SENZA CENSURA N.13

FEBBRAIO 2004

 

Europa emergente ed emergenza europea

 

“Noi abbiamo dichiarato nel modo più chiaro possibile proprio l’opposto: non la socialdemocrazia e le sue tendenze, bensì l’agitazione pericolosa per la pace deve ricadere sotto la legge” (Eduard Lasker, deputato nazionalliberale, durante la sessione di discussione delle leggi antisocialiste al Reichstag)

Il 19 ottobre 1878 il Reichstag approva con 221 voti a favore e 149 contro la “legge contro i socialisti” voluta dal cancelliere Bismarck (1). Al dunque della votazione i deputati nazionalliberali e progressisti, malgrado durante il dibattito parlamentare avessero sostenuto l’opportunità di evitare l’emanazione di leggi speciali ritenendo sufficiente ad arginare il pericolo socialista un’oculata applicazione del “diritto comune”, adottano la politica degli junker contro l’ascesa del movimento proletario: il bastone (leggi eccezionali contro gli organismi del movimento socialista) e la carota (la cosiddetta legislazione sociale di Bismarck o “socialismo di stato”).
In realtà la vicenda da un lato costituisce l’epilogo della prima grande operazione di repressione del movimento proletario europeo su scala continentale seguita alla sconfitta della Comune di Parigi - e concretizzatasi nell’emanazione nei diversi stati europeo-continentali di provvedimenti per perseguire gli organismi e gli aderenti alla prima internazionale (AIL) - dall’altro lato anticipa la “strutturazione permanente”, all’interno di questi stessi Stati, di meccanismi repressivi e di controrivoluzione preventiva specularmente miranti a controllare ed “addomesticare” le espressioni soggettive dell’antagonista storico della nuova classe sociale al potere: il proletariato.
Il terrore bianco instaurato da Bismarck al grido “Via la socialdemocrazia dal Reichstag!” prevedeva diverse misure repressive e in particolare:

1) il divieto di associazioni, riunioni, stampati “che servano ai tentativi socialdemocratici, socialisti o comunisti, diretti a minare l’ordinamento esistente dello Stato e della società in modo pericoloso per la pace pubblica e in particolare per la concordia delle classi della popolazione” (la cosiddetta legge-museruola che autorizzava le polizie regionali del Reich ad emanare provvedimenti di scioglimento di associazioni, divieti di riunione, di soggiorno, di pubblicazione di stampati e perfino di revocare licenze di esercizi commerciali ai “sospetti”);

2) l’introduzione del cosiddetto Piccolo Stato d’Assedio in base al quale il Governo centrale poteva vietare in interi distretti e/o località ogni libertà di riunione, manifestazione, circolazione e soggiorno a persone “pericolose” per l’ordine e la sicurezza pubblica e/o già condannate in base alla medesima legge.
L’entrata in vigore delle leggi antisocialiste, prorogate fino al 1890, comportò l’immediata chiusura di tutti i giornali dell’SPD in Germania (su 47 testate esistenti ne sopravvissero solo 2 che, prima che la legge entrasse in vigore, avevano cambiato nome e contenuto) e la chiusura di quasi tutte le tipografie legate al movimento socialista; già nel novembre 1878 fu decretato il primo Piccolo Stato d’Assedio a Berlino (ben 67 militanti furono espulsi dalla città); poco più di un anno dopo stessa sorte subì il distretto di Amburgo-Altona…
Il movimento socialista, costretto a riorganizzarsi in clandestinità e all’estero, tenne testa alla feroce ondata repressiva e, grazie alla propria disciplina ed organizzazione, riuscì ad operare per tutto questo periodo rafforzando la propria presenza ed influenza nel proletariato tedesco: memorabile è rimasta l’organizzazione della “posta rossa” che recapitava regolarmente ogni settimana dalla Svizzera l’illegale Sozialdemokrat a tutti gli abbonati, diffusori e lettori (2). Non molto diversamente andarono le cose, dopo la sanguinaria repressione della Comune di Parigi, negli altri paesi europeo-continentali. In Spagna, il Governo arrivò a sciogliere la Federazione Regionale Spagnola (FRE) dell’Internazionale, dichiarandola illegale e strumento di paesi stranieri. Esclusa la “parentesi” della I Repubblica (febbraio 1873 - gennaio 1874) e il periodo di relativa “tranquillità” seguito alla promulgazione, da parte del Governo Sagasta, di una legge di legalizzazione delle associazioni operaie - che permise una riorganizzazione “legale” del movimento socialista nella forma dei sindacati - il movimento socialista fu costretto ad agire in clandestinità fino quasi alla fine del secolo. In particolare, l’ultimo decennio del XIX secolo fu caratterizzato in Spagna da una serie di rivolte popolari e di azioni armate da parte degli organismi del movimento proletario: nel 1891 una bomba esplose nei locali del Fomento (l’Associazione degli industriali); nel 1892 le regioni dell’Andalusia furono scosse dalla rivolta di Jerez de la Frontera (oltre 4000 contadini armati si impossessarono delle municipalità e resistettero all’intervento dell’esercito); nel 1893 vi fu l’attentato al generale Martinez campos …
Il Governo di Canovas del Castillo reagì con la promulgazione di leggi eccezionali, nel 1894 e nel 1896, per la repressione del movimento anarchico e socialista. Tra le altre novità, queste leggi speciali prevedevano la costituzione di una nuova polizia politica (la cosiddetta Brigada social) mentre, nello stesso tempo, il Governo inaugurava, occultamente e in combutta con le organizzazioni dei latifondisti ed il Fomento, la stagione degli squadroni della morte (i cosiddetti pistoleros) per l’eliminazione fisica dei militanti di spicco del movimento proletario (3).
Anche la Francia, fra il 1892 e il 1894, vive un periodo di particolare recrudescenza della lotta di classe con numerosi attentati incendiari, esplosioni e omicidi eccellenti, primo fra tutti quello del Presidente della Repubblica Sadi Carnot, pugnalato a morte a Lione dall’anarchico italiano Sante Jeronimo Caserio il 24 giugno 1894.
Il 29 luglio dello stesso anno vengono promulgate quelle che passeranno alla storia come les lois scellerates (le leggi scellerate). Oltre a limitare la libertà di stampa e di libera manifestazione del pensiero (la propaganda anarchica ed in genere rivoluzionaria veniva vietata e prevista come reato perché ritenuta istigatrice di atti criminosi), queste leggi introducevano il reato d’association de malfatteurs (associazione a delinquere), allo specifico scopo di ricondurvi le associazioni rivoluzionare e/o semplici gruppi di attivisti, e attribuivano la giurisdizione su questi “delitti politici” a Tribunali militari.
In quegli stessi anni l’Italia è scossa dalla prima “tangentopoli” nazionale (il cosiddetto scandalo della Banca Romana - ex Banca Pontificia - del 1893, che vide coinvolti gli stessi Giolitti e il successivo Primo Ministro Crispi) e, soprattutto, da un’ondata crescente di lotte sociali che culminò nei moti per il pane del 1898 e il bombardamento del generale Bava Beccaris sui dimostranti di Milano (4): il primo gennaio 1894 veniva proclamato lo stato d’assedio in Sicilia ed erano conferiti pieni poteri al generale Morra di Lavriano per reprimere i moti dei Fasci dei Lavoratori (oltre 2000 arresti e giudizio di fronte a tribunali militari); il 16 gennaio dello stesso anno veniva proclamato lo stato d’assedio in Lunigiana ed erano conferiti pieni poteri al generale Heusch…


Come nel resto dei paesi europei, il 19 luglio 1894, su proposta del Primo Ministro Crispi, venivano promulgate tre “leggi contro la sovversione sociale”, passate alla storia come leggi antianarchiche. In particolare: la legge n. 314 sui materiali esplosivi (prevedeva pene severe per chi deteneva materiali esplosivi e/o incendiari e per chi usava tali materiali “al solo scopo di incutere pubblico timore”); la legge n. 315 sui reati a mezzo stampa (introduceva i reati di istigazione a delinquere e di apologia di reato commessi a mezzo stampa); la legge n. 316 sui provvedimenti eccezionali di pubblica sicurezza (estendeva l’applicazione del domicilio coatto, degli arresti preventivi e introduceva il divieto di riunioni “che abbiano per oggetto di sovvertire per vie di fatto gli ordinamenti sociali”). Propagandate dal Governo come leggi per reprimere il terrorismo dei “cospiratori” anarchici, queste leggi produssero due effetti immediati: la revisione nello stesso mese di luglio 1894 delle liste elettorali con un maggior controllo dei requisiti d’istruzione (provvedimento evidentemente mirato a restringere l’elettorato d’ispirazione socialista e radicale: ben 800.000 elettori furono cancellati dalle liste) e lo scioglimento del Partito socialista dei lavoratori (costituitosi appena due anni prima) e di tutte le società e circoli socialisti il successivo 22 ottobre.
In questo clima, il nuovo governo, diretto dal famigerato generale Pelloux, si fa promotore di un’iniziativa diplomatica per “concordare” su scala europea le misure repressive del movimento proletario.
Una Conferenza internazionale si riunì a Roma, Palazzo Corsini, dal 24 novembre al 21 dicembre 1898. Vi parteciparono, oltre all’Italia, la Germania, il Belgio, la Danimarca, la Francia, la Grecia, il Lussemburgo, il Montenegro, il Portogallo, l’Austria-Ungheria, la Russia, la Bulgaria e la Spagna. I lavori, svolti a porte chiuse, incontrarono un considerevole ostacolo nella differente interpretazione e definizione di “sovversione” adottata dai diversi Stati. Di fatto la Conferenza si concluse con un totale insuccesso: non venne stabilita nessuna misura repressiva comune e non si riuscì neanche a dare una definizione unanime e/o comune di “sovversione”.
Questo primo tentativo di strutturazione su scala continentale europea di meccanismi repressivi e di controrivoluzione preventiva omogenei e “comuni” per contenere e “addomesticare” l’ascesa del movimento proletario europeo naufragò di fronte all’acuirsi del conflitto interimperialista delle potenze borghesi dell’epoca (che sfociò in due massacri planetari) e, soprattutto, a causa delle prime affermazioni concrete e su scala allargata di esperienze rivoluzionarie che davano sbocco positivo allo slogan apparso sulle bandiere dei lavoratori ribelli di Lione nel 1831 (5): “Vivere travagliando o morire combattendo” (in particolare, l’esperienza sovietica e la rivoluzione iberica).
Dopo il periodo neobonapartista delle “dittature fasciste” - che pure vide l’affermarsi in taluni paesi (in particolare Italia, Germania e Spagna) di normative penali “speciali” nei confronti delle associazioni e delle lotte proletarie e che, di fatto, furono ereditate dai loro successivi ordinamenti “democratici” - è nel contesto del processo di costituzione del polo imperialista europeo succeduto al secondo conflitto interimperialista mondiale che si ripropose con forza, di fronte ad una nuova ascesa rivoluzionaria del movimento proletario in Europa, il tema di una strutturazione omogenea e “comune” di meccanismi repressivi e di controrivoluzione preventiva su scala continentale europea.
Fin dagli anni ’60 il problema della cooperazione nei settori della politica estera e della “sicurezza interna” costituiva un argomento costante in ambito comunitario. La stessa formalizzazione, a Parigi nel 1974, delle riunioni periodiche dei capi di Stato di Governo dei paesi aderenti alle comunità (il cosiddetto Consiglio Europeo), pur rappresentando l’istituzione di una struttura di cooperazione intergovernativa piuttosto che “comunitaria”, servì ai governanti europei per confrontarsi e discutere non solo sull’accelerazione della strutturazione del polo imperialista europeo (fortemente condizionata, nella sua concreta dinamica, dalle oscillazioni della bilancia di potenza mondiale), ma - soprattutto e nell’immediato - per concordare un’azione comune in materia di politica estera e sicurezza interna.
Infatti, il suo primo parto concreto fu l’istituzione, a Roma nel dicembre del 1975, del gruppo di cooperazione TREVI (Terrorismo, Radicalismo, Eversione, Violenza Internazionale) (6). Dai lavori di questo gruppo prese corpo una collaborazione informale tra gli apparati repressivi dei diversi Stati con la creazione, nel 1976, di alcuni specifici gruppi di lavoro, denominati TREVI 1 (lotta al terrorismo) e TREVI 2 (cooperazione di polizia per le questioni di ordine pubblico).
Nel 1977, su iniziativa del Consiglio d’Europa, venne stipulata a Strasburgo la Convenzione europea per la repressione del terrorismo. Questo trattato “innovava” lo stato del nascente “spazio giuridico europeo” regolamentando le procedure di estradizione tra gli Stati aderenti (7) e costituendo la prima convenzione in cui era presente un’elencazione di reati non più considerabili come reati politici da parte dei Paesi aderenti (indipendentemente dalle normative nazionali in essi vigenti) e quindi qualificabili come “atti terroristici” (8).
Nel 1985 la cooperazione venne rafforzata con l’istituzione del TREVI 3 (cooperazione in materia di lotta al traffico di stupefacenti e alla criminalità organizzata). Fu il TREVI 3 a creare un’agenzia per lo scambio di informazioni sul traffico illecito di droga (EIDU), che poi ha aperto la strada alla costituzione, negli anni ‘90, di un ufficio di polizia europeo (Europol).
Infatti, nel 1988, dopo l’approvazione dell’Atto unico europeo (1986) - che fissava nel 1992 il termine per la realizzazione del Mercato Unico, fu costituito il gruppo di lavoro TREVI 1992 con il compito di rafforzare la cooperazione fra le polizie di diversi Paesi membri in vista dell’eliminazione dei controlli alle frontiere intracomunitarie.
Con il Trattato sull’Unione Europea, sottoscritto a Maastricht il 7 febbraio 1992, iniziava un vero e proprio processo costituente del polo imperialista europeo. Questo trattato individuava “tre pilastri” nell’edificazione della sovranità dell’Unione: l’Integrazione economico-monetaria, la Politica estera e di sicurezza comune (la PESC) e la Cooperazione nel settore della Giustizia e degli Affari interni (la CGAI).
Ma mentre il “primo pilastro” riguardava materie in cui trovavano piena applicazione i meccanismi normativi comunitari in senso stretto (caratterizzati dalla presenza di un controllo giurisdizionale, dalla possibilità di emanare atti vincolanti anche a maggioranza e dalla presenza delle istituzioni comunitarie nel processo decisionale), il secondo ed il terzo pilastro furono concepiti come una via di mezzo tra la collaborazione intergovernativa classica, sottoposta solo alle regole del diritto internazionale, ed il quadro istituzionale comunitario, caratterizzato da procedure legislative e giudiziarie “comuni”.
E’ con il Trattato di Amsterdam, stipulato nel 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio 1999, che il processo costituente europeo poneva esplicitamente tra i propri principali obiettivi quello di “conservare e sviluppare l’Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima” (art. 2 TUE così come modificato ad Amsterdam).
Cosicché il “terzo pilastro” dell’edificazione dell’UE perdeva la denominazione GAI (giustizia e affari interni) e diventava esplicitamente “Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale”, giacché l’art. 29 dello stesso Trattato disponeva che “l’obiettivo che l’Unione si prefigge è fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un’azione in comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale…” precisando il piano d’azione delle istituzioni comunitarie nella lotta alla criminalità e al terrorismo, oltre alla cooperazione in altri settori.
E’ in questo ambito che la neonata Europol (9) trovava riconoscimento quale principale strumento di “collaborazione operativa” fra le polizie europee e che il “sistema-Schengen” - e, soprattutto, il Sistema Informativo Schengen (10) - veniva incorporato definitivamente tra gli elementi fondanti dello “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” europei.
La cooperazione giudiziaria in materia penale veniva invece assicurata facilitando sia la cooperazione tra ministeri ed autorità giudiziarie sia le procedure per l’estradizione e le iniziative per uniformare i sistemi normativi.
In ogni caso, per quanto riguardava la produzione normativa dell’Unione in materia, pur confermandosi la prevalenza decisionale del più intergovernativo degli organi comunitari (il Consiglio dei Ministri), si riconosceva alla Commissione UE un potere di “iniziativa legislativa” e al Parlamento UE un potere “consultivo e di controllo” (nella forma di interrogazioni, raccomandazioni e pareri al Consiglio). In particolare, ai sensi dell’art. 34 del Trattato, sono adottabili quattro tipi di normative: a) le posizioni comuni, che “definiscono l’orientamento dell’Unione in merito ad una questione specifica”;

b) le decisioni-quadro di armonizzazione, vincolanti per quel che concerne il risultato, ma che lasciano gli Stati liberi quanto alla forma ed ai mezzi con cui raggiungerlo (atti simili alle direttive comunitarie, ma espressamente dichiarati privi di effetti diretti, cioè non efficaci in mancanza delle pertinenti disposizioni nazionali di attuazione);

c) le decisioni vincolanti, senza efficacia diretta, coerenti con gli obiettivi del Trattato, ma non comportanti un riavvicinamento delle legislazioni;

d) le convenzioni internazionali, di cui il Consiglio raccomanda l’adozione e che, a differenza del passato, se ratificate dalla maggioranza assoluta dei membri, entrano in vigore nei loro rapporti reciproci, senza dover aspettare la ratifica da parte di tutti gli Stati.
Nell’ambito di questo indirizzo di “cooperazione rafforzata” il Consiglio dei Ministri dell’UE adottava alcune importanti determinazioni: con la decisione del 3 dicembre 1998, il Consiglio autorizzava l’Europol “ad occuparsi dei reati commessi o che possono essere commessi nell’ambito di attività terroristiche che si configurano in reati contro la vita, l’incolumità fisica, la libertà delle persone e i beni” (11); con l’azione comune 98/428/GAI del Consiglio del 29 giugno 1998 veniva istituita la Rete giudiziaria europea: un organo di contatto per lo scambio di informazioni, composto da autorità centrali responsabili della cooperazione giudiziaria internazionale, delle autorità giudiziarie o di altre autorità competenti con responsabilità specifiche nell’ambito della cooperazione internazionale, sia in generale sia per alcune forme gravi di criminalità, quali la criminalità organizzata, la corruzione, il traffico di stupefacenti o il terrorismo (art. 2).
Ma un momento fondamentale nella determinazione delle linee di realizzazione di questo indirizzo attuativo del Trattato di Amsterdam nell’edificazione del terzo pilastro dell’Unione è stato il Consiglio Europeo di Tampere, del 15 e 16 ottobre 1999: oltre a rafforzare il ruolo istituzionale dell’Europol, veniva previsto un ulteriore strumento di cooperazione giudiziaria: l’Eurojust (12). Cominciava a delinearsi così lo scheletro di un vero e proprio Potere Giudiziario Europeo.
Sempre a Tampere si raccomandava l’abolizione delle tradizionali procedure di estradizione fra gli Stati membri e l’istituzione di un mandato di arresto europeo successivamente previsto nella decisione-quadro 2002/584/GAI, adottata il 13 giugno 2002 (13).
Tuttavia, se si considera che solo sei Stati membri avevano una legislazione specifica per il “reato di terrorismo”(in particolare: Francia, Germania, Italia, Portogallo, Spagna e Regno Unito), il ruolo di Eurojust ed Europol in tale settore sarebbe rimasto limitato in assenza di una definizione comune di reato terroristico. Su questo punto, occorre sfatare un mito della propaganda della borghesia imperialista europea. Secondo questa versione mitologica del processo di costituzione dell’UE come potenza “moderatrice e benigna”, l’adozione di una definizione comune di reato terroristico, con la decisione-quadro 2002/475/GAI (14), adottata dal Consiglio dei Ministri del 13 giugno 2002 su iniziativa della Commissione UE, sarebbe una diretta concretizzazione del Piano d’azione deciso dal Consiglio Europeo di Bruxelles del 21 settembre 2001 e convocato in via straordinaria a seguito dei noti eventi dell’11 settembre.
In realtà, già il 5 settembre 2001 il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione con la quale sollecitava la Commissione e il Consiglio ad adottare iniziative per una più efficace lotta contro il terrorismo. Perciò, gli attacchi al Pentagono e alle Torri gemelle di New York, di pochi giorni successivi, hanno solo affrettato dei lavori già in corso: la Commissione ha subito proposto e in breve tempo Consiglio e Parlamento hanno approvato la decisione-quadro sulla definizione comune del reato di terrorismo (tra l’altro, trattandosi di “armonizzazione” delle legislazioni nazionali, con una novità istituzionale rilevante: si è intervenuto attraverso uno strumento, la decisione-quadro appunto, che ha effetto vincolante per gli Stati membri tanto che il loro adeguamento alla decisione è sottoposto a verifica da parte dello stesso Consiglio). In ogni caso, è proprio sulla base di questo “indirizzo comunitario di coordinamento e cooperazione rafforzata” e al fine di amplificarne l’efficacia “comune” che diverse legislazioni nazionali si sono adeguate anzitempo al clima di “caccia al comunista” che il Presidente del Consiglio italiano ha recentemente impugnato in sede comunitaria come obiettivo strategico dell’Unione. Le recenti innovazioni legislative in materia registrate in Italia (v. Senza Censura nn. 7 e 8) nulla hanno da invidiare all’USA Patriot Act dell’Amministrazione Bush (v. Senza censura n. 9). Ma sicuramente la punta di diamante in questo processo di “ammodernamento continentale” delle forme di repressione e controllo della classe spetta alla Spagna di Aznar e Garzon.
Il 27 giugno 2002, con 214 voti a favore e 15 contrari, il Senato spagnolo approvava definitivamente la “Ley Organica 6/2002”, comunemente conosciuta come “Ley de Partidos”, proposta dall’allora guardasigilli Angel Acebes - del Partito popolare - (oggi ministro degli Interni, dopo il rimpasto), in stretto accordo con il principale partito dell’opposizione: il Partito socialista. Il successivo 23 agosto, con un’ordinanza di 375 pagine, il magistrato dell’Audiencia Nacional Baltasar Garzon ordinava la chiusura di tutti gli uffici e le sedi del partito della sinistra indipendentista basca, Batasuna, vietandone manifestazioni pubbliche, cortei e qualsiasi altra attività.
Al momento dell’approvazione della legge, il portavoce socialista Joaquin Galan aveva dichiarato che “questa legge non castiga nessuna ideologia. È una legge di difesa della democrazia che condanna le azioni contro lo Stato di diritto”: per il movimento proletario, niente di nuovo sotto il cielo d’Europa.



Note:

1) Sulle leggi antisocialiste in Germania, cfr. F. Mehring, Storia della socialdemocrazia tedesca, vol. III, Editori riuniti.
2) cfr. Lenin, Lettera al gruppo dei redattori, Articoli per la “Rabociaia Gazieta”, 1899, in Opere complete, vol. IV.
3) Il Presidente del Consiglio spagnolo Canovas del Castillo pagò il conto al proletariato iberico l’8 agosto del 1897 per mano dell’anarchico italiano Michele Angiolillo; cfr. P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani, Rizzoli.
4) Il 6 maggio 1898 iniziava la rivolta di Milano. Proclamata la legge marziale, il 9 maggio le truppe bombardano i manifestanti provocando oltre cento morti; la legge marziale venne estesa ad altre città; migliaia di persone vennero arrestate; vennero soppressi 50 giornali socialisti, 25 cattolici, 10 repubblicani, 3 anarchici, 1 conservatore; il Governo sciolse il Partito socialista, 21 Camere del lavoro su 25 esistenti, organizzazioni socialiste, repubblicane e cattoliche. Solo i Tribunali militari di Milano celebrarono ben 122 processi contro 803 imputati di cui 26 donne e 224 minorenni: 668 condannati per complessivi 1488 anni di reclusione e 307 anni di sorveglianza speciale; tra i condannati anche il sacerdote cattolico don Davide Albertario: 3 anni di reclusione.
5) Nel 1831 gli operai tessitori di Lione, i canuts, tentarono una vana rivolta contro le dure condizioni di lavoro, chiedendo l’istituzione di un salario minimo e la riduzione dell’orario giornaliero di lavoro. In quell’occasione il presidente del consiglio Casimir Périer dichiarò: “Il faut que les ouvriers sachent bien qu’il n’y a de remède pour eux que la patience et la résignation” (“Gli operai si devono mettere in testa che per loro non c’è altro rimedio che la pazienza e la rassegnazione”). Gli operai di queste industrie risiedevano e lavoravano nel quartiere dei Traboules (dal latino transambulare): passaggi coperti formati da corridoi con volte ogivali che collegavano tra loro vie e piazzette strette tra altissimi palazzi. Si calcola che i tessitori (canuts) arrivarono ad essere contemporaneamente fino a 30000. Durante le rivolte del 1831 e del 1834, sanguinariamente represse dall’esercito francese agli ordini del generale bonapartista Bernard Pierre Magnan, i canuts si asserragliarono nei traboules issando barricate, bandiere e striscioni all’ingresso del quartiere; cfr. C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, Universale economica.
6) Il gruppo era composto dai Ministri degli interni dei Paesi membri, dai relativi capi delle forze di polizia e dei servizi segreti, e si riuniva periodicamente per gettare le basi di una concreta strutturazione del coordinamento e cooperazione tra gli apparati repressivi dei Paesi comunitari.
7) L’estradizione era prima disciplinata dalle disposizioni della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957 (con i relativi protocolli del 1975 e 1978). Alcuni paesi, come la Francia, non riconoscevano, sulla base di tali disposizioni, il diritto all’estradizione nei paesi d’origine di persone presenti sul proprio territorio e accusate o condannate per reati politici. La “Convenzione europea per la repressione del terrorismo” venne ratificata dalla Francia solo nel dicembre 1987 e con la clausola interpretativa della cosiddetta “dottrina Mitterrand” oggi messa in discussione sulla base delle nuove normative comunitarie (in particolare, l’Accordo di Schengen del 1985, la “Convenzione per le estradizioni dell’Unione Europea”, Dublino, settembre 1996, e soprattutto il cosiddetto mandato di cattura europeo), come testimoniano le recenti vicende di alcuni ex-militanti di OCC italiane.
8) L’art. 1 della Convenzione europea per la repressione del terrorismo recita: “Ai fini dell’estradizione tra gli Stati contraenti, nessuno dei seguenti reati verrà considerato come reato politico o reato connesso a un reato politico, o reato ispirato da ragioni politiche: a. un reato cui si applicano le disposizioni della Convenzione per la repressione dell’illecita cattura di un aeromobile, firmata all’Aja il 16 dicembre 1970; b. un reato cui si applicano le disposizioni della Convenzione per la repressione di atti illeciti compiuti contro la sicurezza dell’aviazione civile, firmata a Montreal il 23 settembre 1971; c. un reato grave che comporta un attentato alla vita, alla integrità fisica o alla libertà di persone che godono di protezione internazionale, ivi inclusi gli agenti diplomatici; d. un reato che comporta un rapimento, la cattura di un ostaggio o un sequestro arbitrario; e. un reato che comporta il ricorso a bombe, granate, razzi, armi automatiche, o plichi o pacchi contenenti esplosivi ove il loro uso rappresenti un pericolo per le persone; f. un tentativo di commettere uno qualsiasi dei reati che precedono o la partecipazione in veste di coautore o complice di una persona che commette o tenta di commettere un tale reato”.
9) Con la Convenzione, siglata a Bruxelles il 26 luglio 1995, tra i rappresentanti dei quindici Stati dell’Unione europea, veniva istituito un ufficio europeo di polizia: l’Europol. Quest’ultimo si è formalmente costituito a decorrere dal 1° ottobre 1998 ed ha incorporato la vecchia struttura denominata Eidu-Europol, nata col Trattato di Maastricht.
10) L’accordo di Schengen prevedeva tra i propri principali obiettivi l’istituzione di un diritto di pedinamento e di inseguimento da un paese all’altro; il rafforzamento della cooperazione giudiziaria mediante un sistema di estradizione più rapido e una migliore trasmissione dell’esecuzione delle sentenze penali; la creazione del sistema d’informazione Schengen (SIS) che consente di scambiare dati sull’identità delle persone e sulla descrizione degli oggetti ricercati.
11) In questa fase lo scopo dell’Europol veniva ancora individuato nella necessità di sviluppare la cooperazione di polizia mediante la prevenzione e la lotta al crimine organizzato (concernenti traffici di stupefacenti, sostanze nucleari, immigrazione clandestina ed altre forme di reato quali quelli contro la vita, l’integrità fisica e la libertà) attraverso la raccolta, la conservazione, l’elaborazione e lo scambio di informazioni, comprese quelle inerenti operazioni finanziarie sospette. Attività basilare dell’Europol era perciò considerato ancora lo scambio informativo tra le varie forze di polizia europee e la costruzione di un archivio computerizzato dei dati acquisiti. Naturalmente i dati trattati sono informazioni di polizia e sono disponibili solo per le forze di polizia. Il sistema Europol prevede un’unità centrale, con sede all’Aja, collegata con unità nazionali degli Stati membri dell’Unione europea.
12) Il Vertice di Tampere definiva Eurojust come un’unità composta di pubblici ministeri, magistrati o funzionari di polizia di pari competenza con il compito di “agevolare il buon coordinamento tra le autorità nazionali responsabili dell’azione penale, di prestare assistenza nelle indagini riguardanti i casi di criminalità organizzata, in particolare sulla base dell’analisi dell’Europol, e di cooperare strettamente con la rete giudiziaria europea”. Menzionata nel Trattato di Nizza del dicembre 2000 come “organo dell’Unione”, Eurojust veniva istituita definitivamente con la decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002: si tratta di un organo con personalità giuridica (art.1), composto da un membro nazionale, distaccato da ciascuno Stato membro in conformità del proprio ordinamento giuridico, avente titolo di magistrato del pubblico ministero, giudice o funzionario di polizia con pari prerogative (art.2). Scopo essenziale di tale organo è di migliorare il coordinamento tra le autorità competenti degli Stati membri nelle indagini, nelle azioni penali e nell’esecuzione delle sentenze in ordine alle forme gravi di criminalità (art.3), che riguardino almeno due Stati membri. Si tratta degli stessi crimini per cui sussiste la competenza dell’Europol: tra essi il terrorismo ed altri specifici reati elencati nella decisione stessa (art.4). L’Eurojust può agire sia tramite uno o più membri nazionali interessati, sia collegialmente (art.5), con funzioni parzialmente diverse nei due casi, ma che riguardano essenzialmente la richiesta nei confronti di uno Stato membro di avviare un’indagine o azioni penali per fatti precisi, di accertare che una di esse sia più indicata per avviare un’indagine o azioni penali per fatti precisi, il porre in essere un coordinamento fra di esse, l’istituzione di una squadra investigativa comune conformemente ai pertinenti strumenti di cooperazione, oltre allo scambio di informazioni e al coordinamento nell’esercizio di azioni penali fra le autorità competenti negli Stati membri (artt. 6 e 7). Pur presentandosi, dunque, come organo di ausilio per le autorità competenti negli Stati membri e di coordinamento fra le stesse, nulla esclude, come i recenti Vertici sull’emergenza “anarco-insurrezionalisti” dimostrano, che tale organo assuma in futuro, di fatto, quanto meno la funzione di superiore istanza nell’avvio di procedimenti giudiziari nei diversi Paesi dell’UE.
13) Il mandato di arresto europeo, in applicazione del principio del riconoscimento reciproco delle decisioni delle autorità giudiziarie dei Paesi aderenti, comporta che ogni autorità giudiziaria nazionale riconosca automaticamente, a mezzo di controlli minimi, la richiesta di consegna di una persona presentata dall’autorità giudiziaria di un altro Stato membro. Esso sostituisce tutti i precedenti strumenti in tema di estradizione. Tuttavia, il mandato può applicarsi solo riguardo ai reati previsti nella decisione stessa e, tra questi, al reato terroristico, per la definizione del quale è intervenuta la decisione 2002/475/GAI. La nuova disciplina prevede un meccanismo molto più semplice, che coinvolge esclusivamente le autorità giudiziarie competenti dei vari Stati membri. L’autorità emittente trasmette il mandato direttamente all’autorità dell’esecuzione, attraverso un formulario che deve contenere tutti gli elementi necessari all’identificazione del ricercato, del reato per cui esiste a suo carico una sentenza esecutiva e della pena inflittagli (art.8). Nell’arresto, nella cattura e nella riconsegna vengono assicurate all’arrestato una serie di garanzie, prima fra tutte la sua audizione per il proprio consenso alla consegna all’autorità emittente (artt.11 e 14). La decisione sulla consegna spetta all’autorità che ha effettuato l’arresto, sulla base delle informazioni fornitele dall’autorità emittente (art 15). In ogni caso, il mandato deve essere eseguito con la massima urgenza (art.17). Il Governo italiano non ha ancora dato pienamente corso a tale decisione-quadro.
14) La decisione 2002/475/GAI fornisce una definizione di reati terroristici, di reati connessi alle attività terroristiche e di organizzazione terroristica. Ciascuno Stato membro deve adottare le misure necessarie affinché siano considerati atti terroristici una serie di atti, elencati alle lettere dalla a) alla i) dell’art. 1 della decisione (tra cui, attentati alla vita e all’integrità di una persona, distruzioni di strutture pubbliche o governative, sequestri di mezzi di trasporto, ecc.), che possono arrecare grave danno a un Paese o a un’organizzazione internazionale, quando sono commessi al fine di intimidire la popolazione, costringere i poteri pubblici a compiere o ad astenersi dal compiere un atto o destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politico-economico-sociali di un Paese o organizzazione (art.1). Per organizzazione terroristica deve intendersi l’associazione strutturata di più di due persone, stabilita nel tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere atti terroristici (art.2). Sono contemplate, inoltre, alcune ipotesi di reati da considerare connessi alle attività terroristiche: furto aggravato, estorsione e formazione di documenti amministrativi falsi, commessi per realizzare i comportamenti di cui all’art. 1 (art.3).
E’ considerata anche la punibilità dell’istigazione, il concorso e il tentativo alla commissione di uno di questi reati (art.4).
Passibili di sanzione non sono solo gli individui, ma anche le persone giuridiche ritenute responsabili direttamente di uno di questi atti o indirettamente per il mancato controllo o la mancata sorveglianza che abbia reso possibile la commissione di tali atti (art.7). La decisione detta alcune regole relative alla competenza di uno Stato membro per l’esercizio dell’azione penale e alla collaborazione fra Stati, quando i legittimati all’esercizio dell’azione sono più di uno (art.9)



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