Casi di insubordinazione in America Latina
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Nel numero scorso sono stati considerati alcuni elementi che dessero l'idea della profondità e dell'estensione della crisi in America Latina nel quadro generale di crisi del modo di produzione capitalistico a livello mondiale. Sono stati accennati i piani della Borghesia (quasi esclusivamente USA) che con le negoziazioni multilaterali (solo inizialmente bilaterali) dell'ALCA cerca di crearsi una maggiore proiezione continentale. Uno spazio economico in cui i propri immensi capitali abbiano la possibilità di sfruttare adeguatamente le condizioni economiche disastrate in cui sono stati condotti diversi paesi latinoamericani che negli anni hanno sposato la causa delle privatizzazioni, delle liberalizzazioni, dell'apertura al dollaro e agli investimenti di USA e Europa.
La percezione sempre più marcata sulla responsabilità politica del nemico straniero e della Borghesia compradora locale, che da sempre agiscono indisturbati e impuniti, mette sempre più in evidenza agli occhi di un numero crescente di sudamericani la necessità di un cambiamento politico sostanziale. Inoltre la Borghesia deve affrontare un livello di contraddizioni quanto mai elevato. Quello che avviene in America Latina oggi oltre a coinvolgere naturalmente il proletariato (proletariato urbano in crescita negli ultimi decenni con il fenomeno dei desplasados ovvero con lo spostamento in massa dalle campagne alle città), i disoccupati e i contadini, riguarda anche in qualche modo la piccola e media Borghesia. Si fa avanti un incrinatura nella compattezza dello schieramento borghese che negli strati più bassi subisce anche in modo pesante gli effetti della crisi, e che in qualche caso, in contrapposizione con i piani dell'ALCA, sembra rivendicare "sovranità" sul proprio territorio non disdegnando anche di appoggiare, più o meno timidamente, una politica improntata al bolivarismo nella sua accezione più populista.
Comunque, per quanto riguarda il proletariato metropolitano, i disoccupati, i contadini e gli indios, il subcontinente è attraversato da una percezione estesissima e "culturalmente" dominante dell'insostenibilità sociale e politica di ulteriori processi di liberalizzazione e privatizzazione dell'economia. Abbiamo avuto in questi ultimi anni la prova tangibile dell'ampio potenziale di conflittualità sociale e di classe che in modo combattivo si è espresso nella selva, nelle piazze di molti distretti urbani e nelle capitali dei paesi dell'America Latina, confrontandosi in modo duro e prolungato con polizia, esercito e paramilitari. Sarà importante analizzare e seguire da vicino gli sviluppi nel subcontinente e come le soggettività e le masse si conquisteranno l'immenso spazio che vedono a disposizione per esprimersi in modo politicamente maggiormente cosciente, organizzato, armato di strumenti teorici interpretativi e pratici di intervento e organizzazione.

Scollamento tra apparati repressivi/ ceti medio bassi e alta Borghesia compradora
Se l'alleanza tra forze della repressione e Borghesia costituisce una colonna portante su cui si basa e trova garanzie di stabilità il dominio di classe, in America Latina in questi ultimi anni stiamo assistendo a qualche caso in cui questa saldatura ha manifestato delle clamorose incrinature, sopratutto in occasione di forti momenti di mobilitazione di massa in cui tra l'altro la Borghesia compradora aveva maggiormente bisogno dei propri apparati di repressione di stato.
Questo fenomeno è evidente e fragoroso in Venezuela con il processo di "bolivarianizzazione" dell'esercito, ha avuto il suo picco nel tentativo di golpe del 2002 e meriterà un approfondimento e una lettura politica a parte perché sembra avere molto spazio di sviluppo anche oltre i soli confini nazionali venezuelani.
Sarebbe interessante approfondire il quadro, con un buon livello di dettaglio, sulla composizione sociale interna degli eserciti in America Latina per alcuni paesi e come muta la stratificazione interna al variare delle condizioni, ma per ora ci sembra più importante limitarci a citare qualche caso che metta in evidenza il contesto, le dinamiche e gli sviluppi in cui si collocano anche questi elementi.
In Ecuador all'inizio del 2000 il presidente Mahuad sotto la pressione statunitense ritira la moneta nazionale e decide di adottare il dollaro annunciando lo stato di emergenza dopo che già per un anno circa si erano svolte mobilitazioni di massa dei sindacati e di diversi altri gruppi organizzati in opposizione al suo governo filo yankee. Questo piccolo paese andino, confinante con Colombia e Perù, ha un economia basata principalmente sull'estrazione del petrolio e sulla monocultura del cacao e delle banane; vede la stragrande maggioranza della popolazione (prevalentemente indigena) occupata nell'agricoltura. La situazione di crisi economica del paese, la povertà estrema ed i primi effetti della dollarizzazione dell'economia nazionale inducono i diversi schieramenti politici della sinistra ecuadoriana e la Confederazione delle nazionalità indigene dell'Ecuador a mobilitarsi per destituire il presidente in carica. L'insurrezione è nazionale e il paese è paralizzato. I manifestanti convergono sulla capitale Quito e un gruppo di loro in imbatte in un battaglione di soldati di guardia e un ufficiale si rivolge ai rivoltosi: "Sentite, noi siamo obbligati a stare qui, però non stiamo nemmeno con il governo. Passate pure, non vi daremo alcun fastidio"; inoltre alcuni soldati che proteggevano il parlamento si sono uniti all'insurrezione.
La situazione dei militari in Ecuador ha delle sue caratteristiche che concorrono anche in modo specifico alla determinazione di questi fenomeni. La fine disastrosa della guerra con il Perù unita alla estesa situazione economica e all'aumento della povertà ha colpito gradualmente anche diversi settori della classe media da cui provengono la maggior parte dei quadri dell'esercito e un'ondata di malcontento pervade e si sviluppa da tempo nei settori intermedi dei militari.
Il parlamento viene occupato e viene istituita una giunta di "salvezza nazionale" formato dal capo delle comunità indigene Vargas, dall'ex presidente della corte suprema Solarzano e dal colonnello Gutierrez che faceva parte di quei settori dell'esercito trascurati dalle riforme e dalle manovre economiche del governo Mahuad e che già nel dicembre 1999 avevano preso contatto con gli oppositori. Poi però lo stesso colonnello Gutierrez ha successivamente abbandonato la giunta favorendo oggettivamente il successivo insediamento di Gustavo Noboa, con le congratulazioni di Washignton. La repressione che è seguita a questo insediamento di governo ha poi coinvolto capi indios, sindacalisti, membri del movimento studentesco con il caso dell'arresto di 300 persone tra colonnelli, tenenti e ufficiali che si erano schierati al fianco degli oppositori.
Il movimento di massa che si è dispiegato all'inizio del 2000 in Ecuador è riuscito nei mesi successivi ad assorbire il contraccolpo della forte repressione che è seguita al proprio fallimento e all'instaurazione di Noboa, ha mantenuto forti collegamenti nei diversi settori sociali, probabilmente anche con l'esercito e ha fatto mente locale sull'organizzazione della protesta e sulla necessità di non confidare su un apporto armato principalmente non autonomo, dice Vargas: "E' mancato un nostro proprio fronte armato".
Ad un anno dalla presa del parlamento, si ritorna alla capitale Quito e dopo diversi giorni di lotta, mobilitazione, scontri, morti e arresti di massa (tra cui quello di Vargas) il presidente Noboa ha dovuto fare i conti con le rivendicazioni dei rivoltosi ed ha abbassato alcuni dei prezzi al consumo su alcuni degli idrocarburi di uso di massa, abbozzato un regolamento di distribuzione degli stessi, concesso un accordo sulle tariffe dei mezzi pubblici, abbozzato normative che regolano i finanziamenti dei contadini, il rilascio di molti arrestati, l'indennizzo per le famiglie delle vittime; infine ha promesso l'astensione del proprio governo dalla partecipazione al Plan Colombia (a neanche un anno dalla sua prima approvazione/implementazione nel periodo di presidenza Clinton) come richiesto dagli insorti. Questo può rendere l'idea sulla prospettiva regionale di resistenza che hanno dimostrato di percepire da subito le organizzazioni che hanno condotto le lotte in questo stato a ridosso della Colombia nel quadro generale del riposizionamento strategico USA in quella porzione di subcontinente.

Anche il paese andino della Bolivia ha una composizione di classe che si può dire molto simile dell'Ecuador: quota dei contadini/indigeni prevalente, poco sviluppato il settore produttivo (non arriva a 1000 aziende) se non per quanto riguarda il settore minerario dell'estrazione dello stagno (in mano ai privati stranieri dall'85).
Si potrebbe riportare molta cronaca delle lotte in Bolivia, della pratica dei cocaleros e della attinente questione sule coltivazioni della foglia di coca, magari ripercorrendo le tappe a ritroso dal 1990 ai giorni nostri e della più o meno relativa capacità di affermarsi del movimento dei cocaleros di Morales, tenendo anche conto delle relative spinte riformiste che ha dimostrato. E' comunque importante mettere in evidenza la tenacia dei cocaleros, il respiro regionale che danno alle rivendicazioni contro i gringos e i loro lacchè, i richiami e i contatti con quanto avviene in Colombia e sottolineare l'esperienza acquisita con anni di pratica nel costruire (relativamente "pochi") blocchi stradali in una notte e essere in grado di spiazzare le forze di polizia e dell'esercito paralizzando un intero paese.
Ma l'argomento che ci interessa sondare in questo momento è un altro.
Come da tradizione in America Latina, anche in Bolivia è presente un esercito molto ben pagato (rispetto al lavoratore salariato medio, ovviamente) e addestrato, mentre per quanto riguarda la polizia nazionale ci sono state anche in altre occasioni alcune contraddizioni nella sua collocazione di classe.
Quello che è successo all'inizio di quest'anno in Bolivia ha costretto il presidente in carica Gonzalo Sànchez de Lozada (al secondo mandato consecutivo, colui che nel '93 distrusse l'organizzazione guerrigliera dei Tupac Katari, presenti quasi esclusivamente sull'altopiano Aymara) al ritiro dei provvedimenti annunciati e alle dimissioni del proprio governo.
A Febbraio viene annunciato il varo di una nuova tassa sui salari. I salari così andrebbero a perdere più del 10% del loro valore creando ulteriore malcontento tra i lavoratori e addirittura inimicandosi anche la Confederación de Empresarios Privados de Bolivia. La Central Obrera Boliviana (COB) convoca uno sciopero generale di 24 ore per il 13 del mese. L'11 dello stesso mese di quest'anno all'interno degli organi di polizia nazionale e come in altri casi nel settore medio della catena di comando cominciava a manifestarsi il malcontento e i poliziotti denunciano anche il fatto che era dal mese precedente non ricevevano lo stipendio. I reparti antisommossa, i membri del Grupo Especial de Seguridad vanno anche oltre chiudendosi nella caserma situata a due isolati dal palazzo di governo a La Paz, la capitale del paese. Nella notte tra le forze di polizia l'adesione allo sciopero si estende. Nei giorni successivi, il 12, il 13 e il 14 di Febbraio di quest'anno durissimi scontri con morti e feriti in prossimità del palazzo del governo a La Paz. Una serie di dimostrazioni che hanno culminato con scontri tra guardia militare da una parte e poliziotti vestiti da civili e studenti dall'altra, insieme per protestare contro la tassa sui salari. Scontri durissimi con morti tra i poliziotti per cui in seguito a questo vengono chiamati i militari effettivi a sostenere la guardia militare che assediata spara lacrimogeni dal palazzo presidenziale. Il presidente della Bolivia ci da un idea di quanto l'alleanza da sempre saldissima tra Borghesia/stato e apparati repressivi sia in quei giorni viene messa in discussione: "Sono rattristato nel vedere come si scontrano membri delle istituzioni fondamentali della nostra democrazia. Deve finire." Per il giorno successivo è annunciato lo sciopero generale della COB che dichiara di sospendere tutte le attività pubbliche e private a livello nazionale. I poliziotti non tornano al lavoro neanche sotto le minacce dei comandanti e dei settori dirigenziali di polizia. La città è presa d'assalto, edifici e strutture governative incendiate, centri commerciali, banche, negozi, la sede della vicepresidenza, oltre che sedi dei partiti di governo. La popolazione in rivolta converge sulla capitale chiedendo le dimissioni del governo in carica. Una manifestazione il 14 pacifica ancora senza il controllo della polizia che anzi partecipa in abiti civili, con un accordo tra polizia e governo per l'indennizzo alle famiglie dei poliziotti morti. Cecchini sparano dalla distanza e il bilancio delle 3 giornate è di più di 30 morti e 150 feriti. Nei giorni seguenti continuano le mobilitazioni anche se in tono minore e il presidente Sànchez de Lozada si annuncia dialogante con gli insorti e presenta un nuovo governo dopo aver soppresso ministeri e cambiato il 40% dei ministri in carica. Nei giorni ancora successivi si riuniscono a Cochabamba (centro produttivo del paese) tutte le organizzazioni popolari, indie e cocaleros nello "Stato maggiore del popolo" che danno al governo 15 giorni di tempo per rispondere alle richieste del popolo.
Per concludere anche la storica compattezza dell'esercito, oltre a quella della polizia, mostra qualche interessante segnale di cedimento anche in Bolivia, oltre che, come abbiamo visto, in Ecuador. Nonostante la costituzione proibisca agli esponenti delle forze armate di prendere posizioni politiche, il tenente colonnello dell'esercito Gilberto Ugarte Sànchez e l'ufficiale di polizia David Vargas, hanno sfidato le istituzioni con un comunicato congiunto nel Marzo 2003. Annunciano di non volere essere complici dello sfascio dello stato e delle istituzioni democratiche, denunciano gli abusi degli alti comandi militari ed elencano le richieste dei soldati e degli agenti, fatte le ovvie prese di distanza da componenti più "estreme" e dichiarandosi difensori della democrazia. Il fatto nuovo è costituito proprio dalla natura delle richieste che vanno oltre la denuncia della propria condizione di "lavoro" e di "salario" e quindi oltre agli effetti della crisi che intaccano ed erodono dall'interno anche la struttura sociale dell'esercito. Chiedono una distribuzione equa di terre ai contadini, una giusta soluzione del problema coca, la difesa delle proprie risorse naturali e produttive (sopratutto per quanto riguarda il gas) e per finire propongono di avviare un'inchiesta sulle immense ricchezze di politici e imprenditori. Il leader del Movimiento al Socialismo (Mas - coalizione istituzionale), Evo Morales, ha sottolineato come il pronunciamiento rappresenti il malessere non solo delle forze armate, ma di tutta la popolazione, e ha lamentato il fatto che i provvedimenti contro i due firmatari siano stati decisi del presidente Sánchez de Lozada dopo un colloquio con l'ambasciatore Usa in Bolivia, David Greenlee.

Anche in Argentina, nel periodo immediatamente precedente all'insediamento di Duhalde, assistiamo a qualche episodio che testimonia quanto la piccola e media Borghesia, che con il suo silenzio in passato aveva lasciato spazio alle svolte autoritarie e repressive che tutti ben conosciamo, nei momenti "caldi" si sia in gran parte schierata dalla parte dei manifestanti. Anche in questo caso questo fatto costituisce un elemento interessante che intacca sia il fronte borghese che quello delle forze della repressione. I giornali argentini di quei giorni riportano numerosi episodi di discussioni animate in strada tra manifestanti e poliziotti in cui questi ultimi mettono in evidenza tutto il tentennamento al mantenere i ranghi, a rispettare gli ordini di carica dei manifestanti, con casi di insubordinazione e di aperta adesione alle motivazioni della protesta. Quando c'e' stata l'irruzione e la devastazione di parte degli interni dell'edificio del parlamento l'impotenza/paralisi delle forze dell'ordine è stata evidente.
In altri casi come in Brasile, anche in situazioni di maggiore tranquillità sociale, vale la pena di citare il silenzio dell'esercito brasiliano (in passato protagonista delle peggiori crimini) prima e immediatamente dopo l'insediamento di Lula e anche successivamente alle dichiarazioni del governo della riforma agraria (che avrebbe effetti comunque dirompenti).

"L'antagonismo tra l'esercito e la popolazione è organizzato come una garanzia di 'Pubblica Sicurezza' ..." (Marx), sarebbe a dire anche quindi una prova pratica di fedeltà e cieca subordinazione ai fini della dominazione di classe. Lo spazio di osservazione che si apre con il concetto di forze produttive di Marx è così importante e utile da essere impiegabile nello studio dei fenomeni militari e ne dimostra l'interdipendenza tra la struttura sociale e militare.
L'assetto sociale può essere frutto di una conquista militare che "imposta" la struttura della società sul proprio modello di organizzazione gerarchico: "Il feudalesimo non fu affatto portato bello e pronto dalla Germania, ma ebbe origine, durante la conquista stessa, da parte dei conquistatori nell'organizzazione militare dell'esercito...".
Se consideriamo il carattere e l'entità degli armamenti, essi naturalmente dipendono dallo grado di sviluppo delle forze produttive del paese e ogni spinta data all creazione di nuove tecnologie di armamento influisce sulla struttura sociale interna organizzativa dell'esercito e delle forze di repressione. A partire anche dai primi segnali di lacerazione dello schieramento borghese però si vede quanto sia la profondità della crisi ad influire in modo radicale e imponente nella struttura sociale militare, concentrando la sua azione negli strati medio bassi della propria scala gerarchica. Questo, al perdurare e al crescere della crisi, oltre a influire in modo sempre più determinante nel quadro della motivazione allo svolgimento dei compiti di repressione nei reparti, ne modifica anche la tenuta e la disciplina di esercito in quanto esempio (ultra disciplinato e strettamente subordinato allo stato) e modello di forza produttiva.
"Presso i Romani, l'esercito rappresentava una massa - già separata dal resto del popolo - disciplinata dal lavoro, il cui surplus di tempo apparteneva allo stato; essa vendeva tutto il proprio tempo di lavoro allo Stato e scambiava la propria forza-lavoro contro un salario necessario alla conservazione della propria vita, così come fa il lavoratore con il capitalista. Era l'epoca in cui l'esercito romano non era più formato da cittadini ma da mercenari. Per i soldati si trattava dunque proprio della vendita libera del lavoro. Ma lo Stato non acquistava questo lavoro in vista della produzione di valore. È per questo che, benché la forma del salario sembri esistere dall'origine degli eserciti, questa istituzione mercenaria differisce essenzialmente dal lavoro salariato. La rassomiglianza viene dal fatto che lo Stato impiega l'esercito per accrescere la propria potenza e ricchezza." (K. Marx, Grundrisse, 1857, Principes, Pléiade, II, p. 428)
La maggiore disciplina al lavoro dei reparti militari infatti è stata sfruttata ampiamente anche ai giorni nostri, come forza sostitutiva del lavoro in sciopero, in casi di cataclisma e stati di emergenza (dichiarati o meno) politico e sociale.
Le incrinature che si producono quindi in casi di insubordinazione e ammutinamento oltre a scompaginare la struttura sociale interna degli eserciti, con il crescere della crisi e della lotta, presentano alcune situazioni di paralisi o indebolimento evidente di quella forza e autorevolezza necessaria dalla Borghesia per mantenere complessivamente la disciplina militare al lavoro, al controllo sociale e alla repressione proprio nel momento del bisogno.
Ci sono stati momenti in cui la forza dello stato è stata offuscata e, anche per quanto ad esempio ammetteva Vargas in Ecuador, vale la pena sviluppare percorsi di organizzazione autonoma che approfittino della situazione e sfruttino l'indebolimento della catena di comando e della tenuta del quadro di forze borghese e che sopratutto esprimano la forza necessaria da accompagnare alle proprie rivendicazioni.
"Ma, per potersi opporre energicamente e pericolosamente a quel partito il cui tradimento verso gli operai comincerà fin dalla prima ora della vittoria, gli operai devono essere armati e organizzati. Bisogna ottenere immediatamente l'armamento di tutti i proletari con fucili, cannoni e munizioni; occorre opporsi al reinsediamento delle vecchie guardie civiche dirette contro di loro. Laddove questo reinsediamento non può essere impedito, gli operai devono cercare di organizzarsi in guardia proletaria autonoma, con un capo e il suo Stato Maggiore eletti da loro stessi, e agli ordini non del potere pubblico, ma dei consigli municipali rivoluzionari ottenuti dagli operai." (Marx)

L'organizzazione armata rivoluzionaria delle FARC composta di diverse migliaia di unità pone da qualche decina di anni il suo impegno politico e militare su un gran numero di fronti nel paese colombiano, controlla ampie fette di territorio, fino a lambire i quartieri periferici delle principali città del paese: cerca da anni di proiettarsi (dal controllo delle campagne) con significativi risultati verso il controllo delle città. In se questa soggettività racchiude una vasta esperienza di lotta e concentra nel comando unico le funzionalità politiche e militari necessarie a condurre una guerra.
Nel '98 gli Stati Uniti propongono al presidente Samper di costituire un fronte internazionale che, in quella regione, sia in grado di contrastare militarmente le forze guerrigliere. Dal punto di vista militare un riposizionamento strategico nella zona è ampiamente auspicato negli ambienti militari fin da prima delle roboanti dichiarazioni di "guerra al terrorismo" di Bush dopo l'11 Settembre 2001. Dalla fine del secolo scorso dichiarano esplicitamente la loro necessità di avere il proprio complesso organizzativo fatto di basi militari, aeree e marittime, da centri di addestramento antiguerrigla e da centri di ascolto e intercettazione, dispiegato nell'area nord del subcontinente e soprattutto rivolto a tutto il subcontinente. Rimpiangono l'epoca d'oro di Panama (anni 70) a stelle e strisce in cui era avvenuto quanto detto sopra e che aveva visto la prima sperimentazione di dollarizzazione di un paese latino americano, la funzionalissima scuola antiterrorismo chiamata "School of Americas", oltre che naturalmente la centrale di comando sud e il posizionamento di tutti i reparti aerei, di terra di mare necessari a intervenire in modo rapido su tutto il continente.
La risposta dei paesi latino americani interpellati per la costituzione del progetto di una forza trasnazionale di intervento contro la guerriglia fu scartato dalla maggioranza degli stati interpellati ad eccezione del Perù. Il panorama regionale di allora (fine '98 inizio '99) vedeva Chavez in Venezuela, rivolte indigene e scioperi in Ecuador, crisi di Fujimori in Perù: un contesto regionale che già preoccupava fortemente gli Usa e Clinton.
Nel '99 ci sono stati i negoziati di pace tra guerriglia e stato colombiano in una vasta zona smilitarizzata. Questi negoziati tra stato e guerriglia (FARC e Esercito di Liberazione Nazionale) vedono i continui tentativi di sabotaggio da parte Usa. Gli Usa spingono prepotentemente il piede sull'acceleratore del processo implementativo del "Plan Colombia": nel 2000 sono stati stanziati da Clinton (stanziamento iniziale) 1.600 milioni di dollari di cui l'80% destinati all'armamento in Colombia (ma anche a basi fuori del territorio Colombiano come quella di Manta in Ecuador), con il coinvolgimento diretto di diverse centinaia di militari e agenti americani, con l'obiettivo di ristabilire la sovranità della borghesia compradora colombiana sul proprio intero territorio a partire dalle due regioni della parte sud, il Caquetà e il Putumayo, che sono le roccaforti delle Farc e dove si estende la zona smilitarizzata per i dialoghi di pace.
Il Plan Colombia ha l'effetto desiderato da parte degli Stati Uniti: è la fine del processo di pace, facendo saltare i tavoli di trattativa con l'Eln prima e le Farc poi, è una dichiarazione di guerra alle organizzazioni armate in Colombia ed è quindi da subito osteggiato dalle organizzazioni popolari colombiane e dei paesi confinanti (come abbiamo visto per l'Ecuador).
Alvaro Uribe Velez nel 2002 diventa presidente e (ancora meglio di Pastrana) rappresenta la parte determinante della borghesia colombiana (quella agraria), ma anche con importanti rapporti con la borghesia industriale e con l'esercito; è il miglior interprete della fase agli occhi della Borghesia imperialista USA e di quella locale. Il suo passato di governatore del dipartimento di Antioquia parla da solo: ha promosso le "Associazioni Comunitarie CONVIVIR" un progetto che rispecchia la sua concezione politica populista e di guerra sporca, fatta di assassinii e repressione contro la classe contadina e operaia colombiana e che è stato base per lo sviluppo del paramilitarismo con cui ha sempre avuto stretti contatti.
Come abbiamo visto a partire dal 2000 nel subcontinente la Borghesia imperialista USA ha riposto il proprio interesse e intervento nella regione colombiana appoggiando e rafforzando la borghesia compradora e con la propria ingerenza palese nel paese con il plan Colombia che combina il livello di intervento militare e di controllo sociale a quello economico.
Si può dire che questo piano rappresenti un iniezione di compattezza per il quadro borghese dal punto di vista economico, un enorme sostegno in termini di armi, formazione ed equipaggiamento al quadro delle forze della repressione e uno spazio per un intervento diretto nella regione.
Senza questo la Borghesia imperialista aveva il timore dell'escalation che avrebbe potuto minacciare ancora più seriamente gli alleati borghesi colombiani. Ma non solo in Colombia: la lotta popolare in questo paese costituisce un esempio continentale per le formazioni rivoluzionarie e popolari di quella regione di subcontinente e di tutta l'America Latina. In Colombia, nonostante la rottura dei dialoghi di pace e il Plan Colombia, le formazioni guerrigliere hanno riconquistato nel 2002 gran parte della zona smilitarizzata e rappresentano una punta avanzata e cosciente della conflittualità e delle rivendicazioni popolari in America Latina. Anche questi elementi fanno della lotta nella regione colombiana un processo importante e da seguire ma soprattutto una questione cruciale per lo sviluppo rivoluzionario, delle lotte e delle organizzazioni popolari di tutto il cono sud del continente.

Fonti e riferimenti:
www.selvas.org
www.dod.gov
www.nuovacolombia.net
www.autprol.org
www.marxist.com



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