Dalle carceri speciali al 41 bis
Intervento letto in occasione dell'Assemblea su "41 bis, carcere e
repressione" svoltasi a Milano il 14 dicembre 2002.
[lancia l'articolo
in _blank format] Le carceri speciali, in Italia,
nascono nel '77 dalla necessità dello stato di isolare i prigionieri
politici, questo perché, con l'arrivo nelle carceri dei compagni,
dal '68 in poi, la situazione diventa sempre più esplosiva: crescono
le rivolte, si pretendono condizioni di vita dignitose ma soprattutto,
i detenuti per cause comuni, prendono coscienza dell'origine sociale e
politica della loro condizione, si sentono parte del proletariato, si
crea un forte legame tra proletariato fuori dalle carceri e proletariato
detenuto. In seguito, con la nascita delle organizzazioni combattenti,
anche il proletariato extra-legale si organizza nei N.A.P. (Nuclei armati
proletari). Lo stato deve tentare di arginare la situazione, vara quindi
la riforma carceraria, che entrerà in vigore nel '76.
Questa si muove in due direzioni che, da quel momento in poi, saranno
sempre presenti negli schemi delle leggi successive sul carcere: da una
parte la concessione di benefici, condizioni carcerarie migliori, permessi
subordinati alla buona condotta, e dall'altra il trattamento speciale
per i prigionieri politici e per quei detenuti che si espongono nelle
lotte.
Ad occuparsi del circuito delle carceri speciali sono chiamati i carabinieri,
il cui comandante è il Generale C.A. Dalla Chiesa.
All'inizio si creano sezioni speciali all'interno delle carceri normali,
contemporaneamente sono costruite nuove carceri concepite già come
speciali, con caratteristiche, anche architettoniche, tali da permettere
il massimo controllo. Queste, nel corso degli anni, si andranno sempre
più perfezionando con il corollario di congegni elettronici e tecnologici.
Le carceri speciali non se le sono inventate qui, l'Italia ha un modello
da seguire, la Germania occidentale.
L'Italia e la Germania occidentale, in quegli anni, sono paesi centrali
per la strategia USA, sia come paesi di frontiera con l'area dell'Urss,
sia nella strategia americana contro le lotte di liberazione del Terzo
Mondo.
In Germania, in particolare nelle basi militari, esistono centri d'intelligence
da dove sono gestite le operazioni, più o meno segrete, di propaganda,
d'informazione e anche militari, americane. A differenza dell'Italia,
dove esisteva un forte partito comunista seppure revisionista, la Germania
del dopoguerra, ha cercato di estirpare, nel modo più radicale,
ogni tipo d'opposizione politica, infatti il partito comunista era fuorilegge,
dichiarato anticostituzionale fin dal '56. Dopo l'esplosione del movimento
del '68, lo stato tedesco reagisce varando, immediatamente, leggi speciali
d'emergenza.
All'inizio degli anni '70 emergono due organizzazioni di guerriglia: gli
anarchici del "2 giugno", che nascono dall'esperienza delle
comuni, in particolare nel quartiere di Keuzberg, a Berlino e la R.A.F.
che, analizzando il ruolo strategico della Germania ovest nei piani dell'imperialismo
USA, si pone principalmente su un piano di lotta anti-imperialista. Una
delle loro prime azioni, sarà proprio l'attacco, nel '72, al quartier
generale USA di Heidelberg da dove erano coordinate le campagne di sterminio
in Vietnam. Questa e altre azioni contro le istituzioni americane hanno
rappresentato un aiuto concreto al popolo vietnamita in lotta, tanto che
ad Hanoi erano affissi manifesti con la notizia degli attentati, e dopo
la liberazione di Saigon sarà intitolata una strada ad Ulrike Meinhof
per ricordare i compagni tedeschi. Un altro punto importante è
la solidarietà (come vedremo ricambiata) con la lotta del popolo
palestinese.
Dopo il massacro, ricordato come "Settembre nero", in Giordania,
i compagni palestinesi decidono di portare la lotta qui, nel cuore dell'Europa.
Nel '72, con il sequestro della squadra israeliana che partecipa alle
Olimpiadi di Monaco e le azioni successive, la lotta di liberazione palestinese
esce dall'ambito regionale in cui era confinata e viene conosciuta in
tutto il mondo. Si prende coscienza del ruolo che Israele svolge in quella
regione, che va' ben al di là di quello che appare, e che la lotta
palestinese, non è solo la lotta di liberazione di un popolo, ma
un nodo centrale della lotta antimperialista mondiale, ruolo che conserva
ancora oggi.
Per stroncare la guerriglia lo stato tedesco attuerà, contro i
compagni, una repressione durissima. Saranno rinchiusi, per anni, in carceri
super tecnologiche dove vige l'isolamento in celle singole insonorizzate,
dove i compagni verranno sottoposti a torture di tipo psicologico e farmacologico,
secondo tecniche, studiate fin dagli anni '50 in America, capaci di provocare
gravi problemi fisici e psichici, con lo scopo di annullarne la resistenza
e annientarli. Lo stato tedesco non riuscirà a piegare i compagni:
resisteranno e lotteranno strenuamente con scioperi della fame che porteranno
alla morte del compagno Holger Mains nel '74. E non ci riuscirà
nemmeno con l'assassinio in carcere, nel '76, di Ulrike Meinhof.
Non ci riuscirà nel '77, quando la R.A.F. rapirà il presidente
della Confindustria Schleyer, che era stato attivo nazista nelle SS, e
chiederà la liberazione di 11 compagni. Un commando palestinese
appoggerà le richieste della R.A.F. sequestrando un Boeing 737
della Lufthansa che atterrerà a Mogadiscio. Un commando dei corpi
speciali tedeschi darà l'assalto all'aereo della Lufthansa liberando
i passeggeri e uccidendo i componenti del commando palestinese. Questo
è il primo intervento della Repubblica Federale Tedesca su suolo
straniero dal '45. Infine, verranno assassinati, nelle loro celle, i compagni
Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Jan -Carl Raspe. La versione ufficiale
del governo sarà, ed è ancora oggi, "suicidio",
come già era avvenuto per Urike Meinhof. L'uccisione dei compagni
susciterà un'ondata di proteste e ci saranno azioni contro obiettivi
tedeschi in tutto il mondo. Le B.R. la definiranno "la prima offensiva
unitaria sul terreno della guerra di classe". Il tentativo di fermare
la guerriglia assassinando i compagni andrà a vuoto. La guerriglia
continuerà a combattere fino agli anni '90. Le tecniche d'annientamento
nelle carceri speciali tedesche saranno il modello che verrà esportato
un po' ovunque, dall'Italia all'Irlanda, alla Spagna ...e non è
un caso che la Turchia, che chiede di entrare in Europa, si adegui a questo
modello con la costruzione dei blocchi, detti di tipo F, a cui i compagni
turchi stanno resistendo con uno sciopero della fame che ha già
prodotto più di cento morti.
Questo il modello dunque... ma le cose, nell'Italia di quegli anni, che
come abbiamo visto non rappresenta un caso isolato, sono rese difficili
dall'alto numero dei prigionieri e dal livello delle lotte che si sono
sviluppate ovunque, nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri e intorno
al problema del carcere.
I compagni prigionieri vengono trasferiti continuamente per impedire che
una situazione stabile possa permettere di organizzarsi e per rendere
più difficoltoso il contatto con l'esterno, essenzialmente con
i familiari (se non si è in qualche modo familiari, non vengono
dati colloqui), i quali sono costretti ad attraversare tutta l'Italia
senza mai sapere se il loro compagno è ancora lì.
Ma nonostante "gli speciali", la lotta non si ferma e raggiunge
il suo culmine con la rivolta dell'Asinara nel '79. I detenuti chiedono
la chiusura del carcere per le condizioni di vita impossibili. Le B.R.,
fuori, rafforzano la richiesta dei prigionieri con il rapimento del direttore
generale delle carceri, il magistrato Durso. Alla fine il carcere dell'Asinara,
semidistrutto dalla rivolta, viene chiuso e Durso liberato.
Siamo alla fine degli anni '70... la borghesia ha bisogno di portare avanti
una ristrutturazione sia a livello politico che a livello produttivo;
ristrutturazione che è già in atto negli altri paesi, ma
che in Italia è bloccata da più di dieci anni di durissima
lotta di classe e dalla presenza di avanguardie armate. E' necessario,
per lo stato borghese, usare ogni mezzo per stroncare queste lotte. Attacca
quindi su tutti i fronti, innanzitutto le fabbriche: emblematica la sconfitta
della Fiat con migliaia di cassaintegrati e i 61 arrestati per "terrorismo";
il movimento, con teoremi come quello del 7 aprile, che porteranno centinaia
di compagni in carcere e/o all'estero; cerca di fare terra bruciata intorno
ai prigionieri con arresti e intimidazioni a familiari ed amici e a tutti
quei settori di movimento che si occupano di carcerario; arriva anche
ad arrestare gli stessi avvocati difensori, accusandoli di favoreggiamento
nei confronti dei loro clienti (già successo, anni prima in Germania).
Per fermare a tutti i costi la guerriglia, verrà poi applicata
la tortura a chi viene arrestato, non la tortura psicologica, ma quella
più spiccia, la corrente nei coglioni per intenderci. Viene applicato
anche l'art.90, che e', in pratica, l'attuale 41 bis: colloqui con i vetri,
isolamento, riduzione delle ore d'aria, ecc.
Ma a questo inferno c' é una via di uscita ...ed è la delazione,
il pentimento, il tradimento che porterà centinaia di compagni
in carcere.
Ma non basta, Peci, l'infame tra gli infami, consegnerà le chiavi
di un appartamento, in Via Fracchia, a Genova: quattro compagni verranno
uccisi.
La situazione è durissima per tutti, ma ancora c' è la volontà
di lottare contro l'art. 90 e le torture. Il movimento si mobilita e manifestazioni
e scontri si svolgono davanti alle carceri speciali come Cuneo e Voghera.
L'art. 90 verrà infine abolito. Seguirà poi la stagione
delle abiure, la legge sulla dissociazione, i convegni, i dibattiti e,
alla fine, come si conviene alla società dello spettacolo, tutto
finisce in tv...ex-fascisti ed ex- comunisti, le stesse facce contrite
in un cono di luce, ci spiegano che tutto è finito.
Ma la repressione continua... vengono, di nuovo, arrestati decine e decine
di anarchici; Laudi, nota avanguardia dell'anti-terrorismo, monta, a Torino,
il caso "squatter" contro i compagni che lottano contro il T.A.V.
che porterà al suicidio-assassinio di due compagni, Sole e Baleno.
Intanto, i compagni che non accettano compromessi, che continuano a resistere,
restano nelle carceri speciali rigorosamente isolati. Ed è principalmente
a questi compagni che oggi vogliono applicare l'art. 41 bis.
E allora ci chiediamo: perchè proprio adesso? Perchè questo
rigore verso dei compagni che sono già nelle carceri speciali da
moltissimi anni, alcuni 20, addirittura 28? Accanimento gratuito? Non
lo crediamo. E allora guardiamoci intorno. La classe sta subendo, ancora
una volta, un attacco durissimo; gli stabilimenti chiudono, migliaia di
operai perdono il posto di lavoro, nel contempo lo stato sociale viene
smantellato, si susseguono gli attacchi in tutte le direzioni (scuola,
pensioni, sanità, etc.) la crisi economica porta il capitale alla
dislocazione produttiva, in paesi dove lo sfruttamento e quindi il profitto
sono maggiori; cresce il capitale finanziario. Tutto questo fa sì
che non ci sia più spazio per ipotesi riformiste. Lo stato perde
quindi, sempre di più, il ruolo di mediatore dei conflitti, poiché
c'è sempre meno da mediare, per assumere la veste repressiva e
di controllo.
Le emergenze si susseguono. All'emergenza permanente, lo stato dà
risposte che assomigliano, sempre di più, al carcere vero e proprio:
aumentano i contenitori per merce umana, i centri di detenzione per gli
immigrati con il corollario della legge Bossi-Fini, le comunità
di recupero; si parla di abolire la 180 e di riaprire i manicomi, fino
alle casette chiuse per regolarizzare la schiavitù della merce
donna. .
Lo stato non ha dimenticato gli anni '70. La classe certo è sotto
pressione, costretta sulla difensiva, sempre più smembrata dal
nuovo, anche se in realtà vecchio, modo di produzione con i lavori
atipici, a termine, part-time, a chiamata...chi più ne ha più
ne metta! A quale livello dunque può, in questo contesto, avvenire
la ricomposizione di classe se non su un terreno politico? Fermare le
avanguardie che potrebbero operare questa ricomposizione è essenziale:
questa è la vera emergenza.
Per questo lo Stato attua una contro-rivoluzione preventiva contro tutti:
i lavoratori, che si mobilitano contro il Libro Bianco e l'art.18 (da
notare la rapida riconversione della CGIL a interprete-incanalatore delle
lotte); il movimento (i fatti di Napoli e di Genova che porteranno alla
morte di Carlo Giuliani, non sono casuali); la ripresa dell'attività
combattente, preparando gli strumenti di cui l'art.41 bis è uno
di questi. Ma la repressione, per essere efficace, deve essere generalizzata.
Ogni compagno deve sapere di essere a rischio carcere.
Lo Stato, per questo, non si limita mai a colpire solo "i responsabili",
ma deve creare un clima di intimidazione, arrestando e inquisendo: i 20
arrestati a Caserta lo dimostrano, non c'è bisogno di prove per
il 270 bis.
La repressione e l'inasprimento del carcere servono, da un lato, a ri-punire
chi non si è arreso e rivendica la propria identità politica
dando una continuità storica alle lotte e, dall'altro, a desolidarizzare,
a spingere alla resa. Il solito vecchio gioco.
Tutto questo nulla ha a che vedere con il governo di centro-destra, anzi,
basti dire che, di fronte alla proposta di applicare l'art.41 bis per
la durata della legislatura, il centro-sinistra ha chiesto, e naturalmente
ottenuto, che l'applicazione del 41 bis sia a tempo indeterminato! L'intensità
della repressione e del controllo sociale non dipendono dal tipo di governo,
è lo stato borghese, nel suo insieme, che non può permettersi
un'intensificazione della lotta di classe, che ha bisogno del controllo
sociale all'interno, per svolgere, al meglio, le sue funzioni di Stato
imperialista, per poter affrontare, al meglio, l'intensificazione della
contesa internazionale. Uno scontro che è vitale per l'imperialismo;
uno scontro, sempre più complesso, che si svolge a tutti i livelli:
commerciale, politico e sempre di più militare che vede coinvolti
tutti, dagli Usa all'Europa in via di costruzione, alla Russia, alla Cina.
Uno scontro che, in prospettiva, sarà guerra aperta.
Lo stato imperialista deve, dunque, tenere sotto controllo la situazione
interna per massacrare, in pace, i popoli oppressi.
I due piani, interno e internazionale, sono le due facce dello stesso
problema. La stessa parola d'ordine: annientare chi resiste.
Chi non é con noi é contro di noi. Inutile cercare qualche
eco di Voltaire in questa frase. Il dominio borghese, nel procedere del
suo cammino storico, ha perso quei valori che, per secoli, ci ha propinato
per camuffare la sua vera essenza, ha perso ogni volontà di mediazione,
ogni progetto di sviluppo, quello che vediamo oggi è l'imperialismo
ridotto all'osso, quello che i popoli coloniali conoscevano già.
Chi non é con noi é contro di noi. Non ci sono diritti,
nemmeno la farsa dei diritti umani ... pensiamo a Guantanamo, alla Palestina,
all'auto colpita da un missile nello Yemen. Israele ha aperto la strada
alle esecuzioni mirate, adesso ci provano gli Usa: silenzio assoluto,
diventerà la norma. Compilano liste dove si trovano le più
svariate organizzazioni di lotta, non ci sono ragioni legittime per opporsi,
non c'è diritto alla resistenza.
Chi non è con noi é contro di noi. La guerra non é
più episodica per uscire da uno stato di crisi irrisolvibile altrimenti.
La crisi è permanente, la guerra diventa strutturale, infinita,
duratura. Guerra preventiva, non più missioni di peacekeeping o
guerra umanitaria, è la guerra e basta.
Chi non é con noi é contro di noi... Estrema sintesi, il
nocciolo duro del dominio borghese.
Un livello di scontro altissimo. Non siamo nel '17, oggi l'imperialismo
è giunto a un tale livello di compenetrazione tra le varie aree
del pianeta che non sopravvivrebbe a una rivoluzione russa, il suo bisogno
di risorse è tale che non può permettersi di perdere nessuna
area del pianeta.
Deve controllare tutto. Controllare, non governare.
Non si piega nemmeno, e non potrebbe, alle richieste legittime di borghesie
nazionali che non vogliono certo cambiare il sistema ma, più semplicemente,
ritagliarsi un piccolo spazio, gestire in proprio le loro risorse. Non
è più tollerabile questo. Pensiamo al tentato golpe in Venezuela,
l'attacco all'Irak, quello che c'é stato e quello che ci sarà,
la Somalia, la Iugoslavia, l'Afganistan e poi l'islam, il male assoluto
che si annida ovunque...lo cercano anche qui.
L'art.41 bis sarà applicato anche ai prigionieri islamici che si
trovano nelle carceri italiane (sono più di un centinaio); si susseguono,
infatti, gli arresti di presunti "terroristi" islamici, spesso
è palese che si tratta, semplicemente, di lavoratori di origini
arabe arrestati a scopo propagandistico. Pensiamo alla fantomatica nave
carica di uranio radioattivo o all'arresto di tre pescatori egiziani nelle
cui casa, alla seconda perquisizione (non alla prima), avvenuta una settimana
dopo l'arresto, sarebbe stata trovata una cintura esplosiva, fino a rasentare
il ridicolo con gli arresti nella chiesa di S. Petronio a Bologna. Spesso,
per questi arrestati, la situazione risulta particolarmente dura, specie
se difesi soltanto da avvocati d'ufficio, che non si occupano certo delle
condizioni di detenzione.
Sia che siano vittime della propaganda che tende a dipingere gli arabi
come "terroristi", sia che appartengano effettivamente ad organizzazioni
islamiche, li consideriamo detenuti politici. Naturalmente, é ovvio
che non siamo interessati al fine politico della loro lotta, il nostro
fine è inconciliabile con la Sharia; ma ci siamo interrogati sulle
ragioni che spingono, in alcune situazioni, i popoli arabi a cercare un
punto di riferimento nell'Islam.
Sicuramente, la caduta dell'Urss non permette più, ai paesi del
Terzo mondo, di trovare una via per uscire dal sottosviluppo entrando
a far parte della sfera sovietica; il neoliberismo ha aggravato la situazione
di questi paesi come del resto in tutte le altre parti del mondo, dall'Europa
dell'Est all'America Latina, all'Africa, lasciandoli senza vie d' uscita,
sempre più poveri e sempre più legati e sottomessi al volere
imperialista.
Le contraddizioni sono diventate enormi. In questo contesto si inserisce
l'Islam che, pur non essendo un fenomeno unitario, in alcune situazioni
può esprimere un forte carattere anti-imperialista. L'esempio forse
più esplicativo di questa parabola lo vediamo in Palestina dove,
in un popolo sostanzialmente laico che ha avuto per anni la sinistra all'avanguardia
nella lotta di liberazione, cresce il fenomeno islamico. Davvero c'è
un risveglio religioso? Non crediamo sia questo il punto. Piuttosto, la
sinistra è in crisi e non solo lì. Le rappresentanze borghesi
si sono messe o, per meglio dire, hanno provato a mettersi, sulla via
delle trattative, mentre gli islamici, favoriti all'inizio proprio in
funzione anti-sinistra, sono sfuggiti al controllo, hanno continuato la
lotta, (questo conta, in un paese sotto un'occupazione durissima come
quella israeliana), hanno utilizzato i fondi che venivano dai paesi islamici
per sviluppare servizi sociali, asili, scuole, presidi sanitari, ecc,
tutte cose che contano per chi vive in un campo profughi. Stessa politica
portata avanti, nel sud del Libano, dagli Hezbollah, occupando, quindi,
uno spazio lasciato vuoto dalle forze laiche e di sinistra.
Non si tratta, dunque, di arretramento culturale ma, piuttosto, la manifestazione
del bisogno che hanno i popoli arabi di opporsi all'occidente imperialista
e al sionismo, comunque.
Da comunisti, sappiamo che anche in una fase di debolezza, possiamo interagire
con la realtà, pena l'isolamento. E allora, così come i
compagni in Palestina, in nome dell'unità nazionale, lottano insieme
agli islamici contro Israele pur portando avanti una lotta specifica,
così noi qui, in un altro contesto, non possiamo ignorare che l'Islam
è un collante culturale importante per gli immigrati arabi nel
nostro paese e non possiamo non confrontarci con loro, che sono poi con
noi, nelle fabbriche e anche nelle carceri, con i nostri stessi problemi.
Non uniamoci alla campagna contro il cosiddetto "terrorismo islamico"
e alla guerra scatenata dall'imperialismo. Proprio perché sappiamo
che non c'é scontro di civiltà, ma uno scontro di classe,
tutto dipenderà dalla nostra capacità, come sinistra internazionale,
di costruire delle alternative credibili, una prospettiva storica e di
farlo non solo a parole, ma lottando concretamente a fianco dei popoli
arabi. L'Islam o Saddam, non sono il nostro nemico principale oggi.
Abbiamo cercato di inserire il discorso carcere in un ambito più
generale perché, al di là della nostra condizione soggettiva,
molti di noi seguono da anni compagni in carcere, non vogliamo specializzarci
nel carcerario, non avrebbe senso. Vogliamo, piuttosto, cercare di fare
in modo che la lotta contro il carcere e l'art.41 bis, entrino a far parte
delle altre lotte. Non possiamo fare un discorso separato dal contesto
generale perché i compagni prigionieri sono parte integrante di
una lotta internazionale.
I compagni prigionieri rivoluzionari rappresentano un percorso storico
che è impossibile ignorare se vogliamo andare avanti e, se vogliamo
andare avanti, i nostri compagni ce li dobbiamo rivendicare, questo non
significa necessariamente condividere la loro proposta strategica di lotta,
ma fare in modo che la loro resistenza diventi anche la nostra.
Familiari ed amici dei prigionieri rivoluzionari
[ ] Torna
all'Indice di SC 10 (1/2003)
|