SENZA CENSURA N.13

FEBBRAIO 2004

 

Evviva sciopero selvaggio!

Cronologia e spunti sulla lotta degli autoferrotranvieri.

 

Si manifesta l’autonomia di classe
All’interno della lunga vertenza degli autoferrotranvieri per ottenere il rinnovo della parte economica del contratto nazionale collettivo già scaduto da due anni, che ha visto mobilitazioni su tutto il territorio nazionale, è andata progressivamente maturando la consapevolezza dei protagonisti delle lotte di poter essere forza sociale in grado di determinare le scelte ed imporre gli obiettivi che la contrattazione collettiva prevedeva.
La determinazione ad imporsi – dopo ben 12 scioperi generali a livello nazionale, di cui 8 indetti dai sindacati confederali e 4 dai sindacati di base, che non avevano portato a nessun risultato concreto – attraverso il superamento dei limiti fissati dalla regolamentazione degli scioperi nei “servizi pubblici essenziali”, ha dato corpo allo sviluppo di forme di espressione dell’autonomia di classe.
L’elemento catalizzatore di un tale processo non è tanto da ricercare negli scioperi indetti contro l’inadempimento del contratto da parte delle aziende del settore (rappresentate dall’ASTRA per le ex municipalizzate e dall’ANAV per le aziende private) quanto piuttosto nell’avere anticipato e prolungato, soprattutto a Milano e Venezia, la durata dello sciopero programmato e di averlo deciso ed attuato autonomamente. Questo, da un lato, ha fatto emergere la forza e la potenza di un settore di classe e, dall’altro, ha mostrato la potenziale attaccabilità dell’ordine padronale.
Lo sviluppo dell’autonomia di classe trova nella lotta un laboratorio di crescita di una coscienza solidale.
All’interno dei diversi momenti della mobilitazione i lavoratori hanno costruito autonomamente le forme necessarie al soddisfacimento dei propri bisogni; forme di crescita collettive, sia rispetto alle forme organizzative, con un importante ruolo assunto dalle assemblee nei singoli depositi e nei coordinamenti a carattere cittadino e nazionale, che di gestione del conflitto. Ma anche di crescita di una coscienza individuale che, nello stare fianco a fianco con i propri colleghi e con molti altri lavoratori solidali, restituisce un’identità di classe che tende a trasformare i propri interessi individuali in un tutt’uno collettivo, in una forza sociale appunto.
Un settore, questo degli autoferrotranvieri, un tempo considerato “garantito” ma che negli anni ha vissuto il comune processo di proletarizzazione di ampie fascie sociali, accelerato da una crisi generale che ha imposto riadeguamenti dell’organizzazione del lavoro nei termini di flessibilità e precarietà della forza lavoro e di smantellamento e dismissione delle aziende pubbliche.
Il processo di privatizzazioni in Italia non ha risparmiato nessuna azienda del settore dei trasporti ed ha determinato profondi cambiamenti nei vari rapporti di lavoro. Il modello dominante nelle aziende di trasporto è quello della compressione del salario, dello scadimento dei servizi, dell’aumento dei prezzi, dell’assenza di manutenzione, dell’insicurezza e dei disastri crescenti. Un settore che ha perso la propria “aristocrazia operaia” con l’introduzione di manodopera precaria a tempo determinato, con l’aumento dei livelli di inquadramento, con salari sempre più legati alla produttività, con ritmi di lavoro accresciuti, con forme di controllo e punizione crescenti.

Mass media, confederali, politicanti e Stato
Una situazione oggettiva che ha determinato la necessità della rottura di quello che al momento rappresentava la massima forma di oppressione di quel corpo sociale cioè delle regole imposte dalla legge di regolamentazione degli scioperi, meglio nota come “legge antisciopero” (legge 146/1990 e successive modifiche legge 83/2000).
Rottura di una pace sociale imposta che ha visto immediatamente scatenarsi una mobilitazione reazionaria per tentare di spezzare l’unità e la forza dei lavoratori. Un coro unico di mass-media, autorità, rappresentanti padronali e sindacali, politici e politicanti che hanno strepitato contro i lavoratori. Hanno immediatamente cercato di contrapporre alle esigenze dei lavoratori quelle dei cosiddetti “cittadini” e di farsi paladini della tutela degli “utenti” utilizzando quegli stessi concetti che strumentalmente hanno determinato nel tempo un progressivo ridimensionamento delle possibilità di sciopero; operazione miseramente fallita e respinta dai lavoratori degli altri settori che hanno riconosciuto e sentito come proprie le esigenze e le rivendicazioni degli autoferrotranvieri.
Ma questo tentativo di porre un ulteriore freno inibitore all’iniziativa autonoma di classe non poteva che trovare terreno fertile anche all’interno della sinistra istituzionale e delle burocrazie sindacali che si sono prontamente accodate a quanti denunciavano gli scioperi come “selvaggi” ed in particolare lesivi dell’articolo 40 della Costituzione che indica la necessità della tutela contro i disagi all’utenza.
Diventa così determinante avviare una profonda battaglia culturale contro il sempre maggiore utilizzo di categorie sociali quali “cittadinanza” o “utenza”, concetti del tutto interclassisti che mirano a scardinare il senso di appartenenza di classe e che ostacolano la comprensione dello scontro di classe in atto impedendo così lo sviluppo sia di forme di solidarietà che di collegamento e cooperazione tra tutti i lavoratori.
E’ altresì necessario ridefinire e attualizzare la categoria di “proletariato metropolitano” e sviluppare, soprattutto nei primi momenti di sviluppo dell’autonomia di classe, dei processi che tendano ad una ricomposizione politica della classe cioè del proletariato metropolitano.
L’agire di questo spezzone di lavoratori ha prodotto una rottura del quadro concertativo, rappresentato dal rapporto fra padronato-governo-sindacati di stato, e ancora una volta ha reso evidente il ruolo del sindacato come strumento di recupero e di cooptazione delle istanze autonome della classe.
Immediatamente il segretario della CGIL Epifani ha condannato l’anticipo dello sciopero sentenziando che “quando si sciopera bisogna rispettare le regole” mentre la segretaria della CISL milanese Fabrizio ha giudicato irresponsabile “prendere in ostaggio un’intera città”.
Ma determinante nel ruolo di divisione del fronte di lotta è stata la firma dell’ipotesi di accordo del 20 dicembre, proprio nel pieno dello sviluppo delle lotte in numerose città italiane, accordo al ribasso che diviene immediatamente freno alle mobilitazioni.
L’accordo, non riconosciuto dal Coordinamento nazionale dei sindacati di base e dalla maggioranza dei lavoratori, ha in quel momento la funzione di spezzare il fronte unitario di lotta degli autoferrotranvieri poiché mira alla soppressione della contrattazione nazionale. Ciò avviene attraverso un livello di contrattazione locale, di competenza comunale o regionale, che dovrebbe recuperare lo scarto fra quanto stanziato nell’accordo nazionale e quanto rivendicato dai lavoratori, introducendo così elementi di differenziazione fra lavoratori di diverse città e regioni e rispondendo alle esigenze aziendali di legare gli aumenti salariali alla produttività e dunque flessibilizzando i salari dei lavoratori alle valutazioni temporanee delle amministrazioni aziendali.
Paradigmatico è stato l’atteggiamento tenuto dai confederali nella gestione dell’ipotesi di accordo nazionale. Questa ipotesi, ratificata a fine gennaio 2004, vedeva le dichiarazioni del ministro dei trasporti Lunardi che, immediatamente dopo la firma di dicembre, considerava il contratto chiuso senza tenere in minima considerazione il responso dei lavoratori, i diretti interessati, e imponendo ai sindacati una difficile gestione, prima parlando di referendum poi riducendo il tutto chi alle sole assemblee dei lavoratori iscritti (CISL e UIL), chi alla consultazione referendaria anche qui dei soli iscritti alla CGIL.
L’esito di questo piccolo referendum non è stato dei più limpidi. Al voto hanno partecipato il 74% degli iscritti, con voto favorevole si è espresso il 71%. Dunque, facendo un sommario calcolo matematico i voti contrari e quelli che non hanno accettato questa farsa arrivano al 55%. Ma al di là dei numeri, l’elemento che è emerso è ancora una volta la logica concertativa e coorporativa che muove l’agire politico dei sindacati confederali che vogliono rappresentare interessi sempre più sganciati dalle reali esigenze dei lavoratori i quali hanno espresso il loro rifiuto non utilizzando forme di “democrazia formale” ma attraverso la vasta adesione agli scioperi nazionali indetti dal Coordinamento nazionale di lotta, del 9 e del 30 gennaio, e a tutte le altre giornate di mobilitazione.
Il tentativo dei confederali di spezzare la lotta unitaria della categoria a livello nazionale si è dato sulla falsariga della vertenza dei metalmeccanici, affiancando al contratto collettivo nazionale di categoria un livello di contrattazione locale, i pre-contratti locali e/o aziendali, facendo proprio l’assunto delle differenze del costo della vita fra il Nord ed il Sud Italia.
Proprio dalla voce del segretario generale della CGIL milanese, Roilo, dopo i primi scioperi di dicembre arriva l’apertura ad accettare pre-contratti aziendali vedendo questo anche come “una strada che permetterà di evitare che si ripetano fenomeni e scelte non condivise dal sindacato e assolutamente non ripetibili, come il blocco del primo dicembre a Milano”.
E se le ipotesi di pre-contratto non si sono realizzate prima dell’accordo nazionale, sono state ricercate nei momenti successivi sempre in un ottica di blocco e chiusura delle proteste. La firma di accordi integrativi aziendali, in alcuni grossi centri, che hanno portato solo in parte all’integrazione della differenza salariale fra le richieste dei lavoratori e quanto stabilito dall’accordo del 20 dicembre, hanno legato gli “aumenti” ai bilanci aziendali e/o ad incrementi della produttività e dei ritmi di lavoro, rendendo il salario ancora più flessibile e precario.
Azione disgregante della lotta è stata anche quella svolta in prima persona dallo Stato e dai suoi apparati di dominio e repressione con la presenza di polizia e Digos davanti ai cancelli e all’interno delle assemblee.
Ormai non c’è sciopero che non si svolga sotto la cappa del controllo militare (come scordarsi gli scioperi dei portuali di Livorno nei primi mesi del 2003); con la Commissione di Garanzia della Procura della Repubblica, mettendo prontamente in moto tutti i meccanismi di controllo, intimidazione, sanzionamento e punizione; con la Prefettura utilizzando l’arma della precettazione, sempre più in uso contro gli scioperi. Tutto questo mette in evidenza come la lotta economica per il salario tenda ad assumere immediatamente una connotazione politica nella quale dallo scontro con la controparte padronale si passa a quello contro lo Stato.


Alcuni limiti
Una corretta analisi della mobilitazione deve cercare di comprendere anche quali sono stati i limiti e le debolezze che si sono manifestate. Un limite della protesta sta sicuramente nell’isolamento di questi scioperi che non sono riusciti ad avere la stessa incisività nelle diverse città dove, benché gli scioperi fossero stati quasi plebiscitari, non sono stati né anticipati e né prolungati ed è mancato un certo coordinamento e tempismo nello scegliere i tempi delle mobilitazioni ed anche la capacità di estendere la lotta al momento più opportuno. Ad esempio quando a gennaio i lavoratori di Milano hanno per due giorni presidiato e bloccato la città, rilanciando la vertenza sul piano nazionale, nel resto del paese non si è allargato il fronte di lotta, facilitando l’ingresso degli accordi aziendali che in parte hanno avuto un ruolo di riassorbimento delle proteste.
La protesta è stata vissuta da una parte dei lavoratori come una vertenza di categoria che ha riaffermato una logica corporativa e d’altro lato non ci sono stati altri settori che sono scesi in lotta dialettizzandosi e mettendo in evidenza i legami oggi esistenti fra le diverse figure lavorative e proletarie. Si è assistito ad una sostanziale mancanza di appoggio concreto alle lotte da parte di realtà politiche istituzionali (del tutto assenti sono stati partiti quali Rifondazione Comunista e i Comunisti Italiani) ed è emersa la debolezza e la frammentazione delle realtà di base e della sinistra rivoluzionaria in generale.
E’ stata maggiore la solidarietà virtuale fatta di comunicati o messaggi via internet che la reale presenza fuori dai depositi e la capacità di sviluppare altri momenti di iniziativa che avrebbero potuto dare una dimensione più ampia della “forza del proletariato”.
Tutto questo dimostra come esiste ancora una certa impreparazione del corpo sociale militante ad affrontare un tale contesto e, nello specifico, la veloce radicalizzazione dello scontro sociale. La mancanza di un referente politico riconosciuto dai lavoratori li ha lasciati soli, limitando l’orizzonte di sviluppo della lotta. D’altra parte, come sottolineava un lavoratore dell’ATM di Milano, è anche vero che “in ATM non si vedevano lotte così forti da quasi 21 anni, noi siamo qui da 16 e per molti si tratta quindi di una esperienza nuova”.
Un altro limite risiede nella sottovalutazione degli strumenti della controrivoluzione e nella loro incidenza nelle fasi dello scontro. Il piegarsi alla precettazione prefettizia che vuole imporre la fine dello sciopero prima che questo abbia ottenuto dei risultati oppure il non tenere in giusta considerazione il ruolo deterrente delle procedure sanzionatorie.
Abbiamo visto come lo sciopero prima proclamato per il 26 gennaio sia stato poi spostato al 30 gennaio dopo che questo era stato dichiarato illegale dalla Commissione di garanzia per rispettare le regole della legge 83/2000 che prevede la proclamazione dello sciopero a conclusione delle procedure di raffreddamento e di conciliazione e con un preavviso di 10 giorni. Questo ha comportato che nella città di Milano lo sciopero venisse in seguito rimandato (ma in pratica revocato) perché coincidente con quello dei tassisti.

Sulle sanzioni
“Nulla resterà impunito” dice Albertini, sindaco di Milano. Lo sciopero “selvaggio” ha determinato l’immediata convocazione da parte del presidente della Commissione di Garanzia, Antonio Martone, delle organizzazioni sindacali che avevano proclamato lo sciopero e dei presidenti delle associazioni padronali (ASSTRA e ANAV) per affrontare il tema delle possibili sanzioni da applicare alle organizzazioni sindacali e ai singoli lavoratori. E mentre la Commissione deliberava l’apertura di un indagine, le organizzazioni del settore trasporti di CGIL, CISL e UIL condannavano prontamente l’episodio dissociandosi dallo sciopero e invitando tutti i lavoratori a rispettare le regole e “a respingere i tentativi di esasperare il conflitto”.
Questo ha permesso alla Commissione di deliberare il 23 gennaio 2004 che “le organizzazioni sindacali che avevano proclamato lo sciopero, CGIL, CISL, UIL, UGL e FAISA-CISAL, hanno concordemente dichiarato di essere rimaste estranee all’avvenuta violazione delle fasce orarie”, prescrivendo così le possibili sanzioni a loro carico.
Continua invece l’accertamento nei confronti degli autisti e l’azione sanzionatoria prevede quattro possibili tipologie di intervento: l’indagine della Commissione di garanzia, le azioni amministrative del Prefetto, l’azione della magistratura che dovrà accertare eventuali responsabilità penali e le sanzioni disciplinari aziendali.
Le varie aziende di trasporti hanno fornito alle Procure gli elenchi dei dipendenti che erano in turno nei giorni degli scioperi. Le Procure di Milano e Torino hanno aperto un fascicolo contro ignoti per interruzione di pubblico servizio mentre a Genova la Prefettura ha contestato a 1.050 lavoratori, per lo sciopero spontaneo del 22 dicembre, di aver violato l’ordinanza di precettazione condannandoli a multe di 250 euro.
A Venezia tutti i lavoratori sono stati multati, di circa 80 euro, l’equivalente di 4 ore di lavoro, per le 3 giornate di sciopero “selvaggio”.
Per quanto riguarda la città di Milano, si parla di oltre 3.000 lavoratori sotto inchiesta; gli avvocati dell’ATM hanno consegnato in Procura ai PM Robledo e Siciliano gli elenchi dei lavoratori che avrebbero dovuto lavorare durante gli scioperi effettuati “fuori dai limiti di legge”. La Procura ha deciso la loro iscrizione nel registro degli indagati per l’ipotesi di reato di “interruzione di pubblico servizio” che prevede l’arresto fino a un anno per i partecipanti e da 1 a 5 anni di reclusione per i presunti capi o promotori. A fine febbraio arriveranno le richieste di sanzione. Probabilmente faranno un unico procedimento per tutti e 7 i giorni di sciopero. I lavoratori verranno sentiti dalla Commissione a livello individuale e questo permetterà ai sindacati una gestione clientelare dei lavoratori sanzionati poiché è a discrezione dell’azienda l’accettare o meno le giustificazioni del lavoratore. Questo porterà con buona probabilità a delle divisioni fra chi verrà punito e chi no.
Per quanto riguarda il mancato rispetto delle fasce di garanzia (nelle 24 ore di fermo di bus, tram e metro, la legge prevede il rispetto delle fasce di garanzia di 3 ore, una alla mattina, una al pomeriggio) nei giorni in cui lo sciopero era stato correttamente dichiarato sarà la Commissione di Garanzia a decidere eventuali sanzioni. Le organizzazioni sindacali possono incorrere in sanzioni da 2.500 a 25.000 euro e all’esclusione dal tavolo delle trattative per 3 mesi. I lavoratori rischiano invece sanzioni disciplinari, applicate dall’azienda, proporzionate alla gravità dell’infrazione che possono andare dal rimprovero verbale al licenziamento.
A Milano c’è il timore che si voglia dare un segnale repressivo forte con il rischio che la possibile sanzione arrivi fino a 5 giorni di sospensione dal lavoro che, in base al contratto interno, farebbero scattare il licenziamento al quale ci si può opporre davanti al tribunale del TAR ma con dei tempi biblici e costi elevatissimi.
Per la violazione dell’ordinanza di precettazione la Prefettura potrà comminare a ciascun lavoratore una multa da 250 a 516 euro per ogni giorno di precettazione violata. Ai primi di febbraio sono state disposte, per ora solo a Venezia, a circa 800 dipendenti, sanzioni economiche di piccolo importo con la volontà apparente sia di non inasprire lo scontro in atto che di evitare che si inneschino forme di solidarietà attiva. In alcune città (come Bari, Foggia, Genova, dove preventivamente era scattata la precettazione) si è registrato un aumento dei certificati di malattia facendo anche in questo caso scattare l’indagine della Commissione di Garanzia per valutare possibili violazioni.
Il presidente delle Commissione Martone ha evidenziato come la legge antisciopero abbia bisogno di aggiustamenti sotto il profilo delle sanzioni e delle procedure da semplificare. Ha così segnalato il problema nuovo di poter “individuare i soggetti responsabili quando ci si trova di fronte a fenomeni spontanei”. Gli fa eco il sottosegretario al Welfare, Sacconi, ponendo come uno degli aspetti problematici dell’attuale normativa quello relativo all’effettività delle sanzioni per le violazioni di legge: “attualmente le sanzioni vengono comminate dai Garanti e applicate dalle aziende che per il quieto vivere il più delle volte preferiscono chiudere un occhio”; da qui l’indicazione che le sanzioni vengano decise e fatte applicare direttamente dalla Prefettura.

Come continuerà la lotta
Si apre ora il nuovo contratto 2004/2007 e i lavoratori hanno dalla loro parte un grosso bagaglio di esperienza e di consapevolezza. Si è costituito, a partire dal Coordinamento nazionale sindacale di base già esistente, un Coordinamento di lotta della categoria a livello nazionale che presenterà una propria piattaforma contrattuale e potrà essere in grado di imprimere alla lotta tempi e modalità concordate e incisive.
Nella frammentazione che riguarda il panorama del sindacalismo di base, questa forma organizzativa unitaria è un elemento molto positivo che andrebbe esteso anche alle altre categorie. Il Coordinamento composto dal SULT-TPL, Sin-Cobas, FLTU-CUB, Slai-Cobas, RDB-CUB trasporti, Confederazione Cobas e Autorganizzati (come ad esempio i lavoratori di Brescia) oltre a rilanciare l’iniziativa per il nuovo contratto considera la seconda trance del precedente contratto non ancora conclusa, riaffermando in questo modo l’unità di movimento della categoria e preservando così il contratto nazionale rispetto alle indicazioni dei confederali che, nella logica di un nuovo patto concertativo, vedono l’aspetto nazionale come un accordo quadro “leggero”, demandando poi il resto ad un secondo livello territoriale. In questo modo introducendo forti differenziazioni principalmente sotto l’aspetto salariale poiché, in pratica, si introducono le gabbie salariali.
Così si è espresso anche Perini, presidente di Assolombarda, il quale ha dichiarato dopo la firma dell’accordo cittadino “un contratto nazionale leggero, che definisca la cornice e un’intesa aziendale che punti su premi di produzione in cambio di efficienza. Ciò che è accaduto a Milano con ATM...” e subito dopo apre ai confederali “il sindacato nel bene e nel male, con la sua capacità di rappresentanza è sempre stato un punto di riferimento: da una parte a tutela degli interessi dei lavoratori e dall’altra come interlocutore nelle trattative con gli imprenditori”.
Altre sono le considerazioni che il Coordinamento aveva tratto sulla giornata di sciopero del 15 dicembre: “il primo dato che emerge è quello della scesa in campo di una categoria che da tempo è in sofferenza ma che ancora non aveva espresso appieno la propria conflittualità. Questa scesa in campo è dovuta principalmente ad alcuni fattori: 1) Una ex categoria forte, sia sul piano contrattuale che normativo, si trova ad essere collocata, al pari delle altre categorie, dentro un tunnel fatto di bassi salari, pesanti condizioni di lavoro, precarizzazione ed incertezza del proprio futuro legate alla trasformazione privatistica del settore. 2) La politica dei redditi e la concertazione inaugurata nel ‘93 hanno pesantemente ridotto la capacità contrattuale della categoria, gli ottimi integrativi di una volta sono ormai lontani e i contratti sono al palo e comunque le piattaforme dei confederali non soddisfano la categoria. 3) I numerosi scioperi a sostegno della vertenza del secondo biennio non hanno sortito effetti proprio perché ingabbiati nelle norme della 146/90 e questo ha creato esasperazione e voglia di riaffermare potere contrattuale anche fuori dalle regole. 4) Va rilevata una inaspettata ‘comprensione’ dei cittadini anche a forme di lotta inusuali e penalizzanti. La questione della compressione pressoché totale del diritto di sciopero sta diventando questione che si discute nel Paese uscendo dagli ambiti ristretti degli addetti ai lavori, questo per noi è un elemento fondamentale che dobbiamo saper gestire”.
A fianco della nuova scadenza contrattuale il Coordinamento ed i lavoratori devono inserire nell’agenda delle mobilitazioni la necessità di rispondere a tutti i meccanismi di repressione e militarizzazione del lavoro. Sia rispetto alle possibili sanzioni legate al ciclo di lotte precedenti sia attorno alla critica della legge “antisciopero” per un sua eliminazione cercando di sviluppare iniziative di lotta il più possibile articolate e diffuse che sappiano contrattaccare la precettazione, il ruolo della Commissione di vigilanza, le indagini delle Procure. Non è possibile delegare questo compito ad un sindacato specifico o ad una categoria di lavoratori ma occorre lavorare affinché possa diventare uno spazio per lo sviluppo di forme unitarie di mobilitazione ed un laboratorio per l’organizzazione autonoma della classe.

Sul contratto
Una vertenza lunga quasi due anni, 8 scioperi già attuati, una richiesta di aumento in busta paga di 106 euro. Al centro delle rivendicazioni dei sindacati degli autoferrotranvieri, il rinnovo del secondo biennio economico 2002-2003, in vista della scadenza il 31 dicembre del contratto quadriennale 2000-2003 di oltre 120 mila lavoratori.
FIILT-CGIL, FIT-CISL, Uiltrasporti chiedono incrementi medi di 106,39 euro, frutto dell’applicazione pressoché automatica dei parametri previsti, compresi i contenuti dell’accordo del 23 luglio ’93. Da parte dell’ASSTRA (associazione di categoria che rappresenta le ex municipalizzate del trasporto pubblico locale, oltre 200 aziende che effettuano servizi di trasporto urbano in 5.000 Comuni), si calcola che il peso economico della piattaforma presentata dai sindacati è pari a regime a 508,5 milioni di euro l’anno, di cui 285,4 milioni rappresentano il costo a regime del primo biennio 2002-2003 e i restanti 223,1 milioni di euro pari al costo a regime del primo biennio 2000-2001 rimasto a totale carico delle imprese.
Nonostante il primo biennio economico sia scaduto a dicembre 2001, sindacati e parti datoriali (ASSTRA e ANAV) hanno avviato tavoli negoziali dal settembre scorso offrendo 400 euro come una tantum e 12 euro in busta paga di aumento mensile.
L’altra questione in discussione riguarda la liberalizzazione del settore. I sindacati chiedono che “il Governo ponga fine all’incertezza che si è determinata nella disciplina relativa alle procedure di messa a gara dei servizi”.

Le tappe di una lotta

Dicembre 2003 - gennaio 2004: le vertenze nel settore trasporti.

La cronologia che segue riporta alcuni avvenimenti che riguardano, in particolare, la vertenza degli autoferrotranvieri e, secondariamente, quella dei dipendenti dell’Alitalia. La mancanza di riferimenti ad altre vertenze però non deve portare a sottovalutare altre importanti lotte come quella dei lavoratori dell’Alfa Romeo di Arese (Mi) colpiti da licenziamenti e cassaintegrazione, quelle del personale di Trenitalia che ultimamente deve fare i conti anche con 4 provvedimenti di licenziamento a carico di altrettanti lavoratori “colpevoli” di aver rilasciato dichiarazioni pubbliche in merito all’assenza di misure di sicurezza sul loro posto di lavoro, quella dei lavoratori della Ast stabilimento siderurgico di Terni contro la chiusura del reparto produttore di acciaio magnetico e il licenziamento di circa 900 lavoratori voluto dalla multinazionale Thyssen Krupp, quella dei Vigili del Fuoco in lotta per il rinnovo contrattuale e contro il tentativo di militarizzazione della categoria, ecc. ecc....
 

Cronologia
Il 1° dicembre 2003, in concomitanza con il giorno di apertura della conferenza mondiale sul clima, “Cop9”, è indetta una giornata a livello nazionale di sciopero dei lavoratori autotrasporti.
Lo sciopero, articolato su tutta la giornata, doveva garantire le fasce orarie previste dalla legge 146/90 di autoregolamentazione che variavano da città a città: a Milano i confederali avevano garantito l’uscita dei mezzi dalle 5 alle 8.45 e dalle 15 alle 18. Invece i lavoratori si sono riuniti in assemblee permanenti in ogni deposito ed hanno deciso di non fare uscire i mezzi sia di superficie che la metro sin dall’inizio del turno. In alcuni depositi sono state bruciate le bandiere dei confederali e allontanati i loro funzionari.
Nei giorni successivi, la stampa ufficiale, fatta eccezione per il quotidiano Liberazione, ha duramente attaccato i ferrotranvieri, accusati di aver messo in ginocchio la città, riportando un’ampia casistica di interviste a utenti indignati tese a creare un clima di frattura con le altre categorie di lavoratori. “Vittime: sparisce lo scuolabus, 1.600 bambini appiedati” e ancora “Vittime: 150 non vedenti abbandonati in stazione” titolerà Il Giornale, “Tireremo loro addosso tutto quello che abbiamo. Dall’arsenale giuridico a quello disciplinare” diranno il sindaco Albertini e il suo vice De Corato mentre la Camera di Commercio di Milano denuncia danni per 140 milioni di euro e si minacciano inchieste per interruzione di pubblico servizio che dovrebbero punire i “capi della rivolta” con pene che vanno dai 3 ai 5 anni.
La criminalizzazione a mezzo stampa, all’indomani dello sciopero, non ha risparmiato nemmeno i confederali, accusati, se non proprio di aver diretto la mobilitazione quantomeno di non aver fatto nulla per impedirla. Soltanto la convinta dissociazione, senza se e senza ma, dei leaders confederali dalle forme dello sciopero e l’accusa di corporativismo lanciata ai tranvieri più combattivi, ha preservato la triplice da ulteriori attacchi anche se al prezzo dell’ammissione ufficiale di una crisi di rappresentanza nella quale versano.
Visto il livello di mobilitazione, la Prefettura dispone la precettazione, per martedì 2 dicembre, di tutti gli autisti dell’ATM che intanto valuta su quali possano essere le sanzioni da applicare ai lavoratori che hanno scioperato. Viene fissata una nuova giornata di sciopero per il 15 dicembre.
Un gruppo di leghisti si presenta sotto la Camera del Lavoro di Milano con uno striscione contro i sindacati.
Il Presidente della regione Lombardia, Formigoni, ribadisce la volontà di aprire ai contratti regionali anche per i trasporti.
Il 4 dicembre, al tavolo di discussione nazionale apertosi a Roma fra sindacati, Asstra, Anav (l’associazione che rappresenta le imprese private di categoria) e governo, Enrico Mingardi, presidente dell’ASSTRA, non può fare altro che ribadire la vecchia proposta, già rifiutata dai sindacati e dai lavoratori della categoria, di 400 euro come una tantum per il biennio 2002-2003 e 15 euro in busta paga in più al mese, richiedendo un coinvolgimento da parte dello Stato e delle Regioni. Il segretario generale della FIT-CISL lombarda, Dario Ballotta, si dice possibilista, almeno per quanto riguarda l’ATM, riguardo alla possibilità di “pre-contratti” regionali. La Commissione di Bilancio da il via libera all’emendamento del governo che destina 33 milioni di euro al settore, 20 per il potenziamento del trasporto pubblico e 13 destinati per “il conseguimento di risultati di maggiore efficienza e produttività” ossia ai contratti. Il finanziamento non arriva a coprire nemmeno il 10% di quanto serve a chiudere la vertenza contrattuale che ammonta a più di 500 milioni di euro. Comincia a farsi strada la proposta di un emendamento alla finanziaria, sottoscritto da maggioranza e opposizione, che si propone di rastrellare 650 milioni di euro aumentando di 3 centesimi l’accise sulla benzina, destinando un terzo al ripiano della gestione dei servizi, un terzo al rinnovo dei mezzi e un terzo direttamente ai Comuni per il miglioramento della mobilità che però trova una prima opposizione da parte del ministro dell’economia Tremonti secondo il quale tale provvedimento è di competenza delle Regioni.
Intervenendo alla Camera, il ministro del Welfare, Maroni, insieme al sottosegretario, Luigi Sacconi, e alla Commissione di Garanzia, stanno valutando come cambiare la legge sugli scioperi al fine di renderla più efficace per quanto riguarda la prevenzione degli scioperi, anche mediante il l’obbligo del referendum consultivo all’atto della proclamazione dello sciopero teso ad “impedire che una minoranza tenga in scacco la maggioranza dei lavoratori”, e la certezza dell’applicazione delle sanzioni.
Il 15 dicembre è confermato lo sciopero nazionale di 24 ore per tutta la categoria e l’esempio dei lavoratori di Milano viene ripreso questa volta in altre città.
A Brescia hanno bloccato l’unico deposito con circa 320 lavoratori e autisti. All’inizio dei picchetti si è registrata la presenza di digos e dirigenti per convincere i lavoratori a iniziare il lavoro. Ma i lavoratori compatti hanno impedito l’uscita dei mezzi. Stesse iniziative si sono ripetute in altre città come a Cosenza, a Crotone e a Castrovillari, con assemblee spontanee dei lavoratori.
A Torino sono intervenuti i carabinieri per fare uscire i mezzi ma solo un centinaio ha viaggiato. A Milano e Genova i lavoratori sono stati precettati. A Napoli blocchi dalle prime ore del mattino con la solidarietà di altri lavoratori sia precari che disoccupati.
Il 17 dicembre, la conferenza Stato-Regioni-autonomie locali riunita sul tema del finanziamento del trasporto pubblico locale, si arena sulla questione di chi abbia la titolarità di aumentare l’accisa sulla benzina, se lo Stato o le Regioni. Nonostante il ministro Tremonti avesse reso disponibile un aumento della capacità impositiva alle Regioni fino a 5 centesimi rispetto ai precedenti 2,58, Regioni ed enti locali considerano impraticabile questa strada che avrebbe tempi attuativi troppo lunghi.
Scioperano i dipendenti dell’Alitalia. La partecipazione alla mobilitazione di circa 2000 dipendenti usciti dai reparti, dagli uffici, dall’area di pista e dallo scalo ha costretto la compagnia aerea a cancellare 80 voli in partenza, 56 sulle tratte nazionali e 24 su quelle internazionali. Lo sciopero giunge nonostante la Commissione di Garanzia lo avesse differito al 19 gennaio. Un lungo corteo si è snodato dall’area tecnica dell’Alitalia fino alle aerostazioni, bloccando tutte le vie e le rampe di accesso allo scalo provocando interminabili code sulla Roma-Fiumicino. La Commissione di Garanzia ha inoltre comunicato che per le malattie, giudicate false, con cui gli assistenti di volo durante l’estate scorsa hanno bloccato il traffico aereo per alcuni giorni, 167 dipendenti saranno sospesi per un periodo da 1 a 10 giorni. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, e il Ministro dei Trasporti, Pietro Lunardi, minacciano di far saltare l’incontro del 29 dicembre nel quale si prenderà in esame una moratoria sugli esuberi previsti in Alitalia.
Il giorno successivo giunge l’apertura da parte del Governo circa l’impegno di varare al più presto un provvedimento unico nazionale che aumenterà l’accisa sulla benzina.
Il 19 dicembre si attuano diversi scioperi non precedentemente proclamati, fra cui il più significativo è quello di Genova dove per buona parte della giornata non vengono fatti circolare mezzi. Giovani studenti e attivisti dei centri sociali vanno in corteo al deposito e occupano pacificamente i depositi.
Sabato 20, giunge da Roma la notizia di un accordo nazionale firmato dai confederali che prevede 81 euro lordi al mese al posto dei 106 e l’una tantum di 970 euro al posto dei quasi 3.000. Fin dalla mattina si susseguono astensioni dal lavoro, blocchi e rallentamenti a Milano, Varese, Brescia, Bergamo, Como, Savona, Imperia, Venezia, Napoli, Roma e in altre città. La protesta esplode in tutta Italia e così anche domenica. Agitazioni illegali, diranno i media, perché queste giornate rompono la tregua natalizia e la legge 146/90 che prevede che tra uno sciopero e l’altro debbano intercorrere 10 giorni. In molte città scattano le precettazioni fino al 24. La Procura di Milano apre una nuova inchiesta per interruzione di pubblico servizio e la Lega Nord, attraverso una mozione urgente, chiede al sindaco Albertini di licenziare gli organizzatori dello sciopero. Si ritorna a parlare di revisione alla legge 146. Sacconi chiede il referendum consultivo prima di proclamare lo sciopero e la dichiarazione preventiva obbligatoria di adesione da parte del lavoratore. Televisioni e giornali elencano reati, varie tipologie di sanzioni e pene detentive a carico degli autoferrotranvieri in lotta.
Lunedì 22, nonostante le precettazioni, continuano gli scioperi a Genova, Milano, Venezia, Trento, Rovereto, Sassari, Olbia, Modena, Bologna, Firenze, Siena, Reggio Calabria. A Milano, Bologna e a Padova, ma anche in altre città, viene mandata la celere per rimuovere eventuali picchetti davanti ai depositi. Molti mezzi pubblici circolano con la scritta “lavoro perché precettato”. A Napoli vengono danneggiate alcune obliteratrici. Il sindaco di Milano, Albertini, di dice pronto ad un accordo integrativo locale, gli risponde Sacconi sottolineando che le aziende che dovessero procedere ad accordi integrativi “dovrebbero essere penalizzate nei trasferimenti di risorse per la copertura dell’accordo appena raggiunto. Nessuno dei sindacati firmatari di quest’ultimo potrà chiedere accordi perché in aperta violazione del protocollo 1993 sul modello contrattuale”. Sacconi fa inoltre appello ai prefetti affinché “le forze dell’ordine rimuovano i picchetti poco rappresentativi di frange marginali per lo più esterne all’azienda”.
L’indomani la stampa ufficiale giustificherà l’ausilio della polizia davanti ai depositi sostenendo che in alcuni depositi si fossero verificati incidenti fra dipendenti che volevano prendere servizio e militanti dei centri sociali. Si nota un cambiamento di approccio dei media sulla questione della vertenza degli autoferrotranvieri. Di fronte alle non poche manifestazioni di solidarietà alla lotta, il tentativo di contrapporre i lavoratori in sciopero con gli utenti cede il posto ad interventi mirati inerenti alla repressione dei conflitti. A tal riguardo, trovano ampio spazio gli interventi che mirano a cambiare ulteriormente la legge 146 mentre, al fianco dell’ultima nuova inchiesta aperta per interruzione di pubblico servizio, proliferano specchietti e riquadri che riportano minuziosamente i rischi economici e penali di chi ha scioperato: un semplice “ammutinato” rischia dai 15 giorni a un anno di carcere, un “capo della rivolta”, fino a cinque anni di reclusione. Per quanto riguarda i picchetti si configura anche il reato di violenza privata. Intanto il Coordinamento Nazionale di Lotta Autoferrotranvieri, che riunisce alcune sigle del sindacalismo di base (Sult-Tpl, Sin-Cobas, Fltu-Cub, Slai-Cobas, Rdb-cub Trasporti, Confed. Cobas, Autorganizzati), indice uno sciopero di 24 ore a carattere nazionale per il 9 gennaio contro l’accordo siglato il 20 dicembre.
L’8 gennaio, vigilia dello sciopero, il prefetto di Milano, Bruno Ferrante, dà per raggiunta un intesa di massima con ATM e sindacati. Questa prevede 250 euro pagati subito come premio di produzione per il 2003 e 300 euro corrisposti a febbraio come anticipo sul premio del 2004. Se si distribuiscono questi 300 euro su 13 mensilità si ottengono giusto i 25 euro di scarto fra i 106 promessi e gli 81 ottenuti con l’accordo del 20 dicembre. L’ATM però chiede come contropartita di rivedere “tempi e modi di lavoro”; in altre parole pretende più ore di lavoro e meno pause in cambio dell’anticipo del premio di risultato.
Lo stesso giorno scioperano per 8 ore a livello nazionale i controllori di volo, gli uomini radar”, per il recupero dello scarto fra inflazione reale e quella programmata per i bienni 2000-2001 e 2002-2003 senza dover cedere in cambio aumenti delle prestazioni lavorative. Precettazioni anche a Venezia.
Larga è l’adesione allo sciopero del 9 gennaio che avviene nel rispetto delle fasce di garanzia.
Il 12 e il 13 gennaio, nonostante le precettazioni, sono giornate di scioperi “selvaggi” a Milano, Brescia e a Bergamo. L’ATM ha fatto sapere che il 25% dei conducenti si è dato malato. A mezzogiorno, presso la Camera del lavoro di Milano, comincia una riunione unitaria dei rappresentanti sindacali in preparazione dell’incontro delle 15 con il prefetto. Il Coordinamento nazionale di lotta degli autoferrotranvieri indice per il 26 gennaio uno sciopero nazionale di 24 ore per la categoria.
Il 14 gennaio si ferma anche Pavia e lo stesso tentano di fare anche gli autoferrotranvieri di Bologna ma il Prefetto ordina le precettazioni e dopo due ore la situazione si normalizza. Gli autisti circolano con cartelli del tipo “precettato ma non domato”. Intanto viene siglata l’intesa locale fra Comune di Milano, ATM e sindacati confederali. L’accordo è quello stesso dell’8 gennaio ma dei 25 euro mensili, ai lavoratori con contratto di formazione, ne vengono dati soltanto la metà e si prevede una riduzione delle pause causate dall’aumento dei “cambi linea” che potranno arrivare fino a quattro. “Si tratta di un accordo che non ha nulla a che vedere con il contratto nazionale e che, in sostanza, si caratterizza come uno scambio tra efficienza e della produttività del lavoro a fronte di un aumento delle retribuzioni”, dirà il sindaco Albertini. Gli ribatte un delegato dello Slai Cobas, “i soldi che ci hanno dato erano già nostri e comunque si chiede lavoro in più, al personale viaggiante, agli operai della manutenzione, agli impiegati dell’amministrazione. La sosta per il recupero psicofisico si userà per andare da un posto all’altro. Rigettiamo questo accordo completamente e ai lavoratori chiediamo di bocciarlo insieme all’accordo nazionale”.
Vengono notificate a Genova le prime contestazioni per lo sciopero spontaneo del 22 dicembre: 1.050 multe da 250 euro. Tutti i dipendenti non autisti, i controllori, gli impiegati, gli operai della manutenzione hanno devoluto una giornata di stipendio ai colleghi colpiti dai provvedimenti disciplinari.
Sempre il 14, un migliaio di dipendenti dell’Alitalia di Roma, le “tute verdi” della direzione tecnica di Fiumicino, hanno organizzato un’assemblea nella mattinata e si sono spostati in corteo verso i tre terminal dell’aeroporto. La protesta non si è fermata e, nel pomeriggio, si è trasferita davanti al Ministero delle Infrastrutture, dove si svolgeva il primo incontro fra governo e sindacati sulla questione dei 2.700 esuberi previsti nel settore.
Nella seduta del 16 gennaio, la Commissione di Garanzia ha deciso di aprire una procedura di valutazione sulle astensioni collettive del 12 e del 13 a Milano.
Nuova agitazione invece a Roma per quanto riguarda il trasporto aereo che ha causato ritardi di alcune ore nei voli. Il personale di AdR Handling, società di servizi ai passeggeri controllata da Aeroporti di Roma, società privatizzata nel 2000, ha cominciato alle 8 del mattino una agitazione spontanea bloccando l’imbarco dei bagagli su un volo Neos diretto a Capoverde.
Il 17 gennaio, una sentenza della Commissione di Garanzia dichiara illegale lo sciopero indetto dal coordinamento di lotta previsto per il 26 gennaio, la proclamazione dello sciopero sarebbe stata formulata prima dello scadere del termine previsto per le procedure di raffreddamento. Martedì 20 i delegati del Coordinamento saranno al Ministero del Lavoro per discutere sulla questione. Un’eventuale slittamento della data dello sciopero oltre il 31 gennaio farebbe molto comodo ai sindacati poiché, proprio in quella data, scadrebbe il termine della “riserva” con cui i confederali hanno firmato il contestato accordo economico del 20 dicembre ed essi potrebbero considerare inutile uno sciopero successivo.
Il 18 gennaio, un delegato dello Slai Cobas di Milano denuncia di avere ricevuto telefonicamente minacce di morte.
Il 19 gennaio scioperano nuovamente i dipendenti dell’Alitalia, 364 i voli cancellati. Circa 500 dipendenti della compagnia di bandiera hanno partecipando a un sit-in a Roma, davanti al ministero del Tesoro dove sono giunti anche gli agenti delle forze dell’ordine.
Nell’ambito dell’incontro previsto al Ministero del Lavoro, il 20 gennaio, il Coordinamento di lotta degli autoferrotranvieri decide di posticipare lo sciopero al 30 gennaio.
Il 24 gennaio scioperano i tassisti per protestare contro le 270 nuove licenze decise il 23 gennaio.Lo Slai Cobas di Milano, durante l’incontro svoltosi a Roma nella sede delle Commissione di Garanzia, ha deciso di rimandare, per quanto riguarda Milano, a data da definirsi lo sciopero nazionale degli autoferrotranvieri previsto per il 30 gennaio a causa della concomitanza con lo sciopero dei tassisti milanesi previsto per la stessa data. L’Atm ha diffuso un comunicato della stessa Commissione di Garanzia, in cui si “prende atto del senso di responsabilità manifestato dalle organizzazioni sindacali del trasporto locale che, preso atto della concomitanza delle due agitazioni, hanno accolto l’invito a differire per la città di Milano lo sciopero ad altra data che verrà stabilita dalle assemblee dei lavoratori”.
Lunedì 26 gennaio è ancora la volta dei tassisti milanesi. Un corteo di 300 auto che è partito alle 13 in direzione della Stazione Centrale per poi dirigersi in Prefettura e infine a Linate. Si preannuncia un’altra giornata di sciopero per l’indomani per arrivare allo sciopero autorizzato previsto per il 30. Per lo sciopero del 24 la “categoria unita” dei tassisti che aveva proclamato lo sciopero è stata multata dalla Commissione di Garanzia di 5.000 euro.
A Roma, nel tardo pomeriggio di giovedì 29, i sindacati confederali hanno raggiunto un accordo con Atac, Met.Ro. e Trambus, le tre società del trasporto pubblico romano. Entro il prossimo marzo i 13.500 dipendenti troveranno in busta paga 306 euro lordi, sotto forma di anticipo. Dal 1° gennaio del 2005 ci sarà un aumento di 20 euro per 12 mesi, per tutti i lavoratori, che arriverà a 34 euro per i nuovi assunti, quelli entrati nelle aziende dopo il 2000.
Il 30 gennaio, fatta eccezione per Milano, nelle altre città italiane vi è una larga adesione allo sciopero nazionale proclamato dal coordinamento nazionale di lotta che avviene nel rispetto delle fasce di garanzia previste dalla legge antisciopero.
Sull’accordo del 20 dicembre
Dopo due giorni di discussione, la firma all’accordo sulla vertenza degli autoferrotranvieri arriva nel salotto del vice-ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, in un incontro informale al quale hanno partecipato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, e i segretari di CGIL, CISL e UIL.
Il governo si è impegnato a coprire la gran parte del costo del contratto aumentando l’accisa sulla benzina (l’importo del prelievo è ancora da definire) mentre le Regioni e gli enti locali si impegnano a coprire una parte dell’una tantum (170 euro) con risorse da reperire dai contratti di servizio o di concessione con le aziende.
L’accordo prevede 970 euro per gli arretrati erogati come una tantum in tre trance di 323,33 euro a febbraio, maggio e settembre 2004. 81 euro in media di aumento in busta paga a partire da febbraio 2004. L’accordo precede inoltre la rivalutazione del lavoro straordinario e festivo e delle indennità di trasferta e di diaria ridotta.

 

Note sulla legge 146/90

E sulle ultime (per ora) modifiche apportate il 5 aprile 2000

Prima di entrare nel merito delle ultime modifiche apportate alla legge 146 del 1990, diamo una rapida occhiata a come è nata la famigerata “legge antisciopero”. A tal proposito riportiamo di seguito uno stralcio di un testo tratto da un sito internet della CGIL che può aiutarci a comprendere non solo i timori e il clima in cui tale legge è maturata ma anche ad individuarne, oggi come allora, tra i suoi più fervidi sostenitori, le componenti sindacali e politiche della sinistra ufficiale.
Ci potranno altresì informare sull’origine storica di tutta quella nauseante retorica centrata su un fantomatico “interesse generale” che proprio in questi giorni ritroviamo nelle parole pronunciate dal presidente della Commissione di Garanzia, Antonio Martone, circa la necessità oggettiva di sanzionare gli autoferrotranvieri, colpevoli, a suo dire, di aver negato gli altrui diritti.
“La legge 146 è rimasta in vigore per dieci anni (la sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale è del 29 giugno del ‘90) e, nella considerazione di quanti ne hanno esaminato gli effetti, ha operato nel complesso abbastanza bene contribuendo non solo ad una riduzione dei conflitti, ma anche all’affermazione di relazioni sindacali e di una cultura della contrattazione più avanzata e moderna. […]
Una data storica che segna il passaggio ad una fase politica nuova in cui il diritto di sciopero – sancito dalla Costituzione oltre quarant’anni prima – deve potersi esercitare conciliandosi con il godimento di altri diritti tutelati dalla carta costituzionale, in particolare con i diritti della persona alla vita, alla salute alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza ed alla previdenza sociale all’istruzione ed alla libertà di comunicazione. Un obiettivo perseguito dalla forze politiche, l’allora Pci, la Dc, Psi e Sinistra indipendente, e dalle confederazioni sindacali che la legge, intervenuta dopo oltre cinque anni di dibattito acceso ed un iter piuttosto travagliato, sembra, in un primo momento, aver centrato.

Rispetto ai cosiddetti punti deboli della 146/90.
1) La legge si concentrava sul diritto di sciopero e non sulla prevenzione o sulle forme di risoluzione dei conflitti alternative allo sciopero. Si è dimostrata pertanto incapace di incidere sulla microconflittualità fortemente presente in alcuni settori ed alimentata dalla frammentazione sindacale, soprattutto su base professionale;
2) non ha impedito pratiche sleali e dannose come la proclamazione di scioperi poi revocati all’ultimo momento dopo l’informazione alla platea degli utenti e dunque sfruttando l’effetto ‘annuncio’;
3) era priva di un apparato sanzionatorio equilibrato ed efficace perché: non prevedeva nulla sugli eventuali comportamenti sleali da parte delle amministrazioni o delle imprese erogatrici dei servizi; alle sanzioni economiche previste a carico dei sindacati o dei lavoratori potevano agevolmente sottrarsi le sigle più piccole e meno consistenti; affidava l’applicazione delle sanzioni allo stesso datore di lavoro con la conseguenza che spesso era convenienza dell’impresa, soprattutto se a distanza di tempo dai fatti, non comminare le sanzioni previste per non ingenerare nuovi motivi di conflitto.
4) non considerava, ai fini delle ricadute su altri diritti costituzionalmente previsti e garantiti, le forme di protesta collettiva di lavoratori autonomi, di professionisti o di piccoli imprenditori che non sono sciopero in senso tecnico, pur tuttavia possono compromettere in maniera grave il funzionamento di importanti servizi di pubblica utilità. Un problema, questo sul quale erano stati frequenti i richiami della Corte Costituzionale.
5) Pur essendo i destinatari finali delle regole di contemperamento tra diritto di sciopero e altri diritti, la legge 146 non assegnava agli utenti un ruolo adeguato al compito che essi svolgono attraverso le loro associazioni.

Infine, circa l’origine storica della legge e sulla sua necessità.
Nei fatti il Parlamento aveva preferito lasciare al Sindacato il compito di individuare soluzioni praticabili di equilibrio nella gestione dei conflitti sociali sulle quali poter registrare il consenso dei lavoratori.
Del resto, il Sindacato confederale ha sempre assunto un vincolo ‘etico’ nelle manifestazioni degli interessi e delle volontà dei lavoratori: quello di perseguire gli obiettivi con forme di lotta ‘giuste’ capaci, cioè, di salvaguardare gli interessi collettivi dei cittadini.
Dalla metà degli anni ’80 si registra invece un fiorire di proposte di legge tese a regolamentare il diritto di sciopero e non a caso: la questione s’impone all’attenzione della pubblica opinione e viene costantemente richiamata nel dibattito fra le forze sociali e politiche a causa di quelli che vengono definiti ‘scioperi selvaggi’ condotti in quella fase nel nostro Paese da strutture sindacali e non che, fuori da ogni vincolo etico, indicono l’astensione dal lavoro col chiaro intento di creare forti disagi, o, nei casi più gravi, l’interruzione del servizio.
Ricordiamo, ad esempio, i casi dei marittimi dei traghetti per la Sardegna che incrociarono spesso le braccia, a partire dagli anni ’70, in coincidenza con il grande esodo estivo; e ancora quello emblematico di ‘Aquila selvaggia’, dei piloti cioè dell’Alitalia che scatenarono, nel ’77, la rivolta degli utenti dei voli Roma-Milano.
A rendere meno timide le prime indicazioni di una regolamentazione dello sciopero nei servizi di pubblica utilità furono, in quel periodo, anche le agitazioni delle strutture di base degli aeroportuali di Roma, quello dei Cobas della scuola, dei macchinisti e del personale delle Ferrovie dello Stato. Fermate del lavoro, queste ultime, promosse da strutture non sindacali e comunque da parti sociali non soggetti della contrattazione collettiva. Fu in questo contesto che nacque quel delicato processo che ha dato vita alle regole contenute nella legge 146 ed ai successivi accordi applicativi”.

La legge n. 83 dell’11 aprile 2000 introduce le seguenti modifiche alla legge 146/90.
1. Estensione delle regole della 146/90 anche ai lavoratori autonomi, ai professionisti e ai piccoli imprenditori che operino in settori che rientrano nell’ambito di intervento della legge 146, la cui astensione incida sul funzionamento dei servizi pubblici (autotrasportatori, tassisti, avvocati ecc.). L’astensione dalle prestazioni per queste categorie é regolata  con un meccanismo di autoregolamentazione stabilita dalle organizzazioni di appartenenza e valutata dalla Commissione di garanzia.
2. Sono previste misure per attenuare l’impatto delle vertenze sugli utenti. Vengono introdotte nei contratti collettivi nazionali di lavoro procedure di raffreddamento e di conciliazione da attuare prima della proclamazione dello sciopero. In caso di vertenza si può proclamare lo sciopero solo dopo aver tentato una conciliazione fra le parti. Anziché utilizzare le procedure previste dai contratti, le parti possono chiedere di svolgere il tentativo preventivo di conciliazione presso la Prefettura o il Comune, se lo sciopero ha rilievo locale; presso la competente struttura del Ministero del Lavoro, se lo sciopero ha rilievo nazionale.
La legge prevede inoltre un intervallo minimo (da definire successivamente negli accordi applicativi) fra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo per servizi che incidano sullo stesso settore o sullo stesso bacino di utenza, norma che in termini tecnici si chiama ‘’rarefazione oggettiva’’.
3. L’obbligo dei soggetti che proclamano lo sciopero di comunicare per iscritto, nei termini di preavviso (10 giorni), alle amministrazioni o imprese che erogano il servizio e all’apposito ufficio costituito presso la Presidenza del Consiglio o la Prefettura, la durata e le modalità nonché le motivazioni dell’astensione collettiva dal lavoro.
4. Si amplia inoltre il campo su cui intervengono le sanzioni. Viene introdotta ad esempio una norma che blocca il cosiddetto ‘’effetto annuncio’’, cioè la revoca dello sciopero all’ultimo momento. Secondo le nuove regole, la revoca spontanea di uno sciopero, senza che ci sia stato un accordo, viene punita  al pari di uno sciopero illegale. Si prevede anche la possibilità delle associazioni di utenti di agire in giudizio nei confronti delle organizzazioni sindacali che revochino lo sciopero spontaneamente dopo la comunicazione all’utenza della proclamazione.
5. Le sanzioni sono state trasformate in sanzioni pecuniarie tra i 2.500 e i 25.000 euro. In questo modo si possono colpire anche organizzazioni sindacali che non hanno trattenute proprie.
6. La commissione potrà deliberare che la partecipazione di certi lavoratori a un certo sciopero non é stata legittima ma, a questo punto, non li punisce direttamente bensì affida all’impresa il compito di  applicare il codice disciplinare. Anche la 146 (comma 1 art 4) prevedeva già la punibilità  (secondo le norme disciplinari contenute nei contratti) per quei  lavoratori che, ad esempio, partecipassero ad uno sciopero senza preavviso o che si rifiutassero di prestare lavoro pur comandati dall’azienda per i servizi essenziali. Ma l’applicazione delle norme disciplinari era affidata al rapporto tra datore di lavoro e lavoratore e spesso non attuata dall’azienda per timore di un’esasperazione della conflittualità interna.
7. Sono state introdotte modifiche che rendono certo il potere sanzionatorio della Commissione di garanzia. La questione più rilevante, su cui c’é stata un’ampia discussione, era infatti la debolezza del potere sanzionatorio da parte della Commissione che poteva anche stabilire sanzioni, in caso di violazione della 146/90, ma non poteva intervenire sull’azienda nel caso, diventato quasi una norma, di mancata applicazione. Vengono quindi introdotte multe anche per i dirigenti di azienda che non applichino le sanzioni previste dalla 146. La legge ha anche stabilito come si fa la procedura: la Commissione apre un procedimento, sente le parti, decide entro trenta giorni e poi rende obbligatorio per i datori di lavoro pagare. I soldi vanno in un apposito fondo INPS.
8. Contro le sanzioni che la Commissione delibera si ricorre al giudice del lavoro.
9. La nuova legge prevede in modo esplicito che se le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro di un certo settore non fanno l’accordo sulle prestazioni indispensabili (in mancanza di autoregolamentazione nel caso dei lavoratori autonomi) la Commissione può ricorrere alla ‘’regolamentazione provvisoria’’. Attraverso una delibera stabilisce che, in caso di sciopero, devono essere garantiti certi servizi, certi periodi ecc.
Nella 146/90 questa delibera era incondizionata mentre ora vengono stabiliti alcuni limiti entro i quali la Commissione deve operare: salvo casi particolari la regolamentazione provvisoria non deve prevedere servizi superiori al 50% del servizio normale e non coinvolgere più di un terzo dei lavoratori di quel settore o di quella azienda. Anche nella valutazione di un accordo fra le parti, la Commissione deve seguire gli stessi criteri: condizioni di sicurezza, affidabilità, 50% dei servizi ecc.
Queste disposizioni - che in ogni caso determinano i limiti che la Commissione di garanzia non deve superare - non sono immediatamente operative: riguardano soltanto il caso in cui la Commissione deliberi - in carenza o a seguito di valutazione di inidoneità dei codici di autoregolamentazione - l’adozione della provvisoria regolamentazione. Pertanto nessun altro soggetto è legittimato a disporre una regolamentazione delle prestazioni indispensabili o a determinare contingenti di personale in relazione alle iniziative di sciopero in atto.
10. La commissione può, per vertenze di particolare rilievo, convocare le parti e, se valuta che ci possano essere le condizioni per un ulteriore tentativo di mediazione, imporre alle parti di differire l’azione di lotta e riprendere la trattativa. La commissione può, nel caso di scioperi ‘’in concomitanza’’ che incidono cioè sullo stesso bacino di utenza, intervenire   per spostare le iniziative di lotta.
11. Riforma della precettazione: Governo, o Prefetto o Presidente della Regione, a seconda dei diversi livelli territoriali, una volta individuato uno sciopero ritenuto pericoloso per l’ordine pubblico, devono chiamare le parti e invitarle a un tentativo di mediazione. Solo se il tentativo non riesce, possono allora decidere di precettare o differire lo sciopero ad altra data.

Le proposte di ulteriori modifiche da apportare alla 146/90 si possono leggere nella relazione annuale sull’attività della Commissione di Garanzia presentata al Parlamento dal Presidente della suddetta commissione, Antonio Martone, il 13 febbraio 2004.
La relazione denuncia una forte conflittualità nel mondo del lavoro. Il primato spetta al trasporto urbano locale con 621 scioperi e iniziative di mobilitazione, seguita dal trasporto ferroviario con 340 e quello aereo con 329 casi esaminati.
Le proposte di modifica riguardano:
1. E’ convinzione della Commissione che la tempestiva ed effettiva applicazione delle sanzioni, più che la loro entità, consenta alle medesime di svolgere una efficace funzione dissuasiva. E, soprattutto, le aziende e la pubblica amministrazione devono superare la loro ‘’ritrosia’’ nell’applicazione delle sanzioni previste dalla legge.
2. La sanzione deve essere comminata dai Prefetti e le imprese dovranno fornire gli elenchi dei nominativi. Il prelievo, infine, dovrà essere direttamente sul salario per evitare un meccanismo di recupero forzoso. In più l’effettività delle sanzioni verso i singoli non può essere garantita dalle aziende, che finiscono per erogare queste sanzioni quando non hanno più alcun interesse, ovvero quando hanno già siglato l’accordo.
3. L’introduzione, in via sperimentale in settori “tecnicamente sofisticati” come il trasporto aereo, dello sciopero virtuale, forma di protesta da tempo caldeggiata anche dai segretari della CISL e della UIL, Pezzotta e Angeletti. Questo prevederebbe la dichiarazione di sciopero senza l’astensione dal lavoro, con trattenuta della retribuzione in capo agli scioperanti e con il pagamento a favore di un istituto di beneficienza.
4. L’introduzione del referendum preventivo.
5. L’obbligo della comunicazione preventiva dell’intenzione di aderire allo sciopero da parte dei singoli, “permettendo all’azienda di programmare l’erogazione di un minimo di servizi”.
6. La possibilità di indire lo sciopero soltanto da parte dei sindacati che hanno maggiori consensi nelle elezioni aziendali.

[http://www.cgil.it/ufficiostampa/LAVORO/sciopero_approfondimento.htm]



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