SENZA CENSURA N.12

NOVEMBRE 2003

 

Resistenza ultras e lotta di classe

Qualche riflessione sul rapporto tra tifoseria politica e politiche repressive.

 

l motivo che ha spinto la redazione di Senza Censura ad occuparsi di resistenza ultras scaturisce da un’analisi che vuole prendere in considerazione le diverse componenti sociali in lotta, inserendole nel più generale quadro di scontro fra le classi, con le conseguenti risposte di tipo preventivo-repressivo messe in atto dal potere. Infatti, non si può prescindere da un’attenta osservazione delle dinamiche conflittuali presenti e dalle istanze che le muovono.

In questo caso l’attenzione si rivolge ad un movimento che, nato negli anni ’70, sta cercando di dare all’interno delle sue espressioni di sinistra una spiegazione materialistica alla propria realtà, ponendo le dovute linee di demarcazione fra se’ e le tifoserie di destra, cercando di capire dove si può tentare un lavoro di “recupero” nelle curve qualunquiste, e assumendo come parole d’ordine l’antifascismo e l’antirazzismo militanti, la lotta contro le leggi speciali e la militarizazione degli stadi, contro le pay-tv e contro l’eroina.

Il Fronte di Resistenza Ultras a cui aderiscono Ancona, Livorno, Ternana e Working Class Savona, è nato dal terzo Raduno Antirazzista Internazionale di Vigne di Narni (4-6 luglio 2003); esso si pone come componente proletaria in conflitto con la propria esclusione dagli stadi a vantaggio del business e di un pubblico selezionato, quindi con il tentativo di attuare anche in questo campo un processo di normalizzazione.

In primo luogo lo sviluppo del conflitto si può avere se si mira “alla dissoluzione di illogiche rivalità nate spesso di riflesso ai risultati calcistici o solo per pura casualità”, unendosi nell’obiettivo di annientare dalle curve le componenti fascistoidi e di lottare contro la repressione borghese  (che preferibilmente colpisce i compagni).

Viene ritenuto di fondamentale importanza “uscire dagli stadi per liberare il territorio, partire dal territorio per liberare gli stadi da fascisti e razzisti”; e ancora: “stadio-territorio, un binomio indissolubile da cui partire per contrapporsi al carcere preventivo ed alla repressione tanto cruenta quanto arbitraria messa in atto a livello globale”.

Il problema del contenimento della resistenza ultras, che appunto si pone in un’ottica che supera l’ambiente circoscritto dello stadio, è bene espresso nel discorso alla Camera del Ministro degli Interni Pisanu, del 27 gennaio 2003: “Nuove strategie di contrasto per una più efficace risposta alla duplice sfida delle centrali terroristiche interne ed internazionali”; vi si afferma che “le forze dell’ordine devono continuare ad esercitare un’azione sempre più penetrante e capillare d’informazione, di monitoraggio, di prevenzione, e all’occorrenza di repressione che riaffermi la legalità[…]”.

Da  notare l’inserimento della questione nella più ampia lotta al “terrorismo” interno ed internazionale con le considerazioni che ne possiamo trarre, ossia che ciò che viene propagandato come intervento per fermare la violenza negli stadi , è in realtà una strategia di attacco verso chi rappresenta un settore di classe potenzialmente rivoluzionario: si può portare l’esempio del fastidio suscitato dagli striscioni apparsi in alcune curve, contro il 41-bis o contro la guerra.

La prevenzione come aspetto prioritario rispetto alla repressione stessa, e l’arbitrarietà di cui si parlava più sopra, sono gli elementi fondanti dell’adeguamento legislativo apportato negli ultimi anni; a fianco di un reale inasprimento delle pene, risaltano i provvedimenti tesi a bloccare in anticipo i margini di intervento e la partecipazione alle lotte in curva, conferendo a questori e forze di polizia molta più libertà di valutazione nell’applicare le leggi anti-ultras.

Possiamo infatti osservare i passaggi in senso involutivo a partire dalla “legge sulla diffida” (n. 401 del 13/12/1989) fino al D.L. n.28/2003 in materia di ordine e sicurezza pubblica.

Il provvedimento di diffida vieta l’accesso ai luoghi dove si svolgono competizioni agonistiche e a quelli indicati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle competizioni medesime, persone denunciate o condannate per aver preso parte attiva  a episodi di violenza, aver inneggiato o indotto ad essa, durante manifestazioni sportive. Il questore può prescrivere loro di comparire al comando di polizia nell’orario di svolgimento delle competizioni su cui opera il divieto; chi è stato condannato definitivamente viene diffidato per un periodo che va da due mesi a due anni (art.6, comma 1 e 2). Nel comma 6 si prevede l’arresto da 3 a 18 mesi per coloro che contravvengono a diffida e comparizione ed è consentito l’arresto in flagranza per i contravventori del comma 1.

Nel D.L. 336 del 20/08/2001, si apportano alcune modifiche sostanziali all’art.6 della “legge sulla diffida”, in quanto si estende l’obbligo di comparizione al comando di polizia una o più volte nell’arco dell’intera giornata di svolgimento delle manifestazioni sportive da cui si è interdetti, e con sentenza definitiva l’obbligo può essere applicato da 6 mesi a 3 anni.

Viene poi aggiunto l’art. 6-bis (Lancio di materiale pericoloso, scavalcamento e invasione di campo in occasione di competizioni agonistiche) che prevede la reclusione da 6 mesi a 3 anni, e la cui interpretazione è molto arbitraria soprattutto riguardo alla maggior pericolosità di alcuni oggetti come accendini, rispetto ad esempio alle bottiglie di bevande  vendute all’interno dello stadio.

L’art. 8 consente l’arresto in flagranza entro quarantotto ore, qualora siano stati acquisiti precisi indizi di colpevolezza(…).

L’8-bis, invece, indica i casi di giudizio direttissimo che quindi, oltre al largo spazio lascaito all’arbitarietà, precludono la possibilità di un’adeguata difesa.

L’art. 8-ter applica la legge anche ai fatti commessi durante le trasferte.

Il D.L. 336 è stato convertito nella legge 377 del 1/10/2001 in cui emerge l’aumento delle ammende relative ai reati indicati negli articoli 1 e 6-bis, ma che soprattutto conferisce ai questori il potere di decidere se e in quali casi aggiungere l’obbligo di firma alla comparizione.

Il D.L. 28/2003 stabilisce le regole di accesso agli impianti, con riferimento agli strumenti di controllo (metal detector, ecc.)..

 

L’inasprimento preventivo-repressivo, tuttavia, non ha portato al risultato sperato: mentre negli anni ’80 era più facile assistere a scontri fra gruppi ultras, dagli anni ’90 ad oggi  la militarizzazione degli stadi  (nel ’94 ogni domenica venivano mobilitati 5.500 poliziotti, nel 2002 si arriva a 10.500) ha avuto come risposta un aumento di scontri fra ultras e forze dell’ordine..

In conclusione, per avere un quadro più completo è interessante e importante prendere in considerazione la proposta che a giugno di quest’anno la Presidenza Italiana dell’Unione Europea ha avanzato agli altri Paesi membri, per creare un processo di adeguamento legislativo; la proposta è articolata in sei punti, in cui sostanzialmente si invitano gli altri stati europei a provvedere laddove non abbiano ancora leggi sulla violenza negli stadi, ad applicare pene per i contravventori e azioni preventive;  in particolare il punto 2 vorrebbe rendere esportabili le diffide nelle partite giocate negli altri Paesi membri.

Il punto 6 suggerisce misure preventive ai fini del mantenimento dell’ordine, come la carcerazione preventiva.

Le difficoltà per il momento stanno nel fatto che soltanto quattro Paesi applicano il codice penale, Regno Unito e Paesi Bassi lo applicano insieme a quello civile, e solo Germania , Grecia e Svezia usano la carcerazione preventiva. Belgio, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo e Portogallo non hanno leggi sulla diffida. L’Italia è chiaramente da esempio per tutti, con 2.011 provvedimenti di tipo penale.

 

Siti utilizzati:

www.progettoultra.it - www.radunoantirazzista.net

www.bal.tifonet.it - www.mininterno.it

www.parlamento.it - www.statewatch.orG



http://www.senzacensura.org/