Roadmap: tentano di ridimensionare le
aspirazioni dei Palestinesi
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Intervista ad Ahmad Saadat, segretario generale del Fronte
Popolare per la
Liberazione della Palestina.
Gerico, maggio - E' detenuto in una prigione palestinese,
a Gerico, sorvegliata da guardie americane e britanniche. Il suo predecessore
è stato assassinato nell'agosto 2001. Suo fratello ha avuto la
stessa sorte un anno fa. La moglie è stata arrestata da agenti
israeliani lo scorso gennaio. Parliamo di Ahmad Saadat.
Come vede il futuro della regione dopo l'invasione anglo-americana dell'Iraq?
Colin Powell ha detto che l'obiettivo americano è la protezione
degli interessi statunitensi nella zona, in parole povere mantenere l'area
sotto il controllo politico, economico e militare americano. L'invasione
militare dell'Iraq è stata preceduta dalla presentazione di un
piano politico: quello che Powell ha chiamato "la costruzione della
democrazia in Medio Oriente" e il controllo totale della regione
tramite la collaborazione con Israele. Siamo di fronte alla creazione
di un sistema internazionale nuovo dopo il crollo dell'Unione Sovietica.
L'occupazione dell'Iraq è la prima puntata di una serie e intende
convincere i popoli e gli Stati della regione a non opporre alcuna resistenza,
perché altrimenti potrebbero fare la stessa fine del regime iracheno.
La battaglia, comunque, non è ancora finita. La scelta migliore
rimane la resistenza, rifiutando l'occupazione e cercando di rendere la
vita delle forze di occupazione la più difficile possibile.
Cosa pensa della "Roadmap" (il tracciato di pace)? Come mai
l'Autorità nazionale palestinese attribuisce così grande
importanza a questo progetto?
La Roadmap sembra un compenso al popolo palestinese o, se preferite, la
carota che viene data agli arabi della Palestina al posto del bastone
usato contro gli iracheni. In realtà, va detto che la Roadmap è
soltanto un tentativo di contenere i palestinesi e fermare l'Intifada,
completando così quello che ha fatto il bastone israeliano con
la copertura internazionale americana. La Roadmap vuole aggirare le risoluzioni
delle Nazione Unite, che riconoscono il diritto del nostro popolo ad avere
un proprio Stato indipendente. Questo progetto si pone l'obiettivo di
ridimensionare le aspirazioni palestinesi, in modo che lo Stato venga
disegnato secondo le esigenze e le misure indicate da Israele. Anch'io
mi chiedo come mai l'Autorità nazionale palestinese ci tenga così
tanto, e non sono in grado di dare una spiegazione logica, perché
la Roadmap non porta nulla di nuovo, ma invita a tornare alla strada delle
trattative, secondo gli standard degli accordi di Oslo, che alla fine
ci ha condotti in un vicolo cieco chiamato Camp David.
Si parla molto del governo di Abou Mazen. La nomina di
un primo ministro, può essere la soluzione ai problemi interni
palestinesi? Il nuovo esecutivo nella sua forma e nelle condizioni in
cui è nato, potrà mai creare le riforme attese a livello
nazionale?
La nomina di Abou Mazen è avvenuta sotto la pressione di Israele
e dell'America: di conseguenza sarà un governo limitato. Penso
che questo governo non solo non è in grado di realizzare i nostri
obiettivi nazionali, o le riforme attese dall'opinione pubblica palestinese,
ma sarà uno strumento per privarci dei nostri diritti e ridurre
lo spazio democratico. Sarà uno strumento per consentire agli americani
e agli israeliani di interferire negli affari interni palestinesi. La
democrazia non è compiuta se non viene praticata da un governo
liberamente eletto in un Paese libero dall'occupazione straniera. Il nostro
popolo deve avere le sue istituzioni libere, le quali sono in grado di
riunire le forze e potenziare la sua capacità di resistenza. Si
arriva così alla liberazione e poi alla democrazia.
Qualche settimana fa è stata celebrata la giornata del prigioniero
palestinese. Che ruolo hanno i detenuti palestinesi, che sono migliaia
nelle carceri israeliane, nella società palestinese?
Per i palestinesi le prigioni sioniste sono state sempre delle postazioni
avanzate della resistenza. Hanno formato dei nuovi leader. Per questo
motivo, la dirigenza politica palestinese deve ascoltare i prigionieri,
considerare la loro liberazione uno dei principali obiettivi, aver cura
dei loro familiari e inserirli nella leadership palestinese, perché
loro sono vivi e sono presenti proprio nel cuore della battaglia.
[da
http://www.arabmonitor.info/]
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