La guerra nella guerra
IL FALSO MITO DELL'OPPOSIZIONE UE ALLA GUERRA
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Le guerre hanno avuto inizio con la comparsa della proprietà
privata e delle classi, e sono la forma suprema di lotta, la forma alla
quale si ricorre per risolvere i contrasti tra le classi, le nazioni,
gli stati, i blocchi politici, quando questi contrasti sono giunti ad
una certa fase di sviluppo.
"Problemi strategici
della guerra rivoluzionaria in Cina"
(dicembre 1936)
Opere Scelte di Mao Tse-tung, vol. 1
E' da questa affermazione che dobbiamo partire, non per
l'estensore ma per la sua attualità, per ribadire che la guerra
è già iniziata. Il bombardamento dell'Iraq sarà solo
un tassello di questa guerra, ovvero la ricaduta sul popolo iracheno degli
interessi di una parte della borghesia imperialista, quella Usa e Gb,
nel tentativo di ribadire la supremazia nei confronti delle altre fazioni.
Quello che abbiamo davanti ai nostri occhi, nella fase attuale, non è
uno stato imperiale dominato da un'unica potenza rappresentante una fazione
di borghesia, quella Usa, ma lo sviluppo sempre maggiore di contraddizioni
tra le borghesie stesse. Contraddizioni che non si limitano a generare
o acuire contrasti tra i vari blocchi, Usa Ue Cina Russia, ma vanno ad
interessare la stabilità dei blocchi stessi. Anche all'interno
di quella stanza di compensazione degli interessi delle borghesie imperialiste
rappresentata dalla Nato, le contraddizioni non possono che acuirsi.
Niente di nuovo rispetto a quanto abbiamo affermato anche in precedenza,
ma certamente molto di nuovo per quanto riguarda l'accelerazione che certi
processi determinano nella necessità di individuare una analisi
sugli spazi che si aprono per lo sviluppo della prospettiva rivoluzionaria.
Sarà altresì fondamentale individuare, fin da subito, quali
tendenze opportuniste o riformiste poterebbero bloccare lo sviluppo di
un'autonomia teorica e pratica da parte di un settore non indifferente
dello schieramento contro la guerra.
Elemento fondamentale sarà non perdere di vista la caratterizzazione
imperialista dell'Europa e la funzione sulla quale è nato e si
è sviluppato. L'attuale scontro tra alcune borghesie europee, quelle
che emergono come il nucleo fondante e "forte" del blocco imperialista
europeo, e la borghesia Usa sul tema della guerra, anche all'interno della
Nato, rappresenta lo scontro tra interessi e capacità diverse di
intervento tra i soggetti in campo, e a nostro avviso non potrà,
e non dovrà, rappresentare un riferimento politico nella battaglia
contro l'imperialismo e la guerra.
Abbiamo sempre fatto riferimento ad una differente capacità di
proiezione militare tra Ue e Usa, ed una conseguente differenza sul terreno
da scegliere per garantire i propri interessi, e questo è il terreno
reale in cui dobbiamo collocare l'attuale scontro tra Usa e Ue..
".... Infatti in regime capitalista non si può
pensare a nessun'altra base per la ripartizione delle sfere d'interessi
e d'influenza, delle colonie, ecc.. che non sia la valutazione della potenza
dei partecipanti alla spartizione, della loro generale potenza economica,
finanziaria, militare. Ma i rapporti di potenza si modificano, nei partecipanti
alla spartizione, difformemente giacché in regime capitalista non
può darsi sviluppo uniforme di tutte le singole imprese, trust,
rami d'industria, paesi,ecc.."
("Imperialismo fase suprema
del capitalismo" - Lenin)
Secondo molti analisti europei l'Iraq rappresenta l'insieme
dei problemi già presenti nelle relazioni tra Usa e Ue in merito
al commercio e alle sue regole, alle problematiche legate alla politica
internazionale.
Tali divisioni si sono manifestate più volte anche all'interno
del quadro Nato, in particolare per l'approccio americano al processo
di allargamento verso quei paesi che saranno chiamati a far parte della
UE. Basta pensare a quanto si è generato con la scelta da parte
della Polonia di modernizzare la propria forza militare aerea con tecnologia
Usa, atto che è stato interpretato, in particolare dalla Francia,
come un cambiamento di direzione nei confronti dell'Europa in funzione
degli interessi americani.
Molti sono convinti che le difficoltà sul sostegno di una parte
dei governi europei alla politica anglo americano verso la guerra all'Iraq,
si siano accentuate proprio nel momento in cui la Ue deve procedere alla
definizione delle procedure per l'entrata dei 10 paesi dell'Europa dell'Est.
Più volte, nei numeri precedenti, abbiamo evidenziato le contraddizioni
che si sviluppano all'interno del quadro Nato, notando quanto l'attenzione
Usa, attraverso l'allargamento ai paesi ex sovietici della Nato o l'allargamento
degli accordi di partnership, si rivolgesse proprio a quei paesi che dovrebbero
far parte della naturale sfera di influenza Ue. E' chiaro, che questa
strategia, è del tutto interna alla volontà americana di
garantirsi una forte sfera d'influenza politica-militare all'interno dell'Europa
stessa.
Le minacce odierne, nei confronti della Germania da parte degli Usa, di
spostare le proprie basi nell'Europa dell'Est, o meglio verso quei paesi
da poco entrati della Nato, non matura semplicemente all'interno dello
scontro sulle modalità di gestione della "crisi irachena".
Esistono, nella fase attuale, le condizioni idonee per poterle praticare,
in quanto, come già affermato nei numeri precedenti, erano già
previste all'interno della strategia di espansione americana ad est.
Da un punto di vista borghese, le ragioni della subalternità nell'affrontare
tale fase, sono da ricercarsi nella difficoltà della Ue di disporre
di una politica realmente europea nei confronti dell'attuale fase internazionale.
Questo genera il perdurare di posizioni e scelte dettate da un interesse
o dall'opportunità dei singoli stati di affermarsi sul terreno
internazionale, o per esigenze interne allo stato stesso.
Su questo terreno il movimento contro la guerra deve fare molta attenzione
a non essere schiacciato, facendosi trascinare all'interno degli interessi
borghesi, contribuendo all'avanzamento dell'unità dell'Europa stesso.
Non può essere la stabilità il quadro nel quale si potrà
sviluppare la prospettiva rivoluzionaria all'interno del polo europeo.
Secondo alcuni analisti la posizione da parte di Ungheria, repubblica
Ceca e Polonia nei confronti della Ue è molto complessa. Essi affermano
che sta emergendo la sensazione da parte di questi paesi, che l'entrata
nella Ue possa sancire la loro perdita di sovranità riportandoli
ad una situazione simile al periodo di influenza sovietica. Prende vita
un pensiero che tende a preferire un "padrone lontano", in grado
di garantire la loro sicurezza, ad un "padrone vicino" che tenderebbe
ad imporre suoi modelli e vincoli.
Non bisogna nemmeno sottovalutare il fatto, che questi paesi, possano
sfruttare lo scontro attuale tra Usa e Ue, per rinegoziare a loro favore
i termini economici e finanziari richiesti per la loro entrata nella Ue.
La Francia rappresenta la figura leader nello scontro con gli Usa e la
Gb. Oltre ad aver fatto andare su tutte le furie gli Usa per la sua minaccia
di veto nei confronti dell'uso della forza militare contro l'Iraq, fin
da ottobre di questo anno ha dimostrato di voler in ogni modo determinare
profondi cambiamenti nelle relazioni tra Ue e Usa.
Non va sottovalutata, per definire un quadro completo delle ragioni dell'acuirsi
dello scontro tra Usa e Ue, il rifiuto da parte Usa del coinvolgimento
degli alleati nell'attacco all'Afghanistan. Nonostante fosse stato invocato
l'art 5 del trattato atlantico, la scelta da parte Usa di non coinvolgere
gli alleati è stato letto, da molti, come il segnale della volontà
di voler sfruttare al massimo l'impeto del dopo 11/9, per determinare
la sua superiorità a livello internazionale ed in particolare nell'area
araba e asiatica.
Nel mese di Febbraio, durante un vertice con la GB, organizzato per ammorbidire
i toni dopo che a ottobre aveva fatto in modo che saltasse l'incontro
con Blair per la definizione delle riforme della politica agricola europea,
la Francia ha annunciato un summit a Parigi con il presidente dello Zimbawe
Mugabe. Il risultato è stato un ulteriore inasprimento dei rapporti
con la GB, in particolare per la forte disapprovazione, da parte di quest'ultima,
per l'espropriazione ai latifondisti bianchi delle terre e le fattorie.
La Francia, tradizionalmente non propensa a sottomettersi agli interessi
americani, (basta ricordare la crisi del canale di Suez e la uscita dalla
Nato dal 1966 fino al 1995) non crede alla necessità di una superpotenza
europea, ma nello stesso tempo ritiene necessaria la creazione di una
maggiore unità dell'Europa per rompere la sottomissione agli interessi
Usa. Nonostante l'accordo di St. Malo del 1998, dove si lasciava intravedere
un avvicinamento all'Europa da parte della Gb, la Francia ha sempre ritenuto
quest'ultima un alleato non affidabile in quanto troppo legata agli interessi
americani. Da parte sua, la Gb, ha sempre visto negativamente la creazione
di un Europa, e la sua compagine politico militare, come una alternativa
alla Nato, in quanto questa determinerebbe uno "sganciamento"
degli Usa, con una conseguente perdita di potere della GB stessa.
L'asse Francia Germania, rappresenta, per la Francia stessa, lo strumento
verso la costruzione di un nucleo forte attorno al quale determinare il
passaggio ad un sistema decisionale europeo basato sulla maggioranza,
e non sull'unanimità dei paesi membri, senza che questo comporti
però una perdita della propria autonomia in particolare per quanto
riguarda il mantenimento dei propri interessi all'estero (ad esempio consentire
un intervento unilaterale da parte sua come successo in Costa D'Avorio).
La Turchia rappresenta da sempre una delle maggiori contraddizioni nei
rapporti tra Usa e Ue e le cause dell'allungamento dei tempi per la sua
adesione all'Europa, con la quale ha accordi al pari dei paesi membri
per quanto riguarda il commercio, non è certo da ricercarsi nella
tanto sbandierata questione dei diritti delle minoranze o nella così
tanto decantata mancanza di democrazia. Deve essere invece spiegato col
suo ruolo di fido partner e "avamposto" degli Usa. La sua enorme
capacità militare, la seconda forza militare Nato, determinerebbe
sicuramente uno squilibrio all'interno della gerarchia di potere della
Ue stessa, favorevole all'alleato Usa.
Se il vertice di Copenaghen ha definito una serie di passaggi riguardo
l'entrata di nuovi 10 paesi entro il 2004, non ha invece sciolto il nodo
dell'entrata della Turchia nella Ue.
Questo non può che riflettersi sulla scelta, di alcuni stati europei,
di non volersi preventivamente sottomettere all'imposizione americana
di fornire aiuto militare alla Turchia come forma preventiva per garantire
la sua sicurezza in caso di attacco all'Iraq. La mossa, più che
una vera esigenza di sicurezza, sembra caratterizzarsi come una forzatura
Usa nei confronti della Ue nel determinare un ruolo sempre più
forte della Turchia nei confronti dell'Europa stessa, utilizzando lo strumento
attraverso il quale riesce ad avere più forza, ovvero la Nato.
La posizione più intransigente verso l'entrata della Turchia viene
proprio dal ministro francese che afferma, in una dichiarazione ai margini
del vertice di Copenaghen, che "la Turchia non è né
culturalmente né geograficamente europea, e l'entrata della Turchia
rappresenterebbe la fine della Ue stessa".
Ipotesi diametralmente opposta è quanto affermato all'interno di
un meeting che si è svolto a dicembre a Washington, sponsorizzato
dal Centro studi strategici e internazionali, secondo cui l'entrata della
Turchia nella Ue rappresenta un fondamentale elemento per rompere il processo
schizofrenico che sta caratterizzando l'allargamento europeo.
Nel mese di dicembre, durante una visita a Istanbul, il segretario alla
difesa Usa Wolfowitz ha affermato che la cooperazione tra Usa e Turchia
rappresenta la chiave di volta per la sicurezza e la stabilità
nell'area riaffermando il pieno appoggio per l'entrata della Turchia nella
Ue.
Durante una delle tante interviste rilasciate negli ultimi mesi, Bush
ha affermato che farà di tutto per sostenere l'entrata della Turchia
nella Ue, definendola, insieme alla disponibilità delle sue basi
per l'operazione di "disarmo" dell'Iraq, uno degli elementi
fondamentali per la stabilità e la prosperità dell'area,
ribadendo inoltre il proprio supporto all'economia turca, perennemente
colpita da crisi finanziarie. La richiesta di pressione nei confronti
dei leader europei del presidente Usa, era stata chiesta espressamente
dal governo turco dopo la proposta franco tedesca di un eventuale accesso
della Turchia nella Ue non prima del 2005, proposta rifiutata dal governo
della mezzaluna. Non a caso tra chi spinge per un entrata al massimo entro
il 2004 della Turchia nella Ue, ritroviamo la GB e l'Italia, tra i maggiori
sostenitori della politica Usa a livello internazionale e della visione
di un europa dipendente dall'alleato transatlantico.
Quanto affermato, in riferimento al ruolo della Turchia in funzione degli
interessi Usa, è facilmente sintetizzato da quanto scritto dal
giornale belga Le SOIR che afferma: "Applaudiamo alla coraggiosa
resistenza della Ue nei confronti delle imposizioni degli Usa per l'entrata
della Turchia".
In un articolo di "Le Figaro" si legge in merito alle pressioni
americane che "Bush ha telefonato ad un capo di stato, Chirac, intervenendo
su qualcosa di cui non può essere il "direttore", spingendo
per l'entrata della Turchia nella Ue. Chirac non è stato il solo
ad essere stato contattato;in più occasioni altri capi di stato
hanno ricevuto pressioni in merito... L'adesione della Turchia è
sempre stata una materia di grande importanza per gli americani perché
questa è una amica degli americani. Sarebbe come se gli europei
telefonassero a Bush per fare pressioni per l'apertura dei confini con
il Messico, e richiedessero la restituzione dei territori messicani precedentemente
annessi".
Non dobbiamo dimenticarci inoltre, che la Turchia, ha accordi per la produzione
militare con Israele, la cui unione in questo campo, ha già permesso
la fornitura di sistemi elettronici e aerei ad alcuni paesi di nuova entrata
e di paternariato Nato, futuri membri europei o potenzialmente tali.
I paesi Ue invece, nel mese di Gennaio si sono incontrati a Parigi per
implementare i loro sforzi per definire un piano strategico di sviluppo
di una industria europea degli armamenti in chiara contrapposizione con
l'egemonia tecnologico-militare Usa. L'obiettivo non dichiarato è
poter disporre di un proprio strumento di penetrazione e di dominio parallelamente
all'ormai più che decennale progetto di esercito europeo.
Ma come cercheremo di riprendere nei prossimi numeri il problema Turchia
si legherà inesorabilmente allo scontro nel mediterraneo. Per molti
analisti, chiuso il capitolo Saddam, si aprirà obbligatoriamente
una fase in cui si affaccerà con prepotenza la questione mediterranea,
in particolare la vecchia e nuova questione del mediterraneo allargato,
terreno di scontro tra Usa e Ue per determinare la propria egemonia.
"Le alleanze interimperialiste o ultraimperialste
non sono altro che un momento di respiro tra una guerra ed un'altra, qualsiasi
forma assumano dette alleanze , sia di una coalizione imperialista contro
un'altra coalizione imperialista, sia quella di una lega generale tra
tutte le potenze imperialiste. Le alleanze di pace preparano le guerre
e a loro volta nascono da queste"
("Imperialismo fase
suprema del capitalismo" - Lenin)
La scelta di alcuni stati europei di opporsi alla
guerra Usa contro l'Iraq rappresenta un punto di riferimento per molti
settori opportunisti del movimento di opposizione alla guerra, garantendo
il mantenere, attorno ad una prospettiva tutta interna al quadro imperialista
(quello dal volto buono), la potenzialità di rottura che potrebbe
attualmente svilupparsi nell'opposizione alla guerra stessa.
All'interno di molte assemblee sulla guerra emerge in maniera forte una
tendenza che vede come positivo lo sviluppo di un mondo multipolare, che
già esiste in quanto determinato dallo scontro tra fazioni di borghesia
dettato dall'inasprirsi della crisi, partendo da una valutazione tattica
di lotta all'imperialismo americano.
Un dibattito che, in questa fase, rischia di generare confuzione sulla
possibilità di intervento nelle dinamiche stesse dello scontro
interimperialista individuandole come possibile rivendicazione del movimento
di opposizione alla guerra.
Si andrebbe a individuare una sorta di governo di unità sopranazionale,
quello europeo, a cui unirsi nella opposizione alla guerra ma ben saldato
agli interessi di una fazione di borghesia.
Il rischio è che la visione di un Europa forte e indipendente dagli
interessi Usa, prenda sempre più corpo nella stessa sinistra, e
nella stessa opposizione alla guerra, come elemento di contrapposizione
alla guerra.
Questa ipotesi di per sé ha due elementi profondamente distruttivi
per una prospettiva di classe.
Da una parte si esclude l'essenza stessa dell'Europa e della sua creazione.
L'Europa nasce e si sviluppa come esigenza di creare una aggregazione
di borghesie imperialiste all'interno di una competizione globale, che
la veda come soggetto antagonista, in maniera più o meno forte
a seconda dello sviluppo della crisi, ad altre fazioni di borghesia. L'accelerazione
del tentativo di dotarsi di uno strumento politico/militare unitario degli
ultimi anni, rientra pienamente in questo ruolo. La creazione dell'esercito
europeo borghese rappresenta, secondo noi, un elemento di contrapposizione
e di lotta da cui non possiamo assolutamente allontanarci.
E' quindi impensabile pensare di poter far conto su tale possibilità.
Altro certamente sarebbe la capacità, a livello europeo, di sviluppare
un fronte contro la guerra, proletario, antagonista, capace di obbligare
i governi europei ad adeguarsi alle pressioni popolari, sul quale sviluppare
una prospettiva anticapitalista e antimperialista (non dividendo tali
aspetti).
In seconda ipotesi creerebbe tutte le prerogative per l'applicazione di
una sistematica operazione repressiva nei confronti di ampi settori che,
contro la guerra, uniscono la lotta contro lo sfruttamento all'interno
dell'Europa stessa, o meglio inseriscono la guerra all'interno di un quadro
di crisi del sistema capitalistico, della sua fase imperialista, di guerra
permanente, di sfruttamento della forza lavoro nel centro come nella periferia,
ponendo una critica radicale al sistema stesso.
Una scelta repressiva che già è stata assunta negli ultimi
due anni dai governi europei, nel nome della lotta al terrorismo e che
ha cominciato a far vedere i propri frutti in molte occasioni.
Lo scontro politico che si sta evidenziando tra Usa e Europa non è
da ricondurre quindi ad un rifiuto della guerra, elemento strutturale
della fase imperialista, ma alla volontà di ridefinizione dei rapporti
tra i due contendenti. E se la guerra è il prodotto della crisi
e delle contraddizioni interimperialiste che la crisi determina, dobbiamo
obbligatoriamente dare una lettura di quanto succede attorno alla guerra
utilizzando questi elementi per individuare correttamente il terreno sul
quale il proletariato e le sue avanguardie rivoluzionarie devono andare
ad agire, senza mai perdere la propria autonomia nei confronti del quadro
borghese e opportunista.
In questo quadro il movimento contro la guerra dovrà trovare la
sua strategia e sarà compito degli elementi e dei gruppi più
cosciente di indicare la strada per sviluppare una propria autonomia al
di là dell'individuazione dell'imperialismo americano come nemico
da combattere. Sarà proprio quello che si svilupperà di
contrapposizione allo sviluppo di un sempre più forte blocco imperialista
europeo, che potrà forse in futuro determinare un avanzamento nella
prospettiva di un mondo senza guerre. Questo sarà possibile quando
il concetto di pace potrà essere sostituito da un'aspirazione di
generale liberazione dalle maglie di un sistema che non può altro
che generare guerre, repressione e sfruttamento, non affrontando più
semplicemente le conseguenze ma le cause della guerra stessa.
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