Senza Censura n. 9 - 3/2002

[ ] Manovre e contromosse

Strategie padronali ed evoluzione delle lotte

Il processo di ristrutturazione in corso, frutto e necessaria conseguenza del livello di crisi raggiunto oggi dall'Italia in un contesto europeo ed internazionale ben specifico, porta ad un riadeguamento delle lotte e ad un inasprimento dello scontro capitale/lavoro denso di aspetti ed implicazioni (più o meno evidenti) significativi per la classe nel suo percorso di autonomizzazione.
Prendendo in considerazione alcuni elementi basilari della fase in atto, proprio in relazione alle misure che il governo sta prendendo al fine di rientrare a qualsiasi costo nei parametri fissati dal Patto di Stabilità, viene alla luce la necessità per il proletariato di essere oggi più che mai determinante di fatto, e non fatalisticamente determinato da condizioni congiunturali e non, per cui lo si vorrebbe da una parte assorbito dalle logiche pseudo conflittuali dei sindacati di regime, e dall'altra sempre più alienato e privato a pezzi anche degli ultimi residui diritti alla lotta e all'autorganizzazione.
La difficile crescita dell'economia italiana si inserisce nelle dinamiche di un quadro europeo in cui anche paesi come Francia e Germania non riescono a rientrare nelle cifre imposte dall'Unione Monetaria riguardo, ad esempio, al rapporto deficit/PIL ed al tasso massimo di inflazione; a tutto ciò il governo Berlusconi (comunque mai troppo lontano dai suoi predecessori di centro-sinistra) sta cercando di ovviare attraverso i provvedimenti previsti dalla Finanziaria 2003, manovra di riaggiustamento macroeconomico sempre e comunque a spese dei proletari. L'obiettivo di rispettare i criteri di convergenza non porta con se niente di nuovo: tagli alla sanità (con probabile futura istituzione di mutue private); tagli alla spesa sociale; blocco delle assunzioni a tempo indeterminato nelle strutture pubbliche; taglio del 20% dei collaboratori scolastici e del 40% del personale fuori ruolo; riduzione delle spese e rigido controllo per comuni, province e regioni; assoluta liquidazione della questione meridionale.
Infine da sottolineare l'aumento delle risorse per forze armate e corpi di polizia di 205 milioni di euro, a riprova del rafforzamento che si vuole dare all'apparato bellico e repressivo: da un lato in vista della guerra imperialista all'Iraq, dall'altro in continuità col forte restringimento dei margini di espressione delle conflittualità.
Questi i principali punti della manovra, chiaramente accompagnati dall' "ottimizzazione" delle nuove forme di sfruttamento sui luoghi di lavoro inaugurate col "Pacchetto Treu" dall'allora esecutivo di centro-sinistra: contratti a termine, job on call, sharing job, e così via (cfr. pag.31 S.C. n°8); tutto ciò incorniciato dal tentativo di facilitare maggiormente i licenziamenti indiscriminati (modifiche all'articolo 18) e dalla forte ondata repressiva contro chiunque si mobiliti per opporsi alla precarizzazione selvaggia, la quale si evince chiaramente anche da un'attenta comprensione delle statistiche, dato che il tanto sbandierato aumento dell'occupazione significa soltanto incremento della flessibilità.
La crisi del capitalismo nostrano molto evidente nella questione Fiat, sospinta dai crolli delle borse più importanti (alcuni economisti parlano di un possibile nuovo crollo di Wall Street come nel 1929), sottolineata dall'incapacità di raggiungere i parametri indicati dalla Banca Centrale Europea, cerca i suoi argini sul fronte interno in una diversa impostazione dell'economia industriale con tutte le conseguenze sulle spalle dei lavoratori, mentre sul fronte esterno li ricerca sia nell' adeguamento ai dettami UE ed USA, sia nell'inserimento nella dinamica di guerra contro l'Iraq.
Questo, brevemente, è il quadro che porta a cambiamenti adeguati in termini di controllo della conflittualità sociale, che va inasprendosi a fronte di insostenibili condizioni di vita e lavorative; condizioni destinate a peggiorare ulteriormente in quanto, per pareggiare il bilancio saranno necessarie riforme strutturali più rigide, secondo quanto si indica nel rapporto economico mondiale del FMI: "l'Italia dovrà fare sforzi più consistenti per soddisfare l'impegno di portare il proprio bilancio in equilibrio". L'ordine quindi è quello di riforme del mercato del lavoro e dei prodotti sospinte da sforzi sempre maggiori da parte del proletariato, oggi chiaramente più composito con la presenza di tanti lavoratori immigrati che sono stati illusi di poter essere regolarizzati nel lavoro e nella propria permanenza in Italia, e che invece affrontano la realtà di un altro ricatto, in primo luogo perché se disoccupati sono costretti a pagare falsi datori di lavoro per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno; in secondo luogo perché soggetti alla schedatura attraverso impronte digitali.
Alla luce di tutto questo è importante sottolineare la mobilitazione degli ultimi mesi a sostegno degli immigrati contro la legge Bossi-Fini (quale continuazione della Turco-Napolitano figlia del centro-sinistra), che ha saputo esprimere il concetto fondamentale di solidarietà di classe, e quindi la necessità per il proletariato nel suo insieme di rispolverare la coscienza della comune condizione di sfruttamento; terminologia, questa, certo non presente in ambito CGIL!
Così come le mobilitazioni contro le modifiche all'articolo 18 e per la sua estensione a tutte le categorie di lavoratori (culminate nei cortei del 18 ottobre), che hanno caratterizzato la maggior parte degli scioperi: secondo i dati Istat pubblicati a luglio le astensioni dal lavoro sono aumentate del 454% nell'ultimo anno.
All'interno dell'incremento delle lotte si osserva tuttavia la tendenza ad una sempre più netta diversificazione tra le realtà sindacali presenti.
La CGIL con la sua struttura capillare sul territorio e con l'egemonia sull'organizzazione degli scioperi, negli ultimi mesi ha messo sul piatto due cavalli di battaglia (art. 18 e rifiuto di firmare il Patto per l'Italia) che le hanno consentito di riacquistare una certa credibilità presso molti lavoratori e di vedere rientrare nelle sue fila anche operai che ne erano precedentemente usciti.
Le realtà di base con in mano in alcuni casi la forza di contenuti politicamente più validi e senz'altro più vicine alle esigenze di espressione di chi la flessibilità e la disoccupazione se le vive sulla propria pelle, e che lotta quotidianamente usando la propria voce e non quella del bravo oratore di turno.
Ora, senza approfondire quelle che poi sono le importanti differenze e purtroppo le divisioni nel campo dell'autorganizzazione, il primo passo è sforzarsi di capire il concetto per cui oggi si ripropone con forza l'esigenza per la classe di costruire ambiti di lotta autonomi mostrando come sia impossibile rientrare nelle compatibilità sindacali nonostante gli abbagli del momento: recuperare e rinnovare quindi il totale distacco da logiche interistituzionali che solo all'apparenza sembrano interessanti, ma che sostanzialmente non collimano con gli interessi dei lavoratori e dei proletari.
Ad esempio le proposte che vengono dalla CGIL per la soluzione della tragica questione della Fiat, sono rivolte ad un cambiamento di rotta da parte di governo e General Motors, al fine di mantenere l'industria automobilistica che "in un paese a capitalismo avanzato non può mancare".
Nella congiuntura questo può essere anche un aspetto da tenere presente dato che il mantenimento dell'industria significa mantenimento dei posti di lavoro; però la rivendicazione non deve certo gravitare attorno alla competitività economica dell'Italia, ma alle necessità dei lavoratori di condizioni migliori possibili. Si lascia spazio ai lavoratori di manifestare il dissenso, sì, ma mai di mettere in discussione l'impostazione di fondo, che è quella della contrattazione; è quindi chiaro che soltanto il recupero della propria coscienza collettiva e l'acquisizione autonoma delle conoscenze possono dare gli strumenti per uscire dal vincolo CGIL e creare possibili nuove forme di lotta dal basso, senza rincorrere la CGIL stessa ed ampliando le proprie strutture.

Per completare il quadro, è importante sottolineare il clima repressivo che sta sviluppandosi nel nostro paese.
Durante gli ultimi mesi il paradigma è stato dato da questi episodi:
per due volte almeno i CC hanno chiesto le liste degli iscritti alla CGIL; il fatto è stato dapprima giustificato come iniziativa individuale di qualche ufficiale, e successivamente sepolto dalla stampa.
Più recentemente degli operai sono stati arrestati dopo la loro iscrizione alla CGIL.
Questi fatti, per quanto facciano più scalpore, sono accompagnati da moltissime intimidazioni nei confronti di tutti i lavoratori che quotidianamente si organizzano e lottano. Il mirino puntato anche contro la CGIL, non significa la sua radicalizzazione, ma a maggior ragione svela le contraddizioni infraistituzionali all'interno delle quali la classe non ha interesse alcuno perché non protagonista assoluta del proprio divenire.
La denuncia della restrizione dei margini di lotta e della repressione che la accompagna è necessariamente l'altra faccia della medaglia che vede il proletariato porsi in primo piano, soggetto e non oggetto.


Dalla Fiat di Modena agli operai Fiat di tutti gli stabilimenti

La Fiat licenzia per una semplice ragione, continuare a fare profitti per gli Agnelli, gli azionisti, le banche. Produrre per fare profitti porta a produrre oltre ciò che il mercato può assorbire. Ad un certo punto è necessario tagliare la produzione, licenziando gli operai.

Nello stesso tempo bisogna aumentare il rendimento degli operai che rimangono, per garantire un nuovo livello dei profitti. Più rendimento, più produzione ancora impossibilità del mercato di assorbire nuovi licenziamenti. Un circolo infernale che coinvolge i padroni di tutto il mondo. Riguarda anche la Fiat che non è un caso isolato.
Tocca agli operai trovare la soluzione? La risposta sarebbe semplice: farla finita con la produzione per far profitto, per far arricchire il padrone. È ancora presto per questa soluzione? Allora rifacciamo la domanda. Tocca agli operai trovare la soluzione? Tocca agli operai indicare al padrone com'è meglio fare il padrone? Tocca agli operai interessarsi del marchio, della commercializzazione, dei livelli di tecnologia dei vari stabilimenti, organizzare le linee e la produttività? Devono fare finta di essere degli azionisti, dei dirigenti, mentre sono solo degli schiavi salariati? Nemmeno per sogno.
Gli operai si ammazzano di lavoro sulle linee per mangiare. Gli operai sono contro i licenziamenti e la chiusura delle fabbriche perché se non lavorano muoiono di fame e nella fabbrica costituiscono una comunità, diventano una forza sociale. E basta.
Assistiamo al teatrino dei neo-industriali da chiacchiere televisive. Dai più critici ai più ardui difensori dell'avvocato tutti concordano che la crisi va affrontata con i sacrifici operai, il problema è se servono o no al rilancio dei guadagni degli azionisti. Dibattono su dove è più conveniente tagliare come battere la concorrenza costringendo gli altri a licenziare in Usa, Argentina, Europa. Che misera soddisfazione per gli operai salvare il proprio posto di lavoro sperando che siano altri a perderlo! Nell'era della globalizzazione, del sentirsi operai identici a Torino come a Detroit vogliono costringerci nel più meschino provincialismo. Mettere gli operai l'uno contro l'altro, ognuno a difendere il proprio orto. Brutta fine, divisi nessuno potrà più difendersi.Termini Imerese, Arese, Mirafiori, Cassino........La tendenza ad affrontare l'ondata dei licenziamenti cercando localmente protettori politici e preti è forte. Ma non otterrà nessun risultato.
Tutti ricordano gli interinali lasciati a casa, ma erano interinali a Torino, non operai licenziati. Poi gli esuberi a luglio, tanto doveva servire per rilanciare la Fiat. Poi l'imposizione dei sabati lavorativi a Termoli altrimenti si chiudeva. Ancora gli accordi di Cassino, orari massacranti a Melfi e Prato La Serra.... ..... tanti e tanti altri sacrifici imposti agli operai, dismissioni fabbrica per fabbrica in nome di un futuro garantito di nuovi licenziamenti e bassi salari.Tutti operai Fiat, tutti gli stessi problemi, tutti in lotta contro i licenziamenti e la chiusura delle fabbriche.
La Fiat ha una sola strategia, una sola linea d'azione. Gli operai sono spinti a dividersi cercando una soluzione per ogni stabilimento da Milano a Palermo.
La Fiat ha una sola strategia: lo stato, gli enti pubblici, i sindacalisti collaborazionisti hanno il compito di tenere sotto controllo gli operai, devono darsi da fare per mandarli a casa con i soliti palliativi, CGIS e mobilità ed accompagnarli alla miseria. I dirigenti prendono per loro il compito di spremere il più possibile chi rimane, con l'obiettivo di risanare il gruppo, risanare i loro profitti.
Perché l'unità degli operai Fiat è una questione di vita o di morte? Perché una leva fondamentale sono gli scioperi dove tira la produzione, lì la Fiat è più debole. Strano a dirsi ma le lotte ai licenziamenti o si fa negli stabilimenti che producono a pieno ritmo o è debole. Perché l'unità degli operai Fiat è una questione di vita o di morte? Perché ai protettori locali, ai Formigoni o Fini, sindaci e preti si paga una tangente vera: le iniziative di lotta non devono passare i limiti della processione, del blocco stradale a minuti, degli applausi e promesse di voto ad ogni politicante che viene a prendersi una medaglietta in mezzo agli operai. Il sostegno reciproco fra operai che rischiano i licenziamenti non mette limiti, anzi gli uni imparano dagli altri le forme di lotta più avanzate, fino ad un segnale chiaro: o il ritiro dei licenziamenti o il blocco totale, l'occupazione degli stabilimenti, il blocco delle merci già prodotte. Intanto la trattativa sugli "esuberi" è già in corso. Nei corridoi del Ministero dell'industria o del lavoro i sindacalisti trattano i licenziamenti cercano una soluzione ammortizzata per 8000 operai. Gli operai divisi saranno costretti a dare una delega in bianco sperando che "i loro sindacalisti" portino a casa qualche risultato anche a scapito di altre fabbriche, di altri operai. Un meccanismo da rovesciare.

Una delegazione degli operai di tutti gli stabilimenti Fiat deve seguire le trattative in diretta. Deve difendere gli interessi unitari degli operai Fiat, ha il dovere di impedire che si firmino ancora accordi su licenziamenti e chiusure di fabbriche. Dalla Fiat di Modena un appello ad affrontare uniti e indipendenti dai padroni il problema dei licenziamenti. Colleghiamoci fra tutte le fabbriche. Tutti operai Fiat tutti la stessa lotta.

Operai e delegati FIAT NEW HOLLAND Modena

Per contatti: e-mail golfinho@virgilio.it
Polimeni Patrizia - via Festasio n° 5 - 41100 Modena


 

 




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