SENZA CENSURA N.13
FEBBRAIO 2004
La Nato vive, la Guerra sigue!
Il ruolo e le strategie della Nato dopo la guerra in Iraq.
Nel numero 10 di Senza Censura avevamo centrato l’attenzione sulle decisioni prese a Praga nel novembre del 2002 in merito alla trasformazione della Nato, o meglio ad un suo adeguamento alle attuale condizioni politico militari.
L’attuale utilizzo delle forze Nato in Afghanistan e il probabile intervento in Iraq, riportano all’attenzione questo tema al di là delle tesi liquidatorie che vedono nel concetto di guerra preventiva, nella egemonia internazionale Usa sul piano politico militare e nella unilaterialità dei suoi interventi la fine della Nato stessa.
I fatti dimostrano sicuramente il contrario e ricollocano la Nato in una fase più avanzata.
Una tesi, quella della sua fine, che nega la funzione della Nato come stanza di compensazione degli interessi delle borghesie imperialiste, di elemento centrale per la imposizione della egemonia Usa nella gerarchia imperialista dove è evidente la sua supremazia politico militare; lo strumento attraverso il quale continuare ad essere elemento determinante e condizionante della politica europea, in particolare attraverso l’allargamento a est e sud est, verso quei paesi che entreranno a far parte dell’Europa.
Molto chiaro è quanto espresso da Powell nel suo intervento sul Foreign Affairs dal titolo “Una strategia per la partnership”, all’interno del quale modifica sostanzialmente l’approccio tenuto da Bush nel documento “Strategia per la sicurezza nazionale” dove la Nato è solo citata in alcune parti, ribadendo il suo ruolo centrale davanti alle difficoltà della guerra all’Iraq, sia sul fronte militare, sia sul fronte politico internazionale.
Nel mese di Ottobre 2003 si sono incontrati a Colorado Spring i Ministri della Difesa dei paesi Nato per discutere su Operazioni fuori area e Struttura dell’Alleanza. Uno degli argomenti centrali è riservato alla Nato Response Force e alla sua estrema importanza davanti ad un panorama “in cui non è necessario disporre unicamente di truppe schierate, ma di sviluppare forze in grado di schierarsi con grande velocità in scenari diversi”.
L’ex Nato Robertson ha affermato che a fronte di una forza militare dei paesi non americani di circa 1,4 milioni di uomini, soltanto 55.000 sono presenti in missioni all’estero, dall’Afghanistan, alla Bosnia, al Kossovo. Secondo un esperto della Difesa Usa solo il 3% delle forze Nato sono realmente proiettabili all’esterno.
Ma altro tema trattato non di secondaria importanza è il ruolo che la Nato deve assumere nei confronti della Missione Isaf in Afghanistan e nella stabilizzazione e ricostruzione dell’Iraq. Una sorta di “tavolo di concertazione” dove gli Usa richiamano a raccolta i loro compari per ristabilire, per necessità contingenti, un loro ruolo nella catena di comando.
Condizioni mutate sul piano internazionale necessitano un riadeguamento del processo decisionale per quanto riguarda l’intervento politico e militare.
In questa sede si è svolta un importante seminario/esercitazione (Dynamic Response 07), per quanto riguarda la capacità di decision-maker davanti ad uno scenario di crisi in cui intervenire velocemente e senza indugi. In questa sede, sempre Robertson, ha affermato che il successo dell’intervento a sostegno della missione Isaf ha evidenziato quanto questo sia dovuto alla capacità di intervenire celermente da un punto di vista militare, ma non meno importante, con una immediata decisione da parte dei componenti delle strutture di comando politico militari.
Nel mese di ottobre è stato inaugurato il “Security Through Science”, programma scientifico NATO inserito nel “Defence Against Terrorism”.
Da una intervista a Jean Fournet da parte di “Analisi Difesa”, come già peraltro da noi più volte rilevato, traspare chiaramente quanto la ricerca scientifica assuma un ruolo importante nella strategia Nato e non solo. Alla comunità scientifica si richiede di contribuire alla lotta al “terrorismo”, aiutando a prevedere eventi e condizioni critiche. Il programma fornisce sovvenzioni ai ricercatori di 53 paesi che collaborano con la Nato, compresi quelli appartenenti al Dialogo Mediterraneo, in modo che possano dare la loro collaborazione su questioni importanti riguardanti la sicurezza.
Argomenti che interessano maggiormente riguardano le sostanze che possono essere usate per attacchi chimici, eventuali reagenti e sistemi di individuazione preventiva di queste sostanze. Ma non ultime le ricerche vertono su fenomeni che possono generare crisi in aree del pianeta e che possono, in qualche modo, rappresentare un pericolo per le ripercussioni che possono avere, come il problema dell’acqua e della desertificazione.
Nel comunicato conclusivo del vertice dei Ministri della Difesa Nato del 1 Dicembre, viene ribadito il significato importante dell’operazione Nato a Kabul, “dimostrando che dovunque la Nato dispieghi le sue truppe, è garantita la sicurezza e la stabilità”. Il ruolo ufficiale della Nato in Afghanistan è quello “di garantire un paese sovrano, di garantire la sicurezza del processo elettorale, deciso a Bonn, assistendo la Afghan Transitional Authority”. Le decisioni sullo sviluppo della presenza Nato oltre Kabul verranno prese di comune accordo con Consiglio di Sicurezza Onu, ed eventuali dislocamenti di truppe in zone specifiche e per brevi periodi saranno decise a seconda delle condizioni che si determineranno.
Nel frattempo, recita il comunicato, “leggiamo con favore il progetto pilota della Germania di un Provincial Recostruction Team (PRT) sotto l’egidia dell’Isaf”. Inoltre verrà garantita una presenza stabile, con la creazione di appositi basi, del personale Nato.
Dal 31 dicembre il generale James Jones, comandante delle forze della Nato in Europa, è stato autorizzato ad iniziare la fusione tra l’Isaf e il Team di ricostruzione provinciale PRT.
Pagine Difesa riporta che il 6 gennaio, nella città di Kunduz, il comando NATO di ISAF (International Security Assistance Force) ha assunto il controllo del Provincial Reconstruction Team (PRT) a guida tedesca, già schierato dalla fine del 2003 e fino ad ora sotto il controllo del comando tedesco delle operazioni congiunte (German Joint Operations Command).
Nel suo intervento il tenente generale Götz F. E. Gliemeroth, comandante di ISAF, ha detto che si aspetta che in futuro altri PRT vengano posti sotto il comando NATO, ed ha aggiunto: “L’obiettivo rimane comunque lo stesso: raggiungere una stabilità duratura che consenta al governo centrale afghano di estendere la propria sovranità su tutte le provincie”.
La missione ufficiale del PRT è di rendere agevole lo sforzo di ISAF nell’assistenza del governo afghano a estendere la propria autorità e influenza, facilitare lo sviluppo di un ambiente stabile e sicuro e tramite la presenza militare favorire le riforme nel settore della sicurezza e della ricostruzione.
Il PRT in Kunduz è un progetto pilota per una ulteriore espansione di ISAF ed è il primo che schiera forze NATO al di fuori dell’area di Kabul e dintorni. E’ il primo passo di un processo che si allinea con la risoluzione 1510 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il PRT di Kunduz comprende 170 persone che sono destinate a diventare almeno 240 quando la missione avrà raggiunto il pieno regime.
Il personale complessivo attualmente presente in Afghanistan nel quadro dell’ISAF si aggira attorno ai 5500 uomini, appartenenti ai 19 paesi Nato, oltre a circa 11.500 militari americani per le misure di contrasto al “terrorismo”.
Durante il summit dei Ministri della Difesa e degli Esteri dei paesi Nato, svoltosi a Bruxelles nei primi giorni di dicembre, sono state tracciate le linee di bilancio e prospettiva che dovranno guidare la Nato fino al summit di Giugno 2004 di Istambul. Data questa che peraltro coinciderà, si suppone, con l’intervento ufficiale in Iraq dell’Alleanza. La discussione potrebbe comprendere l’inizio di impegno della NATO in Iraq con l’acquisizione della divisione attualmente sotto il controllo polacco, a cui la Nato sta offrendo supporto logistico e tecnologico. L’organizzazione delle forze potrebbe replicare quella afghana, con gli USA impegnati in operazioni di contrasto alla Resistenza e la NATO concentrata sulle operazioni di stabilizzazione.
Come ritroveremo in seguito, molto si aspettano dal vertice di Istambul 2004. Le premesse confermano che potrà rappresentare, nella trasformazione Nato, una importanza non inferiore a quanto rappresentato da Praga 2002.
La lotta al terrorismo e l’intervento in Afghanistan hanno assunto il ruolo, durante il summit, di elementi qualificanti della discussione.
La lotta al terrorismo, o meglio l’attuale fase di guerra globale che vede ricadere direttamente sul proletariato metropolitano a livello internazionale le conseguenze di un inasprimento dello scontro con gli interessi delle BI, è stato uno degli elementi fondanti della trasformazione dell’Alleanza.
Il Nato’s Military Concept for Defence Against Terrorism si è sviluppato sulla base delle minacce individuate dal Nato’s Threat Assessment on Terrorism.
Il Concetto identifica 4 ruoli nelle operazioni militari contro il terrorismo, ovvero: misure essenziali antiterrorismo svolte dalla Forze di Protezione (FP), gestione delle conseguenze e riduzione degli effetti degli attacchi “terroristici”, contro-guerriglia e prime misure di risposta, cooperazione militare.
Le FP devono essere inserite in un piano che sappia far fronte al livello di minaccia che si prospetta e la loro intensità e ruolo dovranno essere adeguate alla minaccia.
Le misure Antiterrorismo devono avere la capacità di salvaguardare o ridurre la vulnerabilità delle forze davanti ad un attacco, proteggere la proprietà privata, attraverso un lavoro di intelligence e immediata dislocazione delle forze. Le Allied Antiterrorism Action possono racchiudere quindi cooperazione nell’intelligence, standardizzazione delle procedure sulla base di tipologie e intensità degli attacchi, assistenza e protezione aerea e marittima, assistenza al ritiro di persone da aree soggette ad attacco “terroristico”.
La Consequence Management è indubbiamente compito delle autorità nazionali, ma anche le forze Nato potranno dare il loro contributo. Le forze dell’Alleanza possono contribuire ad individuare l’entità dell’attacco e mettere a disposizione personale specializzato in attacchi chimici, batteriologici e nucleari. Inoltre sarà importante la creazione di una sorta di database di informazioni a disposizione delle forze che devono intervenire, oltre che stabilire esercitazioni e corsi periodici per aumentare l’interoperabilità e uno scambio di esperienze tra le forze militari e civili. La Euro-Atlantic Disaster Relief Co-ordination Cell potrà rappresentare il nucleo di coordinamento tra le forze Nato e i paesi colpiti dall’attacco.
Per sviluppare una adeguata attività militare antiterrorismo la Nato deve disporre di una adeguata struttura di comando ed intelligence, oltre che una adeguata formazione militare, essendo l’operazione antiguerriglia di caratteristiche diverse dalla normale azione militare, sia per contesto di azione, sia per il tipo di risorse militari e tecnologiche da adottare. E’ quindi fondamentale poter disporre di unità antiguerriglia sempre più addestrate e pronte ad intervenire in contesti diversi tra loro. Sono, anche stavolta, necessarie modalità decisionali estremamente rapide e flessibili, che permettano una immediata reazione militare per avere successo. Gli stessi sistemi di arma devono disporre di tecnologie avanzate di guida che possano, con estrema precisione, colpire il bersaglio.
Sempre all’interno del documento Nato emerge quanto questa rappresenti già lo strumento idoneo per sostenere i singoli paesi, garantire la loro sicurezza e la risposta in caso di minaccia. La Nato dispone già di un alto grado di interoperabilità, oltre che una capacità di schierare sistemi di indentificazione missilistica, capacità di schierare forze militari a supporto di quelle nazionali, dispone di un comando che riassume in sé le capacità politiche e militari indispensabili e piani operativi assimilati dai singoli comandi militari.
Passi in avanti sono stati fatti in direzione della Nato Response Force ufficializzata il 15 Ottobre 2003, con l’obiettivo di diventare pienamente operativa entro il 2006. Per quanto riguarda come e dove intervenire non sono emersi comunicati ufficiali in questa sede, presupponendo che il percorso abbia necessità di ulteriori incontri su questo argomento.
Nel Luglio 2003 L’Economist poneva alcuni quesiti sulla capacità reale di sviluppo di questa forza. In particolare valutava le divergenze tra alcuni paesi Ue e gli Usa nei confronti dell’intervento in Iraq, un sintomo delle difficoltà che si sarebbero presentate nella gestione delle decisioni per eventuali interventi della Response Force. Una forza militare che dovrebbe essere destinata a scenari di guerra di alta intensità.
Intanto con una nota del settembre 2003 il Comandante Supremo delle Forze Alleate in Europa ha comunicato ufficialmente il cambiamento di nome dell’attuale Allied Command Europe (ACE) in Allied Command Operation (ACO) come previsto dalle decisioni di Praga 2002, da affiancare al Allied Command Transformation (ACT), una sorta di “centro intellettuale” della Nato, con il compito di preparare la struttura politico militare ai nuovi ruoli.
I “gioielli”, come definiti dal Comandante Supremo del Comando per la Trasformazione Edmund Giambastiani, sono rappresentati dal Warfare Centre a Stavanger, Norvegia, e il futuro Joint Forces Training Centre a Bydgoszcz, Polonia.
La Nato Response Force (NRF), di cui abbiamo già trattato nell’articolo “Evviva, Yalta è finita” in SC n°10, è stata creata dopo il vertice di Praga 2002.
Il suo ruolo è quello di integrare e rendere piena la interoperabilità tra le forze di terra, di mare e aree sotto un unico comando, per intervenire in conflitti e in casi di minaccia. Da molti viene definita attualmente una sotto-struttura della Nato, che rappresenterà in futuro la nuova Nato.
Quanto stiamo osservando in merito alla collocazione non definitiva dei militari Usa all’interno delle basi di nuova costruzione nei paesi dell’Est, è certamente da ricondurre alle esigenze dettate dal quadro in cui si modificano compiti e strutture della Nato. Una presenza più legata a verificare l’interoperabilità tra le strutture di comando, militari e di intelligence, basi per proiettarsi fuori area, dentro la nuova logica di guerra e cooperazione all’interno del quadro Nato.
I compiti della NRF consisteranno nell’intervento per la evacuazione di civili (Non-combatant Evacuation Operations – NEO), supporto alle operazioni di “Consequence Management”, intervento nelle aree di crisi anche di peacekeeping, supporto alle azioni antiterrorismo (Support Counter Terrorism – CT), operazioni di embargo.
La sua operabilità si misurerà già nella prima tappa prevista per il giugno 2004, in coincidenza con il Vertice di Istambul. Questo senza voler mitizzare eventi, sapendo per primi che le vere decisioni vengono prese precedentemente a tali scadenze, ma pur sempre rappresentano momenti importanti per la propaganda imperialista.
Il Comando è affidato all’Allied Command Operation e allo SHAPE. L’Allied Command Trasformation si occuperà dello sviluppo, dell’acquisizione necessaria e il training. Le capacità di intervento devono essere non superiori ai 5 giorni e con una capacità di tenuta fino a 30 giorni.
I paesi Nato si sono impegnati a contribuire con: missili di precisione da parte di Olanda, Canada, Belgio, Norvegia e Danimarca; aerei per la ricognizione senza pilota da parte di Italia, Canada, Francia, Turchia, Spagna e Olanda; mezzi e uomini per la identificazione di sostanze chimiche batteriologiche e nucleare, da Ungheria e Polonia; sistemi per la soppressione delle difese aree da Spagna e Olanda; velivoli per il trasporto truppe dalla Germania e mezzi navali antimine da quest’ultima e Norvegia.
Il documento della riunione tenutasi negli stessi giorni tra i soli Ministri degli esteri mette al centro della discussione il problema delle relazioni Usa/Ue.
L’ambasciatore Usa alla Nato Nicholas Burns, durante il dibattito in Colorado nell’Ottobre 2003, rilevava quanto la nascita di un Comando Europeo sia la più grossa minaccia per le relazioni transatlantiche e quanto il ruolo di Blair, con la sua disponibilità nei confronti di un Comando Europeo slegato dalla Nato, come voluto da Francia e Germania, rappresenti un elemento di conflitto nella Nato stessa. Peraltro tale atteggiamento del premier inglese può far sospettare una inversione di tendenza nella tradizione politica inglese (pro Nato).
Nel documento viene affermato che molto è stato fatto per risolvere in maniera costruttiva le divergenze che hanno caratterizzato le relazioni transatlantiche.
Nel mese di Novembre si è svolta una esercitazione Nato/Ue con ottimi risultati e le consultazioni sui temi della sicurezza, la lotta al terrorismo, piani di intervento civili, continueranno a svilupparsi ulteriormente. Il documento fa un invito al fine di stabilire, fin dal vertice di Istambul, come rinforzare ulteriormente la partnership tra Nato e Ue, nella autonomia delle due organizzazioni, coinvolgendo maggiormente la stessa Ue nelle decisioni.
A dieci anni dalla nascita del PfP (Partner for Peace), questo si è rivelato, continua il comunicato, come un elemento fondante della sicurezza euroatlantica, oltre che abile strumento per l’allargamento dell’Alleanza. Il summit di Istambul dovrà mettere a fuoco il ruolo del PfP a fronte dell’allargamento ai nuovi paesi, ponendosi la necessità di dover intraprendere il cammino per dotare nuovi paesi di standard militari adeguati attraverso riforme idonee, affidabilità e interoperabilità agli standard Nato, maggiori risorse per le spese militari. Il comunicato indica come zone all’interno delle quali investire nel quadro dell’Alleanza, quelle del mar Caspio e Caucaso, zone dove gli Usa hanno già intrapreso numerose collaborazioni militari nella cosiddetta “guerra al terrorismo internazionale”.
Sempre nel mese di dicembre il Nato Military Committee ha steso cinque concetti essenziali per lo sviluppo della alleanza che dovranno essere approvati dall’Allied Command Trasformation.
Il Future Joint Fires dovrà consentire di operare in maniera congiunta utilizzando una architettura operativa che sia pienamente integrata con la Joint Intelligence Surveillance and Reconnaissance, Joint Intelligence (JISR) per consentire una maggiore efficacia nelle operazioni militari. Un sistema integrato di fuoco che dovrà consentire una maggiore precisione nell’attacco.
La Leader and Team Adaptability in Multinational Coalitions dovrà superare il limite delle coalizioni rappresentato da assemblee, leader e team, che pregiudicano una rapida decisione sugli interventi. Non solo saranno da “modificare” le mentalità di questi, ma il cambiamento dovrà riguardare tutto quello che ruota attorno alle situazioni di crisi. Allo scopo di iniziare un “processo culturale” finalizzato ad assumere una maggiore capacità di rapide decisione in momenti di crisi, è stato organizzato un meeting tra i paesi Nato alla metà del mese di Febbraio.
L’Artillery System Cooperation Activities (ASCA) ha lo scopo di mantenere un livello adeguato di interoperabilità per quanto riguarda i sistemi automatici di artiglieria e fuoco di supporto.
Il Common Operating Decision System (CODS) ha lo scopo di adottare e sviluppare sistemi più avanzati di supporti per l’analisi e la visualizzazione di immagini provenienti da satelliti o bersagli, garantendo una maggiore velocità nella scelta e nell’attacco.
Il Low Cost Precision Kill (LCPK) consiste nel convertire sistemi di munizioni o missili non guidati in sistemi guidati, in modo da aumentare la loro precisione. La Norvegia ha già dimostrato l’efficacia di tali trasformazioni.
Nel mese di Gennaio si è insediato il nuovo Segretario generale Nato Jaap de Hoop Scheffer, il quale, nel suo discorso di presentazione ai Ministri della Difesa, torna sul problema Afghanistan, ribadendo la necessità che tutti i paesi membri mantengano gli impegni presi in tema di invio di uomini e investimento risorse.
Per coprire le nuove esigenze vi è la necessità di schierare almeno il doppio del personale, ma fino a ora solo la Germania ha aumentato il proprio contingente di circa 450 unità. “In Afghanistan la NATO non si può permettere di perdere la sfida” ha affermato il Segretario Generale, invitando le nazioni alleate a rispondere concretamente a quelle che sono le esigenze sul terreno.
Facendo riferimento alle affermazioni del ministro della difesa Usa Rumsfeld nel vertice di ottobre in Colorado, che ha parlato di eserciti di carta, il nuovo Segretario ha affermato che la Nato Response Force non deve diventare unicamente una forza di rapido intervento, ma deve essere lo strumento attraverso il quale tutti gli alleati devono impegnarsi.
Inoltre, facendo riferimento alle scelte di intervento unilaterale Usa, ha dichiarato che quanto successo è responsabilità della Nato stessa, in quanto non in grado di garantire standard tecnologici di qualità adeguata a quelli americani, obbligando quindi questi ultimi ad agire da soli.
Durante il Vertice sulla Sicurezza Nato, tenutosi a Monaco nei primi giorni di Febbraio, il Ministro alla Difesa Usa Rumsfeld ha rilanciato la necessità di fare passi avanti all’interno del processo di Dialogo Mediterraneo. La cooperazione con i Paesi Mediterranei riveste un ruolo fondamentale per la “guerra al terrorismo” e la gestione delle contraddizioni della stessa.
La Libia attualmente può aprirsi al mondo, o meglio agli interessi delle borghesie imperialiste, così come hanno fatto Kazakistan, Ucraina, e Sud Africa, con milioni di barili di petrolio sotto sanzioni Onu che poterebbero rappresentare una enorme fonte di denaro.
Rumsfeld rivendica i cambiamenti avvenuti nei sistemi politici e di governo dei paesi appartenenti al Dialogo Mediterraneo (DM) come il Bahrein, Qatar, Oman, Marocco. Continua affermando che l’allargamento del DM consentirebbe di coinvolgere altri paesi del Nord Africa e del Medio Oriente all’interno di una collaborazione più stretta sui temi dell’antiterrorismo, peace keeping, interdizione delle WMD, sicurezza dei confini, partecipazione alle esercitazioni PfP.
Molto esplicito è il riferimento alla attuale presenza delle forze militari di paesi Nato in Afghanistan e Iraq, come elemento che faciliterebbe le prospettive future di presenza nell’area Mediterranea e cosiddetta Mediorientale.
Su questi argomenti, sebbene le affermazioni del tedesco Fischer parlino della necessità di iniziare un cammino comune tra Ue, Nato e Paesi Mediterranei, ci sono state alcune divergenze nel vertice di Monaco. In particolare la Francia, rispetto alla missione in Afghanistan, ha posto la necessità di mettere alcune condizioni come la presenza dei 5 paesi Eurocorps e di rimanere all’interno di Kabul, cosa che abbiamo visto è stata superata nei fatti. La Germania ha affermato che non fornirà le sue truppe per operazioni in Iraq, anche se ha ribadito la sua volontà di non bloccare l’intervento Nato.
Nel mese di gennaio il generale Nato Winterberger si è recato in Israele con lo scopo di aumentare la cooperazione. Il generale ha affermato che questo è il primo viaggio ufficiale in un paese appartenente al DM.
Sempre nel mese di gennaio, durante il Nato’Security Seminar in Bruxells, un membro della Commissione Usa ha affermato che la Nato dovrebbe trasformare i rapporti con i Paesi Mediterranei e del Medioriente in modo da creare esercitazioni comuni e training, oltre che sostenere le politiche di Algeria, Tunisia e Marocco.
Continua che il potere militare riveste un ruolo fondamentale ma da solo non basta. E’ necessario lo sviluppo della cooperazione nel lavoro di intelligence, diplomatico ed economico. Il punto strategico delle forze Nato in questa prima metà del 2004 sarà il Medioriente, l’Iraq, l’Afghanistan, il Mediterraneo, il conflitto israele-Palestinese. Il Mediterraneo deve essere considerata una zona di possibili crisi e comprendendo Europa, Nord Africa e Medioriente, qualsiasi evento coinvolge ed influenza tutti. Il Nord Africa rappresenta un buon osservatorio per comprendere i risultati dei “cambiamenti” che stanno avvenendo in Afghanistan, Iraq e ovunque.
Sempre secondo quanto riportato dal membro della Commissione, la Nato potrebbe assumere un ruolo centrale per quanto concerne la nascita di uno stato Palestinese, essendo questo problema elemento di unione nel tessuto popolare dell’area, influenzando la stessa presenza di truppe in Afghanistan e Iraq.
Al di là della presenza storica delle forze in Nord Africa come ad esempio in Marocco e Egitto, gli Usa hanno dimostrato di voler in ogni modo ampliare la loro presenza nell’area. E’ in previsione la creazione di ulteriori basi in Marocco e in Tunisia, con i quali sono stati intrapresi incontri ufficiali dal Comando europeo delle Forze Usa. La base di Sigonella rimarrà un punto nodale della politica militare nel Mediterraneo, facendo assumere alle future basi in Nord Africa un ruolo di avamposto per le forze militari da cui far partire attacchi contro organizzazioni “terroristiche” o insurrezionali.
Gli eventuali contingenti militari si presume provengano dai comandi dislocati in Europa. Al di là delle trasformazioni Nato gli Usa stanno procedendo ad una ricollocazione delle proprie truppe e forze navali, spostando quest’ultime verso sud est (Balcani e Caucaso), e nello stesso tempo prevedono una trasformazione dell’attuale organizzazione di Comando divisa tra Nord Africa, di competenza del Comando Europeo, e Africa Centrale, di competenza del Comando Centrale a cui fanno capo l’area Mediorientale, Oceano Indiano e Asia Centrale.
Anche l’Algeria è al centro dell’interesse di Washington. Per ora non è prevista la costituzione di basi americane in quel paese, ma l’intensificazione dei rapporti tra i servizi d’intelligence in funzione antiterrorismo e delle forniture di tecnologie antiguerriglia e addestramento per le forze di sicurezza algerine, che hanno già raggiunto il valore di 700.000 dollari annui, fanno pensare a tempi non molto lontani.
Sul piano militare tutti i paesi del Sud Europa e la NATO stanno intensificando i rapporti con Algeri, in particolare nel settore navale.
Torna così attuale in questa fase di guerra, la battaglia nelle nostre terre contro la presenza delle strutture militari della Nato, riaprendo la possibilità di una campagna più ampia a livello internazionale contro la occupazione militare dei territori, legittimata da una guerra al terrorismo che dispiega anche sul fronte interno tutta la sua determinazione nel prevenire qualsiasi forma di sviluppo di processi autonomi e alternativi, sia sul piano generale, sia sul piano della conflittualità diffusa.
Nuove Accademie militari in Afghanistan e Iraq Estratto da Pagine di Difesa, 16 gennaio 2004
Il piano per la costituzione di una Accademia militare su modello occidentale sono stati approvati dal ministro della Difesa afghano. I corsi dureranno quattro anni e avranno inizio nel febbraio 2005. Lo studio, coordinato con ufficiali afghani, è stato condotto grazie a due ufficiali di West Point, il colonnello George B. Forsythe e il tenente colonnello Casey Neff. Il primo, assistente della cattedra di educazione; il secondo, assistente del comandante. Un analogo studio è stato avviato in Iraq, ma è solo allo stato iniziale. I due ufficiali hanno dato il via al progetto nel mese di ottobre, quando si sono trasferiti a Kabul dove hanno avuto un primo incontro con il maggior generale Karl Eichenberry, responsabile della cooperazione militare. Insieme con ufficiali afghani hanno sviluppato insieme un programma di studi quadriennale. L’obiettivo dichiarato all’inizio dei lavori era quello di formare ufficiali con caratteristiche di leader che siano allo stesso tempo in grado di comandare uomini e aiutare lo sviluppo della nazione.
I due ufficiali americani hanno proposto un modello analogo anche per l’Iraq, dove però uno studio era già stato avviato dai britannici sul modello della Royal Military Academy di Sandhurst, con corsi della durata di un anno. |
Response Force dimostra le sue capacità nella prima esercitazione
21 Novembre 2003 I primi elementi della NATO Response Force (NRF) dimostrano le loro capacità in una esercitazione di “crisis response” svoltasi in Turchia il 20 Novembre. Le truppe di elite di 11 paesi NATO hanno schierato i loro organici di terra, aria e mare per rispondere ad una minaccia simulata ad uno staff Onu da parte di “terroristi” e militari nemici, in un paese al di fuori dell’alleanza Euro Atlantica. La NRF ha liberato e evacuato il personale dello Staff e i civili, eseguito operazioni di contro guerriglia e dato una dimostrazione di forza. |
Bonifacio (Corsica) Sardi e Corsi uniti contro la Base Usa (estratto da Unione Sarda)
Il matrimonio antisommergibili, con il no solenne al nucleare Usa, è stato celebrato nella chiesetta sconsacrata di San Giacomo, tra la vecchia caserma della Legione, l’ecole maternelle e la strada che plana, dopo un tornante a picco sulla baia, nel bel porticciolo di Bonifacio. Un patto sardo-corso sull’antico bastione che domina le Bocche e un mare che del cobalto non ha soltanto il colore ma anche il veleno. Veleno radioattivo: cobalto 60. Con il torio 234, il beryllium e il piombo 210 e 212, è uno dei nipotini dell’uranio da reattore nucleare. (...) Cinque le richiesta da avanzare alle autorità italiane e statunitensi: analisi della radioattività affidate a un laboratorio scientifico indipendente, comunicazione immediata dei risultati, elaborazione di un piano di evacuazione e soccorso delle popolazioni in caso di incidente nucleare, assoggettamento dei sottomarini alle regole di circolazione navale in vigore nelle Bocche. Il tutto in attesa dello «smantellamento totale della base di Santo Stefano». Il documento dà per la prima volta forma e sostanza politica all’opposizione sardo-corsa alla presenza militare statunitense a La Maddalena. L’impressione, dopo la manifestazione di ieri, è che il movimento non si fermerà a Bonifacio. Nelle prossime settimane è infatti prevista una seconda assemblea a La Maddalena (la proposta è stata avanzata da Pierfranco Zanchetta) mentre i corsi premono per una manifestazione congiunta a Roma. Obiettivo: l’ambasciata americana di via Veneto. |