I costi della guerra e la gestione dell'occupazione
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L'amministrazione Usa attraverso uno studio commissionato
al Congressional Budget Office nel settembre 2002 ha cercato di determinare
il costo, in termini finanziari, di un eventuale attacco all'Iraq.
Tale studio afferma che saranno molte le variabili di cui bisognerà
tenere conto, ed in particolare la durata dell'attacco, la quantità
di mezzi impegnati, e la risposta che l'Iraq sarà in grado, in
termini militari, di attuare.
La relazione esamina due possibili evoluzioni del conflitto. Entrambe
le ipotesi si basano sulla estensione della forza militare che il teatro
di guerra richiede, come indicato dal Dipartimento della Difesa Americano.
La valutazione di tali costi ha potuto contare sui dati relativi alle
recenti missioni di guerra nei Balcani, in Afghanistan e non ultima per
importanza Desert Storm/Desert Shield.
La relazione prende in considerazione quanto potrà avvenire in
un quadro sufficientemente prevedibile del fronte di guerra, senza poter
valutare gli incrementi dei costi derivanti dall'utilizzo di "armi
di distruzione di massa" o di altri scenari. La valutazione dei costi
dell'evoluzione di alcuni scenari sono a disposizione dei servizi di intelligence,
dai quali trapela ben poco. Il quadro che si prospetta porta a considerare
credibile che nei piani dell'amministrazione americana sia stata approfonditamente
valutata la possibilità di utilizzo di armi nucleari e di altro
tipo. Un'occasione da non perdere per provare sul campo la propria capacità
bellica e dimostrare la radicalità dell'azione politico militare
americana a livello internazionale.
E' da considerare, su un altro piano, che tale valutazione dei costi non
prende in considerazione le somme necessarie al pagamento degli stipendi
dei militari coinvolti nelle operazioni.
La relazione stima che lo schieramento delle forze usa nel Golfo Persico,
avranno un costo di quasi $ 13 miliardi su un periodo di tre mesi. Questi
costi comprendono quanto concerne il mantenimento e il trasferimento delle
truppe nell'area, il loro addestramento e ambientamento, oltre che l'adeguamento
logistico per la loro permanenza.
Nel caso di inizio del conflitto sono previsti costi per 9 miliardi di
dollari al mese. Il costo dovrebbe tendenzialmente abbassarsi a 8 miliardi
di dollari al mese.
A questi costi deve essere aggiunta una stima di circa $ 7 miliardi per
il rientro delle truppe, oltre a una somma per le operazioni di supporto
che si aggira tra i $ 2 e i $ 4 miliardi.
Questi costi si riferiscono unicamente al personale di terra.
Lo schieramento delle forze aeree e navali richiederà costi per
$ 9 miliardi, suddivisi per le operazioni di trasporto, supporto al personale
e operazioni di supporto. Nel caso di operazioni di guerra il costo si
aggirerà attorno a $ 8 miliardi mensili, costi che comprendono
munizionamento e ripristino dei mezzi danneggiati.
Il trasferimento dei mezzi aerei su altri "teatri" alla fine
del conflitto, dovrebbe pesare per circa $ 5 miliardi. Sempre prendendo
come base la durata di tre mesi, tempo ritenuto necessario per le operazioni
di guerra dagli analisti militari americani, il costo di supporto alle
operazioni dovrà tenere in considerazioni altri costi che si aggirano
tra i $ 2 e $ 4 miliardi.
Le operazioni di guerra prevedono l'occupazione del territorio iracheno.
I costi previsti potranno alzarsi nel caso che l'occupazione richieda
la costruzione di basi e infrastrutture. Ma se gli usa lasceranno questo
tipo di operazioni a truppe di peacekeeping di altri paesi i costi potrebbero
sensibilmente abbassarsi.
Secondo alcune stime contrapposte dei vertici strategici Usa, saranno
necessari dai 75.000 ai 200.000 uomini, o come li definiscono loro "peacekeepers",
prendendo come esperienza le missioni in Bosnia e Kossovo. I costi dell'operazione
dipenderanno molto anche dal tipo di forza da dover utilizzare per le
operazioni di occupazione, facendoli oscillare da $ 1 ai $ 4 miliardi
al mese.
Nella migliore delle ipotesi, considerando i tre mesi di riferimento,
il costo non sarà inferiore ai $ 90 miliardi (180.000 miliardi
delle vecchie lire).
Ma a questi, come accennato in precedenza, dovranno essere pronti ad aggiungere
quanto non previsto in caso di utilizzo di armi non convenzionali, e aggiungiamo
noi, che questa ipotesi è molto più possibile da parte di
Usa e Gb. La previsione di spesa non prevede i costi relativi alle eventuali
decontaminazioni di mezzi e personale, derivanti da fattori diversi.
Gli Usa potrebbero inoltre lasciare truppe in sede stabile in Iraq. Detta
ipotesi richiederà la costruzione di basi militari idonee allo
scopo, oltre le operazioni di peacekeeping precedentemente descritte.
La relazione indica la possibilità di utilizzare il ricavato della
vendita del petrolio iracheno per il pagamento della ricostruzione e l'occupazione.
Quanto attualmente prodotto dall'Iraq non può essere facilmente
aumentato senza un investimento di larga scala nelle infrastrutture. Il
testo fa riferimento ad una generica capacità, una volta eliminate
le "cause" dell'embargo, di poter provvedere autonomamente ai
costi della costruzione.
Verificheremo nei prossimi mesi quali saranno i risvolti relativi alla
ricostruzione dell'Iraq, ed in particolare quali caratteristiche assumerà
la presenza americana su quel territorio, senza escludere tutti i fattori
di instabilità che le operazioni militari svilupperanno. L'esperienza
Afgana e la situazione di instabilità attuale, dovrebbe insegnare
molto alla borghesia imperialista sulla capacità di gestire le
profonde contraddizioni interne ai singoli paesi e in tutta l'area.
Sull'argomento del post guerra in Iraq, può essere interessante
un documento di un gruppo di lavoro copromosso dal Consiglio per le Relazioni
Estere americano e James A. Baker III Institute for Public Policy.
Lo scenario preso in considerazione si basa sull'ipotesi di un attacco
militare all'Iraq, escludendo la possibilità di una presa del potere
da parte dell'opposizione e del completo rispetto della risoluzione Onu
1441. Non ci dilunghiamo ora sul valore di questa ultima affermazione,
in quanto è chiaro, dalla nostra impostazione editoriale/politica
il nostro punto di vista in merito.
Lo scopo dichiarato di questo studio è la volontà di dare
un aiuto alla amministrazione Bush in merito alla gestione del "post-war".
Viene raccomandato di utilizzare un approccio che distingua tre fasi fondamentali:
breve termine, medio termine e obiettivi.
Immediatamente dopo la fine delle operazioni belliche spetterà
agli Usa e ai suoi alleati il compito di impedire che l'anarchia, le vendette
prendano il sopravvento, mettendo a rischio la possibilità di ricostruzione.
Nel breve termine si renderanno necessari, secondo lo studio, alcuni passaggi.
La prima urgenza sarà nominare un "U.S. Coordinator for Irak",
da ricercarsi all'interno del personale Usa che abbia esperienza sul territorio,
sul background delle vicende nell'area e sulle scelte politiche dell'amministrazione
americana. Questa figura non dovrà coordinare le forze militari
ma nello stesso tempo dovrà sottostare ad eventuali loro indicazioni.
La durata del mandato dovrebbe essere di circa due anni o fino a quando
non saranno raggiunti gli obiettivi prefissati.
Le forze americane ed alleate dovrebbero provvedere alla individuazione
ed alla distruzione delle armi di distruzione di massa, sempre a patto
che ce ne siano. L'obiettivo non sarà unicamente la loro distruzione,
ma dovrà essere previsto un monitoraggio di lungo periodo come
previsto dalle stesse disposizioni Onu.
Le forze americane dovranno provvedere alla immediata istituzione di "law
and order", che a nostro avviso significa il pieno possesso del controllo
del paese e del popolo iracheno.
Il primo obiettivo deve essere distruggere le Guardie repubblicane e i
vertici filogovernativi, conservando l'esercito regolare rimovendo la
sua leadership per portarlo sotto il controllo Usa. Questa potrà
essere una ipotesi fondamentale per la sicurezza delle operazioni di ricostruzione.
La strategia ottimale per gli usa dovrà essere rappresentata da
un basso profilo di visibilità, ma un forte ruolo di controllo
e di intervento a sostegno di una nuova leadership irachena.
Successivamente vengono trattati gli aspetti della fine della repressione
delle minoranze e la salvaguardia dell'integrità territoriale dell'Iraq,
oltre che della gestione degli aiuti umanitari e la ricostruzione della
vita sociale. Questo ultimo compito sarà affidato alle ONG, ribadendo
quel concetto già più volte da noi espresso, sulla funzione,
nella maggioranza dei casi, di queste strutture come veri e propri elementi
di controllo nella fase successiva alle operazioni di guerra.
Sarà fondamentale costruire un tessuto di consenso attorno alla
presenza americana ed in particolare lavorare perché all'interno
della maggioranza del popolo iracheno, non viva un sentimento di ostilità
nei confronti del governo che verrà imposto.
Sul piano del consenso e dell'utilizzo dell'informazione a fini bellici,
dal 12 Dicembre è iniziato un bombardamento radiofonico nel sud
dell'Iraq rivolto alle forze militari come ai civili. La radio ha l'obiettivo
di impedire il sostegno militare ad una eventuale risposta alle operazioni
Usa. La radio è gestita dal Comando Solo e viene trasmessa attraverso
trasmettitori aerei.
Inoltre sono state compiute più di settanta operazioni di lancio
di volantini invitando i militari a non riparare gli eventuali danni provocati
ai mezzi di comunicazione, in caso di bombardamenti.
Non deve essere dimenticato, ricorda lo studio, che il cambiamento in
Iraq influenzerà certamente gli equilibri nell'area, ed in particolare
sarà necessario per gli Usa riuscire a intraprendere una politica
astuta nei confronti dei paesi confinanti come ad esempio l'Iran. La presenza
americana potrà provocare una sensazione di occupazione che dovrà
essere fin da subito evitata, altrimenti la fase post war rischia di presentarsi
più dura delle operazioni militari stesse.
Lo studio, nell'affrontare la problematica relativa al petrolio iracheno,
indica che la strada da percorrere deve obbligatoriamente confrontarsi
con il pensiero popolare che si è sviluppato attorno alla guerra.
Questo non può fare a meno di prevedere una strategia che non dia
forza alla ipotesi predominante che le operazioni militari contro l'Iraq
hanno lo scopo "imperialista" di appropriarsi del petrolio iracheno.
La valutazione che emerge definisce credibile la possibilità che
già esista in Iraq, tra la tecnocrazia petroliera, una certa attrazione
verso la tecnologia usa per quanto riguarda la modernizzazione delle infrastrutture
petrolifere, e questa dovrà essere l'elemento su cui far leva per
avere pieno consenso dalla nuova leadership, la presenza militare farà
il resto. L'Iraq presumibilmente attrarrà nell'immediato dai $
30 ai $ 40 miliardi di investimenti per lo sviluppo del settore. Lo studio
afferma con certezza inoltre che il nuovo governo iracheno uscirà
dalle maglie dell'OPEC, rendendosi così autonomo nella scelta delle
quote di estrazione, anche se per questo ultimo aspetto non esclude eventuali
accordi con l'Opec stessa.
Molti dei costi dipenderanno dai danni che verranno riportati nelle operazioni
di guerra, ma dovrà essere compito degli Usa ripristinare immediatamente
quanto necessario almeno per il consumo interno. Nel piano americano dovrà
essere fatto il possibile per salvaguardare la capacità di produzione
di petrolio da parte dell'Iraq. Non è da escludere che la presenza
francese nel settore del petrolio iracheno (la Francia detiene accordi
per l'estrazione con il governo attuale) non venga profondamente messa
in discussione alla luce dei contrasti attuali.
Dallo studio emerge il ruolo centrale della Turchia nella nuova gestione
del petrolio iracheno, in particolare sia per l'utilizzo sia per il passaggio
verso ovest. Per quanto riguarda il gas la Turchia è interessata
a mantenere i rapporti precedentemente stipulati con l'Iraq, in concorrenza
con Russia ed Iran
Un altro problema potrà verificarsi nel caso in cui alcune fazioni
interessate al potere in Iraq approfittino del conflitto per prendere
il controllo di parte delle risorse petrolifere, utilizzandole come strumento
di potere. Le forze militari dovranno prendere subito il controllo delle
risorse petrolifere per impedire che ciò avvenga. Inoltre non sarà
da sottovalutare il fatto, che nella eventualità di una durata
prolungata dell'occupazione, le truppe a difesa del petrolio potranno
essere bersaglio di attacchi della guerriglia.
Lasciando da parte i costi per le operazioni "umanitarie", la
ricostruzione dell'Iraq non potrà essere inferiore ad una cifra
che si aggira tra i $ 25 e i $ 100 miliardi. A questi devono essere aggiunti
circa $ 5 miliardi per le infrastrutture per l'esportazione del petrolio
e altri $ 20 miliardi per il ripristino della capacità di produzione
elettrica ai livelli del 1990. Il mantenimento e l'immediata ricostruzione
della infrastruttura petrolifera consentirà di finanziare autonomamente
la modernizzazione delle infrastrutture legate alla produzione ed esportazione
del petrolio.
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