L'Europa imperialista
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L'Europa non può nascondere il suo carattere imperialista.
Oltre l'opportunismo, contro il Polo Imperialista Europeo.
"L'Unione Europea potrebbe essere il primo stato
post-moderno, considerato il tipo di struttura con forme di aggregazione
e ripartizione dei poteri a diversi livelli, di concezione successiva
allo Stato nazionale."
Robert Cooper
ex diplomatico inglese
Nel numero precedente abbiamo evidenziato quanto
l'attacco contro l'Irak andasse a collocarsi, al di là della semplificazione
di guerra per il petrolio, all'interno dello scontro sul piano internazionale
per determinare la supremazia Usa all'interno del quadro imperialista.
Nello stesso tempo abbiamo messo al centro del dibattito la reale collocazione
del rifiuto di alcuni paesi europei dell'intervento da parte americana
contro l'Irak, rappresentata dalla necessità di non appiattirsi
dietro l'egemonia imperialista yankee.
Qualcuno ha visto e continua a vedere nella scelta europea un possibile
antagonista all'imperialismo americano, e questo non ci preoccuperebbe
più di tanto se avvenisse all'interno del quadro della borghesia
imperialista europea.
Più preoccupante diventa quando questa possibile prospettiva viene
assunta da parte di quelle soggettività che dovrebbero rappresentare
l'embrione di un soggetto antagonista e/o rivoluzionario.
Vero è che l'attuale fase evidenzia una egemonia ideologica sul
proletariato delle forze borghesi, facendo assumere a questo una direzione
che nel migliore dei casi può portarlo a vedere nelle istituzioni
europee il referente delle sue istanze.
Stesso succede per quanto riguarda le sue forme organizzative, sempre
proiettate a ricercare più che una loro autonomia ideologica e
politica, un lento ma inesorabile riassorbimento all'interno del quadro
istituzionale.
E' innegabile che la vecchia e cara Europa rappresenta una potenzialità
all'interno del quadro del movimento rivoluzionario internazionale; la
coscienza da parte del proletariato metropolitano, in tutte le sue componenti,
della caratterizzazione imperialista dell'entità europea, porrebbe
una seria ipoteca sulla prospettiva di una ripresa della lotta rivoluzionaria
nell'Europa stessa.
E' necessario quindi riaffrontare e rafforzare la conoscenza dei processi
attualmente in atto, collocandoli nel quadro reale dello scontro tra le
borghesie imperialiste, riaffermare con forza la loro incompatibilità
con gli interessi del proletariato metropolitano europeo.
Prima di entrare nel merito degli aspetti che vogliamo cercare di approfondire,
ci interessa riprendere una valutazione sulle varie forme di "dialogo
istituzionale" che vengono attualmente proposte.
Già nei numeri precedenti avevamo affrontato questo problema che
anche stavolta rischia di ripresentarsi sia all'interno delle mobilitazioni
contro il WTO, G8 e nelle altre scadenze che verranno.
L'uso di questi Forum, Fori, al di là della positività di
coloro che in buona fede li vedono come un momento di visibilità
delle loro tensioni contro le ingiustizie lampanti di questo sistema,
rappresentano lo strumento con il quale dare l'illusione che le loro istanze
saranno accolte ai tavoli dei potenti. Già si sentono le risa dei
commensali davanti all'illusione che in una fase di crisi, come quella
attuale, ci siano spazi di miglioramento delle condizioni materiali dei
proletari, dei popoli.
Altra sarà la faccia di quei lacchè che, dall'alto delle
loro tribune e delle vetrine massmediatiche, si vanteranno del fatto che
finalmente il movimento è stato ascoltato.
E' interessante, per avere una chiara idea di che cosa rappresentano queste
prospettive, rileggere una parte dell'articolo già pubblicato nel
numero 8 di Senza Censura, che riporta un intervento del Coordinamento
di Solidarietà con la Causa Araba (Spagna).
"Il Foro Civile Euromediterraneo nasce nell'ottobre del 2001 a Brussels
e si pone chiaramente il coinvolgimento della cosiddetta società
civile all'interno del processo di espansione nel mediterraneo della borghesia
europea. Partecipano al Forum 27 ONG e esperienze sindacali. Uno degli
aspetti vincolanti per la partecipazione è quello di instaurare
un dialogo propositivo e costruttivo con gli organismi, rappresentanti
la borghesia europea e i suoi interessi.
Nella metà di Aprile di questo anno si è tenuta una ulteriore
riunione a Valencia dal quale scaturisce un rafforzamento del ruolo del
Foro Civile Euromediterraneo (FCE) come gestore delle contraddizioni.
Un quadro ancor più chiaro di quanto possa essere importante questo
coinvolgimento della società civile e l'illusione creata di una
possibile gestione di interessi comuni tra proletariato e borghesia, emerge
dalle raccomandazioni impartite dalla Commissione Europea in preparazione
del vertice dei ministri degli esteri EM che si è tenuto a Valencia
nei giorni 22, 23 e 24 Aprile 2002: ".... In collegamento con rappresentanti
della società civile la Commissione studierà da vicino il
modo più redditizio di sostenere in futuro la partecipazione della
società civile al partenariato. Appoggiandosi sugli esempi disponibili
di pratiche migliori, la Commissione intende anche formulare raccomandazioni
su come coinvolgere la società civile nei primi stadi del dialogo
politico, in modo da garantire che il suo contributo sia sufficientemente
preso in considerazione nelle riunioni ministeriali del partenariato........"
Se ne deduce da parte nostra, davanti al quadro precedentemente descritto,
la necessità di riprendere quel filone di riflessione che da sempre
ha caratterizzato il movimento rivoluzionario europeo nei confronti del
costituente, oramai da tempo e non privo di contraddizioni interne, Polo
Imperialista Europeo.
Secondo alcuni analisti l'Europa dovrebbe abbandonare l'idea di un mondo
bipolare e adeguarsi a dover considerare, come condizione futura, non
un soggetto indipendente e contrapposto all'imperialismo americano, ma
allineato alla sua strategia.
All'interno del Joint Declaration on Renewing the Transatlantic Partnership
redatto dal Centro per gli Studi Strategici e Internazionali, vengono
tracciati alcuni aspetti attorno ai quali dovrebbe ruotare il ruolo politico
dell'Europa, in particolare nei confronti dell'"alleato americano".
Secondo questa dichiarazione, firmata dalla vecchia conoscenza Madlein
Albright, oltre ad altri esponenti di rilievo, l'Europa dovrebbe stringere
maggiormente la collaborazione e la cooperazione con gli Usa. Troppo di
quanto è stato costruito sembra collocarsi in una netta contrapposizione
con gli Usa. Dovrebbero essere individuate una serie di procedure ben
definite attraverso le quali scongiurare lo sviluppo e l'intensificarsi
di situazioni di contrasto tra Usa e Ue; procedure che potrebbero trovare
una loro base di partenza in una divisione delle responsabilità
sul quadro internazionale.
La Dichiarazione continua con l'indicare l'allargamento della Nato come
una condizione fondamentale considerando che né la Nato, né
la Ue possono considerarsi soggetti "completi" in quanto la
fase attuale e futura di guerra al terrorismo non solo pone il problema
di vincere una guerra, ma necessita una gestione completa della crisi,
dall'intervento militare all'affrontare le conseguenze successive. Da
non sottovalutare l'importanza di una connessione del sistema tecnologico
militare ed una sua condivisione, che necessita di una definitiva riforma
del sistema di finanziamento della Difesa dei paesi europei adeguata alle
sfide attuali.
Questa lettura del processo di costruzione del polo imperialista europeo
non è nuova. La ritroviamo in quel percorso che i governi di "centrosinistra"
avevano avviato con l'amministrazione Clinton all'interno della prospettiva
di una molto irrealistica "terza via". Ma allo stesso tempo
non dobbiamo dimenticare le dichiarazioni della Albright a Firenze sul
costituente esercito europeo nel 2000 all'interno dell'incontro Nato.
Albright plaudiva si alla scelta dello sviluppo di un sistema di difesa
europeo, ma ribadiva che la tecnologia attraverso la quale adeguare il
sistema militare non poteva che essere quella Usa.
Nonostante la non discutibile supremazia americana, che ha caratterizzato
anche in passato la definizione delle gerarchie della catena imperialista,
attualmente ci troviamo davanti ad una accelerazione del processo di imposizione
dell'egemonia americana e l'attacco contro l'Irak ha sicuramente segnato
una tappa importante in questa direzione.
Secondo quanto affermato dal segretario della ECPA, coredattore del Journal
of Public Affaire, riportando le dichiarazioni di un membro autorevole
della Columbia University, l'America sta vivendo nello stesso tempo un
paradosso fatto di onnipotenza ed estrema vulnerabilità. Ma dentro
questo paradosso, si stanno mettendo sotto i piedi 20 anni di lavoro per
un giusto equilibrio dei rapporti Usa e Ue all'interno del quadro internazionale.
Continua affermando che l'aggressività degli Usa ha portato alla
creazione di una "nuova realtà", influenzando non poco
la scelta dei rapporti Usa/Ue e la collocazione di quest'ultima.
Secondo il New York Times, in un articolo dei primi di aprile, è
necessario impedire lo sviluppo di una esagerata sopravvalutazione della
crisi nei rapporti tra Usa e Ue e sulle differenze strategiche di politica
internazionale.
Certo deve essere molto difficile per gli europei ingoiare il fatto che
attualmente gli Usa abbiano assunto, almeno sulla carta, visto il trattamento
che stanno avendo nelle terre occupate, il controllo delle loro naturali
zone di espansione (est e sud est Europa, Mediterraneo, Medioriente, Eurasia,
oltre che "cominciare" a pensare all'Africa stessa).
Interessante una dichiarazione di Powell durante il Tavolo sulla Stabilità
del Sud Est Europa, tenutosi in Croazia nel mese di Maggio dove afferma:
"Noi sappiamo che le aspirazioni dei popoli del Sud Est Europa possono
vedersi realizzate solo con la nostra cooperazione e il nostro stabile
coinvolgimento". Powell ha aggiunto: "potete contare sugli Usa,
e noi lavoreremo insieme per creare un Sud Est Europa stabile, democratico
e prosperoso".
Opposto il clima di alcuni paesi europei in occasione della dichiarazione
del Consiglio Affari e Relazioni Esterne della Ue in tema di relazioni
con la Nato tenutosi a Febbraio a Brussels, con la quale è stata
confermata la volontà di subentrare al più presto alla missione
militare della Nato in Macedonia una volta terminati gli accordi operativi
con l'Alleanza Atlantica. Alcuni paesi membri (fra cui Francia e Regno
Unito) hanno proposto che a partire dal 2004 si inizi il trasferimento
d'autorità anche della missione Sfor in Bosnia, attualmente a guida
Nato.
Con l'approvazione nel mese di maggio da parte del Senato Usa dell'allargamento
della Nato ai nuovi paesi, è stata sancita una nuova visione Usa
nei rapporti con la "vecchia Europa", come definita da Donald
Rumsfeld a differenza delle "Nuove Democrazie" europee, quelle
che hanno appoggiato in pieno l'attacco contro l'Irak.
Nella stessa occasione è stata posta al centro della discussione
la necessità di riposizionamento delle truppe Usa in Europa, e
come abbiamo più volte affermato, è chiaro come queste siano
indirizzate verso le aree di interesse strategico Usa rappresentate dai
paesi "ex blocco sovietico".
Un primo passo è già stato compiuto con la dichiarazione
dei governi rumeno e bulgaro del 13 maggio, attraverso la quale offrono
la disponibilità ad accogliere nuove basi Usa e le truppe americane
che si sposteranno dalla Germania.
Nei numeri precedenti abbiamo affrontato le evoluzioni della penetrazione
della borghesia americana in Eurasia, nel Caspio, utilizzando gli sviluppi
e la legittimazione ricevuta all'interno della campagna contro il terrorismo
internazionale. Ma, come già in passato, gli interessi sono divergenti
a meno che questi non riguardino il piano di scontro borghesia imperialista/proletariato
metropolitano, in ogni sua forma e collocazione geografica, piano sul
quale le fazioni di borghesia imperialista tendono sempre a ricomporsi.
In uno studio divulgato dalla rivista Nuova Geopolitica dell'ISGEO, vengono
ampiamente illustrati gli interessi della Ue, non differenti (e quindi
concorrenti) a quelli Usa, e le prospettive strategiche nell'area eurasiatica.
E' lo stesso studio a porre l'area come zona di confronto anche aspro
tra gli interessi delle varie fazioni di borghesia imperialista, dagli
Usa alla Russia, dalla Cina el Giappone.
L'Europa vede la creazione di uno spazio Euro asiatico come un continente
unico e gli accordi, che tende a stipulare con gli stati "sovrani"
dell'area, sono strumento essenziale per la sua costruzione. Inoltre,
secondo lo studio, la zona rappresenta una "area cuscinetto"
nei confronti dei conflitti che si sviluppano nel centro Asia.
Gli accordi firmati riguardano il piano militare, oltre ad aspetti economici
e politici, in particolare in funzione di una più stretta collaborazione
nella lotta al terrorismo e alle organizzazioni criminali.
La cooperazione militare e tecnologica tra la Ue e i paesi Eurasiatici,
si sta sviluppando per gradi. In particolare Germania, Francia, Inghilterra
ed Italia hanno firmato accordi di cooperazione per mettere a disposizione
delle borghesie dell'area la loro esperienza per la creazione di forze
militari mobili e adatte all'intervento rapido.
Sul piano economico sono già stati approntati progetti a lungo
termine tra Ue e paesi eurasiatici come RASEKA per la progettazione di
un corridoio Europa - Caucaso - Centroasia, INOGATE progetto per il trasporto
di gas e petrolio verso l'Europa, TEMPUS per progetti di educazione e
scientifici.
Lo sviluppo di una coscienza diffusa della necessità di dover affrontare
uno "scontro" con gli Usa, pur all'interno delle relazioni imperialiste,
sta crescendo notevolmente, ampliando le contraddizioni interne ai governi
europei nella costruzione della sovrastruttura politica militare europea.
A poco serviranno gli appelli a stemperare i toni che arrivano da più
parti nel nome del passato di buona amicizia e collaborazione.
Sono abbastanza chiare le differenze di scelta strategica sostenute in
particolare da Francia e Germania, emerse anche nel recente vertice G8
di Evian, che tendono ad una visione multipolare a differenza della scelta
di "allinearsi" alla politica della "voce unica" dell'amministrazione
Bush.
Secondo quanto riportato, durante un incontro tra 65 tra industriali e
politici europei nel mese di maggio, è alta la preoccupazione che
sia oramai improbabile ripristinare il livello di cooperazione e rapporto
tra Usa e Ue raggiunto negli anni passati.
Secondo uno studio della Commissione Europea per gli Studi Euromediterranei
è arrivato il momento di una emancipazione strategica dell'Europa
dagli Usa, per costruire una reale partnership e un equilibrio tra le
due potenze, che potrebbe anche essere molto utile per creare pace e stabilità
nel Mediterraneo (leggi mondo arabo e islamico).
La questione attuale, continua lo studio, è se dobbiamo misurarci
su una dimensione di leadership imperialista totale degli Usa (la cosiddetta
imperiale) o dover ribilanciare i rapporti di forza nel quadro dei rapporti
transatlantici.
Gli Usa, malgrado il rapido esito dell'intervento militare (e su questo
vedremo quanto durerà in verità la guerra al di là
della prima fase), deve essere considerata una potenza che tenta di imporre
la propria strategia e visione della gestione della crisi a livello internazionale
su tutti i paesi arabi, e questo porterà ad una sempre maggiore
destabilizzazione del quadro politico e sociale nel Mediterraneo. Se questo
scenario è possibile l'Europa deve assolutamente dotarsi di strumenti
adeguati per la sua gestione perché questo è il suo naturale
luogo di influenza. Sarà quindi necessaria da parte dell'Europa
una maggiore capacità di sviluppare una strategia politica militare
autonoma e alternativa agli Usa nel mediterraneo, aumentando gli sforzi
per lo sviluppo di una politica di difesa e sicurezza comune anche ai
paesi del mediterraneo, in particolare a quelli partecipanti al processo
di integrazione Euromediterranea sancito con la dichiarazione di Barcellona.
Non dobbiamo sottovalutare gli aspetti ricompositivi del quadro imperialista
già visti nella campagna contro il terrorismo internazionale.
La condivisione e la collaborazione nella definizione nel loro complesso
delle strategie controrivoluzionarie nei confronti del fronte interno,
che sempre più dovrà inesorabilmente tendere ad assumere
la caratteristica di fronte interno al quadro imperialista internazionale,
rappresenta uno degli elementi che è conseguenza della caratterizzazione
imperialista degli attuali blocchi, al di là della loro collocazione
gerarchica.
Questo aspetto deve essere strumento per smascherare l'entità imperialista
e l'impossibilità per il movimento rivoluzionario europeo di potersi
dialettizzare, in questa fase, con settori interni all'imperialismo stesso,
eliminando, fin da subito, tendenze opportuniste, anche in buona fede,
che possano "distrarre" dall'affrontare la vere contraddizioni
di questa fase.
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