SENZA CENSURA N.12
NOVEMBRE 2003
Iraq: tra comunicazione, movimento e resistenza…
…in mezzo ad un mare di confusione!
Prima di tutto: ci riferiamo alla resistenza che, a partire dalla fine della guerra guerreggiata in Iraq, si è data e si è andata sviluppando lungo questi mesi. In secondo luogo: senza scomodare i padri del materialismo dialettico e storico ma limitandoci al Garzanti, il termine “confusione”, nella sua accezione medica, significa “disturbi nella percezione e incapacità di pensiero”. Ora, esattamente come, all’interno di questo contributo, non sia di nostro interesse approfondire il materialismo dialettico e storico, allo stesso modo non andremo certo a verificare il processo conoscito dal punto di vista medico. Va da sè che il rischio di passare per saccenti e/o supponenti quando si inizia un articolo con la definzione di cui sopra, e soprattutto quando si lega questa definizione al cosiddetto movimento/non/movimento antiglobalizzazione, ci sta tutto. Ma la nostra non vuole essere una critica a sè stante ma, come ogni volta ci capita addentrandoci nella matassa discorsiva/analitica della presente questione, quello che tentiano di dare sono spunti ulteriori e soprattutto ultili per approfondire il dibattito, che in un modo o nell’altro riguarda tutti noi. Tuttavia c’è, da qualche parte, come si suol dire, “qualcosa che tocca”. Cerchiamo di chiarire.
Non molti mesi fa, poco prima che iniziasse la guerra guerreggiata in Iraq, centinaia di migliaia di persone, associazione, sindacati confederali e di base, partiti istituzionali, centri sociali, ecc...diedero vita ad una imponente manifestezione, a margine del Forum Sociale Europeo, tenutosi a Firenze. Un “no alla guerra” apparentemente chiaro (apparentemente deciso), seppur gridato tra mille sfacettature. Poi la guerra. Guerreggiata. L’esercito anglo-americano che attacca l’Iraq, utilizzando basi e logistiche dei Paesi “amici” (loro) confinanti. Caccia bombardieri, esercito da terra, carri armati. E informazione. Tanta informazione. Giornalisti ovunque. Veline ovunque. Telegiornali, radiogiornali. Comunicati stampa da tutte le parti, in tutte le lingue. La guerra c’e’ e ce ne accorgiamo soprattutto per questo. Poi iniziano le macerie. Nel frattempo, mentre in Iraq piovono bombe, qui da noi si attivano, fin da subito (le minacce guerrafondaie erano state sostanzialmente chiare), le situazioni collettive, secondo le loro pratiche. Poco più di un mese di guerra guerreggiata, riconcorso da poco più di un mese intenso di iniziative, manifestazioni, conferenze, assemblee. Che in un modo o nell’altro hanno investito collettivi, organizzazioni, associazioni, coordinamenti. Quando Bush, il 2 Maggio scorso, decreta la “fine della guerra” anche qui da noi si registra uno stop delle iniziative quasi immediato. Prima la parola d’ordine “no alla guerra” era presente ovunque. Dopo il 2 Maggio, seppur con qualche strascico, ha smesso di esserlo. Si è presp una parola come “etica” e la si è sovrapposta prima di tutto a “politica” ed in qualche caso ad “ideologia”, cercando di caratterizzare in questo modo il proprio “no alla guerra”. Eppure.
Eppure c’è qualcosa che tocca. Prima di tutto nessuno ha mai designato Bush come arbrito della partita. Il suo fischio di chiusura avrebbe dovuto riguardare eventualmente la sua squadra. Un fischio di chiusura per altro molto formale e ben poco sostanziale. Ma tant’è. Tutti fermi, palla al centro. I morti, riportano i telegiornali, sono stati contenuti. Le bombe sono intelligenti, sicuramente di più di chi le costruisce o di chi le lancia. Ci sono feriti ma si rimetteranno. Ci sono dei prigionieri (non quelli di Guantanamo, no, quelli lasciamoli là) ma vedremo il modo di saltarci fuori. Palla al centro. Questo quello che hanno detto. Va bene. Tutti negli spogliatoi in attesa della prossima invasione, magari in Siria oppure in Iran.
Del resto in Palestina si continua a combattere da tempo, ma quella si sa non è guerra. E poi insomma, non è “roba fresca”, mass-mediatica sì ma fino ad un certo punto. Insomma ce la giochiamo se serve, qui. Purtroppo, per tutti, nessuno ha fatto i conti con l’oste. Mentre veniva dato per certo il primo tassello della balcanizzazione in Medio Oriente, il primo di una serie di tasselli che sarebbero andati a sommarsi nel giro di poco tempo in tutta l’area, in Iraq una Resistenza popolare iniziava a farsi sentire e a gridare il suo “cari occupanti, fuori dalla nostra terra”. Un invito inequivocabile. Siamo alle solite.
Mentre tutto sembra andare per il verso giusto, eccoli qua che escono fuori. Il ritiro dell’esercito iracheno all’entrata in Baghdad degli anglo-americani aveva lasciato tutti quanti sconcertati. Gli anglo-americani per primi, convinti com’erano di trovarsi di fronte un esercito, seppur rimaneggiato, comunque pur sempre uno dei “più forti eserciti al mondo”, diciamo al quinto posto della graduatoria, lo stesso posto che era occupato, qualche anno fa (ma si sa, la memoria è corta e ci si scorda in fretta della storia) dall’esercito Serbo/Yugoslavo. Ora una Resistenza popolare, che aveva iniziato a farsi sentire già nella seconda metà del mese di aprile, metteva i bastoni nelle ruote. A chi? Beh, prima di tutto agli strateghi statunitensi che avevano fatto male i loro conti e s’erano trovati assolutamente non preparati ad affrontare una guerriglia popolare. E poi qui da noi, il movimento/non/movimento che sì, il “no alla guerra” è senza se e senza ma, ma ora?! Ora, silenzio. Mentre la coalizione di paesi a fianco degli Usa sta cercando in qualche modo di arginare azioni di guerriglia che si fanno ogni giorno più forti), qui da noi regna sovrano il silenzio. Saranno gli uomini di Saddam Hussein. No, Bush dice che sono i terroristi di Osama Bin Laden. Sicuramente ci sono palestinesi, siriani, iraniani. E poi che significa quell’azione contro la sede ONU?! Basta iniziative. Basta mobilitazioni. Basta dibattiti. Fermi, c’è già altro da fare. Etica, politica, ideologia. Eppure.
Eppure ci troviamo di fronte ad una coalizione di Paesi guidati dagli Stati Uniti che sta occupando militarmente e logisticamente un paese sovrano, in modo del tutto autonomo da trattati internazionali e/o istituzioni sovranazionali. E l’occupazione continua. Oddio, le intenzioni erano poi quelle di allargarla immediatamente ad altri Stati dell’area ma al momento meglio vedere di risolvere la “cosa” in Iraq. Eppure ci troviamo di fronte ad una Resistenza, composita, che sta crescendo in strutturazione e consenso. E soprattutto in pratica (mentre scriviamo, un elicottero è stato fatto esplodere in volo con missili terra-aria).
Che sta affermando “resistere si può”. E che sta bucando l’iniziale silenzio e disinformazione dei mass-media. Anche i tentativi dei militari americani di minimizzare la portata della lotta in campo sta vacillando sotto la miriade di attacchi che, quotidianamente, gli eserci alleati subiscono, con relativi morti e feriti. Poi, c’è da aggiungere, iniziano a trapelerare anche notizie, a volte direttamente dagli Usa, di soldati che si tolgono la vita, sotto la pressione di una guerra che doveva essere lampo ed invece si sta rivelando una tempesta lunga e dolorosa. Ma si sa, ogni lavoro ha i suoi pro e i suoi contro. E mentre, sempre negli Usa, continuano le manifestazioni contro la guerra in Iraq, qui da noi al massimo si riportano, nei luoghi che dovrebbero essere dediti alla comunicazione indipendente, articoli dei quotidiani nazionali. Ma niente di più. Chi sta facendo confusione?!
I “disturbi nella percezione” e l’”incapacità di pensiero” sembra che ci stiano colpendo in modo quasi patologico. La qual cosa crea sovrapposizioni errate. Nei termini, prima di tutto. Checchè ne dicano i riformisti del pensiero a sinistra, una cosa è l’etica, altro sono politica e ideologia. Confondere le cose, confondere un movimento/non/movimento etico con un movimento politico, significa giocare con gli specchi, nulla di più. E qui si lega anche la metodologia analitica e l’acquisizione e la critica delle informazioni. Oggi dobbiamo registrare, purtroppo, che le nostre iniziative sono prive della pur minima metodologia d’analisi rispetto al presente. Nulla che vada oltre al semplice ed immediato “sono contro la guerra perchè la guerra uccide e fa morti”. Nulla che abbia la forza di legare in modo forte le politiche di guerra internazionali con le politiche che invece vengono dispiegate sul piano interno dei singoli Paesi. Nulla di tutto ciò. Però, ci duole dirlo, c’è dialettica tra i due aspetti. Le due facce della stessa medaglia. I due veicoli principali utilizzati dall’imperialismo nel tentativo di gestire lo stato di crisi provocato dal suo stesso essere sistema economico. Chissà se questa confusione sia già oggi patologia...
LA RESISTENZA ARMATA IRACHENA IRROMPE NEL MOVIMENTO “RESISTENZA E LIBERAZIONE”
a cura di CSCAweb (www.nodo50.org/csca)
La resistenza irachena opera come un corpo organizzato, con una strategia definita in tattiche militari ed obiettivi. Oltre alla sua componente Ba’az, la resistenza si starebbe nutrendo di settori provenienti da altri gruppi politici appartenenti alla denominata “opposizione patriottica” irachena che rappresenta la legittima opposizione storica e democratica al regime del Partito Ba’az.
Da quando lo scorso mese di aprile ha iniziato le sue prime azioni di resistenza contro l’invasione ed occupazione anglo-americana, l’Amministrazione Bush ha riconosciuto il 23 giugno, attraverso le parole di un anonimo portavoce della Autorità Provvisoria della Coalizione (APC), la presenza (in Iraq) di una resistenza armata. Collegando le “azioni di sabotaggio politico il cui obiettivo primo sono la messa fuori uso degli oleodotti” con una “inspiegabile perdita di potere nella capitale”, l’APC ha riconosciuto come queste siano “azioni che si stanno diffondendendo sempre di più” e il cui contenimento è in fase di studio.
Nonostante la dichiarazione di Bush del 2 maggio, nella quale il presidente statunitense decretò la fine delle operazioni militari su vasta scala nella fase dell’invasione dell’Iraq (evitando intenzionalmente di utilizzare l’espressione “fine” della guerra per l’esistenza in quella data di piccoli fuochi di resistenza armata), gli avvenimenti militari che stanno avendo luogo all’interno del paese confermano l’emergenza o la riorganizzazione di una resistenza irachena contro l’occupazione. Lontano dalle definizioni date dall’Amministrazione Bush e in modo particolare dagli ufficiali del Comando Centrale dell’USA in Iraq (“cellule residuali di truppe leali a Sadam Hussein”), la resistenza è andata sviluppandosi - in modo sempre più forte - dai giorni immediatamente successivi all’occupazione dalla capitale irachena - come accreditano le relazioni proprio del Comando Centrale statunitense e la stampa araba ed internazionale. Dalla fine del mese di aprile ad oggi, si sono sviluppate operazioni militari contro obiettivi delle forze di occupazione che hanno causato almeno enormi perdite tra le truppe statunitensi e britanniche, alle quali si aggiungono un centinaio di feriti e gli svariati danni alle infrastrutture militari, essenzialmente statunitensi in questo caso.
Attacco alle infrastruttura energetiche
Tutte le azioni che si sono via via sviluppate (al-Abidiya al-Garbiya, al-Hit, Kirkut, ecc.) confermano che la resistenza irachena opera come un corpo organizzato, con una strategia definita in tattiche militari ed obiettivi che mutuano l’allora resistenza del Vietnam. Il fatto che gli oleodotti e gasdotti siano obiettivi, non può non legarsi con la considerazione che solo una settimana fa l’amministratore civile dell’occupazione, Paul Bremer, ha annunciato la riapertura della commercializzazione del greggio iracheno nei mercati internazionali sotto la supervisione dell’USA, così come la destinazione ad imprese internazionali del petrolio immagazzinato fino al 19 di marzo 2003 e già compromesso dal precedente governo dell’Iraq.
Nonostante la difficoltà di conoscere con certezza la portata, la composizione e l’organizzazione della resistenza armata irachena dalla caduta di Baghdad, il giorno 9 aprile, è arrivata la conferma che la resistenza era ed è ben lontana dall’essere annientata. Al contrario, sarebbe potuta entrare in una fase di ricomposizione dietro il fallimento della catena di comando dell’esercito iracheno prodotta l’8 aprile. Allo stesso modo, durante le prime settimane di aprile, i confronti tra le truppe statunitensi e cellule irachene si mantennero particolarmente in maniera intermittente a Baghdad, e ciò impediva (agli americani) di affermare in quei giorni che le forze di occupazione controllassero il paese nella sua totalità. A mese avanzato e soprattutto durante maggio e giugno, le azioni della resistenza si sono diffuse anche tra i mezzi di comunicazione occidentali, in risposta alle operazioni delle truppe di occupazione, la più importante delle quali è stata l’Operazione Scorpione del Deserto, iniziata lo scorso 15 giugno nella città di al-Faluya, ad ovest di Baghdad, e che si è estesa a diverse parti del paese. Il comando militare dell’esercito di occupazione ha ammesso già il 17 di giugno che “la situazione in Iraq costituisce una sfida maggiore di quella che gli strateghi politici avevano anticipato” e ha collegato le azioni armate della resistenza col regime del Partito Ba’az: “I baazzisti hano armato a decine di migliaia di combattenti. Sono convinto che abbiano accesso a risorse, denaro, ed armi in modo da attivare qualche tipo di resistenza armata” [1].
L’Operazione Scorpione del Deserto, definita dal Comando Centrale dell’USA in Iraq come “progettata per identificare e destabilizzare organizzazioni terroristiche, elementi criminali e forze insubordinatrici in tutto il paese” [2], è una campagna che durerà settimane [3], così come confermato negli ultimi comunicati del Comando Centrale statunitense in Iraq [4].
Comunicati
di ‘Resistenza e Liberazione’
Oltre alla sua componente derivante dal Partito Ba’az, la resistenza si starebbe alimentando di settori provenienti da altri gruppi politici appartenenti alla chiamata dell’ “opposizione patriottica” irachena, che rappresenta la legittima opposizione storica e democratica allo stesso regime del Partito Ba’az.
Il passato 22 di aprile, ed attraverso un testo diffuso dal giornale arabo al-Quds al-Arabi, un gruppo autodenominatosi “Resistenza e Liberazione” presentava il suo Comunicato Militare Numero 1 [5], nel quale, oltre a rendere conto delle operazioni portate a termine contro le truppe di occupazione dal 10 di aprile, rendeva pubblica la sua posizione sull’occupazione dell’Iraq, la sua determinazione a combattere fino alla liberazione, la critica verso i regimi arabi vicini agli invasori e la denuncia rispetto agli infiltrati e traditori iracheni. A più riprese, nel comunicato veniva riaffermata l’identità araba ed islamica in un Iraq unito e democratico.
Solo il giorno dopo, col “Comunicato Numero 2 della Direzione della Resistenza e Liberazione della Repubblica dell’Iraq”, diffuso attraverso il giornale arabo al-Arab al-Yaum, due azioni suicide contro forze di occupazione statunitensi, una a Mosul ed un’altra ad ar-Ramadi, vennero attribuite a “Resistenza e Liberazione” [6]. Il comunicato dichiarava che l’operazione suicida di Yunus Saleh Amin a Mosul si legava con l’azione che ha portato alla distruzione di un veicolo ed un’automobile dell’esercito occupante, oltre alla morte e al ferimento di oltre dodici soldati statunitensi. Così come l’operazione suicida di Yasim Ali al-Yasin che portò alla morte di 7 soldati anglo-americani. In quello stesso comunicato, il gruppo di resistenza annunciava “la determinazione di mantenere la lotta fino alla liberazione del Grande Iraq e fino alla caduta dei baluardi del sionismo e dell’imperialismo”. Ugualmente, e facendo riferimento alle estorsioni che molti palestinesi residenti in Iraq stavano soffrendo dalla caduta del paese nelle mani degli occupanti, il testo annotava che “i figli e le figlie del nostro grande paese iracheno devono stare attenti alle conseguenze derivanti dal cooperare con giornalisti stranieri che, affermando di essere di diverse nazionalità, in realtà sono sionisti al servizio dell’intelligence israeliana. Alcuni di essi, vicini ai traditori del Congresso Nazionale Iracheno (nell’originale “Congresso Non Nazionale Iracheno”) hanno terrorizzato i nostri fratelli palestinesi che hanno risieduto qui durante più di 40 anni.”
Il 24 aprile un terzo comunicato della Direzione di Resistenza e Liberazione dell’Iraq è stato pubblicato nuovamente su al-Quds al-Arabi, rendendo conto, oltre alle operazioni militari portate a termine, di un appello alla “unità nazionale” sotto la parola d’ordine “resistenza e boicottaggio agli invasori assassini”, come via necessaria per costruire un “Iraq libero, democratico, musulmano ed arabo”. Il 30 aprile lo stesso giornale diffondeva una lettera manoscritto di Sadam Hussein nel quale egli richiamava ad una insurrezione popolare o Intifada contro l’occupazione [7].
I comunicati della resistenza, inclusi quelli firmati per “Resistenza e Liberazione”, per le Brigate al-Faruq, del 7 giugno, organizzazione islamica irachena di resistenza militare che afferma di agire di comune accordo col Comando Generale dalle Forze armate irachene di Resistenza e Liberazione” il cui massimo dirigente è, secondo il testo del comunicato, l’ex viceprimer ministro iracheno Taha Yasin Ramadán, [8], e quello dell’Organizzazione Naserista dell’Iraq, del 12 giugno, [9], come tre messaggi suppostamente scritti da Sadam Hussein, e dati come autentici dai mass-media arabi, hanno continuato ad essere resi pubblici, almeno per la stampa araba, fino allo scorso 14 giugno.
Una relazione dell’intelligence ricevuta per la Co. [10] ha rivelato che, secondo le sue fonti, il deposto presidente Sadam Hussein avrebbe potuto formare una nuova direzione segreta per preparare il lancio di una guerriglia composta da 40.000 membri contro le forze statunitensi per il giorno 17 luglio 2003. Questa forza di combattenti potrebbe essere diretta dal vicepresidente del vecchio regime Taha Yasin Ramadán e dal ministro della Difesa Sultano Hashim Ahmad. La rivista arabo al-Watan al-Arabi, nella sua edizione del 2 maggio, informava che la data per l’inizio della guerriglia coinciderebbe con l’anniversario della rivoluzione del Partito Ba’az e la sua salita al potere in Iraq, il 17 di Luglio.
Note:
[1] http://www.cnn.com/2003/US/06/17/hln.terror.new.operation
[2] http://www.centcom.mil/CENTCOMNews/news_release.asp?NewsRelease=20030668.txt
[3] http://www.theage.com.au/text/articles/2003/06/16/1055615730085.htm
[4] http://www.centcom.mil/CENTCOMNews/news_release.asp?NewsRelease=20030673.txt
[5] http://www.nodo50.org/csca/agenda2003/resistencia/comunicado_ryl_25-06-03..html
[6] http://www.freearabvoice.org/Iraq/Report/report06.htm
[7] http://www.freearabvoice.org/Iraq/Report/report09.htm
[8] http://www.freearabvoice.org/Iraq/Report/report15.htm
[9] http://www.nodo50.org/csca/agenda2003/resistencia/naseristas_25-06-03.html
[10] American Report, diffuso su Free Arab Voice il primo Maggio 2003.
PRIMO COMUNICATO DI “RESISTENZA E LIBERAZIONE DELL’IRAQ”
22 aprile di 2003
“In Iraq non si avrà mai un governo nato in accordo con l’invasione e l’occupazione: avrà un governo di resistenza e liberazione a beneficio di un Iraq arabo-islamico, unito e democratico.”
Il primo comunicato militare della Direzione della Resistenza e la Liberazione dell’Iraq fu pubblicata il passato 22 di aprile nel diario arabo con sede a Londra al-Quds al-Arabi (diffuso su www.freearabvoice.org/Iraq/Report/report06.htm ). Qui di seguito il testo:
“Dal 10 di aprile 2003, gli uomini e le donne della “Resistenza e la Liberazione dell’Iraq” stanno portando a termine azioni di lotta, tra le quali attacchi lampo ed operazioni suicida contro le forze di occupazione. In seguito alle difficoltà iniziali di diffondere comunicati, così come alla necessità di riorganizzare diverse priorità della lotta, sono trascorsi vari giorni nei quali abbiamo attivato la guerra per liberare il grande Iraq delle forze dell’attuale Hulagu: il criminale Bush, il criminale Blair e gli spregevoli sionisti. Queste le operazioni intraprese:
1. Morte di due soldati britannici a Basora, sepolti in qualche luogo lì vicino, e la distruzione di un carro armato. Feriti sette invasori.
2. Dal 10 di aprile, 87 soldati statunitensi sono stati feriti e si sono distrutti quattro carri armati ed altri tre veicoli militari. E’ confermata in tutti i settori dove si è lanciato la lotta (yihad, nel testo in lingua originale) la morte di 35 soldati. Il guerrigliero Jalil Umar ha portato a termine un’operazione suicida a Baghdad.
3. Tre soldati delle forze occupanti statunitensi sono stati fatti prigionieri. Le difficoltà attuali della lotta ci impediscono di pubblicare le loro fotografie, la qual cosa potrebbe mettere a repentaglio la nostra sicurezza. Ma ciò si porterà a termine con la grazia dell’Onnipotente nei prossimi giorni.
Figli del nostro unico Iraq, lottate e combattete fino alla cacciata dell’occupante; boicottatelo e perseverate pazientemente, perché compiacere a Dio e la Nazione è più importante di qualunque altra necessità. Boicottate i traditori e quelli che hanno facilitato l’entrata del nemico in Iraq.
Figli della natura araba, dell’islam e dell’umanità, tutti e tutte dove voglia che vi troviate, resistete a questa selvaggia aggressione che ha ammazzato, rubato, saccheggiato ed assaltato il nostro paese, il nostro patrimonio ed i nostri oggetti di valore. I guerriglieri (muyahidin, nel testo in lingua originale) che portano a termine le difficili operazioni di combattimento e che dipendono solo dalle proprie abilità, necessitano dell’appoggio di tutti voi contro l’invasione.
Hasta la victoria, per la grazia di Dio, Lunga vita all’Iraq, Lunga vita alla Palestina.
Vergogna per i traditori che hanno venduto la loro terra ed il loro onore, e si accompagnano con l’occupante criminale ed infedele.
La Direzione di Resistenza e Liberazione aveva previsto di nominare un ufficiale come portavoce formale in un paese arabo vicino. Ma viste le necessità di sicurezza, non siamo riusciti a portare a termine questo obiettivo. Tuttavia, riteniamo opportuno fare le seguenti considerazioni:
1. Le operazioni di lotta nell’Iraq arabo ed islamico continuano ogni giorno. Per Dio, gli invasori infedeli, assassini e ladri e tutti quelli che cooperano con essi, si pentiranno delle loro azioni.
2. Rispetto ai volontari arabi e musulmani: molti hanno portato a termine le battaglie più nobili vicino ai loro fratelli iracheni ma non meno di 16 stavano lavorando per i servizi segreti degli USA, il Mossad ed altri servizi di intelligence arabi, svelando al nemico - direttamente o attraverso organizzazioni di intelligence - i luoghi dove la Resistenza si stava organizzando. Una parte di essi è fuggita ed una fonte di sicurezza della Resistenza ha confermato che uno dei traditori è apparso su un canale di una televisione satellitare araba. Desideriamo esprimere chiaramente che tra i volontari ci sono eroi che sono caduti come martiri o che sono stati feriti. Alcuni di essi sono ancora in lotta a fianco dei loro fratelli; altri hanno preferito ritornare nei loro paesi, questo grazie anche agli errori commessi dalla direzione politica e militare irachena, al tradimento perpetrato da alcuni dei suoi ufficiali, oltre alla mancanza di esperienza da parte di alcuni di essi.
3. La Direzione ha confermato che il regime dell’occupato Kuwait ha pagato grandi somme di denaro ad un buon numero di oppositori infiltrati in cambio di opere d’arte saccheggiate e alla devestazione, mediante incendi, di proprietà pubbliche. Tre individui sono stati fermati e hanno confessato apertamente.
4. Allo stesso modo, abbiamo conferme che il regime sommesso della Giordania abbia supportato il lavoro di intelligence dell’invasore statunitense, oltre alla disponibilità di lasciare 6.000 infedeli statunitensi nella frontiera con l’ Iraq.
5. Il regime della dinastia Sa’ud che ha consegnato il Nejd, il Hiyaz, la Mecca e Medina agli invasori, ha dato appoggio agli occupanti a rimanere per il maggiore tempo possibile in Iraq. Questa carta è simile a quella giocata dal regime occupato dell’Egitto, il cui presidente ha dimostrato tutte le carenze proprie di chi manca di onore e coraggio.
6. Il regime ipocrita di Teheran ha provveduto ad ottenere informazioni dal traditore Muhamad Baqir al Hakim, riguardanti le attività dei combattenti della eroica resistenza.
7. La stessa Siria ha provveduto in primo luogo a sostenere i traditori che hanno applaudito all’invasione statunitense, offrendo, in secondo luogo, informazioni riguardante la Resistenza nel settore occidentale (zona nella quale hanno rifiutato l’idea di supportare i combattenti iracheni).
8. Infine, rispettando l’opposizione e le sue attività a Bagdad, affermiamo che il nostro paese, orgoglioso della sua fede e delle sue terre, caccerà gli invasori.
L’Iraq non avrà mai un governo che sia d’accordo con l’invasione e l’occupazione: avrà un governo di resistenza e liberazione a beneficio di un Iraq arabo-islamico, unito e democratico.
Alcuni segreti sulle attività di elementi (iracheni, arabi e stranieri) ritenuti sospetti, da poco rientrati in Iraq, saranno rivelati al più presto.
Lunga vita all’Iraq!
Lunga vita alla Palestina!
Combatteremo benché i traditori abbiano tutte le armi e l’autorità, fino alla liberazione dell’Iraq e della Palestina.”
(rif: http://www.freearabvoice.org/Iraq/Report/report06.htm)
SECONDO COMUNICATO DI “RESISTENZA E LIBERAZIONE DELL’IRAQ”
Al-’Arab al-Yawm, 23 Aprile 2003
“Al-’Arab al-Yawm” ha ricevuto dalla Leadership di “Resistenza e Libertà in Iraq” il comunicato che segue, riguardante le azioni contro gli occupanti. Prima di tutto i martirii avvenuti a Mosul ed ad ar-Ramadi. Nel comunicato si specifica come l’azione suicida di Younus Salih Amin abbia colpito un posto di blocco delle Forze Americane tra il centro Provinciale di Mosul e la città di Rabi’ah, distruggendo un veicolo militare ed un auto, ed uccidendo e ferendo una dozzina di soldati.
Il comunicato continua dicendo che alle 13 di ieri il martire Jasim Ali al-Yasin si è dato fuoco ad un check point americano nella città di ar-Ramadi, provocando la morte di 7 soldati e il ferimento di altri.
Si afferma anche che “come abbiamo annunciato alle nostre masse, è nostra ferma intenzione continuare la jihad fino alla liberazione del grande Iraq e fino alla caduta di tutti i baluardi sionisti, vi avvisiamo, vi avvisiamo, avvisiamo chiunque stia cooperando con i criminali occupanti che su di voi cadrà la nostra vendetta, secondo gli insegnamenti della nostra religione.”
Il comunicato si conclude con le stesse espressioni lanciate dal presidente iracheno Saddam Hussein “Dio è grande! Lunga vita all’Iraq! Lunga vita alla Palestina!”.
Un comunicato inviato sempre dalla Leadership di “Resistenza e Liberazione” ad “al-’Arab al-Yawm”, puntualizza i seguenti punti: “Noi avvisiamo i figli e le figlie della nostra grande Iraq rispetto alle conseguenze della loro cooperazione con cosiddetti giornalisti internazionali, che altro non sono che agenti dell’intelligence israeliana. Un grande numero di questi personaggi, in compagnia dei traditori del Congresso Non-Nazionale dell’Iraq, hanno terrorizzato i nostri fratelli palestinesi che qui hanno risieduto per oltre quaranta anni”.
(rif: http://www.freearabvoice.org/Iraq/Report/report06.htm)
L’ORGANIZZAZIONE NASERISTA ENTRA NEL MOVIMENTO “RESISTENZA E LIBERAZIONE”
Free Arab Voice, 13 Giugno 2003
L’Organizzazione Naserista irachena ha annunciato lo scorso 12 giugno, la costituzione di un braccio armato con l’obiettivo di unirsi alla lotta della resistenza irachena e “invitando”, attraverso una nota ufficiale, tutti gli stranieri che operano assieme alle forze di occupazione, a lasciare l’Iraq. In caso contrario essi stessi diventeranno possibili target della resistenza.
Il Consiglio di Comando dell’Organizzazione Naserista dell’Iraq, ha affermato mediante comunicato che, a seguito della riunione straordinaria del Comando Regionale all’interno della quale è scaturita la decisione di sostenere le azioni di resistenza contro l’occupazione anglo-americana, si è formalizzato un Consiglio Militare denominato “Gruppo di Liberazione”, il quale seguirà la linea politica dell’organizzazione naserista e che costituirà una delle organizzazioni della resistenza popolare armata, attiva contro gli invasori. La dichiarazione specifica altresì che il Consiglio Militare Speciale era già stato organizzato in precedenza ed aveva preso parte ad operazioni sotto il Comando Generale della Forze armate Resistenza e Liberazione, partecipando ad esse sotto la parola d’ordine Liberazione, come unica via per l’istituzione di un regime democratico in Iraq.
La dichiarazione condanna la posizione del Partito Da’wah (Propaganda), di filiazione religiosa shiita, che descrive come lacchè delle forze di occupazione, alle quale avrebbe passato informazioni sulle organizzazioni della resistenza. Il comunicato denuncia duramente la sua “odiosa deriva che pretende mantenere le forze dell’USA e della Gran Bretagna in Iraq per quanto più tempo possibile, come stanno facendo le bande di Barzani, Unione Patriottica del Kurdistan, UPK, Talabani (Partito Democratico del Kurdistan), al-Hakim (Consiglio Supremo della Rivoluzione Islamica in Iraq, CSRII, e Chalabi) Congresso Nazionale Iracheno, CNI”, secondo quanto affermato nel comunicato naserista.
La dichiarazione condanna ugualmente le dichiarazioni di Muhamad Baqir al-Hakim, presidente del CSRII, in relazione alle attività della resistenza, da lui qualificate come sospettose. La dichiarazione naserista afferma che “il primo sospetto è proprio al-Hakim e chi non essendo iracheno è venuto in Iraq con lui”. Aggiunge il testo che “le precisazioni di al-Hakim costituiscono in realtà un tentativo dello stesso al Hakim e dei traditori settari come lui di fare credere agli shiiti che si è stabilito una tregua con l’occupante, quando in realtà la resistenza investe molti shiiti che contemplano la lotta a beneficio dell’Iraq e della liberazione come molto più importante delle ambizioni dei traditori.”
Uscita degli stranieri
Il Consiglio di Comando dell’Organizzazione Naserista iracheno si è detto concorde con le dichiarazione del Comando Generale delle Forze armate, denominato “Resistenza e Liberazione”, che concede un termine fino al 17 giugno 2003, affinché tutti i civili di qualunque nazionalità - tanto dei paesi aggressori, come di tutte le nazionalità - che cooperano con le forze di occupazione, lavorino nel settore civile o nelle forze armate, come ai residenti del Qatar, Kuwait, Arabia Saudita, Iran e Turchia, di abbandonino l’Iraq. Dopo quella data tutti essi saranno considerati come obiettivi del movimento di resistenza.
Nota
1) la dichiarazione dell’Organizzazione Naserista iracheno è stata pubblica il 12 giugno 2003 nel giornale arabo al-Quds al-Arabi.
(rif: http://www.freearabvoice.org/Iraq/Report/report16.htm)
Ottobre 2003
CSCAweb (www.nodo50.org/csca)
La resistenza irachena continua nella sua lotta che ha portato alla morte di di tre soldati, facendo così salire a 111 il numero di soldati anglo-americani uccisi a partire dal 1 maggio. La massima autorità militare dell’USA in Iraq informa che gli attacchi della resistenza stanno aumentando nelle ultime settimane al ritmo di 35 azioni al giorno mentre il Pentagono ha di recente stanziato 335,5 milioni di dollari per nuovo equipaggiamento militare.