Prigionieri politici baschi: inasprimento della repressione
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I prigionieri politici baschi: "che marciscano in galera".
Alcuni giorni fa si è appreso per bocca del precedente presidente del Governo autonomo basco, Jose Marìa Ardanza, che quando andò al potere il Partito Popolare di Josè Marìa Aznar nel 1996, il PNV accettò di dare al nuovo governo un termine di "quattro anni, al più sei" per dimostrare se il Governo spagnolo riusciva a "farla finita con ETA" esclusivamente per la via repressivo-poliziesca, osteggiando qualunque soluzione in termini politici. "Inteso che, mentre noi saremmo stati meno ostili alla strategia del PP, se nei sei anni essa non avesse avuto esito, saremmo tornati allo schema precedente della doppia politica di fermezza giudiziaria e poliziesca e di disposizione ad aprire qualunque processo di dialogo".
In sostanza il PNV, partito al potere in un terzo del Paese Basco, accettava la strategia esclusivamente repressiva del partito neofranchista e dava copertura alle misure che questo avrebbe adottato non già solo contro ETA, ma a tutte quelle orientate alla sparizione di tutta la dissidenza basca.
In questo senso, in questi anni siamo stati testimoni della recrudescenza dell'utilizzo della brutalità della polizia e dell'impiego della tortura in applicazione delle misure eccezionali che la legislazione antiterrorismo concede alla polizia nei confronti di presunti sospetti di "terrorismo". Le testimonianze dei maltrattamenti e delle torture di persone comuni e gratuitamente accusate di appartenere a una "organizzazione terrorista" hanno fatto rabbrividire la società basca e quella internazionale. Le organizzazioni politiche e sociali basche, così come vari mezzi di comunicazione, hanno sofferto nella propria carne la criminalizzazione e hanno visto le proprie attività sospese e poi "messe fuori legge di fatto" dall'azione parziale e garante degli interessi politici governativi della Audiencia Nacional, autentico tribunale speciale antiterrorismo. In definitiva, i diritti civili e politici delle basche e dei baschi sono stati calpestati da una politica repressiva portata a termine dal governo spagnolo e auspicata dal silenzio complice della destra basca.
Da pochi giorni conosciamo un nuovo giro di vite repressivo nel laboratorio delle misure antiterrorismo che è Euskal Herria. Questa volta contro il collettivo più indifeso, cioè quello formato dai 650 cittadini e cittadine basche che sono in prigione, autentici ostaggi politici dello Stato spagnolo - massima quota mai raggiunta negli ultimi anni. Le misure in sé consistono nell'inasprimento "all'estremo" del trattamento penitenziario applicabile. Dopo di che vede la luce un abbozzo di progetto di trattamento dei prigionieri politici in cui si propongono due misure concrete: primo la negazione dell'ammissione alla libertà condizionale e secondo l'aumento del limite massimo della pena da scontare da 30 a 40 anni. Giustificando tutte queste misure con la retorica antiterrorista il governo pretende di limitare e così colpire e violare i diritti del collettivo formato dai prigionieri e dalle prigioniere basche incarcerati per delitti dal profondo contenuto politico - nella misura in cui il trattamento e la stessa soluzione del problema è anche politica.
Inoltre il Governo spagnolo ha promosso una riforma legislativa con cui pretende di limitare l'ammissione alla libertà provvisoria da parte dei prigionieri politici, stabilendo due misure: quella per cui si revocheranno le competenze generali dei Jueces de Vigilancia Penitenciaria (i nostri Tribunali di sorveglianza, ndt.), responsabili della revisione delle condanne e dell'ammissione alla libertà provvisoria, e si creerà un Juzgado Central de Vigilancia Penitenciaria dipendente dalla Audencia Nacional, Tribunale speciale competente per i reati politici. Secondo quanto hanno pronosticato il ministro degli Interni, Angel Acebes, e quello della Giustizia, Josè Marìa Michavila, la misura cerca di "unificare i criteri per il controllo dell'applicazione delle pene inflitte" per reati di organizzazioni armate. Cioè a dire perché le pene siano scontate così come il governo, per mezzo di questo tribunale totalmente politicizzato, considera opportuno, sempre in chiave soggettiva di rinuncia e resa del prigioniero. Ma il Governo spagnolo progetta anche di chiudere tutte le porte alla libertà condizionale mediante una bozza di progetto di legge secondo il quale le persone condannate per "terrorismo" o "delitti particolarmente gravi" sconteranno in modo "integrale ed effettivo" il limite massimo delle proprie condanne. Questa misura cozzerebbe tra l'altro con l'atteggiamento che si mantiene con altri prigionieri accusati di gravi delitti, soprattutto se sono dei "loro". Per esempio, l'ex generale Enrique Rodrìguez Galindo, condannato nel maggio del 2000 a 75 anni di carcere dal Tribunal Supremo spagnolo come autore dei sequestri e dell'omicidio dei rifugiati politici baschi Joxean Lasa e Joxi Zabala ha usufruito di un permesso di due giorni per passare le feste di natale con la sua famiglia dopo di che è tornato nella prigione militare di Alcalà de Henares.
In quanto alla seconda misura proposta, Aznar pretende di portare da 30 a 40 anni il limite massimo della pena da scontare. Ciò significa che se prima si sarebbero scontati fino ad un totale di 30 anni per le condanne superiori a questo limite, ora la soglia da scontare sarà portata fino a 40 anni. "Di conseguenza i terroristi sconteranno 40 anni di condanna e voglio dire che stanno per scontarne 40", ha rimarcato Aznar. Il rappresentante di UPN, legata al PP, Jaime Ignacio del Burgo, ha esplicitato che alla base di questa iniziativa c'è l'obiettivo che i prigionieri baschi "marciscano in galera".
Questa misura è stata ampiamente discussa dalle organizzazioni non governative e dai gruppi politici, principalmente perché la situazione creata non avrebbe paragone nella legislazione e nella pratica applicativa di nessun altro Stato dell'Unione Europea. Nello Stato spagnolo non esiste l'ergastolo, ma,anche nei paesi in cui questo esiste, la pena non si applicherebbe mai per più di 20 anni, nemmeno in caso di reati di "speciale gravità". Inoltre, nella maggior parte dei modelli penali europei, la legge prevede che, trascorsi 15 anni, si operi una revisione della pena in termini obiettivi (esistenza o meno di provvedimenti sanzionatori nei confronti del prigioniero, studi e attività realizzate in carcere, indici della condotta...). Nello Stato spagnolo il criterio applicabile sarebbe di carattere soggettivo e politico, valutandosi l'atteggiamento del prigioniero di fronte alla situazione politica, di fronte a determinati metodi di lotta ed imponendosi come requisito di ammissione alla libertà condizionale la collaborazione con l'apparato repressivo denunciando i compagni. In ogni caso, niente definisce i limiti che avrà questo criterio, obbligando il prigioniero a comportarsi come un delatore. Il progetto è una prova in più della miserabile condotta del governo nei confronti dei prigionieri politici.
Bisogna ricordare che oggigiorno ci sono prigioniere e prigionieri baschi che hanno già scontato (e continuano a scontare) periodi superiori a quelli stabiliti nelle legislazioni europee per l'ergastolo, avendo scontato 21 e 22 anni di prigione. L'interesse politico si impone nel momento di concedere la libertà condizionale alle prigioniere ed ai prigionieri politici baschi che hanno tutti i requisiti legali perché venga loro applicata. Per concludere, anche i prigionieri con malattie incurabili soffrono della negazione del diritto alla concessione della libertà condizionale e vengono mantenuti ammucchiati in prigione senza trattamenti medici adeguati.
Il termine concesso al PP da parte del PNV è scaduto e tutti i meccanismi repressivi adottati fino ad ora non sono stati sufficienti. Hanno fallito - come fallirono prima altri governi - nella loro strategia di risolvere con la repressione un conflitto dalle profonde radici politiche. Così e come ha messo in evidenza con altre gestioni, come la sua posizione sulla guerra contro l'Iraq o quella di fronte alla catastrofe ecologica del Prestige, il Governo Aznar continua nella sua demenza. Con queste misure di repressione e di violazione dei diritti umani non fa altro che ritardare e rendere impossibile una soluzione definitiva in termini politici per un conflitto che si protrae già da troppo tempo.

Askatasuna Organismo di solidarietà coi Prigionieri Politici baschi

Paese Basco, Gennaio 2003

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