Editoriale
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"In regime capitalistico gli Stati Uniti d'Europa
equivalgono a un accordo per la spartizione delle colonie"
(N. Lenin)
Dall'autunno scorso assistiamo ad una perdurante e massiccia
campagna mediatica finalizzata ad orientare le masse di fronte al sempre
"imminente" attacco all'Iraq e a rimorchio degli interessi delle
diverse frazioni e cartelli della borghesia imperialista e multinazionale.
I tempi relativamente lunghi di questa campagna propagandistica propedeutica
al terzo intervento applicativo del "nuovo concetto strategico"
elaborato in ambito NATO nel vertice di Washington dell'aprile 1999, ha
dato modo ai diversi principali interpreti dell'equilibrio multipolare
succeduto al crollo del "blocco socialista" di coinvolgere e
convogliare queste masse a sostegno dei propri interessi dietro al paravento
del rispetto del diritto internazionale (incarnato dall'ONU) e delle aspirazioni
di uno "spontaneo" movimento pacifista che vede una progressiva
e sempre più massiccia partecipazione popolare. Tanto che nello
stesso "movimento antiglobalizzazione" si è spesso fatto
riferimento al movimento internazionale che si oppose alla guerra in Vietnam
quale precedente storico immediato, nelle dimensioni e nei contenuti,
a quello che si manifesta oggi nell'opposizione all'attacco all'Iraq.
Malauguratamente, e contrariamente alle aspirazioni e desideri degli odierni
"partigiani della pace", sono proprio le dimensioni ed i contenuti
di questi due movimenti storici a divergere e proprio in ragione delle
diverse condizioni storiche in cui si sono manifestati. Il movimento internazionale
contro la guerra in Vietnam si muoveva nel corso dei processi di decolonizzazione
avviati al termine del secondo conflitto mondiale e come conseguenza più
o meno diretta del mancato sbocco rivoluzionario del secondo grande conflitto
interimperialista dell'ultima epoca del modo di produzione capitalista.
Ciò attribuiva "naturalmente", anche nelle sue espressioni
soggettive, a questo movimento un carattere immediatamente antimperialista.
Il movimento pacifista che si sta manifestando in questi giorni e mesi
vive invece, come ci stiamo sforzando di illustrare da anni come redazione
di Senza Censura, in una fase storica affatto diversa ed in cui il protagonismo
delle masse non può ancora esprimere - come non esprime nelle sue
principali espressioni soggettive - una propria autonoma direzione. Ciò
si manifesta evidentemente in molte delle stesse parole d'ordine di questo
movimento che rivelano una profonda influenza ideologica delle borghesie
imperialiste dei diversi poli nel movimento stesso (ad esempio l'aspirazione
alla costituenda "Europa sociale").
Il fatto è che l'aspetto principale che questo movimento storico
si trova ad impattare immediatamente e al di là delle sue pie aspirazioni
è costituito proprio dal quel processo di ridefinizione/riallineamento
delle gerarchie del sistema degli stati imperialisti che da tempo andiamo
sottolineando essere il momento di riflessione e di azione più
importante e fondamentale in vista di una ricomposizione della classe
come soggetto per sé e della riconquista della sua autonomia politica,
data la momentanea e provvisoria prevalenza delle teorie ed organizzazioni
socialdemocratiche e neoriformiste nella classe "globale" ed
in quella delle metropoli in particolare.
Ci permettiamo perciò ancora una volta di insistere nel tentativo
di illustrare e chiarire, in rapporto alle nostre possibilità e
capacità, quali siano i nodi e gli aspetti principali dell'attuale
movimento storico e quali rischi si nascondano in una sua difettosa concezione
per la prospettiva di liberazione della classe.
In sintesi: il "nuovo concetto strategico" elaborato al vertice
di Washington del 1999 e che ha portato alla ormai famosa modifica dell'art.
5 del Trattato NATO poneva, per mano dell'iniziativa unilaterale del paese
imperialista guida (gli USA), due questioni fondamentali la cui definizione
concreta non ha potuto e non poteva risolversi al tavolo delle negoziazioni,
ma che può risolversi concretamente solo "sul campo".
La prima, consegnata al museo delle antichità la natura "difensiva"
dell'Alleanza, era la definizione dell'area di intervento-proiezione dell'apparato
bellico euro-atlantico. Nella sostanza questo problema "definitorio"
è stato affrontato e parzialmente risolto con una serie impressionante
ed efferata di interventi di Peace-Keeping (dal Kosovo, a Timor e fino
alla piccola guerra afgana) e di "infiltrazione" logistica in
nuove aree di influenza. Col che si è manifestata con evidenza
l'intenzione del paese imperialista guida di attribuire all'Alleanza un
carattere "globale" o meglio di utilizzare l'Alleanza quale
valido strumento per ristabilizzare la propria supremazia "globale".
La diplomazia europea (e in particolare francese), al di là delle
recenti scaramucce mediatiche sull'intervento in Iraq - che al più
potranno valere come note di merito nel prosieguo dello sviluppo del riassetto
delle relazioni interimperialiste, ha sostanzialmente accettato questa
prospettiva di proiezione globale della NATO nel successivo vertice di
Praga.
Ma il problema della definizione dell'area di proiezione politico-militare
dell'Alleanza euro-atlantica nasconde l'altra fondamentale (e ben più
spinosa) questione posta dal "nuovo concetto strategico" della
NATO: quella delle cosiddette alleanze variabili all'interno dell'Alleanza
stessa e dell'effettiva costituzione dell'ESDI (l'identità di difesa
europea). Sotto questo profilo le questioni sono "chi decide di fare
la guerra a chi" e qual è la sfera d'influenza e di autonomia
politico-militare del costituendo polo imperialista europeo. E' in questo
ambito che vanno ricollocate le recenti dispute tra le due sponde dell'atlantico
in merito all'intervento contro lo "stato canaglia" iracheno.
Il richiamo della diplomazia europea al primato decisionale del Consiglio
di sicurezza dell'ONU per gli interventi NATO in ambito "globale"
è l'altra faccia dell'aspirazione del "benigno" imperialismo
europeo a costituirsi come potenza regionale con autonomia decisionale
ed autonoma capacità di proiezione politico-militare nel proprio
"giardino di casa". Con la guerra NATO in Kosovo il paese imperialista
guida ha riaffermato la propria autonomia decisionale nell'ambito dell'Alleanza
euro-atlantica, con la guerra all'Iraq è il costituendo polo imperialista
europeo che tenta di formulare concretamente una propria politica estera
comune ed una propria "dottrina Monroe". Nel far questo cerca
alleati ovunque: nelle proprie filiere presenti negli stessi USA o nelle
nuove potenze emergenti come nelle proprie classi e popoli oppressi.
Sotto questo profilo, abbagliata dai santi richiami alla pace, dalla martellante
propaganda della borghesia imperialista europea e dalle sirene di riformisti
vecchi e nuovi, la classe delle metropoli rischia di profondere un "eroico
attivismo pacifista" sotto le bandiere altrui: stavolta per la "pace"
come ieri per la "giusta guerra contro il mostro serbo".
In questo momento drammatico vale forse la pena di ricordare che il militarismo
e le guerre, nell'ambito dei processi di concentrazione e centralizzazione
dei capitali propri della fase monopolista e imperialista del capitalismo,
sono come la pioggia che scaturisce dalla nuvola del modo di produzione
capitalista; che ancora oggi l'intervento militare NATO in Iraq assumerebbe
nell'immediato un peso economico relativo nella metropoli imperialista
e che sarebbe perciò più opportuno, nello sforzo di ricostituzione
dell'autonomia politica della classe nelle metropoli e nel mondo, occuparsi
e contrastare le ricadute di questo sviluppo storico nel "fronte
interno" e in termini di peggioramento delle condizioni formali e
materiali che sempre più ampi settori della classe si trovano a
vivere.
E' quello che, anche con questo numero, la redazione di Senza Censura
si ripropone di tentare, ben conscia che nella realtà capitalista
"le alleanze "interimperialistiche" o "ultra-imperialiste"
non sono altro che un "momento di respiro" tra una guerra e
l'altra, qualsiasi forma assumano dette alleanze, sia quella di una coalizione
imperialista contro un'altra coalizione imperialista, sia quella di una
lega generale tra tutte le potenze imperialiste. Le alleanze di pace preparano
le guerre e a loro volta nascono da queste; le une e le altre forme si
determinano reciprocamente e producono, su di un unico e identico terreno,
dei nessi imperialistici e dei rapporti dell'economia mondiale e della
politica mondiale, l'alternarsi della forma pacifica e non pacifica della
lotta" (N. Lenin).
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