SENZA CENSURA N.13
FEBBRAIO 2004
Evviva sciopero selvaggio!
Cronologia e spunti sulla lotta degli autoferrotranvieri.
Si manifesta l’autonomia di classe
All’interno della lunga vertenza degli autoferrotranvieri per ottenere il
rinnovo della parte economica del contratto nazionale collettivo già scaduto da
due anni, che ha visto mobilitazioni su tutto il territorio nazionale, è andata
progressivamente maturando la consapevolezza dei protagonisti delle lotte di
poter essere forza sociale in grado di determinare le scelte ed imporre gli
obiettivi che la contrattazione collettiva prevedeva.
La determinazione ad imporsi – dopo ben 12 scioperi generali a livello
nazionale, di cui 8 indetti dai sindacati confederali e 4 dai sindacati di base,
che non avevano portato a nessun risultato concreto – attraverso il superamento
dei limiti fissati dalla regolamentazione degli scioperi nei “servizi pubblici
essenziali”, ha dato corpo allo sviluppo di forme di espressione dell’autonomia
di classe.
L’elemento catalizzatore di un tale processo non è tanto da ricercare negli
scioperi indetti contro l’inadempimento del contratto da parte delle aziende del
settore (rappresentate dall’ASTRA per le ex municipalizzate e dall’ANAV per le
aziende private) quanto piuttosto nell’avere anticipato e prolungato,
soprattutto a Milano e Venezia, la durata dello sciopero programmato e di averlo
deciso ed attuato autonomamente. Questo, da un lato, ha fatto emergere la forza
e la potenza di un settore di classe e, dall’altro, ha mostrato la potenziale
attaccabilità dell’ordine padronale.
Lo sviluppo dell’autonomia di classe trova nella lotta un laboratorio di
crescita di una coscienza solidale.
All’interno dei diversi momenti della mobilitazione i lavoratori hanno costruito
autonomamente le forme necessarie al soddisfacimento dei propri bisogni; forme
di crescita collettive, sia rispetto alle forme organizzative, con un importante
ruolo assunto dalle assemblee nei singoli depositi e nei coordinamenti a
carattere cittadino e nazionale, che di gestione del conflitto. Ma anche di
crescita di una coscienza individuale che, nello stare fianco a fianco con i
propri colleghi e con molti altri lavoratori solidali, restituisce un’identità
di classe che tende a trasformare i propri interessi individuali in un tutt’uno
collettivo, in una forza sociale appunto.
Un settore, questo degli autoferrotranvieri, un tempo considerato “garantito” ma
che negli anni ha vissuto il comune processo di proletarizzazione di ampie
fascie sociali, accelerato da una crisi generale che ha imposto riadeguamenti
dell’organizzazione del lavoro nei termini di flessibilità e precarietà della
forza lavoro e di smantellamento e dismissione delle aziende pubbliche.
Il processo di privatizzazioni in Italia non ha risparmiato nessuna azienda del
settore dei trasporti ed ha determinato profondi cambiamenti nei vari rapporti
di lavoro. Il modello dominante nelle aziende di trasporto è quello della
compressione del salario, dello scadimento dei servizi, dell’aumento dei prezzi,
dell’assenza di manutenzione, dell’insicurezza e dei disastri crescenti. Un
settore che ha perso la propria “aristocrazia operaia” con l’introduzione di
manodopera precaria a tempo determinato, con l’aumento dei livelli di
inquadramento, con salari sempre più legati alla produttività, con ritmi di
lavoro accresciuti, con forme di controllo e punizione crescenti.
Mass media, confederali, politicanti e
Stato
Una situazione oggettiva che ha determinato la necessità della rottura di
quello che al momento rappresentava la massima forma di oppressione di quel
corpo sociale cioè delle regole imposte dalla legge di regolamentazione degli
scioperi, meglio nota come “legge antisciopero” (legge 146/1990 e successive
modifiche legge 83/2000).
Rottura di una pace sociale imposta che ha visto immediatamente scatenarsi una
mobilitazione reazionaria per tentare di spezzare l’unità e la forza dei
lavoratori. Un coro unico di mass-media, autorità, rappresentanti padronali e
sindacali, politici e politicanti che hanno strepitato contro i lavoratori.
Hanno immediatamente cercato di contrapporre alle esigenze dei lavoratori quelle
dei cosiddetti “cittadini” e di farsi paladini della tutela degli “utenti”
utilizzando quegli stessi concetti che strumentalmente hanno determinato nel
tempo un progressivo ridimensionamento delle possibilità di sciopero; operazione
miseramente fallita e respinta dai lavoratori degli altri settori che hanno
riconosciuto e sentito come proprie le esigenze e le rivendicazioni degli
autoferrotranvieri.
Ma questo tentativo di porre un ulteriore freno inibitore all’iniziativa
autonoma di classe non poteva che trovare terreno fertile anche all’interno
della sinistra istituzionale e delle burocrazie sindacali che si sono
prontamente accodate a quanti denunciavano gli scioperi come “selvaggi” ed in
particolare lesivi dell’articolo 40 della Costituzione che indica la necessità
della tutela contro i disagi all’utenza.
Diventa così determinante avviare una profonda battaglia culturale contro il
sempre maggiore utilizzo di categorie sociali quali “cittadinanza” o “utenza”,
concetti del tutto interclassisti che mirano a scardinare il senso di
appartenenza di classe e che ostacolano la comprensione dello scontro di classe
in atto impedendo così lo sviluppo sia di forme di solidarietà che di
collegamento e cooperazione tra tutti i lavoratori.
E’ altresì necessario ridefinire e attualizzare la categoria di “proletariato
metropolitano” e sviluppare, soprattutto nei primi momenti di sviluppo
dell’autonomia di classe, dei processi che tendano ad una ricomposizione
politica della classe cioè del proletariato metropolitano.
L’agire di questo spezzone di lavoratori ha prodotto una rottura del quadro
concertativo, rappresentato dal rapporto fra padronato-governo-sindacati di
stato, e ancora una volta ha reso evidente il ruolo del sindacato come strumento
di recupero e di cooptazione delle istanze autonome della classe.
Immediatamente il segretario della CGIL Epifani ha condannato l’anticipo dello
sciopero sentenziando che “quando si sciopera bisogna rispettare le regole”
mentre la segretaria della CISL milanese Fabrizio ha giudicato irresponsabile
“prendere in ostaggio un’intera città”.
Ma determinante nel ruolo di divisione del fronte di lotta è stata la firma
dell’ipotesi di accordo del 20 dicembre, proprio nel pieno dello sviluppo delle
lotte in numerose città italiane, accordo al ribasso che diviene immediatamente
freno alle mobilitazioni.
L’accordo, non riconosciuto dal Coordinamento nazionale dei sindacati di base e
dalla maggioranza dei lavoratori, ha in quel momento la funzione di spezzare il
fronte unitario di lotta degli autoferrotranvieri poiché mira alla soppressione
della contrattazione nazionale. Ciò avviene attraverso un livello di
contrattazione locale, di competenza comunale o regionale, che dovrebbe
recuperare lo scarto fra quanto stanziato nell’accordo nazionale e quanto
rivendicato dai lavoratori, introducendo così elementi di differenziazione fra
lavoratori di diverse città e regioni e rispondendo alle esigenze aziendali di
legare gli aumenti salariali alla produttività e dunque flessibilizzando i
salari dei lavoratori alle valutazioni temporanee delle amministrazioni
aziendali.
Paradigmatico è stato l’atteggiamento tenuto dai confederali nella gestione
dell’ipotesi di accordo nazionale. Questa ipotesi, ratificata a fine gennaio
2004, vedeva le dichiarazioni del ministro dei trasporti Lunardi che,
immediatamente dopo la firma di dicembre, considerava il contratto chiuso senza
tenere in minima considerazione il responso dei lavoratori, i diretti
interessati, e imponendo ai sindacati una difficile gestione, prima parlando di
referendum poi riducendo il tutto chi alle sole assemblee dei lavoratori
iscritti (CISL e UIL), chi alla consultazione referendaria anche qui dei soli
iscritti alla CGIL.
L’esito di questo piccolo referendum non è stato dei più limpidi. Al voto hanno
partecipato il 74% degli iscritti, con voto favorevole si è espresso il 71%.
Dunque, facendo un sommario calcolo matematico i voti contrari e quelli che non
hanno accettato questa farsa arrivano al 55%. Ma al di là dei numeri, l’elemento
che è emerso è ancora una volta la logica concertativa e coorporativa che muove
l’agire politico dei sindacati confederali che vogliono rappresentare interessi
sempre più sganciati dalle reali esigenze dei lavoratori i quali hanno espresso
il loro rifiuto non utilizzando forme di “democrazia formale” ma attraverso la
vasta adesione agli scioperi nazionali indetti dal Coordinamento nazionale di
lotta, del 9 e del 30 gennaio, e a tutte le altre giornate di mobilitazione.
Il tentativo dei confederali di spezzare la lotta unitaria della categoria a
livello nazionale si è dato sulla falsariga della vertenza dei metalmeccanici,
affiancando al contratto collettivo nazionale di categoria un livello di
contrattazione locale, i pre-contratti locali e/o aziendali, facendo proprio
l’assunto delle differenze del costo della vita fra il Nord ed il Sud Italia.
Proprio dalla voce del segretario generale della CGIL milanese, Roilo, dopo i
primi scioperi di dicembre arriva l’apertura ad accettare pre-contratti
aziendali vedendo questo anche come “una strada che permetterà di evitare che si
ripetano fenomeni e scelte non condivise dal sindacato e assolutamente non
ripetibili, come il blocco del primo dicembre a Milano”.
E se le ipotesi di pre-contratto non si sono realizzate prima dell’accordo
nazionale, sono state ricercate nei momenti successivi sempre in un ottica di
blocco e chiusura delle proteste. La firma di accordi integrativi aziendali, in
alcuni grossi centri, che hanno portato solo in parte all’integrazione della
differenza salariale fra le richieste dei lavoratori e quanto stabilito
dall’accordo del 20 dicembre, hanno legato gli “aumenti” ai bilanci aziendali
e/o ad incrementi della produttività e dei ritmi di lavoro, rendendo il salario
ancora più flessibile e precario.
Azione disgregante della lotta è stata anche quella svolta in prima persona
dallo Stato e dai suoi apparati di dominio e repressione con la presenza di
polizia e Digos davanti ai cancelli e all’interno delle assemblee.
Ormai non c’è sciopero che non si svolga sotto la cappa del controllo militare
(come scordarsi gli scioperi dei portuali di Livorno nei primi mesi del 2003);
con la Commissione di Garanzia della Procura della Repubblica, mettendo
prontamente in moto tutti i meccanismi di controllo, intimidazione,
sanzionamento e punizione; con la Prefettura utilizzando l’arma della
precettazione, sempre più in uso contro gli scioperi. Tutto questo mette in
evidenza come la lotta economica per il salario tenda ad assumere immediatamente
una connotazione politica nella quale dallo scontro con la controparte padronale
si passa a quello contro lo Stato.
Alcuni limiti
Una corretta analisi della mobilitazione deve cercare di comprendere
anche quali sono stati i limiti e le debolezze che si sono manifestate. Un
limite della protesta sta sicuramente nell’isolamento di questi scioperi che non
sono riusciti ad avere la stessa incisività nelle diverse città dove, benché gli
scioperi fossero stati quasi plebiscitari, non sono stati né anticipati e né
prolungati ed è mancato un certo coordinamento e tempismo nello scegliere i
tempi delle mobilitazioni ed anche la capacità di estendere la lotta al momento
più opportuno. Ad esempio quando a gennaio i lavoratori di Milano hanno per due
giorni presidiato e bloccato la città, rilanciando la vertenza sul piano
nazionale, nel resto del paese non si è allargato il fronte di lotta,
facilitando l’ingresso degli accordi aziendali che in parte hanno avuto un ruolo
di riassorbimento delle proteste.
La protesta è stata vissuta da una parte dei lavoratori come una vertenza di
categoria che ha riaffermato una logica corporativa e d’altro lato non ci sono
stati altri settori che sono scesi in lotta dialettizzandosi e mettendo in
evidenza i legami oggi esistenti fra le diverse figure lavorative e proletarie.
Si è assistito ad una sostanziale mancanza di appoggio concreto alle lotte da
parte di realtà politiche istituzionali (del tutto assenti sono stati partiti
quali Rifondazione Comunista e i Comunisti Italiani) ed è emersa la debolezza e
la frammentazione delle realtà di base e della sinistra rivoluzionaria in
generale.
E’ stata maggiore la solidarietà virtuale fatta di comunicati o messaggi via
internet che la reale presenza fuori dai depositi e la capacità di sviluppare
altri momenti di iniziativa che avrebbero potuto dare una dimensione più ampia
della “forza del proletariato”.
Tutto questo dimostra come esiste ancora una certa impreparazione del corpo
sociale militante ad affrontare un tale contesto e, nello specifico, la veloce
radicalizzazione dello scontro sociale. La mancanza di un referente politico
riconosciuto dai lavoratori li ha lasciati soli, limitando l’orizzonte di
sviluppo della lotta. D’altra parte, come sottolineava un lavoratore dell’ATM di
Milano, è anche vero che “in ATM non si vedevano lotte così forti da quasi 21
anni, noi siamo qui da 16 e per molti si tratta quindi di una esperienza nuova”.
Un altro limite risiede nella sottovalutazione degli strumenti della
controrivoluzione e nella loro incidenza nelle fasi dello scontro. Il piegarsi
alla precettazione prefettizia che vuole imporre la fine dello sciopero prima
che questo abbia ottenuto dei risultati oppure il non tenere in giusta
considerazione il ruolo deterrente delle procedure sanzionatorie.
Abbiamo visto come lo sciopero prima proclamato per il 26 gennaio sia stato poi
spostato al 30 gennaio dopo che questo era stato dichiarato illegale dalla
Commissione di garanzia per rispettare le regole della legge 83/2000 che prevede
la proclamazione dello sciopero a conclusione delle procedure di raffreddamento
e di conciliazione e con un preavviso di 10 giorni. Questo ha comportato che
nella città di Milano lo sciopero venisse in seguito rimandato (ma in pratica
revocato) perché coincidente con quello dei tassisti.
Sulle sanzioni
“Nulla resterà impunito” dice Albertini, sindaco di Milano. Lo sciopero
“selvaggio” ha determinato l’immediata convocazione da parte del presidente
della Commissione di Garanzia, Antonio Martone, delle organizzazioni sindacali
che avevano proclamato lo sciopero e dei presidenti delle associazioni padronali
(ASSTRA e ANAV) per affrontare il tema delle possibili sanzioni da applicare
alle organizzazioni sindacali e ai singoli lavoratori. E mentre la Commissione
deliberava l’apertura di un indagine, le organizzazioni del settore trasporti di
CGIL, CISL e UIL condannavano prontamente l’episodio dissociandosi dallo
sciopero e invitando tutti i lavoratori a rispettare le regole e “a respingere i
tentativi di esasperare il conflitto”.
Questo ha permesso alla Commissione di deliberare il 23 gennaio 2004 che “le
organizzazioni sindacali che avevano proclamato lo sciopero, CGIL, CISL, UIL,
UGL e FAISA-CISAL, hanno concordemente dichiarato di essere rimaste estranee
all’avvenuta violazione delle fasce orarie”, prescrivendo così le possibili
sanzioni a loro carico.
Continua invece l’accertamento nei confronti degli autisti e l’azione
sanzionatoria prevede quattro possibili tipologie di intervento: l’indagine
della Commissione di garanzia, le azioni amministrative del Prefetto, l’azione
della magistratura che dovrà accertare eventuali responsabilità penali e le
sanzioni disciplinari aziendali.
Le varie aziende di trasporti hanno fornito alle Procure gli elenchi dei
dipendenti che erano in turno nei giorni degli scioperi. Le Procure di Milano e
Torino hanno aperto un fascicolo contro ignoti per interruzione di pubblico
servizio mentre a Genova la Prefettura ha contestato a 1.050 lavoratori, per lo
sciopero spontaneo del 22 dicembre, di aver violato l’ordinanza di precettazione
condannandoli a multe di 250 euro.
A Venezia tutti i lavoratori sono stati multati, di circa 80 euro, l’equivalente
di 4 ore di lavoro, per le 3 giornate di sciopero “selvaggio”.
Per quanto riguarda la città di Milano, si parla di oltre 3.000 lavoratori sotto
inchiesta; gli avvocati dell’ATM hanno consegnato in Procura ai PM Robledo e
Siciliano gli elenchi dei lavoratori che avrebbero dovuto lavorare durante gli
scioperi effettuati “fuori dai limiti di legge”. La Procura ha deciso la loro
iscrizione nel registro degli indagati per l’ipotesi di reato di “interruzione
di pubblico servizio” che prevede l’arresto fino a un anno per i partecipanti e
da 1 a 5 anni di reclusione per i presunti capi o promotori. A fine febbraio
arriveranno le richieste di sanzione. Probabilmente faranno un unico
procedimento per tutti e 7 i giorni di sciopero. I lavoratori verranno sentiti
dalla Commissione a livello individuale e questo permetterà ai sindacati una
gestione clientelare dei lavoratori sanzionati poiché è a discrezione
dell’azienda l’accettare o meno le giustificazioni del lavoratore. Questo
porterà con buona probabilità a delle divisioni fra chi verrà punito e chi no.
Per quanto riguarda il mancato rispetto delle fasce di garanzia (nelle 24 ore di
fermo di bus, tram e metro, la legge prevede il rispetto delle fasce di garanzia
di 3 ore, una alla mattina, una al pomeriggio) nei giorni in cui lo sciopero era
stato correttamente dichiarato sarà la Commissione di Garanzia a decidere
eventuali sanzioni. Le organizzazioni sindacali possono incorrere in sanzioni da
2.500 a 25.000 euro e all’esclusione dal tavolo delle trattative per 3 mesi. I
lavoratori rischiano invece sanzioni disciplinari, applicate dall’azienda,
proporzionate alla gravità dell’infrazione che possono andare dal rimprovero
verbale al licenziamento.
A Milano c’è il timore che si voglia dare un segnale repressivo forte con il
rischio che la possibile sanzione arrivi fino a 5 giorni di sospensione dal
lavoro che, in base al contratto interno, farebbero scattare il licenziamento al
quale ci si può opporre davanti al tribunale del TAR ma con dei tempi biblici e
costi elevatissimi.
Per la violazione dell’ordinanza di precettazione la Prefettura potrà comminare
a ciascun lavoratore una multa da 250 a 516 euro per ogni giorno di
precettazione violata. Ai primi di febbraio sono state disposte, per ora solo a
Venezia, a circa 800 dipendenti, sanzioni economiche di piccolo importo con la
volontà apparente sia di non inasprire lo scontro in atto che di evitare che si
inneschino forme di solidarietà attiva. In alcune città (come Bari, Foggia,
Genova, dove preventivamente era scattata la precettazione) si è registrato un
aumento dei certificati di malattia facendo anche in questo caso scattare
l’indagine della Commissione di Garanzia per valutare possibili violazioni.
Il presidente delle Commissione Martone ha evidenziato come la legge
antisciopero abbia bisogno di aggiustamenti sotto il profilo delle sanzioni e
delle procedure da semplificare. Ha così segnalato il problema nuovo di poter
“individuare i soggetti responsabili quando ci si trova di fronte a fenomeni
spontanei”. Gli fa eco il sottosegretario al Welfare, Sacconi, ponendo come uno
degli aspetti problematici dell’attuale normativa quello relativo
all’effettività delle sanzioni per le violazioni di legge: “attualmente le
sanzioni vengono comminate dai Garanti e applicate dalle aziende che per il
quieto vivere il più delle volte preferiscono chiudere un occhio”; da qui
l’indicazione che le sanzioni vengano decise e fatte applicare direttamente
dalla Prefettura.
Come continuerà la lotta
Si apre ora il nuovo contratto 2004/2007 e i lavoratori hanno dalla loro
parte un grosso bagaglio di esperienza e di consapevolezza. Si è costituito, a
partire dal Coordinamento nazionale sindacale di base già esistente, un
Coordinamento di lotta della categoria a livello nazionale che presenterà una
propria piattaforma contrattuale e potrà essere in grado di imprimere alla lotta
tempi e modalità concordate e incisive.
Nella frammentazione che riguarda il panorama del sindacalismo di base, questa
forma organizzativa unitaria è un elemento molto positivo che andrebbe esteso
anche alle altre categorie. Il Coordinamento composto dal SULT-TPL, Sin-Cobas,
FLTU-CUB, Slai-Cobas, RDB-CUB trasporti, Confederazione Cobas e Autorganizzati
(come ad esempio i lavoratori di Brescia) oltre a rilanciare l’iniziativa per il
nuovo contratto considera la seconda trance del precedente contratto non ancora
conclusa, riaffermando in questo modo l’unità di movimento della categoria e
preservando così il contratto nazionale rispetto alle indicazioni dei
confederali che, nella logica di un nuovo patto concertativo, vedono l’aspetto
nazionale come un accordo quadro “leggero”, demandando poi il resto ad un
secondo livello territoriale. In questo modo introducendo forti differenziazioni
principalmente sotto l’aspetto salariale poiché, in pratica, si introducono le
gabbie salariali.
Così si è espresso anche Perini, presidente di Assolombarda, il quale ha
dichiarato dopo la firma dell’accordo cittadino “un contratto nazionale leggero,
che definisca la cornice e un’intesa aziendale che punti su premi di produzione
in cambio di efficienza. Ciò che è accaduto a Milano con ATM...” e subito dopo
apre ai confederali “il sindacato nel bene e nel male, con la sua capacità di
rappresentanza è sempre stato un punto di riferimento: da una parte a tutela
degli interessi dei lavoratori e dall’altra come interlocutore nelle trattative
con gli imprenditori”.
Altre sono le considerazioni che il Coordinamento aveva tratto sulla giornata di
sciopero del 15 dicembre: “il primo dato che emerge è quello della scesa in
campo di una categoria che da tempo è in sofferenza ma che ancora non aveva
espresso appieno la propria conflittualità. Questa scesa in campo è dovuta
principalmente ad alcuni fattori: 1) Una ex categoria forte, sia sul piano
contrattuale che normativo, si trova ad essere collocata, al pari delle altre
categorie, dentro un tunnel fatto di bassi salari, pesanti condizioni di lavoro,
precarizzazione ed incertezza del proprio futuro legate alla trasformazione
privatistica del settore. 2) La politica dei redditi e la concertazione
inaugurata nel ‘93 hanno pesantemente ridotto la capacità contrattuale della
categoria, gli ottimi integrativi di una volta sono ormai lontani e i contratti
sono al palo e comunque le piattaforme dei confederali non soddisfano la
categoria. 3) I numerosi scioperi a sostegno della vertenza del secondo biennio
non hanno sortito effetti proprio perché ingabbiati nelle norme della 146/90 e
questo ha creato esasperazione e voglia di riaffermare potere contrattuale anche
fuori dalle regole. 4) Va rilevata una inaspettata ‘comprensione’ dei cittadini
anche a forme di lotta inusuali e penalizzanti. La questione della compressione
pressoché totale del diritto di sciopero sta diventando questione che si discute
nel Paese uscendo dagli ambiti ristretti degli addetti ai lavori, questo per noi
è un elemento fondamentale che dobbiamo saper gestire”.
A fianco della nuova scadenza contrattuale il Coordinamento ed i lavoratori
devono inserire nell’agenda delle mobilitazioni la necessità di rispondere a
tutti i meccanismi di repressione e militarizzazione del lavoro. Sia rispetto
alle possibili sanzioni legate al ciclo di lotte precedenti sia attorno alla
critica della legge “antisciopero” per un sua eliminazione cercando di
sviluppare iniziative di lotta il più possibile articolate e diffuse che
sappiano contrattaccare la precettazione, il ruolo della Commissione di
vigilanza, le indagini delle Procure. Non è possibile delegare questo compito ad
un sindacato specifico o ad una categoria di lavoratori ma occorre lavorare
affinché possa diventare uno spazio per lo sviluppo di forme unitarie di
mobilitazione ed un laboratorio per l’organizzazione autonoma della classe.
Sul contratto
Una vertenza lunga quasi due anni, 8 scioperi già attuati, una richiesta
di aumento in busta paga di 106 euro. Al centro delle rivendicazioni dei
sindacati degli autoferrotranvieri, il rinnovo del secondo biennio economico
2002-2003, in vista della scadenza il 31 dicembre del contratto quadriennale
2000-2003 di oltre 120 mila lavoratori.
FIILT-CGIL, FIT-CISL, Uiltrasporti chiedono incrementi medi di 106,39 euro,
frutto dell’applicazione pressoché automatica dei parametri previsti, compresi i
contenuti dell’accordo del 23 luglio ’93. Da parte dell’ASSTRA (associazione di
categoria che rappresenta le ex municipalizzate del trasporto pubblico locale,
oltre 200 aziende che effettuano servizi di trasporto urbano in 5.000 Comuni),
si calcola che il peso economico della piattaforma presentata dai sindacati è
pari a regime a 508,5 milioni di euro l’anno, di cui 285,4 milioni rappresentano
il costo a regime del primo biennio 2002-2003 e i restanti 223,1 milioni di euro
pari al costo a regime del primo biennio 2000-2001 rimasto a totale carico delle
imprese.
Nonostante il primo biennio economico sia scaduto a dicembre 2001, sindacati e
parti datoriali (ASSTRA e ANAV) hanno avviato tavoli negoziali dal settembre
scorso offrendo 400 euro come una tantum e 12 euro in busta paga di aumento
mensile.
L’altra questione in discussione riguarda la liberalizzazione del settore. I
sindacati chiedono che “il Governo ponga fine all’incertezza che si è
determinata nella disciplina relativa alle procedure di messa a gara dei
servizi”.
Le tappe di una lotta
Dicembre 2003 - gennaio 2004: le vertenze nel settore trasporti.
La cronologia che segue riporta alcuni avvenimenti
che riguardano, in particolare, la vertenza degli autoferrotranvieri e,
secondariamente, quella dei dipendenti dell’Alitalia. La mancanza di riferimenti
ad altre vertenze però non deve portare a sottovalutare altre importanti lotte
come quella dei lavoratori dell’Alfa Romeo di Arese (Mi) colpiti da
licenziamenti e cassaintegrazione, quelle del personale di Trenitalia che
ultimamente deve fare i conti anche con 4 provvedimenti di licenziamento a
carico di altrettanti lavoratori “colpevoli” di aver rilasciato dichiarazioni
pubbliche in merito all’assenza di misure di sicurezza sul loro posto di lavoro,
quella dei lavoratori della Ast stabilimento siderurgico di Terni contro la
chiusura del reparto produttore di acciaio magnetico e il licenziamento di circa
900 lavoratori voluto dalla multinazionale Thyssen Krupp, quella dei Vigili del
Fuoco in lotta per il rinnovo contrattuale e contro il tentativo di
militarizzazione della categoria, ecc. ecc....
Cronologia
Il 1° dicembre 2003, in concomitanza con il giorno di apertura della
conferenza mondiale sul clima, “Cop9”, è indetta una giornata a livello
nazionale di sciopero dei lavoratori autotrasporti.
Lo sciopero, articolato su tutta la giornata, doveva garantire le fasce orarie
previste dalla legge 146/90 di autoregolamentazione che variavano da città a
città: a Milano i confederali avevano garantito l’uscita dei mezzi dalle 5 alle
8.45 e dalle 15 alle 18. Invece i lavoratori si sono riuniti in assemblee
permanenti in ogni deposito ed hanno deciso di non fare uscire i mezzi sia di
superficie che la metro sin dall’inizio del turno. In alcuni depositi sono state
bruciate le bandiere dei confederali e allontanati i loro funzionari.
Nei giorni successivi, la stampa ufficiale, fatta eccezione per il quotidiano
Liberazione, ha duramente attaccato i ferrotranvieri, accusati di aver messo in
ginocchio la città, riportando un’ampia casistica di interviste a utenti
indignati tese a creare un clima di frattura con le altre categorie di
lavoratori. “Vittime: sparisce lo scuolabus, 1.600 bambini appiedati” e ancora
“Vittime: 150 non vedenti abbandonati in stazione” titolerà Il Giornale,
“Tireremo loro addosso tutto quello che abbiamo. Dall’arsenale giuridico a
quello disciplinare” diranno il sindaco Albertini e il suo vice De Corato mentre
la Camera di Commercio di Milano denuncia danni per 140 milioni di euro e si
minacciano inchieste per interruzione di pubblico servizio che dovrebbero punire
i “capi della rivolta” con pene che vanno dai 3 ai 5 anni.
La criminalizzazione a mezzo stampa, all’indomani dello sciopero, non ha
risparmiato nemmeno i confederali, accusati, se non proprio di aver diretto la
mobilitazione quantomeno di non aver fatto nulla per impedirla. Soltanto la
convinta dissociazione, senza se e senza ma, dei leaders confederali dalle forme
dello sciopero e l’accusa di corporativismo lanciata ai tranvieri più
combattivi, ha preservato la triplice da ulteriori attacchi anche se al prezzo
dell’ammissione ufficiale di una crisi di rappresentanza nella quale versano.
Visto il livello di mobilitazione, la Prefettura dispone la precettazione, per
martedì 2 dicembre, di tutti gli autisti dell’ATM che intanto valuta su quali
possano essere le sanzioni da applicare ai lavoratori che hanno scioperato.
Viene fissata una nuova giornata di sciopero per il 15 dicembre.
Un gruppo di leghisti si presenta sotto la Camera del Lavoro di Milano con uno
striscione contro i sindacati.
Il Presidente della regione Lombardia, Formigoni, ribadisce la volontà di aprire
ai contratti regionali anche per i trasporti.
Il 4 dicembre, al tavolo di discussione nazionale apertosi a Roma fra sindacati,
Asstra, Anav (l’associazione che rappresenta le imprese private di categoria) e
governo, Enrico Mingardi, presidente dell’ASSTRA, non può fare altro che
ribadire la vecchia proposta, già rifiutata dai sindacati e dai lavoratori della
categoria, di 400 euro come una tantum per il biennio 2002-2003 e 15 euro in
busta paga in più al mese, richiedendo un coinvolgimento da parte dello Stato e
delle Regioni. Il segretario generale della FIT-CISL lombarda, Dario Ballotta,
si dice possibilista, almeno per quanto riguarda l’ATM, riguardo alla
possibilità di “pre-contratti” regionali. La Commissione di Bilancio da il via
libera all’emendamento del governo che destina 33 milioni di euro al settore, 20
per il potenziamento del trasporto pubblico e 13 destinati per “il conseguimento
di risultati di maggiore efficienza e produttività” ossia ai contratti. Il
finanziamento non arriva a coprire nemmeno il 10% di quanto serve a chiudere la
vertenza contrattuale che ammonta a più di 500 milioni di euro. Comincia a farsi
strada la proposta di un emendamento alla finanziaria, sottoscritto da
maggioranza e opposizione, che si propone di rastrellare 650 milioni di euro
aumentando di 3 centesimi l’accise sulla benzina, destinando un terzo al ripiano
della gestione dei servizi, un terzo al rinnovo dei mezzi e un terzo
direttamente ai Comuni per il miglioramento della mobilità che però trova una
prima opposizione da parte del ministro dell’economia Tremonti secondo il quale
tale provvedimento è di competenza delle Regioni.
Intervenendo alla Camera, il ministro del Welfare, Maroni, insieme al
sottosegretario, Luigi Sacconi, e alla Commissione di Garanzia, stanno valutando
come cambiare la legge sugli scioperi al fine di renderla più efficace per
quanto riguarda la prevenzione degli scioperi, anche mediante il l’obbligo del
referendum consultivo all’atto della proclamazione dello sciopero teso ad
“impedire che una minoranza tenga in scacco la maggioranza dei lavoratori”, e la
certezza dell’applicazione delle sanzioni.
Il 15 dicembre è confermato lo sciopero nazionale di 24 ore per tutta la
categoria e l’esempio dei lavoratori di Milano viene ripreso questa volta in
altre città.
A Brescia hanno bloccato l’unico deposito con circa 320 lavoratori e autisti.
All’inizio dei picchetti si è registrata la presenza di digos e dirigenti per
convincere i lavoratori a iniziare il lavoro. Ma i lavoratori compatti hanno
impedito l’uscita dei mezzi. Stesse iniziative si sono ripetute in altre città
come a Cosenza, a Crotone e a Castrovillari, con assemblee spontanee dei
lavoratori.
A Torino sono intervenuti i carabinieri per fare uscire i mezzi ma solo un
centinaio ha viaggiato. A Milano e Genova i lavoratori sono stati precettati. A
Napoli blocchi dalle prime ore del mattino con la solidarietà di altri
lavoratori sia precari che disoccupati.
Il 17 dicembre, la conferenza Stato-Regioni-autonomie locali riunita sul tema
del finanziamento del trasporto pubblico locale, si arena sulla questione di chi
abbia la titolarità di aumentare l’accisa sulla benzina, se lo Stato o le
Regioni. Nonostante il ministro Tremonti avesse reso disponibile un aumento
della capacità impositiva alle Regioni fino a 5 centesimi rispetto ai precedenti
2,58, Regioni ed enti locali considerano impraticabile questa strada che avrebbe
tempi attuativi troppo lunghi.
Scioperano i dipendenti dell’Alitalia. La partecipazione alla mobilitazione di
circa 2000 dipendenti usciti dai reparti, dagli uffici, dall’area di pista e
dallo scalo ha costretto la compagnia aerea a cancellare 80 voli in partenza, 56
sulle tratte nazionali e 24 su quelle internazionali. Lo sciopero giunge
nonostante la Commissione di Garanzia lo avesse differito al 19 gennaio. Un
lungo corteo si è snodato dall’area tecnica dell’Alitalia fino alle
aerostazioni, bloccando tutte le vie e le rampe di accesso allo scalo provocando
interminabili code sulla Roma-Fiumicino. La Commissione di Garanzia ha inoltre
comunicato che per le malattie, giudicate false, con cui gli assistenti di volo
durante l’estate scorsa hanno bloccato il traffico aereo per alcuni giorni, 167
dipendenti saranno sospesi per un periodo da 1 a 10 giorni. Il sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, e il Ministro dei Trasporti, Pietro
Lunardi, minacciano di far saltare l’incontro del 29 dicembre nel quale si
prenderà in esame una moratoria sugli esuberi previsti in Alitalia.
Il giorno successivo giunge l’apertura da parte del Governo circa l’impegno di
varare al più presto un provvedimento unico nazionale che aumenterà l’accisa
sulla benzina.
Il 19 dicembre si attuano diversi scioperi non precedentemente proclamati, fra
cui il più significativo è quello di Genova dove per buona parte della giornata
non vengono fatti circolare mezzi. Giovani studenti e attivisti dei centri
sociali vanno in corteo al deposito e occupano pacificamente i depositi.
Sabato 20, giunge da Roma la notizia di un accordo nazionale firmato dai
confederali che prevede 81 euro lordi al mese al posto dei 106 e l’una tantum di
970 euro al posto dei quasi 3.000. Fin dalla mattina si susseguono astensioni
dal lavoro, blocchi e rallentamenti a Milano, Varese, Brescia, Bergamo, Como,
Savona, Imperia, Venezia, Napoli, Roma e in altre città. La protesta esplode in
tutta Italia e così anche domenica. Agitazioni illegali, diranno i media, perché
queste giornate rompono la tregua natalizia e la legge 146/90 che prevede che
tra uno sciopero e l’altro debbano intercorrere 10 giorni. In molte città
scattano le precettazioni fino al 24. La Procura di Milano apre una nuova
inchiesta per interruzione di pubblico servizio e la Lega Nord, attraverso una
mozione urgente, chiede al sindaco Albertini di licenziare gli organizzatori
dello sciopero. Si ritorna a parlare di revisione alla legge 146. Sacconi chiede
il referendum consultivo prima di proclamare lo sciopero e la dichiarazione
preventiva obbligatoria di adesione da parte del lavoratore. Televisioni e
giornali elencano reati, varie tipologie di sanzioni e pene detentive a carico
degli autoferrotranvieri in lotta.
Lunedì 22, nonostante le precettazioni, continuano gli scioperi a Genova,
Milano, Venezia, Trento, Rovereto, Sassari, Olbia, Modena, Bologna, Firenze,
Siena, Reggio Calabria. A Milano, Bologna e a Padova, ma anche in altre città,
viene mandata la celere per rimuovere eventuali picchetti davanti ai depositi.
Molti mezzi pubblici circolano con la scritta “lavoro perché precettato”. A
Napoli vengono danneggiate alcune obliteratrici. Il sindaco di Milano, Albertini,
di dice pronto ad un accordo integrativo locale, gli risponde Sacconi
sottolineando che le aziende che dovessero procedere ad accordi integrativi
“dovrebbero essere penalizzate nei trasferimenti di risorse per la copertura
dell’accordo appena raggiunto. Nessuno dei sindacati firmatari di quest’ultimo
potrà chiedere accordi perché in aperta violazione del protocollo 1993 sul
modello contrattuale”. Sacconi fa inoltre appello ai prefetti affinché “le forze
dell’ordine rimuovano i picchetti poco rappresentativi di frange marginali per
lo più esterne all’azienda”.
L’indomani la stampa ufficiale giustificherà l’ausilio della polizia davanti ai
depositi sostenendo che in alcuni depositi si fossero verificati incidenti fra
dipendenti che volevano prendere servizio e militanti dei centri sociali. Si
nota un cambiamento di approccio dei media sulla questione della vertenza degli
autoferrotranvieri. Di fronte alle non poche manifestazioni di solidarietà alla
lotta, il tentativo di contrapporre i lavoratori in sciopero con gli utenti cede
il posto ad interventi mirati inerenti alla repressione dei conflitti. A tal
riguardo, trovano ampio spazio gli interventi che mirano a cambiare
ulteriormente la legge 146 mentre, al fianco dell’ultima nuova inchiesta aperta
per interruzione di pubblico servizio, proliferano specchietti e riquadri che
riportano minuziosamente i rischi economici e penali di chi ha scioperato: un
semplice “ammutinato” rischia dai 15 giorni a un anno di carcere, un “capo della
rivolta”, fino a cinque anni di reclusione. Per quanto riguarda i picchetti si
configura anche il reato di violenza privata. Intanto il Coordinamento Nazionale
di Lotta Autoferrotranvieri, che riunisce alcune sigle del sindacalismo di base
(Sult-Tpl, Sin-Cobas, Fltu-Cub, Slai-Cobas, Rdb-cub Trasporti, Confed. Cobas,
Autorganizzati), indice uno sciopero di 24 ore a carattere nazionale per il 9
gennaio contro l’accordo siglato il 20 dicembre.
L’8 gennaio, vigilia dello sciopero, il prefetto di Milano, Bruno Ferrante, dà
per raggiunta un intesa di massima con ATM e sindacati. Questa prevede 250 euro
pagati subito come premio di produzione per il 2003 e 300 euro corrisposti a
febbraio come anticipo sul premio del 2004. Se si distribuiscono questi 300 euro
su 13 mensilità si ottengono giusto i 25 euro di scarto fra i 106 promessi e gli
81 ottenuti con l’accordo del 20 dicembre. L’ATM però chiede come contropartita
di rivedere “tempi e modi di lavoro”; in altre parole pretende più ore di lavoro
e meno pause in cambio dell’anticipo del premio di risultato.
Lo stesso giorno scioperano per 8 ore a livello nazionale i controllori di volo,
gli uomini radar”, per il recupero dello scarto fra inflazione reale e quella
programmata per i bienni 2000-2001 e 2002-2003 senza dover cedere in cambio
aumenti delle prestazioni lavorative. Precettazioni anche a Venezia.
Larga è l’adesione allo sciopero del 9 gennaio che avviene nel rispetto delle
fasce di garanzia.
Il 12 e il 13 gennaio, nonostante le precettazioni, sono giornate di scioperi
“selvaggi” a Milano, Brescia e a Bergamo. L’ATM ha fatto sapere che il 25% dei
conducenti si è dato malato. A mezzogiorno, presso la Camera del lavoro di
Milano, comincia una riunione unitaria dei rappresentanti sindacali in
preparazione dell’incontro delle 15 con il prefetto. Il Coordinamento nazionale
di lotta degli autoferrotranvieri indice per il 26 gennaio uno sciopero
nazionale di 24 ore per la categoria.
Il 14 gennaio si ferma anche Pavia e lo stesso tentano di fare anche gli
autoferrotranvieri di Bologna ma il Prefetto ordina le precettazioni e dopo due
ore la situazione si normalizza. Gli autisti circolano con cartelli del tipo
“precettato ma non domato”. Intanto viene siglata l’intesa locale fra Comune di
Milano, ATM e sindacati confederali. L’accordo è quello stesso dell’8 gennaio ma
dei 25 euro mensili, ai lavoratori con contratto di formazione, ne vengono dati
soltanto la metà e si prevede una riduzione delle pause causate dall’aumento dei
“cambi linea” che potranno arrivare fino a quattro. “Si tratta di un accordo che
non ha nulla a che vedere con il contratto nazionale e che, in sostanza, si
caratterizza come uno scambio tra efficienza e della produttività del lavoro a
fronte di un aumento delle retribuzioni”, dirà il sindaco Albertini. Gli ribatte
un delegato dello Slai Cobas, “i soldi che ci hanno dato erano già nostri e
comunque si chiede lavoro in più, al personale viaggiante, agli operai della
manutenzione, agli impiegati dell’amministrazione. La sosta per il recupero
psicofisico si userà per andare da un posto all’altro. Rigettiamo questo accordo
completamente e ai lavoratori chiediamo di bocciarlo insieme all’accordo
nazionale”.
Vengono notificate a Genova le prime contestazioni per lo sciopero spontaneo del
22 dicembre: 1.050 multe da 250 euro. Tutti i dipendenti non autisti, i
controllori, gli impiegati, gli operai della manutenzione hanno devoluto una
giornata di stipendio ai colleghi colpiti dai provvedimenti disciplinari.
Sempre il 14, un migliaio di dipendenti dell’Alitalia di Roma, le “tute verdi”
della direzione tecnica di Fiumicino, hanno organizzato un’assemblea nella
mattinata e si sono spostati in corteo verso i tre terminal dell’aeroporto. La
protesta non si è fermata e, nel pomeriggio, si è trasferita davanti al
Ministero delle Infrastrutture, dove si svolgeva il primo incontro fra governo e
sindacati sulla questione dei 2.700 esuberi previsti nel settore.
Nella seduta del 16 gennaio, la Commissione di Garanzia ha deciso di aprire una
procedura di valutazione sulle astensioni collettive del 12 e del 13 a Milano.
Nuova agitazione invece a Roma per quanto riguarda il trasporto aereo che ha
causato ritardi di alcune ore nei voli. Il personale di AdR Handling, società di
servizi ai passeggeri controllata da Aeroporti di Roma, società privatizzata nel
2000, ha cominciato alle 8 del mattino una agitazione spontanea bloccando
l’imbarco dei bagagli su un volo Neos diretto a Capoverde.
Il 17 gennaio, una sentenza della Commissione di Garanzia dichiara illegale lo
sciopero indetto dal coordinamento di lotta previsto per il 26 gennaio, la
proclamazione dello sciopero sarebbe stata formulata prima dello scadere del
termine previsto per le procedure di raffreddamento. Martedì 20 i delegati del
Coordinamento saranno al Ministero del Lavoro per discutere sulla questione.
Un’eventuale slittamento della data dello sciopero oltre il 31 gennaio farebbe
molto comodo ai sindacati poiché, proprio in quella data, scadrebbe il termine
della “riserva” con cui i confederali hanno firmato il contestato accordo
economico del 20 dicembre ed essi potrebbero considerare inutile uno sciopero
successivo.
Il 18 gennaio, un delegato dello Slai Cobas di Milano denuncia di avere ricevuto
telefonicamente minacce di morte.
Il 19 gennaio scioperano nuovamente i dipendenti dell’Alitalia, 364 i voli
cancellati. Circa 500 dipendenti della compagnia di bandiera hanno partecipando
a un sit-in a Roma, davanti al ministero del Tesoro dove sono giunti anche gli
agenti delle forze dell’ordine.
Nell’ambito dell’incontro previsto al Ministero del Lavoro, il 20 gennaio, il
Coordinamento di lotta degli autoferrotranvieri decide di posticipare lo
sciopero al 30 gennaio.
Il 24 gennaio scioperano i tassisti per protestare contro le 270 nuove licenze
decise il 23 gennaio.Lo Slai Cobas di Milano, durante l’incontro svoltosi a Roma
nella sede delle Commissione di Garanzia, ha deciso di rimandare, per quanto
riguarda Milano, a data da definirsi lo sciopero nazionale degli
autoferrotranvieri previsto per il 30 gennaio a causa della concomitanza con lo
sciopero dei tassisti milanesi previsto per la stessa data. L’Atm ha diffuso un
comunicato della stessa Commissione di Garanzia, in cui si “prende atto del
senso di responsabilità manifestato dalle organizzazioni sindacali del trasporto
locale che, preso atto della concomitanza delle due agitazioni, hanno accolto
l’invito a differire per la città di Milano lo sciopero ad altra data che verrà
stabilita dalle assemblee dei lavoratori”.
Lunedì 26 gennaio è ancora la volta dei tassisti milanesi. Un corteo di 300 auto
che è partito alle 13 in direzione della Stazione Centrale per poi dirigersi in
Prefettura e infine a Linate. Si preannuncia un’altra giornata di sciopero per
l’indomani per arrivare allo sciopero autorizzato previsto per il 30. Per lo
sciopero del 24 la “categoria unita” dei tassisti che aveva proclamato lo
sciopero è stata multata dalla Commissione di Garanzia di 5.000 euro.
A Roma, nel tardo pomeriggio di giovedì 29, i sindacati confederali hanno
raggiunto un accordo con Atac, Met.Ro. e Trambus, le tre società del trasporto
pubblico romano. Entro il prossimo marzo i 13.500 dipendenti troveranno in busta
paga 306 euro lordi, sotto forma di anticipo. Dal 1° gennaio del 2005 ci sarà un
aumento di 20 euro per 12 mesi, per tutti i lavoratori, che arriverà a 34 euro
per i nuovi assunti, quelli entrati nelle aziende dopo il 2000.
Il 30 gennaio, fatta eccezione per Milano, nelle altre città italiane vi è una
larga adesione allo sciopero nazionale proclamato dal coordinamento nazionale di
lotta che avviene nel rispetto delle fasce di garanzia previste dalla legge
antisciopero.
Sull’accordo del 20 dicembre
Dopo due giorni di discussione, la firma all’accordo sulla vertenza degli
autoferrotranvieri arriva nel salotto del vice-ministro del Lavoro, Maurizio
Sacconi, in un incontro informale al quale hanno partecipato il sottosegretario
alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, e i segretari di CGIL, CISL e UIL.
Il governo si è impegnato a coprire la gran parte del costo del contratto
aumentando l’accisa sulla benzina (l’importo del prelievo è ancora da definire)
mentre le Regioni e gli enti locali si impegnano a coprire una parte dell’una
tantum (170 euro) con risorse da reperire dai contratti di servizio o di
concessione con le aziende.
L’accordo prevede 970 euro per gli arretrati erogati come una tantum in tre
trance di 323,33 euro a febbraio, maggio e settembre 2004. 81 euro in media di
aumento in busta paga a partire da febbraio 2004. L’accordo precede inoltre la
rivalutazione del lavoro straordinario e festivo e delle indennità di trasferta
e di diaria ridotta.
Note sulla legge 146/90
E sulle ultime (per ora) modifiche apportate il 5 aprile 2000
Prima di entrare nel merito delle ultime modifiche
apportate alla legge 146 del 1990, diamo una rapida occhiata a come è nata la
famigerata “legge antisciopero”. A tal proposito riportiamo di seguito uno
stralcio di un testo tratto da un sito internet della CGIL che può aiutarci a
comprendere non solo i timori e il clima in cui tale legge è maturata ma anche
ad individuarne, oggi come allora, tra i suoi più fervidi sostenitori, le
componenti sindacali e politiche della sinistra ufficiale.
Ci potranno altresì informare sull’origine storica di tutta quella nauseante
retorica centrata su un fantomatico “interesse generale” che proprio in questi
giorni ritroviamo nelle parole pronunciate dal presidente della Commissione di
Garanzia, Antonio Martone, circa la necessità oggettiva di sanzionare gli
autoferrotranvieri, colpevoli, a suo dire, di aver negato gli altrui diritti.
“La legge 146 è rimasta in vigore per dieci anni (la sua pubblicazione in
Gazzetta ufficiale è del 29 giugno del ‘90) e, nella considerazione di quanti ne
hanno esaminato gli effetti, ha operato nel complesso abbastanza bene
contribuendo non solo ad una riduzione dei conflitti, ma anche all’affermazione
di relazioni sindacali e di una cultura della contrattazione più avanzata e
moderna. […]
Una data storica che segna il passaggio ad una fase politica nuova in cui il
diritto di sciopero – sancito dalla Costituzione oltre quarant’anni prima – deve
potersi esercitare conciliandosi con il godimento di altri diritti tutelati
dalla carta costituzionale, in particolare con i diritti della persona alla
vita, alla salute alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione,
all’assistenza ed alla previdenza sociale all’istruzione ed alla libertà di
comunicazione. Un obiettivo perseguito dalla forze politiche, l’allora Pci, la
Dc, Psi e Sinistra indipendente, e dalle confederazioni sindacali che la legge,
intervenuta dopo oltre cinque anni di dibattito acceso ed un iter piuttosto
travagliato, sembra, in un primo momento, aver centrato.
Rispetto ai cosiddetti punti deboli
della 146/90.
1) La legge si concentrava sul diritto di sciopero e non sulla
prevenzione o sulle forme di risoluzione dei conflitti alternative allo
sciopero. Si è dimostrata pertanto incapace di incidere sulla
microconflittualità fortemente presente in alcuni settori ed alimentata dalla
frammentazione sindacale, soprattutto su base professionale;
2) non ha impedito pratiche sleali e dannose come la proclamazione di scioperi
poi revocati all’ultimo momento dopo l’informazione alla platea degli utenti e
dunque sfruttando l’effetto ‘annuncio’;
3) era priva di un apparato sanzionatorio equilibrato ed efficace perché: non
prevedeva nulla sugli eventuali comportamenti sleali da parte delle
amministrazioni o delle imprese erogatrici dei servizi; alle sanzioni economiche
previste a carico dei sindacati o dei lavoratori potevano agevolmente sottrarsi
le sigle più piccole e meno consistenti; affidava l’applicazione delle sanzioni
allo stesso datore di lavoro con la conseguenza che spesso era convenienza
dell’impresa, soprattutto se a distanza di tempo dai fatti, non comminare le
sanzioni previste per non ingenerare nuovi motivi di conflitto.
4) non considerava, ai fini delle ricadute su altri diritti costituzionalmente
previsti e garantiti, le forme di protesta collettiva di lavoratori autonomi, di
professionisti o di piccoli imprenditori che non sono sciopero in senso tecnico,
pur tuttavia possono compromettere in maniera grave il funzionamento di
importanti servizi di pubblica utilità. Un problema, questo sul quale erano
stati frequenti i richiami della Corte Costituzionale.
5) Pur essendo i destinatari finali delle regole di contemperamento tra diritto
di sciopero e altri diritti, la legge 146 non assegnava agli utenti un ruolo
adeguato al compito che essi svolgono attraverso le loro associazioni.
Infine, circa l’origine storica della
legge e sulla sua necessità.
Nei fatti il Parlamento aveva preferito lasciare al Sindacato il compito
di individuare soluzioni praticabili di equilibrio nella gestione dei conflitti
sociali sulle quali poter registrare il consenso dei lavoratori.
Del resto, il Sindacato confederale ha sempre assunto un vincolo ‘etico’ nelle
manifestazioni degli interessi e delle volontà dei lavoratori: quello di
perseguire gli obiettivi con forme di lotta ‘giuste’ capaci, cioè, di
salvaguardare gli interessi collettivi dei cittadini.
Dalla metà degli anni ’80 si registra invece un fiorire di proposte di legge
tese a regolamentare il diritto di sciopero e non a caso: la questione s’impone
all’attenzione della pubblica opinione e viene costantemente richiamata nel
dibattito fra le forze sociali e politiche a causa di quelli che vengono
definiti ‘scioperi selvaggi’ condotti in quella fase nel nostro Paese da
strutture sindacali e non che, fuori da ogni vincolo etico, indicono
l’astensione dal lavoro col chiaro intento di creare forti disagi, o, nei casi
più gravi, l’interruzione del servizio.
Ricordiamo, ad esempio, i casi dei marittimi dei traghetti per la Sardegna che
incrociarono spesso le braccia, a partire dagli anni ’70, in coincidenza con il
grande esodo estivo; e ancora quello emblematico di ‘Aquila selvaggia’, dei
piloti cioè dell’Alitalia che scatenarono, nel ’77, la rivolta degli utenti dei
voli Roma-Milano.
A rendere meno timide le prime indicazioni di una regolamentazione dello
sciopero nei servizi di pubblica utilità furono, in quel periodo, anche le
agitazioni delle strutture di base degli aeroportuali di Roma, quello dei Cobas
della scuola, dei macchinisti e del personale delle Ferrovie dello Stato.
Fermate del lavoro, queste ultime, promosse da strutture non sindacali e
comunque da parti sociali non soggetti della contrattazione collettiva. Fu in
questo contesto che nacque quel delicato processo che ha dato vita alle regole
contenute nella legge 146 ed ai successivi accordi applicativi”.
La legge n. 83 dell’11 aprile 2000
introduce le seguenti modifiche alla legge 146/90.
1. Estensione delle regole della 146/90 anche ai lavoratori autonomi, ai
professionisti e ai piccoli imprenditori che operino in settori che rientrano
nell’ambito di intervento della legge 146, la cui astensione incida sul
funzionamento dei servizi pubblici (autotrasportatori, tassisti, avvocati ecc.).
L’astensione dalle prestazioni per queste categorie é regolata con un
meccanismo di autoregolamentazione stabilita dalle organizzazioni di
appartenenza e valutata dalla Commissione di garanzia.
2. Sono previste misure per attenuare l’impatto delle vertenze sugli utenti.
Vengono introdotte nei contratti collettivi nazionali di lavoro procedure di
raffreddamento e di conciliazione da attuare prima della proclamazione dello
sciopero. In caso di vertenza si può proclamare lo sciopero solo dopo aver
tentato una conciliazione fra le parti. Anziché utilizzare le procedure previste
dai contratti, le parti possono chiedere di svolgere il tentativo preventivo di
conciliazione presso la Prefettura o il Comune, se lo sciopero ha rilievo
locale; presso la competente struttura del Ministero del Lavoro, se lo sciopero
ha rilievo nazionale.
La legge prevede inoltre un intervallo minimo (da definire successivamente negli
accordi applicativi) fra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del
successivo per servizi che incidano sullo stesso settore o sullo stesso bacino
di utenza, norma che in termini tecnici si chiama ‘’rarefazione oggettiva’’.
3. L’obbligo dei soggetti che proclamano lo sciopero di comunicare per iscritto,
nei termini di preavviso (10 giorni), alle amministrazioni o imprese che erogano
il servizio e all’apposito ufficio costituito presso la Presidenza del Consiglio
o la Prefettura, la durata e le modalità nonché le motivazioni dell’astensione
collettiva dal lavoro.
4. Si amplia inoltre il campo su cui intervengono le sanzioni. Viene introdotta
ad esempio una norma che blocca il cosiddetto ‘’effetto annuncio’’, cioè la
revoca dello sciopero all’ultimo momento. Secondo le nuove regole, la revoca
spontanea di uno sciopero, senza che ci sia stato un accordo, viene punita al
pari di uno sciopero illegale. Si prevede anche la possibilità delle
associazioni di utenti di agire in giudizio nei confronti delle organizzazioni
sindacali che revochino lo sciopero spontaneamente dopo la comunicazione
all’utenza della proclamazione.
5. Le sanzioni sono state trasformate in sanzioni pecuniarie tra i 2.500 e i
25.000 euro. In questo modo si possono colpire anche organizzazioni sindacali
che non hanno trattenute proprie.
6. La commissione potrà deliberare che la partecipazione di certi lavoratori a
un certo sciopero non é stata legittima ma, a questo punto, non li punisce
direttamente bensì affida all’impresa il compito di applicare il codice
disciplinare. Anche la 146 (comma 1 art 4) prevedeva già la punibilità (secondo
le norme disciplinari contenute nei contratti) per quei lavoratori che, ad
esempio, partecipassero ad uno sciopero senza preavviso o che si rifiutassero di
prestare lavoro pur comandati dall’azienda per i servizi essenziali. Ma
l’applicazione delle norme disciplinari era affidata al rapporto tra datore di
lavoro e lavoratore e spesso non attuata dall’azienda per timore di
un’esasperazione della conflittualità interna.
7. Sono state introdotte modifiche che rendono certo il potere sanzionatorio
della Commissione di garanzia. La questione più rilevante, su cui c’é stata
un’ampia discussione, era infatti la debolezza del potere sanzionatorio da parte
della Commissione che poteva anche stabilire sanzioni, in caso di violazione
della 146/90, ma non poteva intervenire sull’azienda nel caso, diventato quasi
una norma, di mancata applicazione. Vengono quindi introdotte multe anche per i
dirigenti di azienda che non applichino le sanzioni previste dalla 146. La legge
ha anche stabilito come si fa la procedura: la Commissione apre un procedimento,
sente le parti, decide entro trenta giorni e poi rende obbligatorio per i datori
di lavoro pagare. I soldi vanno in un apposito fondo INPS.
8. Contro le sanzioni che la Commissione delibera si ricorre al giudice del
lavoro.
9. La nuova legge prevede in modo esplicito che se le organizzazioni sindacali e
le organizzazioni dei datori di lavoro di un certo settore non fanno l’accordo
sulle prestazioni indispensabili (in mancanza di autoregolamentazione nel caso
dei lavoratori autonomi) la Commissione può ricorrere alla ‘’regolamentazione
provvisoria’’. Attraverso una delibera stabilisce che, in caso di sciopero,
devono essere garantiti certi servizi, certi periodi ecc.
Nella 146/90 questa delibera era incondizionata mentre ora vengono stabiliti
alcuni limiti entro i quali la Commissione deve operare: salvo casi particolari
la regolamentazione provvisoria non deve prevedere servizi superiori al 50% del
servizio normale e non coinvolgere più di un terzo dei lavoratori di quel
settore o di quella azienda. Anche nella valutazione di un accordo fra le parti,
la Commissione deve seguire gli stessi criteri: condizioni di sicurezza,
affidabilità, 50% dei servizi ecc.
Queste disposizioni - che in ogni caso determinano i limiti che la Commissione
di garanzia non deve superare - non sono immediatamente operative: riguardano
soltanto il caso in cui la Commissione deliberi - in carenza o a seguito di
valutazione di inidoneità dei codici di autoregolamentazione - l’adozione della
provvisoria regolamentazione. Pertanto nessun altro soggetto è legittimato a
disporre una regolamentazione delle prestazioni indispensabili o a determinare
contingenti di personale in relazione alle iniziative di sciopero in atto.
10. La commissione può, per vertenze di particolare rilievo, convocare le parti
e, se valuta che ci possano essere le condizioni per un ulteriore tentativo di
mediazione, imporre alle parti di differire l’azione di lotta e riprendere la
trattativa. La commissione può, nel caso di scioperi ‘’in concomitanza’’ che
incidono cioè sullo stesso bacino di utenza, intervenire per spostare le
iniziative di lotta.
11. Riforma della precettazione: Governo, o Prefetto o Presidente della Regione,
a seconda dei diversi livelli territoriali, una volta individuato uno sciopero
ritenuto pericoloso per l’ordine pubblico, devono chiamare le parti e invitarle
a un tentativo di mediazione. Solo se il tentativo non riesce, possono allora
decidere di precettare o differire lo sciopero ad altra data.
Le proposte di ulteriori modifiche da apportare alla 146/90 si possono leggere
nella relazione annuale sull’attività della Commissione di Garanzia presentata
al Parlamento dal Presidente della suddetta commissione, Antonio Martone, il 13
febbraio 2004.
La relazione denuncia una forte conflittualità nel mondo del lavoro. Il primato
spetta al trasporto urbano locale con 621 scioperi e iniziative di
mobilitazione, seguita dal trasporto ferroviario con 340 e quello aereo con 329
casi esaminati.
Le proposte di modifica riguardano:
1. E’ convinzione della Commissione che la tempestiva ed effettiva applicazione
delle sanzioni, più che la loro entità, consenta alle medesime di svolgere una
efficace funzione dissuasiva. E, soprattutto, le aziende e la pubblica
amministrazione devono superare la loro ‘’ritrosia’’ nell’applicazione delle
sanzioni previste dalla legge.
2. La sanzione deve essere comminata dai Prefetti e le imprese dovranno fornire
gli elenchi dei nominativi. Il prelievo, infine, dovrà essere direttamente sul
salario per evitare un meccanismo di recupero forzoso. In più l’effettività
delle sanzioni verso i singoli non può essere garantita dalle aziende, che
finiscono per erogare queste sanzioni quando non hanno più alcun interesse,
ovvero quando hanno già siglato l’accordo.
3. L’introduzione, in via sperimentale in settori “tecnicamente sofisticati”
come il trasporto aereo, dello sciopero virtuale, forma di protesta da tempo
caldeggiata anche dai segretari della CISL e della UIL, Pezzotta e Angeletti.
Questo prevederebbe la dichiarazione di sciopero senza l’astensione dal lavoro,
con trattenuta della retribuzione in capo agli scioperanti e con il pagamento a
favore di un istituto di beneficienza.
4. L’introduzione del referendum preventivo.
5. L’obbligo della comunicazione preventiva dell’intenzione di aderire allo
sciopero da parte dei singoli, “permettendo all’azienda di programmare
l’erogazione di un minimo di servizi”.
6. La possibilità di indire lo sciopero soltanto da parte dei sindacati che
hanno maggiori consensi nelle elezioni aziendali.
[http://www.cgil.it/ufficiostampa/LAVORO/sciopero_approfondimento.htm]