SENZA CENSURA N.12

NOVEMBRE 2003 

 

Dove sta andando l’Intifada del Popolo Palestinese?

Di Ahmad Saadat, segretario generale del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (PFLP)

 

Il 28 settembre 2003 è stato il terzo anniversario dell’Intifada (Rivolta). Ciò che contraddistingue quest’ultimo anno dai due precedenti sono i rapidi sviluppi politici, che pongono importanti problemi come quello del destino dell’Intifada e come raccogliere i più grandi benefici di tre anni di sacrifici fatti dai Palestinesi. Nel primo semestre di quest’anno, l’Autorità Palestinese (AP) ha soddisfatto gli obblighi richiesti per il completamento della prima fase della Road Map, nominando un Primo Ministro con pieni poteri. La seconda metà dell’anno ha visto l’imperialismo statunitense e il suo alleato britannico invadere l’Iraq, occuparne le terre, nonostante l’opposizione internazionale unanime e da parte delle Nazioni Unite. Ha inoltre segnato la presentazione della Road Map da parte degli USA, la formazione di un nuovo governo Palestinese e l’inizio di negoziati per la sicurezza con il governo Sionista, seguiti dalla cosiddetta “tregua”, che ha significato il fermarsi della resistenza e delle operazioni militari solo da parte Palestinese!

Tuttavia, la caratteristica più evidente di questo periodo è la crescente crisi dell’ Autorità Palestinese, con tre governi formati soltanto durante quest’anno. Le illusioni dell’AP sono state controbilanciate dalla realtà contenuta nella Road Map. L’ AP pensava, o forse sperava, che la Road Map indicasse il percorso e i meccanismi per arrivare ad uno stato Palestinese indipendente nei territori occupati nel 1967, basandosi sulle assicurazioni date da George Bush che richiedeva la formazione di una leadership palestinese seriamente intenzionata a combattere il terrorismo (cioè a combattere la Resistenza Palestinese).

Era chiaro che l’obiettivo primario di questo vecchio/nuovo progetto di sicurezza era contenere il problema Palestinese, dare sicurezza all’occupante Sionista e ai suoi coloni e trasferire l’intera crisi all’interno della società Palestinese. Fondamentalmente il governo Sharon ha perpetrato il proprio razzismo attraverso le campagne di omicidi contro il nostro popolo e la nostra leadership e assassinando i leader e i quadri di Hamas; prendendo decisioni oltraggiose, come la deportazione di Arafat; mirando direttamente e palesemente ai civili palestinesi, in particolare alle famiglie dei combattenti della Resistenza e, chiaramente, espandendo le colonie e costruendo il muro di separazione per imporre un’altra realtà al nostro popolo.

Tutti questi fatti suggeriscono domande importanti: la rivolta Palestinese ha forse esaurito la propria forza e quindi le sue motivazioni per continuare? Quali sono i risultati degli ultimi tre anni? La Road Map ha fornito un’alternativa politica e nazionale alla rivolta e alla Resistenza?

La rivolta è un’iniziativa popolare. E’ uno stato di ribellione in risposta al fallimento dei negoziati morti a Camp David nel 2000 e il rifiuto ai tentativi del governo Sionista di  Barak di imporre le sue condizioni sul nostro popolo e rendere marginali i diritti nazionali Palestinesi. In altre parole, la rivolta era una naturale risposta all’escalation politica Sionista contro il nostro popolo. E i metodi e le armi usati dalla Resistenza erano anch’essi una naturale risposta all’escalation militare Sionista contro di noi. La debolezza che ha accompagnato la rivolta è stata generata dall’assenza di un corpo politico decisionale unitario ( e dall’assenza di una leadership unitaria), così come  dalla condizione di divisione politica che il nostro popolo ha attraversato a partire dalla nascita del patto di Madrid-Oslo. Inoltre, la mancanza di armonia ed equilibrio fra le due componenti della lotta ramata e delle iniziative di massa hanno indebolito la Rivolta.

Ci sono tentativi di voler addossare alla rivolta la responsabilità per il dolore e le sofferenze del nostro popolo, piuttosto che ritenere responsabile l’invasore. Questa è un’argomentazione ingiusta priva di qualsiasi ragionamento oggettivo. E’ logico che le perdite di chi è sotto occupazione siano maggiori di quelle dell’occupante, specialmente se l’occupante possiede una macchina militare superiore. Quindi la questione centrale a cui dobbiamo rispondere è questa: i risultati apportati dall’Intifada sono equivalenti ai sacrifici fatti dalle nostre masse?

La rivolta Palestinese, nel suo primo anno, ha obbligato il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ad approvare la Risoluzione n.1397. Tale risoluzione chiedeva la creazione di uno stato indipendente Palestinese, come diritto non negoziabile, al di là di ogni futuro negoziato. Inoltre l’Intifada  ha contribuito al peggioramento della crisi interna alla società  Sionista portandola ad un livello mai visto prima da Israele, una crisi totale che si è manifestata politicamente, economicamente e militarmente. Sul fronte politico, Sharon, che è considerato un fallito e un corrotto, è diventato il principale leader di Israele. L’Intifada ha anche avuto la capacità di smascherare la politica ingannevole della sinistra Sionista, e del suo simbolismo della coesistenza, così come la vendita delle sue illusioni ai palestinesi attraverso conferenze e gruppi di lavoro  regionali e internazionali nel tentativo di normalizzare i rapporti col nemico Sionista. Sia la destra Sionista che la sinistra sono unite contro il Diritto al Ritorno dei Profughi Palestinesi, e contro il riconoscimento di Gerusalemme come città araba.. Entrambe sono d’accordo nel dire che Israele deve determinare il futuro dei Palestinesi.

Le statistiche mostrano che il progetto d’occupazione Sionista sta incontrando una grave crisi in termini di lenta crescita demografica, in modo particolare dentro le colonie. Ed economicamente le perdite di Israele nel settore turistico hanno superato miliardi di dollari, con una recessione economica in molti settori industriali, il che si riflette nello stabilire quali spese sono prioritarie.

A livello di sicurezza, gli insediamenti dentro e fuori la Linea Verde vivono un continuo stato di panico, specialmente per  la quota di vite umane perse, il cui rapporto è di 1 a 3 (Israeliani-Palestinesi). Questo ha prodotto uno stato di isterismo, demoralizzazione, perdita di fiducia, sentimenti di insicurezza.

Il più grande risultato raggiunto dall’Intifada è stato il recupero dell’unità Palestinese sugli obiettivi nazionali, in Palestina e nella Diaspora (Shatat). Tutto il popolo Palestinese ha contribuito all’Intifada in un modo o nell’altro, ognuno secondo le proprie possibilità e condizioni. Per esempio, la crescita della partecipazione popolare nei territori occupati nel 1948 e nel Shatat; e la crescita delle forze popolari e di massa nel mondo arabo e in tutto il mondo, che in molte occasioni sono scese nelle strade per esprimere il proprio sostegno all’Intifada, nonostante il silenzio o il fallimento dei regimi arabi.

Ma  affermare che l’ Intifada ha raggiunto i propri obiettivi e che è tempo di raccogliere i benefici dei suoi risultati per trasformarli in vittorie politiche (come ha dichiarato Abu Mazen in un discorso al Consiglio Legislativo Palestinese [PLC] alla vigilia della formazione del suo governo) può essere vero o falso, e lo si può capire solo dalle basi dell’accordo presentato dal nemico Sionista nei negoziati diplomatici.

In questo caso, l’accordo proposto è la Road Map, che è stata modificata rispetto alla prima versione, che era soggetta alle condizioni di Israele. Troppo è stato detto e scritto sulla Road Map.Essa è un’iniziativa politica basata sulla criminalizzazione del popolo Palestinese e sulla condanna della Resistenza Palestinese perché ritenuta terrorismo. E’ inoltre un intervento palese negli affari interni Palestinesi. La Road Map può solo servire agli Americani per dirigere e contenere la crisi in Palestina, provvedendo a dare più spazio a Israele per imporre la sua logica, sia al nostro popolo che all’AP.

Ci viene chiesto di scambiare l’Intifada con la Road Map. Un tale scambio non sarebbe di beneficio al nostro popolo e ricreerebbe solo la stessa situazione di Oslo, ma in modo ancor più pericoloso. Potrebbe dare benefici, ma solo per specifici settori della classe dominante all’interno dell’AP, che ha tratto vantaggio da Oslo e quel negoziato politico per realizzare il suo progetto privato e stabilire una partnership commerciale con gli investitori Sionisti.

Ma supponiamo che la classe dominante Palestinese stia basando la sua richiesta di fermare l’Intifada su buone intenzioni. La realtà dice che ciò che determina la transizione dal campo di battaglia al tavolo dei negoziati è la capacità della Resistenza di fare un cambiamento radicale nella bilancia di potere fra noi e l’occupante. In altre parole di forzare Israele a cessare l’occupazione e riconoscere il diritto al ritorno per i rifugiati Palestinesi e la creazione di uno stato Palestinese indipendente con Gerusalemme capitale. Abbiamo già raggiunto questa fase?

In realtà, la risposta è no . Le condizioni di trasformare i risultati dell’Intifada  in vittorie politiche reali non ci sono ancora. L’unica scelta che abbiamo davanti nel quarto anno di Intifada è sostenere la sua continuazione, incremento e sviluppo e accrescere la sua visione politica che incoraggerebbe l’allargamento dell’Intifada a tutti i settori della nostra società. Ciò che abbiamo bisogno di fare immediatamente può essere sintetizzato nei punti seguenti:

Primo: liberare le masse e la loro leadership dalle illusioni di qualsiasi supporto o posizione imparziale da parte degli Stati Uniti. Al contrario, dovremmo lavorare a creare le giuste condizioni internazionali per raggiungere un accordo politico e proteggere i nostri diritti naturali. Dovremmo inoltre rendere unitaria la nostra visione politica sulla base del dialogo nazionale, in modo da costruire una leadership unitaria composta da tutti i partiti politici Palestinesi, così come da individui rispettati.

Secondo: dare un’alternativa politica alla Road Map fatta in base ad una visione politica realistica che integrerebbe gli strumenti della Rivolta. Chiamare la comunità internazionale a prendersi responsabilità e a fare pressioni su Israele affinché interrompa la sua aggressione contro il popolo Palestinese. Assicurare una protezione internazionale temporanea  per il popolo Palestinese mentre viene istituito uno stato Palestinese democratico e indipendente. E spingere Israele a fermare la sua aggressione,  rispettare le risoluzioni ONU relative alla Palestina e creare una struttura per fermare la violenza e il pericolo per la sicurezza nella regione.

Terzo: reclamare e riaffermare la dimensione nazionale araba della questione Palestinese, specialmente da quando l’occupazione dell’Iraq rappresenta un  passo verso la costruzione di un nuovo Medio Oriente nel contesto di una imposizione totale dell’egemonia imperialista sulla patria araba. E’ solo attraverso la struttura nazionale araba che siamo capaci di raggiungere gli obiettivi nazionali delle masse arabe, potenziando la loro resistenza alla dominazione imperialistica americana. Abbiamo bisogno di prendere l’iniziativa nel partecipare alla costruzione di un movimento di massa arabo che si confronti con l’aggressione Americana e Sionista contro la nostra patria araba. Abbiamo inoltre bisogno di presentare un discorso progressivo Palestinese, basato sulla resistenza popolare a livello locale, nazionale e internazionale, e non un discorso che giustificasse i regimi arabi per la loro sconfitta o collaborazione con gli Stati Uniti.

Quarto: identificare la debolezza che ha portato ad uno sbilanciamento fra le varie forme di resistenza popolare e porre le condizioni per ravvivare la dimensione popolare dell’Intifada.

Questo comprende: costruire l’infrastruttura organizzativa e la leadership per l’Intifada, da estendere alle città, ai villaggi e ai territori limitrofi; riattivare le organizzazioni popolari ei sindacati ed eleggere una leadership capace in modo da ravvivare tali organizzazioni e farle divenire una forza mobilitante per organizzare la vasta resistenza popolare. Lo squilibrio fra la resistenza armata e  quella popolare non è solo attribuibile all’intenso uso della macchina militare sionista, esagerando ciò che alcuni chiamano la militarizzazione dell’Intifada, ma anche all’assenza di un programma e di piani che motiverebbero tutti i settori della società e creerebbero una dimensione democratica e popolare dell’Intifada. Infine, e in risposta alle speranze di coloro che chiedono la fine dell’Intifada per proteggere l’interesse nazionale del nostro popolo, vorrei affermare chiaramente che la continuazione dell’Intifada potrebbe danneggiare l’interesse dell’AP.

Ciò è logico e possibile.

Tuttavia, l’esistenza dell’ Autorità, di qualsiasi autorità, non è un risultato di per se stessa, eccetto per quelli che la vedono come mezzo per raggiungere i propri interessi. L’AP nella nostra situazione sarebbe dovuta essere, secondo i sostenitori di Oslo, un meccanismo di transizione dall’occupazione ad una reale sovranità Palestinese capace di mettere fine all’occupazione. Una tale visione poteva essere comprensibile. Tuttavia, se l’AP non è più capace di portare avanti tale compito e risponde alle pressioni internazionali come ha fatto (arrestando i leader della resistenza e criminalizzando la resistenza stessa), allora essa diventa un mezzo di oppressione contro il popolo Palestinese, l’Intifada e la resistenza. Quindi, in questo caso, cosa giustificherebbe l’esistenza dell’AP, ed essa rappresenterebbe il più alto interesse nazionale del popolo Palestinese?

L’Autorità non era il progetto della maggioranza dei Palestinesi; tuttavia, tutte le forze politiche Palestinesi rispettavano la sua esistenza e si relazionavano con essa in modi differenti. Questo non significa che dovremmo rendere l’AP il nostro destino, specialmente se diventa un fardello sulla lotta nazionale del nostro popolo.

La conclusione non è smantellare l’AP, ma piuttosto essere pronti in qualsiasi momento a proteggere l’entità politica del nostro popolo di fronte alle complesse equazioni e, in particolare, l’esistenza dell’AP dovrebbe venire condizionata in base al non cedere alle richieste del nemico in futuro.

L’Organizzazione di Liberazione della Palestina (OLP) rappresentava il mezzo strategico per la lotta del nostro popolo ed assicurava la nostra unità in tutto il mondo. L’OLP rappresentava anche i nostri scopi comuni. Cioè la missione centrale ora deve essere riaffermare il bisogno dell’OLP e predisporre dei meccanismi democratici pratici per ricostruirne le istituzioni ed allargarla per includere tutte le forze politiche e sociali.

L’OLP deve essere strumento della resistenza nella fase politica in atto, nella storia della lotta del nostro popolo contro il nemico sionista.



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