Contro il Fies, contro il carcere
Sul rapporto interno/esterno nella pesante situazione delle carceri spagnole.
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in _blank format] Una stessa realtà
con circostanze distinte
L'isolamento delle condannate (e condannati) è la garanzia che
si può esercitare su di loro, con la massima intensità,
un potere che non abbia come contraltare nessun altro tipo d'influenza,
la solitudine è la condizione primaria per arrivare alla sottomissione.
L'arresto e la devastazione umana sono mezzi materiali (prigioni e leggi)
che il potere usa rapidamente per tentare di togliere forza e coraggio
all'individualità ribelle, strappandola dalla vita sociale, per
quanto infima o immensa sia la sua attitudine o, come dicono loro, per
castigare il "delitto"... applicando direttamente il sequestro.
Dal momento del sequestro [di Stato], l'individualità molesta,
anche pericolosa, inizia a subire un vero incubo carcerario, espressione
della vendetta del potere,[...] la legge penitenziaria spagnola (LOGP)
dice : "la soluzione della privazione della libertà coincide
con un trattamento, ovvero con una attività diretta al raggiungimento
della rieducazione e reinserimento sociale dei penali mediante metodi
scientifici adeguati". Mettete gli occhi sul giornale El Mundo (23-09-1999):
"Aumentano le denunce per morte e maltrattamenti nelle carceri spagnole".
La condizione indiscutibile delle compagne e compagni sequestrati che
portano avanti una rivolta tuttora in corso è la stessa di chi
vive dall'altro lato del muro,[...] è tra compagn*, tra figli*
e madre, tra moglie e marito, tra fratello e sorella ...
Nessuno di noi vuole accettare le condizioni imposte: né la dispersione,
né la morte dei malati dentro il carcere, né la schedatura
FIES, né la permanenza in carcere per più di 20 anni. Per
essere più chiari ancora, abbiamo la volontà di riuscire
a far sparire l'esistenza stessa del carcere. Iniziando a tenere bene
in considerazione le nostre condizioni di vita, dove il salto agli ostacoli
è un "che-fare" quotidiano per tutti; proponiamo piccoli
incontri dove, con la mutua conoscenza, una base, una relazione, possiamo
così cominciare l'autorganizzazione, dandoci ognuna/o un luogo
proprio per le proprie esigenze, se non ci organizziamo a partire da quello
che vogliamo, che desideriamo, per cui già lottiamo, l'organizzazione
sarà espressione di queste esigenze, dobbiamo essere preparati
quindi per mobilitarci nelle strade, sempre in movimento. E' difficile
da spiegare, però tutte le strutture organizzative che mettiamo
in piedi devono riflettere la nostra esigenza di liberazione in atto.[...]
Non c'è un programma dato, noi che scriviamo partiamo solo dalle
nostre individualità come parenti, amiche, compagn*, che vogliono
un campo proprio d'intervento, che vogliamo che alle torture ai nostri
cari non si risponda solo con una semplice denuncia alla magistratura...
questo che lo facciano gli avvocati, noi andiamo dalla strada da cui proveniamo,
autonomamente, con la nostra voce, con la voce della ragione che è
solo nostra: quella degli oppressi... questo scarno scritto, non sarà
possibile svilupparlo finché non cominceremo a parlare, noi che
stiamo scrivendo "aspettiamo" questo momento... ci vediamo.
Un abbraccio e salute.
Qualche familiare e amiche/amici
Usiamo questo spazio per necessità, data l'attuale situazione tesa,
originata a seguito dell'agitazione e sciopero dei nostri compagni di
Quatre Camins, che reagivano ad una insostenibile situazione generale
di tutte le carceri dello Stato, in principio nella forma più pacifica,
dato che la rivolta è nata da una astensione dal lavoro.
Notiamo così la difficile e complessa realtà, dove la sola
possibilità d'iniziare proteste immediate, se non puoi fermare
l'intervento brutale da parte delle Istituzioni Penitenziarie (Direccion
General de Istituciones Penitenciarias d'ora in poi DGIP), almeno ha il
legittimo effetto di rivendicare che ogni vita esposta di ogni compagn*
dentro, insieme alla dignità di portare avanti una lotta continuata
contro il carcere, incontri diversi punti d'affinità e di preoccupazione
fuori dalle mura. Che almeno questa affinità e questa preoccupazione
possa avere un seguito e si possa estendere tra coloro che "godono"
di questa "semilibertà", per dare una possibilità,
e mezzi, ad una lotta che deve smettere di essere considerata un conflitto
individuale invece che lotta contro la generalizzazione della repressione.
Rafforzando la lotta avremo un ventaglio di possibilità in più,
per fare pressione e mettere in discussione i metodi sanguinari della
DGIP. Percepiamo che tanto il coordinamento che l'estensione della lotta
è più reale all'interno del carcere che fuori.[...]
Questo il motivo per compiere il piccolo sforzo per aprire relazioni tra
familiari, compagn* e amiche/amici, per fare in modo che l'odio accumulato
incontri certe strade di relazionalità dirette, per sentire e discutere
senza delegare la lotta, tra di noi in modo aperto. Queste relazioni servono,
aldilà dell'apporto numerico, per condividere le necessità
in modo reale, con le sue frustrazioni e limiti, con i suoi risultati
nell'interminabile lotta. La lotta che mostri le continue proteste e la
conseguente repressione nelle carceri; repressione che è la stessa
che si percepisce nelle strade in una quotidianità asfissiante
che non cessa mai.
Mettere in comune il vissuto nella misura della nostra incidenza nella
lotta,[...] per colmare le lacune che non sono poche. Le nostre forze
ed energie non sono eterne, soprattutto quando si ha l'impressione di
combattere in solitudine una guerra crudele, obbligat* da uno Stato sanguinario,
sommato ad altri Stati del pianeta.
Capiremo così che sono già in troppi ad avere una visione
disfattista, questo clima di vittimismo fa allontanare qualsiasi possibilità
di cambiamento dell'esistente.
Come non è paranoia, ma cruda realtà, la vita in pericolo
delle nostre compagne e dei nostri compagni imprigionati, detentrici e
detentori tanto del metodo di lotta, come della sua verifica, è
compito nostro creare la sufficiente copertura dall'esterno per rafforzare
la lotta. L'avanzamento continuo dei metodi di repressione, crea un clima
di controllo sociale a tutti i livelli, è forse questo l'aspetto
più terrorizzante da cui più ci costa uscire fuori? [...]
Non è terrorizzante il nostro quotidiano? Siamo fuori dall'obbiettivo
della repressione nel quotidiano? La lotta si converte nel bene più
prezioso, un trionfo a livello individuale, il convincimento che un altro
mondo è necessario in un piano collettivo, nella nostra più
cruda realtà significa praticare una continua solidarietà
a tutte le pratiche contestatarie che provano a rompere l'imposizione.
Una realtà continua di rivolta ci arriva da ogni centro di sterminio,
individuale e collettiva, pertanto se questo è compartito o no
dalle altre persone di questa società (inclusi gli anarchici che
non sono ancora arrivati al pianeta Marte), come da ogni collettivo o
associazione di appoggio ai detenuti, i quali forse si sentono deboli
all'ora di percepire lo scontro esistente, questo non ci deve condizionare.
Ribellioni come le rivolte, le evasioni, i sequestri... non possono cadere
nel vuoto per chi sente e lotta per davvero. .. LIBERTA' e DIGNITA' è
stato uno degli slogan che gridavano i detenuti di Quatre Camins dai tetti,
parole d'ordine messe sotto silenzio dai mezzi di comunicazione di massa.
La situazione delle carceri catalane è insopportabile. I fatti
di Quatre Camins di mercoledì scorso [30-01 maggio-giugno] lo manifestano.
Francesc Jimenez Gusi, direttore generale dei Servizi Penitenziari, diceva
il 27 marzo del 2000 al "Periodico de Catalunya" che pretendeva
coinvolgere le guardie carcerarie nel "reinserimento" e avrebbe
ascoltato con attenzione le loro richieste. Quelli del Sindacato penitenziario
catalano del CATAC, per bocca di un energumeno a nome di Manuel Alluè
hanno pensato come metodo di reinserzione al gas lacrimogeno, che è
più umano del manganello - secondo il Segretario generale del CATAC,
Luis Blanco - [...] Affermazioni suffragate da Francisco Ponce, David
Perez e Albert Palacios di CC.OO [Comisiones Obreras, sindacato spagnolo].
Sempre Alluè, denunciava la situazione delle guardie "indifese"
e l'aumento della messa in malattia per motivi psicologici, 86 a Can Brians
su 600, 30 a Quatre Camins su 500 e 20 su 480 a La Modelo.
[...] Destituito F. Jimenez Gusi, evasioni incredibili, conseguente inasprimento
dei sistemi di sicurezza degli istituti di pena catalani. [...] L'intossicazione
massmediatica dimentica di citare la CIRE (Centre d'Iniciatives per a
la Reinserciò) tutto un circo montato tra gli altri e altre, dalla
"signora" D. Marta Ferrussola, moglie di Jordi Pujol [Presidente
della Generalitat, il Governo Catalano guidato dal partito Convergencia
i Uniò] dove i detenuti lavorano per 2 Euro all'ora.
Dimenticano di menzionare il DERT (Departament Especial de Regim Tacant),
ovvero il FIES (Fichero Internos a Especial Seguimiento) però nella
"senyera" [Catalunya].
Dimenticano i più di mille morti nelle carceri catalane negli anni
'90, la maggior parte detenuti malati terminali, di cui si continua e
si continuerà a negare la scarcerazione come prescrive la legge
penitenziaria.
L'innalzamento della tensione a Quatre Camins
Il 4 gennaio 2002 cinque detenuti della 1°sezione del carcere di Quatre
Camins, decidono d'iniziare a digiunare i primi sabati e domeniche del
mese, per le rivendicazioni collettive che qualcuno ha denominato "Movimento
detenute/i in lotta" in tutto lo Stato Spagnolo.
Uno di questi, Antonio Falces, è morto in strane circostanze il
14 febbraio all'ospedale di Terrassa. Diciamo strane perchè il
Capo-servizio ha assicurato che la morte era dovuta ad un "cancro
fulminante", un nuovo tipo di malattia che dovrebbe essere studiata
da qualche luminare della scienza.
L'unica cosa che sappiamo è che Antonio soffriva di pneumonia,
e come è abituale in carcere, le abituali attenzioni mediche erano
lontane anni luce dalla realtà che viveva. Lo stesso giorno della
sua morte, un compagno fu accusato di voler preparare una rivolta e viene
trasferito al DMS (Dipartimento Massima Sicurezza) classificandolo come
recluso di 1°Grado.
Una settimana dopo moriva Alberto Dominguez Maldonado,
la settimana seguente Adolfo de Gras e poco dopo Manuel Busto Melero,
tutte vittime dell'AIDS e dell'inesistente assistenza sanitaria.
La tensione nel carcere era continua. La settimana prima della protesta,
riceveva un brutale pestaggio Juan Heredia. Le condizioni di vita del
carcere erano (e sono) opinabili: cibo di pessima qualità, e mancanza
d'igiene assoluta... In carcere si stava organizzando un comitato di sciopero
per realizzare la protesta [un "plante" n.t.] per le rivendicazioni
abituali e altre relative alla situazione concreta della prigione. Lo
sciopero inizia il 29 maggio 2002 alle dieci del mattino.
Tutta la 1° Sezione si dichiara in sciopero "a braccia in giù"
(astensione dal lavoro). Cominciano i negoziati con il carcere, a mezzogiorno
si chiede la presenza di un alto dirigente delle carceri, i compagni si
rendono conto che i carcerieri li stavano ingannando e stavano preparando
l'inizio della repressione "a ferro e sangue".
Quando i reclusi decidevano di salire sul tetto c'erano già le
guardie delle carceri limitrofe (tra di loro il sub-direttore di regime
della Modelo) all'interno di Quatre Camins. RNE (Radio Nazionale di Spagna)
inizia a emettere dal suo Canale 5 notizie, le informazioni intossicatrici
destinate a giustificare l'intervento della polizia: detenuti armati di
coltelli, mazze da baseball e di ferro, carcerieri feriti e sequestrati
(non è stato sequestrato nessun carceriere e si sa di sole due
guardie ferite; uno per una pietrata in testa e il capo-servizio, che
non godeva fama di essere amabile è stato menato).
Nella repressione dello sciopero hanno preso parte i poliziotti del Mossos
D'Escuadra, al servizio della Generalitat (governo regionale catalano)
e guardie carcerarie di varie prigioni, tra i quali si sono distinte due
carceriere all'ora di menare. Hanno buttato giù dal tetto i detenuti,
hanno sparato una pallottola di gomma a corta distanza e a bruciapelo
alla testa di Prudencio Sanvidal, ad un altro l'hanno preso al petto,
hanno sparato verso le finestre delle altre sezioni con armi da fuoco,
hanno bastonato ad uno con una mazza di ferro, la polizia diceva all'inizio
"vi togliamo la voglia di fare rivolte", i detenuti che gridavano
di essere feriti e di non colpirli, li colpivano con più forza...
RNE annunciava che tra mezzogiorno e mezzo e l'una stavano entrando nella
prigione i poliziotti anti-sommossa.
Il Canale TV3 emetteva continuamente. Era impossibile accedere al carcere,
tanti chilometri era il cordone di polizia, così com'era impossibile,
dalla strada sapere quello che stava succedendo realmente, anche grazie
al cordone informativo.
Qualcuno della 2° Sezione ha fatto un buco nella parete per accedere
alla 1°Sezione e alla protesta. Gente di questa sezione è stata
tenuta nuda e ammanettata per tre ore. I trasferimenti iniziano il giorno
seguente, al carcere di Ponent dove vi hanno trasferito 120 detenuti in
primo grado. I detenuti trasferiti li hanno messi nella sezione conosciuta
come "La Rotonda", famosa per la sua brutalità, dove
nelle celle vi sono dei ferri appositi per ammanettare in piedi i detenuti
che protestano. Lì sono continuati i pestaggi. Il venerdì
detenuti della seconda e terza sezione sono risaliti sul tetto.
La domenica, 15 detenuti della 6°Sezione del carcere La Modelo si
fermano in solidarietà, vengono immediatamente trasferiti a Ponent.
Chi subisce la dispersione arriva nelle carceri senza vestiti e senza
le sue cose.
I carcerieri hanno sequestrato tutti i tipi di bollettini e volantini
che consideravano "materiale sovversivo". Hanno proibito a tutt'oggi
(4-06 2002) l'entrata dei giornali a Ponent, per il timore da parte della
direzione del carcere di un "effetto domino" delle proteste.
In altre carceri dello Stato Spagnolo la tensione è salita in maniera
vertiginosa come a Puerto de Santa Maria I (Cadiz).
Dei fatti successi a Quatre Camins possiamo dire poco. I compagni che
hanno vissuto questa lotta potranno spiegarsi meglio. [...] Nelle conferenze
stampa, Ramon Pares, segretario settoriale UGT di esecuzione penale, giustifica
il massacro della polizia per "l'estrema violenza" dei detenuti.
Il solito Manuel Alluè dichiara che c'è stato "un prima
e un dopo" della rivolta e annuncia mobilitazioni incisive del Sindacato
CATAC. Il loro nervosismo è palpabile, si contraddicono tra di
loro. Il 30 e il 31, prima in televisione poi nei giornali, appaiono le
dichiarazioni di Pares che accusa i "gruppi antisistema" e determinati
avvocati come istigatori della "rivolta".
Confermano questa tesi il Conseller de Justicia (Cons. Regionale della
giustizia) Josep Delfi Guardia e Miguel Pueyo, capo del CATAC. Pueyo fa
i nomi di alcuni avvocati, ma i giornali preferiscono andarci cauti e
non li pubblicano. Si riferisce agli avvocati del DALP (Despacho de Asesoramiento
Laboral y Popular), uno dei quali è stato già cacciato dal
carcere di Quatre Camins per "introdurre notizie false nel centro
penitenziario", quando lo "beccarono" a distribuire volantini
e bollettini ad un compagno detenuto che era andato a visitare, materiali
tra i quali c'era un volantino sulla morte di Antonio Falces.
Ramon Pares accusa gruppi anarchici che denunciano il FIES di essere i
responsabili di creare l'ambiente "torbido" che ha propiziato
la "rivolta". La Generalitat assicura che sta investigando su
di loro da più di un anno. Catac ha indetto una manifestazione
per il 5 giugno appoggiata da CC.OO. e UGT, per esigere le stesse cose
di sempre: più soldi, più manganelli, più gas lacrimogeni,
e più carcerieri. Come iniziative d'appoggio c'è stato un
presidio a Madrid il 30 giugno davanti la DGIP, c'erano 15 persone, una
manifestazione a Barcelona con 30 persone, a Ponent un gruppo di gente
con un furgone ed un megafono hanno fatto varie volte il giro del carcere
urlando slogan di appoggio ai detenuti. Ci domandiamo dove cavolo sono
andati a finire i 500.000 "no-global" che hanno manifestato
"contro l'esclusione sociale" il mese di marzo a Barcelona.
Ora è il momento: i circoli di familiari
e amiche/i
E' il momento di riprendere una proposta che è stata lanciata da
tempo da un carcere spagnolo, crediamo che ciò sia di vitale importanza
in questi momenti: l'incontro tra tutti i familiari e legati ai compagni
detenuti e alle compagne detenute che stanno lottando.
Dalla fine del 1999 detenuti in regime d'isolamento FIES (un sistema di
"vita" all'interno delle carceri dove i detenuti vengono lasciati
soli ed isolati in sezioni speciali tra le 20 e le 22 ore al giorno, comunicazioni
all'esterno controllate e censurate, nessun contatto con i carcerieri
per ridurre le possibilità di sequestri e rivolte, sottomessi a
maltrattamento fisico, insulti e ogni tipo di vessazioni continue), hanno
continuato a protestare con l'obiettivo di conquistare delle rivendicazioni
che lontane dall'essere utopiche o folli, sono semplicemente "diritti"
che la stessa legge concede, e che vengono sistematicamente violati. L'unica
cosa che hanno conseguito in tutto questo tempo è l'aumento della
tortura, un'infame pubblicità in giornali e periodici [si distinguono
il giornale El Mundo e la rivista Interviù], e il mantenimento
del loro livello di "vita" ugule a prima. Perché consideriamo
necessario questo incontro? Le strutture attuali che lottano contro il
carcere, pensiamo che non stiano crescendo.
Mancanza d'immaginazione e di continuità, non sono stati capaci
di creare le condizioni per una mobilitazione continua e incisiva. Bisogna
pensare che la lotta è dura. Stiamo protestando contro il pilastro
più solido in mano allo Stato di Diritto per guadagnarsi il rispetto
della popolazione: il carcere.
Il carcere è la minaccia che ci mettono di fronte a noi escluse/i
per impedirci di protestare contro un sistema che, contrariamente a quello
che ci dicono, è governato dall'alto in basso. Ci obbligano a vivere
in quartieri-ghetto nel migliore dei casi, se non direttamente nelle chabolas
[o favelas, o villas], sottoposti ad un controllo esagerato e ad una repressione
poliziesca che ci colpisce senza motivo o per questioni minimali, che
ti spara alla schiena al primo gesto sospetto. Una realtà questa
che è quotidiana.
Il non avere soldi, essere senza lavoro, l'essere di un'altra etnia o
razza, il non avere documenti d'identità, sono crimini che paghiamo
caro. Il razzismo e la prepotenza sono all'ordine del giorno. Ci raccontano
che abbiamo tutti la stessa opportunità, che se schiacci la testa
del tuo vicino potrai vivere come loro, una vita tranquilla senza essere
molestati da energumeni in uniforme.
Ci ammazzano con le droghe, che è il motivo per cui la maggioranza
della gente va in carcere. Come può il Piano Nazionale contro le
Droghe, che presiede sua maestà la Regina, spiegare che le droghe
sono introdotte nello Stato dalle mafie poliziesche istallate alle frontiere?
Come mai finiscono sempre in prigione i consumatori o i piccoli spacciatori
di quartiere, e mai i ricchi o i grandi trafficanti? A chi sfugge il dato
che le maggiori entrate dello Stato provengono dalle droghe legali ed
illegali? Chi può mettere in dubbio il fatto che è la povertà,
e non la droga, il vero motivo per cui finisce dentro la gente?
Per giustificare l'esistenza del carcere tirano in ballo gli psicopati
e i violentatori, quelli che commettono atti antisociali per trattarli
e reinserirli per il bene comune. Come si spiega che sono proprio i violentatori
e simili individui a diventare "confidenti" dei carcerieri,
mentre tutti gli altri vengono " trattati" con il metadone indiscriminatamente?
Che tipo di reinserimento fanno, a colpi di tortura e isolamento per chi
protesta, e premiando chi denuncia i propri compagni? No le carceri non
sono necessarie, [...] le carceri sono fabbriche di "delinquenti",
dove tutte le bontà promesse nella Costituzione e nell'Ordinamento
Penitenziario, sfumano per lasciare spazio alla realtà, una realtà
che dice che bisogna guardare alla strada, da dove viene la gente detenuta,
per rendersi conto perché succede tutto ciò. Lottare contro
il carcere è lottare contro il sistema che crea povertà
per molti e opulenza per pochi, il prezzo da pagare è alto: essere
etichettato come terrorista, sovversivo, antisistema, aldilà del
fatto che chi viene così classificato abbia o meno idee politiche,
o sappia appena leggere.
Terroristi siamo tutti, stufi di sopportare una situazione di abuso insostenibile,
decisi ad aprire la bocca per urlare. Crediamo che da soli non potremo
lottare con questo mostro chiamato democrazia, abbiamo bisogno della coordinazione,
lo sforzo collettivo di coloro che solidarizzano con i nostri. Loro ci
danno un buon esempio di unità, sotto le dure condizioni della
reclusione.
La battaglia sarà lunga, dobbiamo essere coscienti di questo, è
urgente e necessario avere l'appoggio e l'azione di tutt* coloro che dicono
BASTA! Incontrarci può essere l'inizio del cammino. Discutere e
proporre su quello che possiamo fare per fermare la repressione ed avanzare
nelle rivendicazioni per migliorare il livello di vita delle/dei nostr*
compagn* detenut*. E' urgente, non possiamo aspettare oltre. Prendiamo
come esempio altre lotte del passato, come la COPEL (Cordinadora Pres@s
en Lucha) o i Comitati d'Appoggio. Le lotte di ieri sono quelle di oggi,
con il passare del tempo le condizioni del carcere non sono così
differenti.
Di fatto la Legge Organica Generale Penitenziarie (LOGP) è stata
approvata allora, è sotto il suo giogo, la repressione ha liquidato
la lotta dentro le carceri. Sotto lo stesso giogo oggi liquidano le nostre
compagne e compagni. Attualmente la popolazione detenuta ha superato [in
Spagna] il numero di 50.000; molte delle rivendicazione di allora continuano
ad essere vive oggi, non ancora conquistate.
Lo stato sta utilizzando un'opzione nettamente repressiva, costruendo
nuove macro-carceri di massima sicurezza come risposta alla massificazione
e alla linea ascendente dell'aumento della popolazione carceraria; nonostante
sentenze che dichiaravano il FIES incostituzionale, questo continua ad
esistere, "legalizzato" attraverso circolari interne del 1966.
L'unico cammino è la mobilitazione e l'azione. Molte sono le richieste,
dentro e fuori.
A quando un sistema di trasporto con gli attuali macro-carceri, che non
ci faccia aspettare ore per un autobus, un treno, o esoso come per un
taxi, per visite di soli 45 minuti?
A quando la scarcerazione dei malati terminali?
Perché non organizzare casse di resistenza per chi ha scarse risorse?
Sta nelle nostre mani.
Da: Crocenera Anarchica » croceneraanarchica@hotmail.com
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