La classe operaia ha perso l'indirizzo del
paradiso?
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Appunti sui metalmeccanici, sulle mobilitazioni di questi
mesi e sulla rottura sindacale tra Fiom e Fim-Uilm.
La "centralità" del comparto
metalmeccanico
Nello scenario politico italiano, in questi ultimi anni, abbiamo assistito
al ritorno della presenza del comparto metalmeccanico e del suo maggiore
organismo di rappresentazione sindacale: la FIOM.
La ristrutturazione, provocata da un processo di crisi economica, ha investito
l'industria, modificando l'organizzazione del lavoro, portando l'aumento
del precariato, e colorando la classe operaia in Italia. Questa vivacità
linguistica e cromatica è provocata dalla massa di immigrati che
si riversa dentro fabbriche, cantieri e lavori usuranti in genere. In
alcune regioni, principalmente Emilia e Veneto, si assiste a nuova immigrazione
dal Sud d'Italia, paragonabile al fenomeno che, negli anni 70, investì
il vecchio triangolo industriale italiano (Genova, Torino, Milano).
La classe operaia si è modificata, anche anagraficamente, grazie
a un processo portato avanti dal padronato, che ha visto da una parte
un massiccio svecchiamento con l'utilizzo di mobilità e prepensionamenti,
e contamporaneamente l'assunzione di quote sempre maggiori di giovani
precari. L'utilizzo del lavoro interinale è rilevante anche nel
comparto metalmeccanico. Le mansioni degli interinali in fabbrica sono
le peggiori e le più usuranti, anche se è ormai difficile
individuare una mansione in fabbrica non usurante, visto l'aumento dei
ritmi e dei tempi generali di lavoro.
Il cambiamento delle condizioni e della composizione di classe si riflette
anche nei "comportamenti operai". Sempre meno si può
parlare di un'ottica lavorista. Il modo di mettersi in mutua, oltre alle
interminabili discussioni sul calcio, sembra essere l'argomento che più
vivacizza le usuranti e monotone giornate in officina. Ritratto ben diverso
dall'immagine dell'operaio felice di produrre per l'azienda e il bene
della nazione, che le TV e i giornali borghesi ci regalano quotidianamente.
Un discorso a parte meriterebbe l'iconografia delle agenzie di lavoro
interinali, dove, tra una piuma, un violino e una ragazza che volteggia
nell'aria, si fa a gara per rappresentare simbolicamente la leggerezza
del lavoro flessibile e della felicità dei novelli interinali.
Progressivamente si è ristretta la prospettiva per il futuro, il
No Future cantato dai punks, qualche anno fa, ora non esprime un generico
ribellismo, ma una condizione per milioni di persone. I padroni hanno
minato la filosofia aziendalista propinata ai lavoratori, e il ricorso
alla repressione e ai licenziamenti "politici" si verifica sempre
più spesso.
I sindacati gestiscono quote di mercato e rimane forte la loro capacità
di aggregazione.
Il contratto metalmeccanici è stato storicamente, ed è ancora
oggi, il banco di prova per valutare i rapporti di forza tra le classi,
andando, poi, a investire l'andamento contrattule di tutte le altre categorie.
Lo stesso rapporto lo si ritrova all'interno del comparto metalmeccanico
stesso rispetto al contratto integrativo del blocco FIAT.
Anche se i contratti firmati dai metalmeccanici sono sempre più
peggiorativi, gli attuali standard economici riescono ad ammortizzare
la noiosa e usurante vita di fabbrica. Esiste tuttora un margine di tollerabilità
tale da non scalfire il potere padronale e da permettere all'opportunismo
di occupare un ruolo egemone tra le rappresentanze dei lavoratori. Da
anni le organizzazioni rappresentatrici del "vecchio movimento operaio"
fanno sempre più fatica a mantenere il loro ruolo, ma non se ne
può ancora decretare la morte, né decantare un'alternativa.
Questo nuovo clima sociale ha riportato a un rinnovato protagonismo della
FIOM, culminato con l'entrata dentro il movimento No Global. La sua presenza
ha spostato gli equilibri interni di quel movimento. Paradossalmente,
pur portando un genuino connotato di classe, ha favorito, soprattutto,
la destra del movimento, (DS, PRC e associazionsmo). Attraverso il sindacato,
la sinistra ufficiale, è stata legittimata ad assumere un ruolo
centrale all'interno del "movimento dei movimenti". Rimane gustoso
constatare come molti soggetti politici, che fino a pochi anni fa parlavano
di fine della classe operaia, ora stiano inseguendo e osannando l'entrata
del più storico sindacato di categoria italiano dentro dinamiche
di "movimento".
Porterebbe lontano intrecciare le vicende del comparto metalmeccanici
e la storia della sinistra in Italia. Il peso, il mito che questo comparto
ha rappresentato non ha eguali. La fabbrica, con i camini fumanti è,
spesso, ancora utilizzata nelle rappresentazioni figurative o musicali
della sinistra per indicare il "lavoro", così come le
oceaniche masse di tute blu simboleggiano i "lavoratori". Il
contributo che questo comparto ha dato alla sinistra riformista e rivoluzionaria
è stato altissimo e tuttora ne è uno dei principali bacini.
Ma è innegabile come una certa retorica sia ormai legata a tempi
antichi. La metropoli capitalista si è modificata e, anche attraverso
la proletarizzazione, vi è stata un'estensione dei salariati e
delle tipologie di lavoro corrispondenti.
I metalmeccanici sono stati i protagonisti della vertenza FIAT. Vertenza
che ha scosso l'Italia e ha riproposto forme di azione diretta, più
o meno mediatiche, quindi più o meno incisive. Vi sono stati dei
tentativi d'azione indipendenti e autonomi, che hanno raggiunto la punta
più avanzata nel blocco di Melfi da parte degli operai di Termini
Imerese. Le forme utilizzate dagli operai nelle mobilitazioni legate alla
vertenza FIAT si sono riversate all'interno del movimento contro la guerra,
sdoganando pratiche "illegali", che per anni sono state assenti
all'interno delle mobilitazioni (ci riferiamo al blocco tramite picchetto
di strade, ferrovie, aereoporti). Ma se è avvenuta questa trasmissione,
difficilmente si è potuto scorgere un salto in avanti di prospettiva.
Solo alcuni tentativi da parte della sinistra operaia hanno cercato di
coniugare la lotta di classe nelle metropoli con la lotta antimperialista
delle masse arabe (qui a lato riportiamo un documento sottoscritto da
varie reltà di fabbrica). La FIOM, dopo aver sbandierato scioperi
e radicalità, ha fatto in modo di contenere e sedare il malcontento,
supina nei confronti delle esigenze della sinistra ufficiale, serva, come
la destra, della politica imperialista statunitense.
Vi è stata una capacità di contaminazione tra fabbrica e
società, e per alcuni momenti gli operai hanno catalizzato la protesta,
ma questi non sono riusciti a conquistare una reale posizione d'avanguardia.
La classe operaia non riesce, all'interno dell'attuale contesto socio-economico,
ad agire come soggetto catalizzatore principale. Il contributo dei metalmeccanici
è spesso preso come massa di manovra per ingrossare le fila dell'opposizione
di sinistra, ma difficilmente si intravede una sua indipendenza in termini
d'organizzazione o di comportamenti autonomi.
Una tale incapacità è dovuta, principalmente, a due fattori:
1) La classe operaia è in grado di manifestare la sua forza antisistemica,
derivante dal suo potere economico nella società capitalista, solo
all'interno di lotte radicali. Immeditamente la sua scesa in campo porta
innumerevoli svantaggi e perdite per il capitale. La forza operaia è
spesso sottostimata dagli operai stessi. Le lotte vengono assorbite, calmierate
da ammortizzatori sociali, e vengono facilmente cavalcate dalle organizzazioni
sindacali e dalle dirigenze opportuniste. La presenza, quindi, degli opportunisti
e dell'immobilismo delle organizzazioni sindacali della classe operaia
deriva dalla stessa mancanza di lotte, che non favoriscono la nascita
di porzioni che si possano collocare in una prospettiva e che sviluppino
una pratica legata all'autonomia proletaria. L'attuale aumento del precariato
e l'abbassamento dei salari non è tale da scatenare delle mobilitazioni
incisive. La sinistra operaia, spezzettata all'interno del sindacato e
nei collettivi e gruppi dell'estrema sinistra organizzati all'interno
dell'industria, batte sempre sul problema organizzativo, che si traduce
in un problema numerico, non riuscendo così a spiegare la passività
sociale che si respira dentro gli stabilimenti. Esistono delle lotte e
dei tentativi d'organizzazione indipendenti, ma questi sono troppo limitati
per essere interpretati come linea di tendenza.
2) Vi è stata una modificazione strutturale dell'organizzazione
e del mercato del lavoro che ha portato, negli ultimi trent'anni circa,
alla modificazione e alla sviluppo della metropoli occidentale e al ridimensionamento
dei poli industriali. Ridimesionamento non numerico, evidente se si osserva
la crescita oceanica della classe operaia industriale mondiale e lampante
per quanto riguarda l'incremento nelle regioni asiatiche. Ma con ridimensionamento
intendiamo una rinnovata gestione delle risorse umane, sia da un punto
di visto economico sia, conseguentemente, sociale. Qualsiasi prospettiva
rivoluzionaria, oggi, deve confrontarsi con questa dinamica, per non ricadere
in una sterile ideologia priva di incisività.
In Italia alcune aree geografiche sono state investite da queste modificazioni,
tanto da far cambiare gli equilibri interni. Ad esempio, come abbiamo
già accennato in precedenza, Genova, Milano, Torino, il vecchio
triangolo industriale, non agisce più come catalizzatore e l'attenzione
si è spostata su altre zone, dove la sperimentazione produttiva
e sociale è più avanzata: ci riferiamo in particolare a
Emilia e Veneto. Zone dove lo sviluppo industriale si concentra non in
specifiche città, ma in una zona metropolitana più estesa,
supportata da un adeguato, nell'ottica capitalista, sistema di infrastrutture
che ne sostengono la distribuzione e l'energia.
La metropoli capitalista porta il proletariato ad assumere al suo interno
una maggiore varietà di soggetti e a diluire l'importanza di uno
specifico. Una simile fenomeno assume un'importanza particolare per la
storia italiana, dove molto spesso la definizione di classe proletaria
si faceva coincidere con quella sociologica di classe operaia. Non si
sottostima l'importanza di definire le porzioni sociali rispetto al modello
produttivo, ma non solo nei termini di organizzazione di lavoro, ma rispetto
al rapporto di produzione sociale capitalista nel suo complesso. Non si
contesta, in questa sede, la centralità produttiva del comparto
metalmeccanico e il suo essere l'asse centrale dentro la classe operaia
italiana. E' tipico di un certo opportunismo parlare di fine della classe
operaia, per sottintendere la fine della possibilità di un cambiamento
radicale e rivoluzionario. Il modernismo è l'altra faccia della
stessa medaglia del conservatorismo (che in questo caso si manifesta nella
retorica del lavoro di fabbrica), ambedue negano ogni autonomia del proletariato.
Vogliamo evidenziare la presenza di fasce sociali che si affacciano dentro
le trincee della lotta di classe. Così, come la definizione di
tecnico proletario fu feconda all'inizio degli anni 70, ora si assiste
ad una nuova proletarizzazione, che ritrova ad esempio nei call center
il terreno di prova1.
Mettiamo in discussione l'attuale incapacità d'azione della "centralità
operaia", ossia la difficoltà di aggregazione del comparto
metalmeccanici, rispetto ad altre porzioni di classe.
La FIOM
Parlare di classe operaia industriale vuol dire parlare soprattutto di
FIOM, il più grande sindacato di categoria in Italia (dopo, ovviamente,
quelli dei pensionati).
La FIOM è la sinistra del sindacato CGIL, è la struttura
che ha lanciato il ponte verso i no global, e che più di tutte
ha messo alle corde il progetto dei sindacati di base. E' bastato uno
spostamento a sinistra della FIOM per oscurare completamento la battaglia
politico sindacale dei sindacati di base, e scalfire, addirittura, il
monopolio simbolico che si erano guadagnati nei termini di "antagonismo"
agli occhi dei lavoratori d'estrema sinistra. L'azione operaia non si
può certo ridurre a un'organizzazione. In questa fase il soggetto
operaio combattivo si muove, per lo più, dentro la centrale sindacale
FIOM. Esistono delle generose minoranze: collettivi legati ai sindacati
di base, micro organizzazioni politiche su base di fabbrica, ma non rappresentano
un bacino numerico tale da avere un peso sociale. Se esiste una sinistra
operaia, che prova a sperimentare proprie forme di indipendenza e azione,
questa ha nella FIOM un bacino privilegiato. Non bisogna tuttavia intendere
la sinistra operaia come una corrente o un'organizzazione, ma come un
insieme di compagni combattivi che provano a collegarsi e a muoversi in
modo autonomo, rompendo con il legalitarismo borghese e la concertazione
dei bonzi sindacali.
La FIOM attualmente deve gestirsi una vertenza contrattuale, che la vede
sola contro Confindustria. La FIM e la UILM hanno capitolato di fronte
alle allettanti proposte del governo e di Confindustria: aumento del precariato
e abbassamento del potere d'acquisto dei salari. Questo contratto conferma
un arcinoto masochismo all'italiana, nato da 50 anni di governo democristiano:
con il martirio si raggiungerà la fede...
La così detta battaglia per la democrazia sindacale, non può
essere presa a metro di giudizio, visto che per molti versi la CGIL si
è comportata come CISL e UIL. Nel settore del pubblico impiego
(attraverso la Bassanini) hanno negato ogni "democrazia sindacale"
alle organizzazioni del sindacalismo di base, presenti soprattutto proprio
in quel settore, e collocate a sinistra della CGIL.
La battaglia che si gioca attraverso il contratto dei metalmeccani investe
tutto il fronte sindacale e le principali categorie di lavoro. La rottura,
quindi, è immediatamente un confronto su ipotesi politiche generali
differenti, legate al mercato del lavoro.
Il progetto della FIOM non ha un grande orizzonte, si ferma alla difesa
degli accordi del '93 e alla santificazione della concertazione, che,
paradossalmente, è proprio il padronato a voler far saltare. Non
si contesta il processo che si è innestato, cioè l'avanzata
della precarizzazione, ma solo i conseguenti passaggi di Confidustria.
La FIOM si trova così a difendere l'indifendibile, e deve gestire
una fase sociale, che è stata ampiamente creata dalle politiche
dei precedenti governi di centro sinistra. Non va dimenticato il parere
ampiamente positivo che la CGIL e la FIOM avevano dato al pacchetto Treu
(ampliamento del precariato e introduzione del lavoro interinale). Il
libro bianco di Biagi e di Maroni è la diretta conseguenza di quelle
precise leggi varate da Prodi e D'Alema.
I partiti di riferimento della FIOM (DS, e Rif Com) hanno un diverso approccio
per la trattativa in atto. I DS la utilizzano come ennesimo movimento
antiberlusconiano, sottacendo abilmente le gravi responsabilità
che hanno. E' ormai da diverso tempo che la sinistra ufficiale italiana
ha abbandonato ogni residuo riformista e ha sposato lo sviluppo capitalista,
che in un periodo di crisi si tramuta in un incremento delle politiche
giustizialiste e autoritarie, sia nei posti di lavoro che nel territorio.
Rif Com utilizza la vertenza per rilanciare il progetto del "movimento"
No gobal, controllando le altre componenti, sottomettendole a una linea
politica tutta tesa alla creazione di un blocco elettorale spostato più
a sinistra, che sappia contare dentro la futura coalizione dell'ULIVO.
In questi ultimi mesi si è assitito al progetto, poi ritirato,
di costituzione di un Partito del Lavoro, che utilizzando la FIOM come
intelaiatura organizzativa, fosse in grado, tramite l'alfiere Cofferati,
di importare in Italia il fenomeno Lula. Questo progetto è stato
bombardato sia dal diretto interessato, rientrato nei ranghi della sinistra,
che gli ha regalato Bologna, sia dall'unità tattica tra le componenti
della FIOM a quota DS e PRC, che non gradivano un ennesimo concorrente.
All'interno della FIOM vi sono generose minoranze, la cosiddetta sinistra
operaia, che provano a mettere in discussione politicismo e interclassismo,
ma sono contrastate dallo strapotere delle burocrazie sindacali e dalla
passività dei compagni di lavoro.
La spaccatura sindacale ha, tuttavia, permesso alla sinistra operaia di
promuovere momenti di dibattito e di mobilitazione. Dentro i reparti e
le officine ritorna, inevitabilmente, un primordiale dibattito politico
sulle scelte di fondo dei sindacati. Le azioni, anche combattenti, le
contestazioni contro la CISL e i suoi burocrati si sono fatte, via via,
sempre più incisive. Anche se spesso simboliche hanno smosso tutto
l'apparato repressivo. Dal Ministro dell'Interno ai bonzi sindacali, si
è continuamente bombardati da comunicati e dichiarazioni che parlano
del ritorno del "terrorismo" in fabbrica, della difficoltà
di contenere una certa irrequietezza operaia. Non è un caso che,
la stessa FIOM, cerca, di volta in volta, di smorzare i toni. Non vengono
prodotti materiali di analisi adeguati e il collegamento tra operai è
apertamente osteggiato, appena inizia ad avere una pratica indipendente
e autonoma. Tuttavia, non è a causa della sinistra operaia che
il conflitto si sta ampliando, ma è soprattutto grazie all'arroganza
padronale che rilancia il conlfitto e inasprisce lo scontro. Spesso sono
gli stessi sindacalisti FIOM a essere spiazzati dalle dichiarazioni di
Confindustria, e stupisce che siano proprio i padroni a insegnare ai sindacalisti
che la lotta di classe esiste ed è prima di tutto un rapporto di
forza tra le classi.
La FIOM subisce, inoltre, un parziale lassismo della centrale madre, la
CGIL, che è stata trascinata dentro la spaccatura.
La decisione di votare Si al referendum non sarebbe passata, se non ci
fosse stato da parte dei metalmeccanici un omogeneo fronte per il Si.
Vediamo comunque che, all'interno, la trasmissione tra FIOM e CGIL rimane
precaria. E' stata boicottata la diffusione di materiale informativo per
il referendum e la CGIL sembrava un'automobile che procede con il freno
a mano tirato.
Gli scioperi della FIOM, che si sono svolti fino ad ora, si innestano
alla fine del movimento contro la guerra e subiscono l'inevitabile accerchiamento
dell'asse CISL-UIL, governo, e Confindustria. Vi sono stati cortei in
tutta Italia e scioperi articolati su base regionale, tuttavia sul terreno
aziendale non si sono notate delle accelerazioni particolari. In molti
operai inizia a serpeggiare la paura dell'inutilità di una simile
battaglia, e le burocrazie sindacali hanno pochi strumenti per nascondere
questo sentimento.
Conclusioni
Dentro gli stabilimenti il contratto separato viene impugnato da Confindustria,
la FIOM ha come unica arma la possibilità di far valere la sua
forza sociale.
I limiti di prospettiva inficiano l'andamento della lotta e un suo possibile
sbocco all'insegna degli interessi operai. Non possiamo valutare le esplosioni
di insorgenza operaia derivanti dalla crisi, né le manifestazioni
di autonomia proletaria che la sinistra operaia renderà possibili.
La trasmissione molto lenta tra le lotte operaie nella metropoli e la
lotta delle masse schiacciate dall'imperialismo è un ulteriore
deficit.
Tuttavia, la battaglia, che si gioca attraverso la spaccatura sindacale
e la tenuta della FIOM nei termini di mobilitazione e scioperi, può
essere un trampolino di lancio per la sinistra operaia, che ritroverebbe,
dentro la classe, operai che non vogliono farsi schiacciare dal potere
di Confindustria. Operai, che lottando, imparano che la resistenza contro
il capitalismo è, in ultima istanza, la lotta per il potere.
Note
1 Hotlines, call center e lotta di classe, edizioni
autprol, 2003. www.autprol.org
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