SENZA CENSURA N.12

NOVEMBRE 2003 

 

Un mondo in trasformazione…

Le trasformazioni socio-economiche nell’Impero Ottomano, le mire imperialistiche e la questione palestinese.

 

La storia della penetrazione capitalistica nel mondo arabo è connessa alla campagna napoleonica in Egitto, all’invasione dei prodotti dell’industria tessile inglese a basso prezzo e all’apertura del canale di  Suez nel 1869, sullo sfondo della secolare crisi dell’impero ottomano e della politica coloniale delle potenze europee, Francia, Gran Bretagna, impero zarista, Germania, interessate prima al controllo dell’ istmo, cioè di una importante via di collegamento con le loro colonie in Asia e in seguito ai giacimenti di petrolio, che furono scoperti nel 1908 in Iran.

Le strategie imperialiste nell’area si distinsero per un uso disinvolto delle alleanze che di volta in volta intessevano in loco e per gli accordi segreti di spartizione tra i paesi coloniali, e per trattare le promesse fatte agli alleati in regione e gli accordi con altri concorrenti nell’impresa coloniale, come inconsistenti rispetto ai rapporti di forza imposti sul campo e successivamente sempre formalizzati.

È interessante notare che uno dei primi atti della rivoluzione vittoriosa in Russia fu la pubblicazione dei trattati segreti che gli Stati imperialisti avevano siglato sulle spalle del proletariato e dei popoli oppressi, e che come l’accordo segreto di spartizione tra Francia e Inghilterra Sykes-Picot firmato nel ’16, in totale contrasto con le promesse fatte al più formidabile alleato inglese nell’area, il saudita Hussein, provocasse una ondata di risentimento contro i colonizzatori.   

Nel corso del XIX secolo, per ciò che concerne le trasformazioni dell’impero Ottomano, la creazione di un più potente e pervasivo ordinamento amministrativo, interamente centralizzato, e di un esercito più numeroso e più forte, che potevano entrambi beneficiare di un sistema di comunicazioni molto migliorato in seguito all’introduzione delle ferrovie, della navigazione a vapore e del telegrafo, consentì al governo centrale di estendere l’autorità su più vaste aree della società ottomana. Questi cambiamenti permisero inoltre allo stato di esercitare un più saldo controllo sulle grandi province, molte delle quali avevano a lungo goduto di una larga autonomia.

L’alleanza con la Germania, e questo sviluppo in senso modernizzatore, resero l’esercito ottomano uno degli ostacoli più insidiosi nella strategia di penetrazione anglo-francese.

Questi cambiamenti a livello amministrativo, che sono in sintesi il tentativo di creare una moderna realtà statuale in antitesi alla penetrazione coloniale nell’area, sono il riflesso di mutate condizioni socio-economiche che scossero anche la Palestina.

Ciò avvenne, in particolare, dopo l’entrata in vigore, nel 1858, del codice agrario ottomano, le cui norme furono introdotte in Palestina con grande lentezza, nell’arco di molti decenni, ed ebbero, a quanto sembra, effetti diversi in regioni diverse. Nelle aree pianeggianti idonee alla coltivazione del grano, a differenza delle zone collinose, la nuova legge facilitò il passaggio a proprietà individuale della terra coltivabile, gran parte della quale, come terra demaniale o miri, non era mai stata oggetto di proprietà individuale ma era stata posseduta secondo le forme di possesso tradizionali, di solito in usufrutto collettivo (musha). 

In base alle norme della legge del 1858, così come furono applicate, i diritti di possesso comune del suolo vennero spesso ignorati, soprattutto nelle aree pianeggianti e in quelle dove prevaleva il musha, poiché molti contadini che godevano di antichi diritti tradizionali non si registravano per paura di essere sottoposti a tributi e ad altri obblighi statali, come la coscrizione militare.

Fu proprio il Codice ad introdurre la riscossione delle imposte non più in natura ma in moneta, fatto che introdusse i fellah nell’economia monetaria e rafforzò il diritto dello stato sulla proprietà fondiaria, inoltre si osserva in queso periodo anche una importante penetrazione di capitali stranieri, essenzialmente per acquisire proprietà fondiarie, portati da congregazioni religiose di tutti gli ordini, venute in Palestina per «proteggere le minoranze cristiane».

Fu così che i maggiori beneficiari di questo processo di concentrazione della proprietà terriera attraverso il meccanismo della registrazione, a spese dei contadini che come coltivatori, avevano goduto di diritti di pascolo e di altri usi civici, furono sia i nuovi ricchi mercanti della città di Beirut, Haifa, Giaffa e Gaza, sia il Sultano, che possedeva o aveva confiscato le terre, sia l’autorità religiose cristiane che mussulmane, che godevano dell’inalienabilità dei propri possedimenti.

È all’interno di questo processo di proletarizzazione che si insinua il progetto sionista e la sua embrionale oggettiva concorrenza con la borghesia araba in formazione.

                                                                                                                                                            

La guerra 1914-1918, i nuovi ladroni e la riscossa araba

Per quanto riguarda gli Stati e le nazioni più arretrate, dove predominano i rapporti feudali o patriarcali  e patriarcali-contadini, è in particolar modo necessario tenere presente: 1) la necessità dell’aiuto di tutti i partiti comunisti al movimento democratico borghese di liberazione in questi paesi…2) la necessità della lotta contro il panislamismo e contro le tendenze analoghe che tentano di collegare il movimento di liberazione contro l’imperialismo europeo e americano con il rafforzamento delle posizioni dei khan, dei latifondisti, dei mullah ecc.. 3) la necessità di una lotta risoluta contro i tentativi di dare una tinta comunista alle tendenze democratiche borghesi di liberazione dei paesi arretrati.

 

Lenin, Primo abbozzo di tesi sulle questioni nazionale e coloniale, 1920

Se abbandoniamo la nostra percezione euro-centrica rispetto al primo conflitto mondiale, sia come teatro prioritario degli avvenimenti, che come luogo principale delle forze in campo, che portarono ai ben noti esiti sul piano militare e politico, concentrando la nostra attenzione sul “medio-oriente”, oltre ad avere un quadro più ampio e a perdere la connaturata miopia da sussidiario scolastico di storia, daremmo uno spessore temporale più ampio ai problemi che agitano l’oggi, come ai limiti e alle prospettive imperialistiche nell’area.

Se uno stato d’agitazione, foriero di indicazioni per i sommovimenti sociali successivi rispetto ai molteplici soggetti coinvolti, alle forme di lotta adottate e all’involucro, o meglio, agli involucri politico-idelogici assunti, era presente prima della Grande Guerra, si può dire che questa agì sia da vettore per lo sviluppo delle società arabe, che da moltiplicatore delle aspirazioni delle masse, a partire dal ruolo attivo avuto da queste nell’evoluzione positiva del conflitto per le potenze vincitrici e dalle promesse dei ladroni imperiali.

Gli arabi vennero arruolati dagli alleati in corpi di lavoro per la costruzione di infrastrutture necessarie alla guerra, disertarono in massa l’arruolamento nell’esercito ottomano, come le attività relative all’organizzazione logistica della macchina bellica, anche a causa delle condizioni di vita che portarono il 10% dell’intera popolazione a morire di fame negli ultimi tre anni di guerra, parteciparono direttamente alle formazioni guidate dal figlio dello sceriffo Hussein, con la collaborazione dell’agente segreto inglese T.E. Lawrence.

Il comune odio contro l’impero ottomano e le aspirazioni di emancipazione nazionale e sociale funsero da collante per le masse arabe, ma già dal settembre 1919, gli imperialisti gettarono la maschera: gli inglesi si ritirarono dalla Siria e rimasero a presidiare Palestina e Mesopotamia, i francesi cominciarono l’occupazione del territorio siriano per instaurarvi il loro dominio. 

Questi, da subito, ma non facilmente, si adoperarono per ridimensionare manu militari le esigenze dei popoli oppressi con il terrore del proprio dispotico dominio imperialista, sbugiardandosi ben presto agli occhi delle forze più genuine del progresso sociale e stabilizzando politicamente l’area - tranne la Palestina -  per tutto il periodo tra le due guerre e legandola più strettamente alle proprie esigenze economiche.

Il potere politico coloniale poteva assumere forme d’amministrazione differenziate a seconda della potenza coloniale che l’esercitava e del contesto in cui veniva ad operare, ma aveva contenuti e finalità identiche quali: 1) l’adeguamento dell’economia della colonia alle esigenze del capitale straniero e, conseguentemente sviluppo intensivo dell’agricoltura monoculturale il cui prodotto era destinato all’esportazione a condizioni di favore nel paese colonizzatore, sfruttamento rapace delle risorse naturali e delle materie prime, divieto di iniziare in qualsiasi modo una coerente azione industrializzatrice; 2) sforzo per favorire la conservazione di forme di attività economica arretrate: ogni innovazione, ogni tentativo di rilancio educativo e culturale venivano osteggiati mentre si proteggevano, ad esempio, i sistemi di conduzione antichissimi, feudali nelle campagne; 3) repressione di qualsiasi movimento d’opposizione, soffocamento dei tentativi d’emancipazione sociale ed appoggio ai gruppi più retrivi ed a ceti dominanti tradizionali.

Il trapasso dalla dominazione turca a quella anglo-francese, cioè ad una più moderna forma di schiavitù, ed i suoi tentativi di resistervi, rese inconsistenti parole quali democrazia, libertà, diritto quando non fossero accompagnate da contenuti corrispondenti e verificarono le differenti propensione alla lotta e le differenti inclinazioni alla trattative dei compositi soggetti sociali che avevano dato vita ai primi moti di riscossa: Egitto, Irak, Siria e Libano erano stati il centro delle agitazioni anti-imperialistiche.



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