti, con la scusa della “ergonomia” dell’impianto (presunta
comodità degli operai nello svolgere le mansioni) e piccole modifiche delle
operazioni richieste, può decidere di assegnare tempi più bassi alle singole
operazioni ed in questo modo velocizzare la linea (aumentare la “cadenza”). E’
esattamente ciò che sta avvenendo a Pomigliano con il TMC-2. Gli unici vincoli
dell’azienda all’aumento dei ritmi sono quelli della velocità massima degli
impianti, cui gli operai devono adattarsi, e i presunti limiti della loro
sopportazione alla fatica. Però la metrica non è oggetto di contrattazione con
il sindacato. L’azienda si nasconde dietro numeri e formule matematiche per
dimostrare l’origine “scientifica” del calcolo dei tempi. In realtà spreme gli
operai quanto più è possibile. Il sindacato si accontenta che la nuova metrica
sia “certificata e applicata a livello internazionale”. Solo la resistenza degli
operai all’aumento dello sfruttamento può limitare il taglio costante dei tempi.
LA CADENZA DELLA LINEA: La cadenza è il tempo che ci impiega un pezzo in
lavorazione per passare da una postazione lavorativa a quella successiva. Quindi
la cadenza è anche il tempo disponibile ad ogni operaio per svolgere le sue
operazioni (tempo uguale per tutti). Ovviamente, poiché le mansioni sono diverse
in diverse postazioni, certi operai devono lavorare più velocemente di altri.
Dalla cadenza si capisce quanti pezzi un operaio deve montare nel suo turno di
lavoro (supponiamo che la cadenza sia di un minuto allora in 410 minuti di
lavoro deve fare 410 pezzi).
Assegnando tempi più bassi alle operazioni (vedi TMC-2), l’azienda fa aumentare
la cadenza e l’operaio produce più pezzi.
SATURAZIONE: Per gli operai è quanto tempo lavorano quando sono in postazione.
Cioè la saturazione è al 100% se non hanno un attimo di respiro. Per l’azienda è
invece un’altra cosa. E’ il rapporto tra i tempi attivi assegnati (quindi
esclusi i fattori riposo) e il tempo di presenza in officina (cioè il tempo in
postazione più le pause, 450 min.).
Sulla saturazione ci sono dei limiti sindacali (84, 86, 87 e 88% a seconda della
cadenza della linea) che non servono praticamente a niente. Infatti poiché i
tempi attivi sono assegnati dall’azienda con la metrica, essi non corrispondono
a tempi reali ed anche se gli operai stanno lavorando a velocità intollerabile,
la saturazione calcolata dall’azienda è sempre al di sotto di quella massima
contrattuale. In questo modo, pur aumentando tantissimo il lavoro operaio, come
sta succedendo a Pomigliano, la saturazione rimane sempre formalmente al di
sotto dei limiti contrattuali.
PAUSE: Le pause sono composte da due parti. La pausa per esigenze fisiologiche
(andare in bagno, prendere un caffè..) e le pausa per disagio vincolo cioè la
pausa per riposarsi dai disagi del lavoro di linea od eventuali nocività
ambientali. In totale sono 40 minuti. Il nuovo accordo prevede una diversa
fruizione delle pause di lavoro, anche se su questo non viene detto molto. Ma
guardiamo quello che è successo a Melfi e a Pratola Serra. Con la scusa del
miglioramento dell’ergonomia (cioè della presunta comodità delle postazioni), di
cui si parla molto anche in questo accordo, si è stabilito che (a differenza di
quanto accade ora a Pomigliano) la pausa di 40 minuti deve includere i fattori
di riposo che, invece di essere “usufruiti” durante il tempo in postazione,
vengono cumulati e goduti tutti insieme a fine turno. Questo ha significato che
durante il tempo di lavoro in postazione la cadenza della linea è più alta in
quanto non bisogna mettere i fattori di riposo nel conteggio del tempo. Ciò è
accaduto lasciando il tempo totale di pausa di 40 minuti. Insomma, la diversa
fruizione delle pause ha rappresentato a Melfi e a Pratola Serra l’aumento della
cadenza e l’abolizione dei fattori di riposo.
ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO: Dietro questo termine non c’è niente altro che un
ulteriore modo per aumentare la produzione. L’azienda non interviene
sull’organizzazione del lavoro per migliorare le condizioni di lavoro degli
operai come dice. Cioè dove le lavorazioni sono più dannose. L’azienda
interviene dove ci sono rallentamenti della produzione per renderla più veloce.
Infatti, se in una determinata postazione si deve impiegare più tempo per
lavorare un pezzo e questo rallenta il lavoro anche delle altre postazioni che
invece potrebbero andare più veloci, con una nuova organizzazione del lavoro si
può scomporre l’operazione più complessa, e quindi più lenta, in più operazioni
semplici dividendo quel lavoro tra più operai. Eliminando la strozzatura, si può
aumentare la velocità della linea e, quindi, aumentare l’intensità del lavoro
per tutti gli operai. In questo modo, l’aumento di un piccolo numero di operai,
impegnati in poche singole postazioni crea le premesse nel tempo per nuovi
pesanti tagli all’occupazione.
TEAM OPERAIO: Nella nuova organizzazione del lavoro che l’accordo del 24 aprile
prevede, il Team Operaio è un elemento centrale. Esso ha come obiettivo un
coinvolgimento maggiore, “partecipativo”, degli operai. Se teniamo conto di
quello che succede a Melfi, sappiamo che con il Team le lavorazioni verranno
assegnate per squadre (Team), lavorando senza scorte. Ogni squadra di operai
dovrà produrre l’esatto numero di pezzi che il lavoro della squadra successiva
richiederà. Nell’ambito della squadra ci sarà massima flessibilità e ognuno
potrà svolgere a rotazione tutte le mansioni, e anche più di una in assenza di
compagni. La produzione sarà misurata come risultato collettivo. Gli stessi
premi di produzione saranno collettivi (cottimo collettivo). Con questo
l’azienda vuole mettere operai contro operai per limitare “l’assenteismo”, “la
poca voglia di lavorare” di qualcuno, gli atti di ribellione. L’accordo del 24
aprile peggiorerà le condizioni di lavoro a Pomigliano. I cambiamenti positivi
strombazzati dall’azienda e dal sindacato non esistono. Gli impianti
miglioreranno e aumenterà il numero di addetti solo per produrre di più. Si
stima che la fatica di ogni singolo operaio salirà di circa il 20% in più
rispetto ad ora.
L’ingranaggio che la FIAT vuole creare è costituito da un serpente di macchine e
robot. Gli uomini servono a renderlo agile e flessibile come se fossero
cuscinetti di carne. Con la nuova metrica e piccole modifiche
nell’organizzazione del lavoro, la sottomissione degli operai alle macchine per
produrre profitto sarà ancora più completa.
LA LOTTA SUI RITMI DI LAVORO: La questione dei ritmi e dei carichi di lavoro è
stata da sempre uno dei punti centrali delle lotte operaie e conseguentemente
degli accordi tra azienda e sindacati. Fino alla fine degli anni sessanta i
tempi delle lavorazioni venivano perlopiù stabiliti con le rilevazioni
cronometriche e col “giudizio di efficienza” dato dal capo reparto o dal tecnico
dell’ufficio dei tempi. Questi avevano insomma la libertà di fissare
soggettivamente tempi più bassi di quelli cronometrati se ritenevano che
l’operaio era troppo “rilassato”.
In questo modo non esisteva nessun limite superiore dei ritmi da tenere. Negli
accordi dal ’45 al ’68 tra azienda e sindacati prevalse l’ottica salariale, cioè
quella del cottimo e degli incentivi di produzione (più lavoro più salario). Il
rendimento degli operai veniva misurato con una scala da 100 a 150 in base a
quanti pezzi venivano prodotti.
La velocità di esecuzione ritenuta normale era quella a 133 (si otteneva
aumentando del 33% il numero di pezzi da produrre ottenuto dalle rilevazioni
cronometriche: es. se il pezzo richiede 3 min, in una giornata lavorativa di 450
min ne devo produrre 450/3=150 pezzi a velocità 100, devo produrre 200 pezzi a
velocità 133) ed era quella che veniva richiesta agli operai. Si legge infatti
nell’accordo del maggio ’68: “Per velocità di lavoro si intende l’abilità e
l’impegno dimostrati dall’operaio nell’eseguire l’operazione: si indica con
velocità di lavoro 133 quella che può essere realizzata e mantenuta per tutta la
giornata da un operaio di buona volontà e media capacità, senza alcun nocumento
alla salute”. A parte la completa arbitrarietà di questa definizione, una volta
fissata in una certa realtà produttiva questa velocità normale a 133, essa
poteva servire come riferimento per stabilire velocità di esecuzione
(rendimenti) superiori o inferiori (da 100 a 150). Per ogni valore del
rendimento corrispondeva un salario. Tuttavia il legame tra rendimento e salario
non era assolutamente proporzionale. Inoltre, era abbastanza noto tra gli operai
dell’epoca che anche questa velocità “normale” a 133 era di fatto
irraggiungibile e che quindi la possibilità di avere dei incrementi salariali
puramente teorica. Si finiva sempre sotto il 133 e quindi si avevano solo
riduzioni salariali.
Alla fine degli anni sessanta la rabbia operaia rispetto ai ritmi intollerabili
imposti nelle fabbriche scoppiò in lotte organizzate. Contro i ritmi la forma di
lotta più diffusa fu quella dell’autoriduzione dei ritmi. Gli operai tentavano
di produrre di meno, con un rendimento vicino al minimo (100) e una conseguente
perdita di salario, procurando però un danno proporzionalmente molto più pesante
all’azienda. Queste lotte e la fortissima conflittualità di quegli anni
costrinsero l’azienda a cercare delle mediazioni. In questo clima nascono gli
accordi del ’68 e del ’71. In questi accordi si fissa un limite superiore di
rendimento a 133, velocità “normale” di esecuzione che viene usata per fissare
tutti i tempi delle operazioni, ma anche un limite inferiore a 127.
Si cambia il metodo di misurazione dei tempi che, invece di essere misurati col
cronometro e col giudizio soggettivo del tecnico, vengono assegnati mediante il
sistema tabellare standard TMC (Tempi dei Movimenti Collegati).
Questo sistema ottenuto semplificando il sistema americano MTM si basa su delle
tabelle che fissano i tempi di esecuzione di tutte le operazioni elementari che
l’operaio può fare in postazione. Nel passaggio dalle tabelle MTM a quelle
semplificate TMC, la FIAT utilizza sempre la cosiddetta velocità a 133 che è
sempre la velocità “normale” di esecuzione anche nel sistema tabellare.
Questo modello di misurazione dei tempi era stato sempre utilizzato dai tecnici
dell’ufficio dei tempi per progettare il ciclo produttivo ma mai reso noto in
officina. Dopo l’accordo si stabilisce che l’azienda ha l’obbligo di comunicare
i tempi assegnati con le tabelle, anche se questi non sono contestabili. Inoltre
è previsto che i tempi siano revisionati in funzione di cambiamenti
impiantistici e dell’organizzazione del lavoro.
Questi tempi convenzionali assegnati con le tabelle sono considerati
nell’accordo come i tempi effettivi di lavoro e in base a questi tempi si
definisce la cosiddetta saturazione come rapporto tra tempi assegnati e tempo di
presenza in officina (tempo in postazione più tempo di pausa).
L’accordo fissa tra le altre cose dei limiti superiori alla saturazione pari
all’84%, 86%, 87% e dell’ 88% a seconda della velocità della linea. I sindacati
accolsero questo accordo (che è sostanzialmente vigente nelle fabbriche FIAT
eccetto Melfi e Pratola Serra) come una grande vittoria. L’uso di tabelle in
sostituzione del giudizio soggettivo del tecnico veniva visto come un modo
oggettivo e scientifico di fissare i ritmi. Inoltre, fissare un limite massimo
del rendimento (fissato a 133 dalle tabelle) e della saturazione sembrava creare
un limite definitivo all’aumento dei ritmi. L’azienda da parte sua otteneva che
i ritmi non potessero scendere al di sotto del rendimento 127 impedendo così
forme di lotta operaia come l’autoriduzione dei ritmi.
La dimostrazione che quest’accordo non fissò nessun limite effettivo ai ritmi si
deriva dal fatto che nelle fabbriche FIAT i ritmi sono aumentati
progressivamente senza interruzioni a partire dal ’71 fino ad oggi. Se ci si
basa sull’esperienza concreta di decine di migliaia di operai bisogna
riconoscere che l’introduzione del sistema tabellare e i limiti di saturazione e
di rendimento fissati nell’accordo del ’71 non hanno rappresentato in nessun
modo un ostacolo all’aumento dei ritmi In effetti, i tempi di esecuzione delle
operazione in postazione si basano su una varietà di fattori che sono soggetti a
continua revisione da parte dell’azienda.
Nell’accordo è previsto che l’azienda possa modificare i cartellini consegnati
agli operai fissando tempi più bassi se sopraggiungono modifiche più o meno
importanti del processo produttivo. I nuovi tempi vanno comunicati ma non sono
contestabili.
L’azienda nel cambiare la misurazione dei tempi agisce su due livelli: revisione
dei tempi delle attività complementari e dei tempi delle attività di
trasformazione.
I tempi delle attività complementari cioè quelle di non immediata trasformazione
del prodotto, come afferrare strumenti o spostare pezzi, vengono revisionate
quando queste operazioni sono rese più “comode” (più ergonomiche) da opportune e
più o meno importanti modifiche dell’impianto o dell’organizzazione del lavoro.
Questo tipo di revisione è andata avanti progressivamente negli anni e spesso ha
richiesto modifiche secondarie del processo produttivo.
La revisione dei tempi di trasformazione, come avvitare viti o montare oggetti,
è più difficile da giustificare. Generalmente questo tipo di revisione richiede
una vera e propria reinterpretazione del sistema tabellare precedente.
Generalmente questo si ottiene creando nuove versioni delle tabelle dove la
descrizione delle operazioni dell’operaio viene scomposta in operazioni
elementari in maniera progressivamente meno dettagliata. Del resto già nel
passaggio dal sistema tabellare originario MTM al TMC la FIAT introdusse alcune
semplificazione accorpando alcuni movimenti elementari presenti nell’MTM. La
cosa è andata avanti e quello che oggi viene chiamato TMC2, che presumibilmente
è il sistema tabellare utilizzato nell’accordo del ’93 per fissare i ritmi di
produzione nelle fabbriche di Melfi e Pratola Serra, non è altro che un
ulteriore evoluzione e semplificazione delle tabelle utilizzate precedentemente.
Questa semplificazione del sistema tabellare non è stata mai dichiarata
esplicitamente dalla FIAT ma può essere dedotta dal raffronto dei tempi
assegnati alle stesse operazioni di trasformazione a Melfi e in altre fabbriche
del comparto FIAT.
Insomma, l’azienda ha la libertà di aggiornare le stesse tabelle su cui sono
elencate le operazioni elementari adducendo il pretesto che con l’evoluzione
degli stabilimenti, con l’aumento dell’ergonomia (“comodità” degli impianti),
con la semplificazione delle operazioni, certe operazioni si possono ora fare
più velocemente. I tempi vanno solo comunicati e non sono contestabili.
Vista in altri termini, se idealmente potessimo fissare come riferimento
assoluto di tempi le tabelle che la FIAT usava nel ’71, è come se col passare
degli anni, pur non dichiarandolo, la FIAT abbia aumentato il cosiddetto
rendimento che ufficialmente è sempre a 133. Infatti è stato stimato che se si
prende come rendimento a 133 quello delle tabelle TMC, il rendimento di
fabbriche come Melfi e Pratola Serra dovrebbe essere intorno al 150. Vale la
pena ricordare che in queste fabbriche a rendimento accresciuto il salario è
mediamente più basso che nelle altre fabbriche del comparto FIAT.
Se la FIAT cambia le tabelle e assegna tempi più brevi alle operazioni da fare
in una certa postazione quello che accade è che la saturazione (rapporto tra
tempi assegnati e tempi in officina) si abbassa. Con l’uso della metrica, la
saturazione calcolata è sempre abbastanza lontana dal limite superiore che
quindi corrisponde a ritmi praticamente irraggiungibili. Questo abbassamento dei
tempi totali di attività assegnati sui cartellini e quindi della saturazione,
viene usato dall’azienda per aumentare la velocità della linea allo scopo di
riportare la saturazione ai livelli precedenti. E’ facile rendersi conto che se
contemporaneamente l’azienda taglia i tempi delle tabelle e dei cartellini
diciamo del 20% e contemporaneamente aumenta la velocità della linea del 20%, la
saturazione rimane la stessa. Nella realtà le due cose succedono in sequenza.
Prima si tagliano i tempi sui cartellini, cambiando la metrica, la saturazione
scende, e per farla risalire si alza la velocità della linea.
Questo è stato fatto continuamente dagli anni settanta ad oggi. I limiti sulla
saturazione non sono serviti a limitare i ritmi perché la saturazione calcolata
dall’azienda non si basa su tempi operativi reali ma su tempi astratti stabiliti
sulle tabelle. Quello che è successo nella realtà ha dimostrato la sostanziale
infondatezza dell’idea che il sistema tabellare è un sistema al di sopra delle
parti. Il sistema metrico, pensato e prodotto come strumento per la misurazione
della produzione sotto il comando dei padroni, è servito e serve per aumentare
il rendimento degli operai, per incrementare il loro sfruttamento. Il cosiddetto
“giudizio di efficienza” dei padroni è sostanzialmente rimasto in vigore ma ora
ha la copertura ideologica del sistema “incontestabile” delle tabelle.
Note:
1) I contenuti principali degli accordi
realizzati riguardano:
a) Una premessa politica nella quale l’azienda firmataria si dichiara
interessata a far sì che si realizzi un Contratto nazionale firmato da tutte le
organizzazioni sindacali.
b) Aumenti salariali che portino l’incremento complessivo delle buste paga senza
considerare alcuna quota degli aumenti come anticipo sul biennio 2005-2006. (Gli
aumenti retributivi raggiunti negli accordi fatti fino ad oggi sono tra i 117 e
i 125-135 euro che rappresenta la richiesta iniziale della Fiom, 90 euro
l’aumento ottenuto da Fim e Uilm comprensivo però di 21 euro di anticipo
rispetto allo scarto tra inflazione programmata e reale nel 2003-2004).
c) Una una tantum più consistente di quella dell’accordo separato, fino ad un
massimo, in alcuni casi, di 500 euro.
d) Una esplicita clausola di ultrattività del Contratto collettivo nazionale di
lavoro del luglio 1999 per tutte le parti normative che non siano state
esplicitamente trattate tra le parti; ciò a tutela dei diritti dei lavoratori,
in particolare rispetto alle nuove normative di legge sul mercato del lavoro e
sugli orari di lavoro.
e) I lavoratori interinali hanno diritto di precedenza per le assunzioni a tempo
indeterminato, assunzione che scatta obbligatoriamente dopo 10 mesi di contratto
continuativo o se raggiungono una somma di 18 mesi in più contratti nell’arco di
3 anni. A ciò si aggiunge l’impegno a una verifica, almeno tre mesi prima della
scadenza, per tutti i contratti a “causa mista” (contratti di formazione e
lavoro e apprendistato) mentre l’azienda deve fornire informazioni su tutti i
co.co.co. attivati.
f) La conservazione dell’attuale sistema di orari settimanali e, in alcuni casi,
il suo miglioramento. Ulteriori intese migliorative sull’inquadramento e sulla
formazione.
g) Nelle aziende ove si stipulano le intese vengono sospesi gli scioperi
articolati e il blocco dello straordinario e della flessibilità. I lavoratori di
queste imprese parteciperanno invece agli scioperi nazionali della categoria
come, ad esempio, a quello previsto per il 17 ottobre.
2) La contrattazione in Zanussi è stata quindi riaperta, e su questa seconda
fase della vicenda, come spesso accade, è calato un velo di silenzio. Come
finisce il contratto in Zanussi? La direzione aziendale minaccia riduzioni di
produzione e personale. L’Elettrolux, multinazionale svedese proprietaria, ha
stabilimenti in molti paesi e mette in discussione gli investimenti previsti in
Italia ventilando la possibilità di concentrare la futura produzione in altre
zone.
Alla fine il cambio ritmi tempi è introdotto e sono decise delle riduzioni di
produzione e personale, concentrate in particolare in uno stabilimento (Rovigo,
che infatti boccia nell’indifferenza assoluta anche il secondo accordo, che
passa negli altri stabilimenti).
I lavoratori sono divisi stabilimento per stabilimento e la divisione funziona.
La vicenda nazionale è probabilmente ricordata da tutti.