SENZA CENSURA N.12

NOVEMBRE 2003

 

Costi di guerra e costi della guerra

 

Negli ultimi anni, le ristrutturazioni e i tagli alla spesa pubblica, hanno sempre più attaccato il livello di vita di lavoratori e proletari in nome di una sempre maggiore appropriazione di quanto prodotto, il tutto mascherato dal rinomato bisogno di sanare il deficit pubblico.

La stessa attenzione al bilancio non la notiamo quando si tratta di sostenere le strategie di guerra della borghesia attraverso l’accollarsi, a livello di bilancio nazionale, dei costi che questa comporta.

Non è casuale il gran da farsi da parte americana nel coinvolgere l’Onu, e di conseguenza anche i restii paesi membri ad accodarsi senza voce in capitolo alla guerra Usa, nella gestione dell’occupazione dell’Irak, certamente per non trovarsi isolata con i numerosi “sacchi neri” che ritornano in patria, ma non secondario per non aggravare ulteriormente la provata economia Usa.

La necessità di reperire risorse per coprire i costi della guerra in Irak, costi della guerra internazionale al terrorismo, costi relativi all’adeguamento della struttura militare europea e conseguente sostegno alla sua industria bellica, è chiaro che presupponga una ricaduta su quanto può essere dirottato su sanità, servizi pubblici, ecc. E’ anzi presumibile che attinga, direttamente o indirettamente, a quelle risorse che già sono accantonate, come le pensioni, per pagare le continue ristrutturazioni dovute ad una crisi che questa guerra di lunga durata mette ancora più allo scoperto.

Con questo articolo vorremmo cercare di approfondire, per quanto ci è possibile, il binomio costi di guerra e costi della guerra, dove da una parte affrontare i costi della guerra guerreggiata, dall’altra le ricadute sul proletariato in termini economici.

 

Già nei numeri precedenti, oltre che ribadire la crisi come causa reale della guerra di lunga durata della Borghesia Imperialista (BI), abbiamo riportato le cifre relative ai costi della guerra in Irak, cifre presunte visto che la guerra non era ancora nella sua fase di guerra di terra.

In una lettera di Bush al Congresso datata 17 settembre, sono contenute le richieste finanziarie per la difesa o meglio per continuare la guerra al terrorismo. Sufficientemente dettagliate per comparare i costi rispetto a quanto prospettato in questi mesi dai vari analisti.

Abbastanza chiara la premessa alla richiesta di ulteriori risorse, nella quale sono motivate le ragioni per le quali è necessario procedere in tale direzione: “per procedere ad ulteriori operazioni militari e di intelligence in Irak, Afghanistan, e ovunque”.

Il governo Usa richiede per il 2004 circa 65,5 miliardi di dollari, che vanno ad aggiungersi al “normale” budget di spesa militare, suddivisi 51 miliardi destinati alla guerra in Irak, 11 miliardi per le operazioni militari in Afghanistan e il restante per i partner della coalizione che sostengono la politica imperialista Usa. A questi devono essere aggiunti altri 21,5 miliardi di dollari da destinarsi alla Autorità Provvisoria irachena suddivisi in circa 20 miliardi per il Fondo Ricostruzione, 800 milioni per la sicurezza in Afghanistan e il restante per altre attività del Dipartimento di stato.

Ma non sono solo gli Usa che devono fare i conti con i costi della guerra in Irak. Anche la Gran Bretagna, che non di meno si è impegnata sul piano militare nella guerra contro l’Irak, ha dovuto prevedere un sostanziale aumento per le spese militari nel suo bilancio.

In uno studio dell’ottobre 2002 veniva stimato il costo di una guerra GB-Irak, sulla base della guerra del 1991 partendo dal presupposto che in quel caso l’80% di quella spesa doveva essere carico di altri paesi, intorno ai 3,5 miliardi di sterline. Nel novembre 2002 furono stanziati 1 miliardo di sterline per consentire alla GB di far fronte alla guerra globale al terrorismo. Nel marzo 2003 sono stati stanziati altri 3 miliardi di sterline per l’equipaggiamento e i militari presenti in Irak e altri 300 milioni per i cosiddetti aiuti umanitari, specificando che questo non significa ricostruzione.

Nel luglio 2003 si trovavano in territorio iracheno circa 11.000 uomini della Gb, e dal mese di settembre sono cominciati ad arrivarne altri fino a raggiungere un contingente di 15.000 uomini.

In mancanza di dati certi lo studio prende come riferimento i costi del mantenimento dei militari inglesi per la occupazione dell’Irlanda del Nord nel 2002. Sulla base di ciò arrivano a determinare un costo di circa 1 miliardo di sterline per anno che potrà variare verso l’alto se aumenterà la durata dell’occupazione.

Lo studio afferma che i dati sui costi che ritiene di dover sostenere la GB sono in aperto contrasto con quanto affermato dagli Usa.

I dati dell’amministrazione Usa nella pubblicazione dei dettagli hanno individuato due budgets separati. Il primo per il periodo marzo settembre 2003 di un totale di circa 79 miliardi di dollari, destinati 30 miliardi al rafforzamento militare, 13 miliardi per  la guerra guerreggiata e 7 per la ricostruzione. Il secondo budget per il periodo ottobre 2003 ottobre 2004 ammonterebbe a 75 miliardi di dollari oltre 12 miliardi per l’Afghanistan, compresi 51 miliardi per le operazioni in Iraq e 15 miliardi per la ricostruzione delle infrastrutture irachene.

A questi dobbiamo aggiungerci quanto approvato per la ricostruzione  nell’ultimo mese, somma che si aggira attorno ai 20,5 miliardi di dollari.

I costi mensili per mantenere in Irak truppe americane di 140.000 militari sono stimati circa 4 miliardi di dollari e a lungo termine una forza di occupazione dai 67.000 ai 106.000 uomini costerà dai 14 ai 19 miliardi di dollari all’anno.

Vedremo cosa determinaranno a livello politico Usa le indagini interne che stanno investendo il pentagono in merito dei 1000 miliardi di dollari di spesa a cui non viene trovate documentata giustificazione.

E’ importante far notare che secondo una relazione dell’Aprile 2003 il Pentagono ha dichiarato che nelle prime 3 settimane di guerra sono stati spesi dai 10 ai 12 miliardi di dollari in operazioni militari, compreso il trasporto truppe e equipaggiamenti, oltre a 9 miliardi di dollari per altre spese. Stimavano già nell’aprile 2003 un costo complessivo della guerra, fino a quel momento, non inferiore ai 26 miliardi di dollari. Fino al Luglio 2003 sono già stati spesi ulteriori 8 miliardi di dollari aggiuntivi alle previsioni per il 2003 per supporto alle operazioni di guerra.

Ma il costo della guerra, davanti ad un deficit Usa tra i più forti della storia, deve tener conto dei costi di oggi ma anche quanto andrà a determinarsi negli anni fiscali successivi con l’incremento degli interessi.

Calcolando che la copertura di tale somma possa avvenire nei termini di 10 anni ad un tasso del 4% (preso in esame da alcuni studi come tasso medio), i costi che verrebbero a determinarsi solo fino all’aprile del 2003 sarebbero attorno ai 41 miliardi di dollari oltre ad un costo mensile reale di 5,4 miliardi di dollari per il mantenimento delle strutture militari.

Ai costi direttamente riferibili alla campagna irachena e alle conseguenze sui bilanci statali, dobbiamo non dimenticare di aggiungere che la cosiddetta “guerra al terrorismo” o post 11/9 ha già determinato un aggravarsi della situazione di spesa.

In uno studio presentato al congresso Usa, già nella seconda metà dello scorso anno, era stato affermato che la guerra al terrorismo stava determinando chiaramente conseguenze negative sui bilanci statali Usa sia immediate che a breve termine.

Al di là delle perdite materiali e finanziarie determinate dall’attacco stesso, a breve termine, presumono una perdita di stock di merci di circa 1,7 mila miliardi di dollari, la crescita di circa 11 miliardi di dollari l’anno delle spese per la sicurezza aerea, un aumento dei costi per le aziende di circa 150 miliardi di dollari, un aumento dei fondi per la difesa negli ultimi tre anni da 300 a 400 miliardi di dollari, oltre i costi già sostenuti nel 2002 e quelli già richiesti per l’anno fiscale in corso, determinando una situazione di decifit attuale per il bilancio Usa di oltre 480 miliardi di dollari.

Nelle analisi precedenti all’attacco, veniva individuata, come possibile copertura delle spese di guerra, la commercializzazione del petrolio iracheno. Sebbene questo, già da alcune ipotesi, veniva ritenuto improbabile per la necessità di ricostruire la rete di distribuzione e quanto ad essa connesso, la forte resistenza trovata sul campo di guerra rende ancor più difficile il suo realizzarsi.

Le ricadute in negativo in termini di risorse destinate alle cosiddette spese sociali, non sono semplici affermazioni ma risultano documentate e documentabili utilizzando quanto affermato dagli stessi analisti borghesi.

Nei numerosi studi commissionati dai vari stati o organizzazioni come il fondo monetario emerge quanto la presenza di una guerra abbia una ricaduta sostanziale sui valori di inflazione, dovuta ad un sostanziale aumento dei prezzi. Nelle fasi di guerra precedenti la necessità di aumento delle risorse militari comportavano un maggiore utilizzo di prodotti per la produzione facendo aumentare la domanda e di conseguenza i prezzi

In condizioni economiche favorevoli singoli paesi possono sì intervenire per cercare di arginare tale fenomeno, ma ciò non sembra che facilmente possa avvenire in questa fase di crisi.

Nell’attuale fase di guerra al terrorismo questo deve essere visto in maniera un po’ più elastica ovvero considerando l’aumento del bisogno di sicurezza in termini di personale e di tecnologia avanzata per il controllo.

Il perdurare del conflitto attuale genera il rischio di un aumento sostanziale del costo del petrolio con le conseguenti ricadute sui prodotti.

Secondo alcuni analisti in realtà il problema maggiore è il finanziamento della guerra. E’ questo bisogno di aumento del finanziamento alla guerra che determina una necessità di aumento della tassazione reale e quindi genera inflazione o meglio perdita della capacità di spesa privata.

Se gli analisti sono concordi nel fatto che non ci troveremo davanti a rischi di inflazione ai livelli della guerra del golfo, non escludono che alcuni fattori possano peggiorare la situazione delle risorse a disposizione. In particolare, come già affermato, una incapacità di controllare il prezzo del greggio, il bisogno di aumentare le capacità militari richiedendo maggiori budget a disposizione per questo, la necessità di dover provvedere alla ricostruzione con risorse “occidentali” e quindi dover attingere alle sempre minori disponibilità determinate dai deficit di bilancio.

Le condizioni di bilancio dei singoli paesi non sono certo rosee. Per far fronte a questo, la stessa GB ha previsto che dovrà obbligatoriamente intervenire su carico fiscali, con un aumento tale da consentire il pagamento dei finanziamenti per scuole, ospedali e trasporti.

Per gli Usa, secondo i dati forniti dal congresso, saranno necessarie tasse ulteriori per 6.000 dollari a famiglia a causa della necessità poste dal deficit, e possiamo immaginare che in caso di esito negativo o con il prolungarsi nel tempo della guerra, possa ulteriormente aggravarsi la situazione.

La Resistenza Irachena assume così la duplice importanza di rappresentare da una parte il naturale riferimento per le masse irachene e di tutta l’area per aver dimostrato che l’imperialismo, in questo caso gli Usa, può essere fermato dalla lotta armata di resistenza; dall’altra assume la funzione di rendere ancor più visibile all’interno dei paesi imperialisti le ulteriori conseguenze, in termini di peggioramento delle condizioni dovute alla guerra, di una crisi alla quale la BI tenta di trovare una soluzione attraverso la guerra stessa. La certezza di questa affermazione va ricercata nel fatto che i continui attacchi della resistenza, i sabotaggi alla rete di distribuzione del petrolio, gli attentati ai rappresentanti delle aziende che si dovrebbero spartire la ricostruzione, rendono praticamente impossibile compensare, attraverso una valorizzazione dei capitali, i costi che i bilanci statali devono accollarsi, producendo le condizioni per un possibile effetto a catena sulle economie dei paesi imperialisti. In questo modo migliorano le condizioni per determinare dall’interno delle stesse metropoli un primo passaggio, possibile anche all’interno di un conflitto con queste caratteristiche (e non solo in improbabili e speriamo impossibili scenari di guerra mondiale “classica”): il passaggio da conflitto imperialista a lotta di classe. Condizione che può determinarsi solo attraverso la presa di coscienza da parte delle soggettività politiche della responsabilità storica a cui sono chiamate a rispondere.



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