Per un coordinamento europeo anti-carcerario
e contro la repressione
Appello per l'occupazione del cantiere di un carcere. Quest'appello è
nato dalle due prime riunioni di preparazione: Ginevra nell'ottobre 2002
e Parigi nel gennaio 2003.
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in _blank format] Gli Stati europei definiscono,
istituiscono e applicano nuove leggi e misure comuni. Non è una
novità, ma le ultime mirano alla costituzione di un vero arsenale
giuridico e poliziesco per controllare e limitare ogni genere di resistenza
allo sviluppo del sistema capitalista: per estendere la sua perpetua legge
del profitto, esso deve far acettare con ogni mezzo a sua disposizione
l'idea che al di fuori di lui non ci sia salvezza, che quella capitalista
sia l'unica organizzazione umana possibile, che gli unici rapporti sociali
immaginabili siano quelli generati dal denaro, anche se, proprio in nome
del denaro, bisogna piegarsi alla realtà dello sfruttamento della
maggioranza per il profitto di pochi. Neanche questo è una novità,
ma la fase attuale di tale sistema è particolare: i cambiamenti
strutturali dell'organizzazione del lavoro e della produzione (la delocalizzazione
sistematica verso i paesi detti poveri, la flessibilità generalizzata...)
alimentano la disoccupazione tra gli operai. La precarizzazione di tutt'una
categoria di lavoratori non lascia più tempo libero da dedicare
ad eventuali attività non-lucrative, ma costringe a piegarsi servilmente
alla produttività e alle leggi dell'offerta interinale, agendo
come un ricatto permanente sui salariati.
Il Capitale non cerca neanche più di propinare l'illusione del
benessere e del progresso per tutta l'umanità; è finito
il tempo glorioso del dopoguerra dove il lavoro poteva ancora apparire
come un fattore di florido sviluppo sociale. Lo Stato impone gli interessi
del mercato a colpi di leggi repressive, che siano d'ordine economico
(stipendi che non aumentano più, licenziamenti che diventano semplici
formalità, indennità di disoccupazione e Reddito Minimo
d'Inserimento ridotti all'osso...) o politico. Con questo raggiro lo Stato
impone la sua "sicurezza" ai "cittadini" che devono
accettare la legge statale della giungla: vivere è consumare e
preservarsi dagli altri che, sempre in questa logica di mercato, cercherebbero
di approfittare o di impadronirsi del poco che si ha. Vivere è
sacrificare tutto per possedere qualcosina, e passare quindi la propria
vita a difenderlo. Vivere è rinchiudersi sempre di più a
casa propria, nel migliore dei casi in famiglia, ed evitare ogni altra
forma di relazione che potrebbe mettere in pericolo un quotidiano fatto
comunque di noia, di TV e di psicofarmaci. Vivere è isolarsi...
E per mantenere un posto in questa feroce competizione, bisogna denunciare
quelli che non rigano ben dritto e schiacciare "gli altri".
"Gli altri" sono quelli il cui comportamento o la cui vita non
corrispondono più al quadro stretto dello sviluppo capitalista
assicurato dallo Stato: gli immigrati, contro i quali è stata instaurata
una politica comune per poterli legittimamente espellere, mantenendo così
una minaccia costante su tutti quelli sottopagati; sono i "giovani"
ai quali la società non ha molto da proporre come futuro, se non
consumare merda a prezzo d'oro, e che possono essere una nuova classe
tanto più pericolosa in quanto non hanno molto da perdere; sono
i ladri, che hanno l'arroganza d'immaginare che si possa prendere un po'
della torta in un mondo che mette in mostra di continuo le sue pretese
richezze; sono gli "scrocconi" che non hanno capito che tutto
si paga, anche le briciole, e che una merce che non si puo' vendere si
butta ma non si regala (meglio posti vuoti sul treno che viaggiatori senza
biglietto, per esempio). "Gli altri" sono anche i "contestatori"
che escono del quadro imposto dalle leggi (promulgate ad hoc proprio da
coloro che se ne avvantaggiano): gli operai colpiti dai piani sociali
rischiano di finire davanti ai giudici per sequestro di persona e violazione
di domicilio, avendo pensato di poter occupare il proprio posto di lavoro
per chiedere quello che gli è sempre stato promesso, non come l'elemosina
ma come lo stipendio di una vita di lavoro al servizio dei padroni, i
quali dispongono dell'uomo diventato "inutile" come di una merce
avariata. "Gli altri" sono tutti quelli che, per scelta o per
necessità, rifiutano di piegarsi alle leggi del mercato e del lavoro
stipendiato: gli squatter, che si sistemano nelle case vuote, disturbando
così un settore dell'economia molto lucrativo, che impone affiti
proibitivi e spinge a diventare proprietari (non con un colpo di bachetta
magica, naturalmente, ma accettando di consegnarsi piedi e mani legate
alle esigenze del credito bancario); i nomadi, che hanno la sfacciataggine
di pensare di potersi sistemare perfino nelle discariche comunali, e che
alterano il paesaggio uniforme di una geografia urbana regolamentata;
tutti quelli che scelgono di non lavorare tutti giorni, senza ambire a
residenze secondarie, macchine per papà e mamma, moda, vacanze
organizzate, passatempi e cultura pronta da digerire; quelli che preferiscono
organizzarsi diversamente per provvedere alle esigenze elementari: dalla
condivisione degli affiti, dei mezzi, del materiale (in senso lato: si
tratti di una canna da pesca o di un computer, di libri o di competenze
specifiche...) in una vita più collettiva, fino al recupero nella
spazzatura o nei negozi di quello che gli piace; quelli che non si accontentano
dell'assistentato selettivo, che richiede di farsi identificare per meritare
alcuni spiccioli, si tratti di reddito minimo o di associazioni sovvezionate;
tutti coloro che hanno ancora come istinto vitale il fatto di resistere
a quanto impedisca la vita per privilegiare il profitto: ad esempio chi
rifiuta concretamente le manipolazioni genetiche, chi resiste contro la
schiavitù vera e propria degli impieghi precari, chi lotta quotidianamente
contro l'onnipotenza della polizia e dei secondini, chi si organizza autonomamente
in movimenti, per esempio all'interno dei contro-summit come a Genova
nel luglio 2001 o nell'ambito di incontri internazionali come il campeggio
No border a Strasburgo nel luglio 2002.
La lista non finisce qui: ogni paese ha le sue specificità in materia
di sicurezza (come il divieto della mendicità "aggressiva"
e la prostituzione di marciapiede in Francia).
Per costringere l'insieme delle popolazioni, gli Stati non hanno lesinato
sui mezzi: non ci sono mille soluzioni, c'é ne sono due, e sono
tutte due di natura coercitiva: o forzare ad accettare le sue leggi, a
diventare cittadino, a integrare e difendere questa nebulosa un po' sfocata
"classe media", o reprimere in un modo o nell'altro quelli che
rifiutano di sottomettersi a questa maschera di partecipazione. Le abituali
riunioni dei ministri degli Interni e della Giustizia dei diversi paesi
europei (che si svolgono spesso durante i summit dell'Unione europea come
a Nizza, a Barcellona...) hanno definito una politica comune contro i
lavoratori precari immigrati, hanno dato una definizione del concetto
di "terrorismo" che ingloba ormai tutti i movimenti sociali
radicali, hanno istaurato Europol (embrione di polizia europea) e il Sistema
d'Informazione Schengen (SIS, sistema informatico che raggruppa tutti
gli schedari di polizia dei diversi paesi membri dell'Unione).
L'ultimo sarà, fin da gennaio 2004, il mandato di cattura europeo
che firma nei fatti l'instaurazione di uno spazio giudiziario europeo
reale. Da questa data, ogni legge in vigore in un paese dell'Unione sarà
applicabile sull'insieme dei 24 paesi membri e questo su semplice richiesta
di qualsiasi giudice o procuratore. Questa volontà si é
già tradotta con la repressione durissima dei movimenti "sovversivi"
(spari con pallotole vere a Göteborg e Genova, interdizione di Batasuna
in Spagna, incarcerazione di sindacalisti in Francia e retate negli ambienti
anarchici poi "antiglobalizzazione" in Italia). Ultimamente
il giudice Garzon ha lanciato un mandato di cattura contro un militante
francese di un'associazione pubblica di solidarietà con i prigionieri.
Entro brevissimo, esso mira a una politica ultra repressiva verso tutto
il corpo sociale.
Questa politica europea si concretizza, in quasi tutti i paesi, con un
programma di costruzione di nuove carceri. Uno dei punti comuni a tutti
questi progetti é la generalizzazione sia del isolamento carcerario
che della tortura "bianca" volta ad eliminare non più
in funzione del delitto, ma del comportamento, del "grado di pericolosità"
del prigioniero, in altre parole, in funzione della sua sottomissione
o del suo rifiuto del sistema giudiziario e penitenziario: la costruzione
di piccole unità carcerarie per tempi di detenzione molto lunghi
in Francia, i FIES in Spagna, l'articolo 41 bis in Italia, i carceri di
tipo F in Turchia, il sistema d'isolamento in Svizzera...
In Francia, il voto sucessivo delle diverse ondate delle leggi di sicurezza
accompagna il programma di costruzione di 32 nuovi carceri, 13.200 celle,
quindi la possibilità di rinchiudere 25.000 persone in piu' (il
tasso di sovvrapopolazione raggiunge spesso il 200 %) e significa anche
che 75.000 altri saranno sottomessi a delle misure di restrizione della
libertà: braccialetti elettronici, condizionale, messa alla prova,
libertà vigilata, controllo terapeutico o psichiatrico con la minaccia
diretta di carcerazione al minimo errore (da quindici anni, in Francia
come in molti paesi "moderni" la proporzione é costante:
3 persone sotto controlo per una detenuta).
La galera non é evidentemente il centro del dispositivo:
la scuola é un luogo di adestramento dove si martellano i bambini
alle regole di questa società capitalista, dove si inculca la morale
cittadina che insegna che quello buono é quello che integra le
nozioni repubblicane e i regolamenti senza ribellarsi, e che i cattivi,
quelli che rifiutano o non possono adattarsi, devono essere denunciati,
inseguiti e puniti. La scuola é anche il luogo dove si separano
i buoni dai cattivi elementi, dove i segni precursori delle "inclinazioni
criminali" sono individuate fin dall'età più bassa
e schedate in incartamenti che predestinano a tale o tale posto nella
società. L'urbanismo é concepito come un grandissimo spazio
di video-sorveglianza dove chi non rispetta la regola del movimento, chi
si ferma o chi va troppo veloce é sospetto e merita un controllo,
magari un'imputazione. Il controllo sociale prova a fare di ogni abitante
uno sbirro, l'infamia é ampiamente favorita attraverso le testimonianze
anonime, la tolleranza giuridica promessa per i pentiti che denunziano
i loro "complici"; persino gli insegnanti o le portinaie sono
imparentati con sbirri e beneficiano quindi delle prerogative che li proteggono
giudiziariamente dalle minace o dagli insulti. I simboli della repubblica
sono santificati e intoccabili, le prese in giro sull'inno nazionale e
i fischi contro la bandiera sono passibili di reclusione etc, etc... E'
tutta la società che diventa carcerale.
In questo sistema, la galera é l'ultima minaccia senza la qualle
le altre non possono funzionare: il rialzo vertiginoso del tasso d'incarcerazione
non é puro caso ma dovuto all'attuazione delle nuove leggi di sicurezza.
La galera é la minaccia paroxistica che fa pesare sopra tutti la
sanzione.
Per tutti questi motivi, noi, i partecipanti alla prima riunione di Ginevra,
abbiamo proposto di occupare in massa il cantiere di un carcere in costruzione
alla fine dell'estate 2003.
Attraverso questa proposta non vogliamo scegliere un settore di lotta
separato dagli altri. Queste costruzioni sono la testimonianza concreta
della politica europea, sono lo strumento palese della gestione della
miseria; riguardano la lotta dei senza documenti, come quella dei precari,
dei disoccupati, e anche dei sindacalisti; la galera è l'ultima
risposta a tutto quello che rappresenta un pericolo, cosciente o incosciente,
per lo sviluppo capitalista. Attaccare le galere, vuole dire attaccare
la società che le genera. Ogni critica contro questa società
non dovrebbe mai dimenticare di includere la prigione ponendo almeno il
problema della sua utilità e della sua funzione. E' completamente
incomprensibile il fatto di non legare la politica ultra repressiva di
sicurezza alla costruzione di nuove carceri; è ancora più
sorprendente vedere che i primi interessati (raver, prostitute, nomadi...)
non accennano opposizioni a queste costruzioni quando tutte le leggi votate
prevedono l'incarcerazione per i trasgressori. Come se la galera fosse
diventata invisibile, lontano dagli occhi, lontano dalla coscienza, come
se ci si fosse dimenticati, per colpa del martellamento mediatico a proposito
del diritto, della responsabilità individuale, del così
detto carattere patologico degli atti sovversivi, che la giustizia è
sempre una giustizia di classe, che il diritto è sempre del più
forte e che quelli che vengono rinchiusi sono sempre, in maggioranza,
dei poveri.
I primi giorni di discussione hanno permesso di rendersi conto dell'importanza
di concepire questo movimento contro la società carceraria come
un'impresa di demolizione a lungo termine che non concepisce il progetto
dell'occupazione come una fine o un'apoteosi ma come un momento possibile
le cui modalità e possibilità rimangono ancora da definire.
L'idea centrale è di spaccare le separazioni che indeboliscono
e impediscono di vedere un fenomeno nella sua globalità e di trovare
i legami che possono riunire in una stessa critica del mondo capitalista
un occupante di case, un precario, un galeotto, un immigrato senza documenti...
Per questo motivo c'è sembrato importante distaccarci dall'attivismo
come l'abbiamo conosciuto in questi ultimi anni: bisogna trovare altro.
Non bastano le azioni ultra minoritarie di resistenza e rifiutiamo le
azioni di massa contrattate con lo Stato.
Ci siamo messi d'accordo sulla necessità di costituire una rete
autonoma, capace di fabbricare i propri attrezzi di riflessione, d'azione,
di diffusione, evitando così la manomissione delle organizzazioni
istituzionali, la mediazione spettacolare e il recupero politico. I nostri
scambi hanno permesso di cominciare a coordinarci, di sviluppare i mezzi
che abbiamo già come i giornali, le trasmissioni di radio associative,
e costruirne di nuovi come le campagne d'attacchinaggio, la pubblicazione
di un fascicolo di temi di riflessione sulla società carceraria,
dei momenti per comparire in comune. Ogni collettivo può usare
gli sforzi di tutti per informare, dibattere, concertasi il più
largamente possibile per combattere l'isolamento e precisamente opporsi
alla costruzione di nuove carceri.
Delle riunioni sono previste un po' dappertutto in Europa per fare prendere
forma a quest'idea: ci devono essere più dibattiti possibili sulle
forme, i contenuti, i metodi, i bersagli per fare sì che ogni gran
riunione bimestrale sia più ricca e costruttiva possibile. A Parigi,
eravamo un po' più di un centinaio, raggruppando italiani, svizzeri,
spagnoli, greci e francesi; a Torino saremo di più e più
diversi.
L'abbozzo di testi di riflessione collettiva sono trovabili su <http://internetdown.org/
butterfly> e richiedono solo nuove intelligenze per portarle avanti.
Siamo alla ricerca di sempre più numerosi complici per misurare
le nostre forze, per fabbricare un vero rapporto di forza e non l'ennesima
dimostrazione simbolica o velleitaria. Vorremo metterci in relazione con
tutti quelle e quelli che lottano contro il sistema capitalista, contro
gli inferni carcerari e tecnologici, contro tutti gli isolamenti e che
sanno che non esiste un capitalismo a viso umano.
Non dimentichiamo in questa ricerca i muti sociali, quelli che sono rinchiusi.
Sono loro che hanno lanciato l'azione, malgrado i rischi, scatenando una
sommossa nella prima di queste nuove carceri, a Seysses, vicino a Toulouse,
nel gennaio 2003, una settimana dopo la sua apertura: i rivoltosi hanno
distrutto gli elementi materiali di quello che sono le fondamenta delle
galere e della società, l'isolamento, la tecnologia e il profitto.
Un combattimento contro la società carceraria non può lasciare
da soli quelli che, tuttavia tenuti al silenzio, trovano il coraggio di
ribellarsi. Non è per loro, ma con loro che bisogna costruire la
lotta.
Riguardo all'occupazione stessa, a parte il fatto che è concepita
come un momento nella costruzione di una rete anti-repressiva e anti-carceraria,
non abbiamo ancora definito quello che sarebbe concretamente. Più
idee sono state immaginate e sono da studiare... ma non c'è ancora
niente di definitivo. Nessuna decisione definitiva sarà presa prima
che le discussioni non siano esaurite e condivise dai più.
Un resoconto dell'ultimo weekend di preparazione è disponibile
l'indirizzo internet di cui sopra.
LA PROSSIMA RIUNIONE DI PREPARAZIONE SI TERRÀ
A TORINO I 5 E 6 DI APRILE.
Per avere informazioni più ampie, potete mandare
un messaggio a: butterfly@internetdown.net
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