Senza Censura n. 9 -
3/2002
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Circuiti
differenziati e 41 bis
Alcune note sull'attuale
organizzazione del sistema carcerario
Richiamando come premessa
l'articolo "Qualche osservazione a ruota libera sulla situazione
carceraria" apparso sul numero 5 di S.C cercheremo di focalizzare
l'attenzione sull'attuale organizzazione del sistema carcerario esaminando
le disposizioni impartite dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria
(M.G.G) in tema di "gestione dei detenuti" e di differenziazione
dei circuiti penitenziari ed approfondendo nella seconda parte l'analisi
sul circuito di massima deterrenza oggi operante in Italia, quello destinato
ai detenuti in 41 bis O.P.
L'esperienza ultraventennale maturata dallo Stato in tema di differenziazione
ed individualizzazione del trattamento penitenziario ha consentito negli
anni novanta di sistematizzare la materia relativa ai circuiti carcerari
correlandola organicamente con la legge penitenziaria (la cosiddetta riforma
penitenziaria del 1975 novellata nel 1986 dalla c.d legge Gozzini) e con
il decreto legge 8 giugno 1992 n. 306 (cosiddetto decreto Scotti-Martelli
) convertito nella legge n° 356/92 che aggiungeva al già esistente
art. 41 bis un ulteriore comma con il quale viene disposta "la sospensione
delle normali regole di trattamento penitenziario nei confronti dei detenuti
per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell'art. 4 bis O.P., ovvero
in primo luogo per i reati di associazione mafiosa, di sequestro di persona
a scopo di estorsione, di associazione finalizzata al traffico di sostanze
stupefacenti, ma anche per i reati commessi con finalità di terrorismo,
per il reato di omicidio, di rapina ed estorsione aggravata e per traffico
di ingenti quantità di stupefacenti.
Attualmente i circuiti penitenziari sono così classificati dall'amministrazione
penitenziaria:
1) Circuito penitenziario
di primo livello, di cui fanno parte Istituti e sezioni di istituti destinate
alla cosiddetta Alta Sicurezza (A.S.), Istituti o sezioni destinate all'Elevato
indice di vigilanza cautelativa (E.I.V.C), Istituti o sezioni destinati
al cosiddetto 41 bis O.P. . Il circuito di primo livello è destinato
in linea di massima ai detenuti imputati o condannati per i delitti di
cui agli artt. 416 bis, 630 c.p, e 74 T.U n. 309/90 (associazione di stampo
mafioso, sequestro di persona a scopo di estorsione, associazione finalizzata
al traffico di sostanze stupefacenti).
"La differenziazione di tali soggetti dagli altri trova ragione nella
pericolosità degli stessi connessa al tipo di reato e alla capacità
di proselitismo o sopraffazione ed inoltre nella caratteristica ad essi
comune di essere esclusi dalle misure alternative e dai benefici penitenziari
ai sensi dell'art. 4 bis dell'Ord. Pen.
Il circuito prevede la rigorosa separazione dagli altri detenuti di quelli
in esso inseriti , l'uso di strutture sicure dal punto di vista edilizio
e, quanto più possibile dal punto di vista degli apparati e dispositivi
elettronici e meccanici, il massimo della sicurezza dal punto di vista
della gestione soprattutto per quanto riguarda la sorveglianza.
Per la gestione di questi detenuti- le cui assegnazioni ed i cui trasferimenti
sono riservati all'Ufficio IV del DAP si stabiliscono alcune precise regole:
1. I detenuti di I° livello devono essere assegnati o trasferiti sempre
e soltanto negli Istituti e nelle sezioni degli Istituti di A.S. I più
pericolosi tra tali detenuti- i c.d capi o comunque gli esponenti di maggior
spicco- devono essere sempre e soltanto assegnati o trasferiti in Istituti
o sezioni A.S lontani dalle loro Regioni.
2. I detenuti del primo livello non possono per alcuna ragione uscire
dalle sezioni alle quali sono assegnati. Ciò significa che tutte
le attività di questi detenuti, passeggi, colloqui, attività
scolastiche, momenti di socialità devono svolgersi all'interno
della sezione senza che i medesimi detenuti occupino o utilizzino altre
parti dell'istituto e senza dunque che essi incontrino o possano incontrare
detenuti di altro livello.
3. In tutte le sezioni A.S e in tutte le attività che comportino
la presenza di detenuti del primo livello deve essere esercitata una sorveglianza
estremamente attenta e scrupolosa, adeguata al livello di pericolosità
dei detenuti stessi.
4. (...)
5. Certamente per i detenuti del 1° livello le esigenze della sicurezza
devono prevalere su quelle trattamentali.
Tuttavia sono auspicabili attività scolastiche, di istruzione professionale,
lavorative, culturali, religiose, sportive nei limiti in cui vi sia rispetto
e garanzia assoluti della sicurezza, dell'ordine e della disciplina. Queste
attività devono essere svolte nell'ambito della sezione e in ogni
caso si deve limitare il numero di detenuti del 1° livello ammessi
ad una qualunque attività in comune, allo scopo di meglio tutelare
le esigenze di sicurezza.
7. I detenuti di primo livello sono per legge esclusi dai benefici del
lavoro all'esterno, dei permessi premio e delle misure alternative alla
detenzione a meno che abbandonino le loro scelte criminali e collaborino
con la giustizia.
Essi sono invece ammessi alla liberazione anticipata purchè, ai
sensi dell'art. 54 della legge penitenziaria abbiano "dato prova
di partecipazione all'opera di rieducazione".
La "partecipazione all'opera di rieducazione" non può
assolutamente identificarsi con il comportamento formalmente regolare
che assai spesso è proprio dei detenuti mafiosi, ma è uno
schermo di finzione e simulazione che non indica affatto una intenzione
o volontà di ravvedimento e piuttosto nasconde, in realtà,
il mantenimento della scelta criminale ed un alto o altissimo grado di
pericolosità.
(Circolare DAP 21 aprile 1993 n° 3359/5809)
Nel 1998 una nuova circolare
del DAP (n° 3479/5929), della quale riportiamo ampi stralci chiarisce
ulteriormente quali categorie di detenuti vanno assegnate ai diversi livelli
o circuiti e inserisce una ulteriore classificazione per quei "detenuti
pericolosi c.d comuni così come per i detenuti per reati di terrorismo
o eversione che, pur continuando ad essere assegnati a sezioni tradizionalmente
caratterizzate da rigore custodialistico e massima sicurezza, spesso coincidenti
con le sezioni in cui fu applicato il regime previsto dall'abrogato art.
90 dell'Ord.Pen., di cui costituiscono una continuazione storica sotto
il profilo della organizzazione", non sono stati presi in considerazione
dalla circolare Dap del 1993.
Per questi detenuti viene regolamentato il circuito denominato E.I.V.C
ovvero circuito ad elevato indice di vigilanza inserito a pieno titolo
nel Circuito di primo livello.
"I detenuti inseriti in queste sezioni corrispondono a soggetti di
interesse dell'opinione pubblica, vuoi per la notorietà dei gesti
criminosi eclatanti commessi vuoi per il particolare allarme che sempre
creano gli autori di fatti terroristici o eversivi."
2) Circuito penitenziario
di secondo livello ossia di Sicurezza Media (S.M) .
Questo circuito è destinato ai detenuti che non rientrano né
nel primo né nel terzo livello e cioè alla stragrande maggioranza
dei detenuti.
Tale circuito presuppone un giusto equilibrio tra le esigenze di sicurezza
e le esigenze trattamentali.
Vale a dire si devono garantire la sicurezza, ossia l'ordine e la disciplina
nell'Istituto, ma si devono anche progettare, incentivare e realizzare
tutte le possibili attività scolastiche ricreative, e si devono
a tal fine sviluppare i migliori rapporti con le regioni e gli enti locali,
con tutti i settori istituzionali e sociali, incoraggiando e favorendo
l'ingresso e il contributo della comunità esterna e del volontariato.
Ed anzi dopo un periodo caratterizzato da una tendenza contraria all'autentico
spirito della riforma penitenziaria, è assolutamente necessario
un forte rilancio delle attività trattamentali e risocializzanti,
nel segno di quel carcere della legalità e della speranza che rimane
l'obiettivo e l'ideale dell'Amministrazione penitenziaria italiana. (Circ.
DAP citata)
3) Circuito penitenziario
di terzo livello, ossia di custodia attenuata (C.A)
Questo circuito è
destinato ai detenuti tossicodipendenti non particolarmente pericolosi,
ossia più recuperabili. Se nel primo circuito la sicurezza prevale
sul trattamento, in questo è il trattamento che prevale, nel senso
che ai detenuti tossicodipendenti deve essere offerta una risposta la
quale stia, non tanto sul piano punitivo, quanto sul piano della cura
e della riabilitazione - finalità per le quali è sancito
un obbligo di collaborazione con le USL. (Circ. DAP citata)
Come emerge chiaramente
dalla semplice lettura delle disposizioni Dap, a partire dal 1993, viene
messa a frutto l'esperienza accumulata a seguito della sperimentazione
delle carceri speciali e delle sezioni di massima deterrenza (braccetti
della morte ecc.) regolamentando la "gestione dei detenuti"
ed attestandosi ad un livello più avanzato di governo del carcere
e della sua proiezione verso l'esterno, affinando tutti gli strumenti
tesi alla differenziazione e individualizzazione del trattamento.
Tirando le somme quindi possiamo dire che il nuovo corso della politica
carceraria, inaugurato con i provvedimenti presi dall'esecutivo dieci
anni fa (cd. decreto Scotti Martelli che introduceva l'art. 41 bis 2°
comma nonché l'art. 4 bis della Legge Penitanziaria che pone il
divieto di concessione dei benefici per una serie di reati), ha istituzionalizzato
in concreto due circuiti; nel primo ( A.S, E.I.V.C, regime del 41 bis)
vige la sola legge del bastone e nell'altro (S.M e C.A) si realizza invece
lo spirito della riforma (bastone e carota).
Punta di diamante del primo circuito è il regime del cosiddetto
41 bis O.P.
Introdotto in un momento storico particolare come norma a termine, col
fine dichiarato di voler affrontare "l'emergenza mafia e criminalità
organizzata" il 41 bis è diventato in realtà la punta
di diamante del sistema repressivo carcerario, non rappresentando più
l'espressione di un momento particolare di scontro, ma lo strumento massimo
di repressione contro chiunque si ribella, si organizza e lotta.
(si veda la scheda a margine sull'ultimo disegno di legge in tema di applicabilità
del 41 bis).
Vediamo ora cosa dispone
realmente questo articolo, a chi viene applicato attualmente, quali sono
le condizioni di vita o meglio, di non vita, imposte a questi prigionieri.
L'art. 41 bis 2° comma
dell'Ordinamento Penitenziario recita:
"Quando ricorrono gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica,
anche a richiesta del Ministro dell'Interno, il Ministro di Grazia e Giustizia
ha la facoltà di sospendere in tutto o in parte nei confronti dei
detenuti per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell'art. 4 bis, l'applicazione
delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge
che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di
sicurezza."
Ciò significa che per una determinata categoria di detenuti (per
lo più imputati o condannati per i reati di associazione mafiosa,
sequestro di persona a scopo di estorsione e associazione finalizzata
al traffico di sostanze stupefacenti) non si applicano le regole di trattamento
ordinarie in quanto vige una presunzione assoluta di pericolosità,
fondata non sull'osservazione del detenuto (pilastro della Legge di riforma
penitenziaria)e quindi sul suo comportamento, ma sul titolo di reato.
Le persone detenute in queste sezioni, dove è stato istituzionalizzato
il meccanismo progressivo della "pena nella pena" che come le
manette americane si stringe intorno al prigioniero fino alla sua distruzione,
sono circa 600.
Questi detenuti possono fare una sola ora di colloquio al mese attraverso
un vetro divisorio a tutta altezza e parlano con i loro familiari attraverso
i citofoni.
Di fatto molti, privi di mezzi economici, effettuano un colloquio ogni
quattro mesi e quindi vedono i propri parenti per tre ore all'anno in
quanto, diversamente che per gli altri detenuti, è vietato cumulare
le ore di colloquio.
Qualora il detenuto nel corso del mese non svolga colloquio visivo è
possibile effettuare una telefonata registrata ai familiari. Il decreto
impositivo non dice però che questa telefonata non può essere
effettuata direttamente a casa, ma nel carcere più vicino al luogo
di residenza della famiglia.
I parenti del detenuto, per poter sentire il proprio congiunto alcuni
minuti, devono quindi recarsi in carcere per essere identificati ed attendere
magari delle ore il collegamento.
Non possono ricevere più di due pacchi al mese.
Non possono cucinare e possono acquistare solo i prodotti e i generi alimentari
di volta in volta decisi dalle singole amministrazioni carcerarie. In
molte sezioni ad esempio è vietato acquistare le banane o la marmellata.
Non importa che uno sia malato e debba seguire una dieta particolare o
che qualcuno ad esempio sia vegetariano; tutt'al più viene garantito
il "vitto in bianco" che consiste in pasta cotta e priva di
qualsiasi condimento.
Peraltro in molte carceri (ad esempio Rebibbia) non vengono rispettate
le tabelle ministeriali relative al vitto, che risulta scadente sia per
quantità che per qualità.
Secondo il decreto impositivo del regime speciale possono organizzare
attività culturali, ricreative o sportive, ma nel concreto non
possono nemmeno partecipare ad alcuna di queste attività perché
nella maggior parte delle sezioni destinate a questi detenuti non sono
mai state istituite palestre, biblioteche o comunque strutture destinate
alla socialità.
Tutto ciò in contrasto con i dettati della Corte Costituzionale
che da un lato ha dichiarato non illegittimo il 41 bis, ma dall'altro
ha statuito che non è illegittimo qualora vengano garantite ai
detenuti le stesse possibilità rieducative previste per gli altri
reclusi (!).
Non possono svolgere alcuna attività artigianale né in proprio
né per conto terzi. Ciò vuol dire che non è per esempio
consentito dipingere, o intagliare il legno o fare qualsiasi altra attività
che possa aiutare il detenuto a dimenticare per un solo istante il luogo
in cui si trova.
Hanno il visto di controllo sulla corrispondenza il che significa che
una lettera viene consegnata, se va bene, con una media di 7- 10 giorni
di ritardo. Se il censore non comprende una parola dispone immediatamente
il sequestro della corrispondenza, anche quella proveniente da bambini
delle elementari, trasmettendola all'autorità giudiziaria competente.
Alla fine la lettera viene consegnata, ma quando arriva sono passati ormai
dei mesi e le notizie contenute non hanno più alcun senso.
A queste prescrizioni disposte direttamente dal Ministro di Grazia e Giustizia
si aggiungono un'altra serie di limitazioni di volta in volta stabilite
dal direttore dell'Istituto o più verosimilmente dal responsabile
del G.O.M (gruppo operativo mobile), il corpo speciale della polizia penitenziaria
che gestisce queste sezioni. Così in molte di queste sezioni vi
è il divieto di portare i guanti o un cappelletto di lana in testa,
in altre è consentito il cappelletto a patto che non arrivi a coprire
le orecchie (si consideri che la maggior parte delle carceri dove stanno
questi detenuti è al Nord: Parma, Novara, Tolmezzo (UD) ecc.),
non possono essere usate più di due coperte, viene limitato il
numero di fotografie dei propri congiunti da poter tenere in cella, il
numero dei libri e delle riviste.
I ritmi e i tempi della giornata sono cadenzati, per questi detenuti,
con una meticolosità ossessiva. Spesso l'orario per la doccia coincide
con quello dell'aria e quindi o si fa una cosa o si fa l'altra. All'aria
si va a rotazione, quattro- cinque alla volta, sempre con le stesse persone,
senza alcuna possibilità di autodeterminare i gruppi.
Nonostante non viga alcun divieto esplicito in ordine alla possibilità
di svolgere attività lavorativa all'interno delle sezioni (spesino,
portavitto, scopino) in molte carceri queste mansioni sono sottratte ai
detenuti in 41 bis ed affidate a lavoranti di altre sezioni, che svolgono
il loro compito sotto stretta sorveglianza ed hanno il divieto assoluto
di rivolgere la parola a questi detenuti.
Oltre a queste limitazioni ve ne sono altre che intaccano gravemente il
diritto alla difesa: questi detenuti non possono più partecipare
ai processi nei quali sono imputati. Per loro è stato inventato
il processo a distanza, con la cosiddetta videoconferenza.
Si è detto che questa compressione del diritto di difesa era necessaria
per evitare il "turismo carcerario" ed in particolare gli incontri
tra i detenuti coimputati. Nella realtà avviene che gli imputati
di un determinato processo vengano perlopiù destinati al medesimo
istituto e quelli che sono in altre carceri subiscono trasferte quotidiane
(con viaggi massacranti anche per duecento-trecento chilometri) per assistere
al processo in videoconferenza. Con i difensori possono comunicare attraverso
dei telefoni, senza alcuna riservatezza.
In conclusione la situazione è la seguente: nelle aule di giustizia
rimangono soltanto i giudici e gli avvocati mentre gli imputati, che non
avrebbero dovuto incontrarsi (!), vengono concentrati nella stessa sala
di un carcere per seguire in televisione un processo dove è assente
il soggetto o meglio l'oggetto principale: l'imputato appunto!
I colloqui con gli avvocati si svolgono con le stesse modalità
previste per i familiari ovvero attraverso un vetro. Il timore, tutt'altro
che infondato che anche il colloquio con il difensore sia registrato,
unito all'impossibilità, vigente in molte carceri, di portare anche
un taccuino per gli appunti vanifica del tutto il diritto alla difesa.
Tutte le misure applicate a questi detenuti non hanno nulla a che vedere
né con la pericolosità né con le "esigenze di
ordine e di sicurezza".
Non si comprende infatti cosa cambia se ad esempio si fanno due ore di
colloquio anziché una, come si possa attentare alla sicurezza se
si portano i guanti di lana nel mese di gennaio, si mangiano le banane
ordinate attraverso l'amministrazione penitenziaria, ci si scambia un
giornale con le persone con cui si va all'aria o si tengono più
di dieci fotografie in cella.
E' evidente da questi pochi esempi che la finalità del regime speciale
dettato dall'art. 41 bis non è quella di tutelare la collettività
e per essa l'ordine e la sicurezza, ma quella di utilizzare tutti gli
strumenti di coazione psichica e fisica per spingere questi detenuti alla
collaborazione.
Il nuovo disegno
di legge.
Il 25 settembre la Commissione Giustizia del Senato ha approvato all'unanimità
il nuovo disegno di legge che modifica l'art. 41 bis e l'art. 4 bis dell'Ordinamento
Penitenziario.
Innanzitutto viene decisa la stabilizzazione dell'art. 41 bis che finora
è stato, almeno formalmente, una norma a termine anche se nella
sostanza, attraverso varie proroghe, viene applicato a centinaia di detenuti
da oltre 10 anni.
Viene aumentato il periodo di applicazione del regime speciale che passa
dagli attuali sei mesi (sempre indefinitamente prorogabili e di fatto
prorogati) a un periodo che va da un minimo di un anno a un massimo di
due anni, periodi ovviamente sempre prorogabili.
Ciò significa che il provvedimento applicativo del 41 bis non può
essere impugnato ogni sei mesi come avviene ora ma ogni anno o due anni.
Va comunque ricordato che sembra vigere un patto di ferro tra Ministero
(organo che applica il provvedimento) e Tribunali di Sorveglianza (organi
territoriali competenti per il reclamo) in quanto negli ultimi dieci anni
sono stati davvero pochi i reclami accolti; i Tribunali di Sorveglianza
si limitano per lo più ad affermare che il provvedimento è
legittimo e che la vita nei lager del 41 bis non rappresenta "un
trattamento inumano e degradante".
Il fatto che venga applicato per un periodo più lungo del "di
sei mesi in sei mesi" è certamente un dato allarmante, ma
potrà almeno consentire di fare il ricorso in Cassazione, mentre
in tutti questi anni la Corte Suprema non si è mai pronunciata
poiché il ricorso perveniva allo scadere dei sei mesi e veniva
dichiarato inammissibile per carenza di interesse, anche se quello stesso
soggetto continuava ad essere sottoposto al 41 bis in forza di un nuovo
provvedimento praticamente identico a quello precedente.
Le altre restrizioni sono relative al numero delle persone (tre) con cui
poter socializzare e alla durata della permanenza all'aperto (viene stabilito
il tetto massimo di due ore d'aria).
La novità maggiore del disegno di legge è relativa all'esclusione
di qualsiasi beneficio previsto dall'ordinamento penitenziario per i reati
commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento
penitenziario nonché per i reati di cui agli artt. 600 601 e 602
del codice penale (Riduzione in schiavitù, tratta e commercio di
schiavi, alienazione e acquisto di schiavi) e l'applicazione a questi
stessi reati del regime penitenziario del 41 bis.
Solo se ci si pente e si collabora con lo Stato si potrà accedere
alle misure alternative quali la semilibertà, il lavoro all'esterno,
i permessi premio ecc.
Il regime del 41 bis potrà essere applicato innanzitutto nei confronti
dei prigionieri rivoluzionari detenuti ormai da circa 15- 20 anni in quanto
la norma è retroattiva ed è prevista l'inapplicabilità
solo per coloro che sono già ammessi a misure alternative.
Sarà certamente applicato nei confronti di appartenenti ad organizzazioni
rivoluzionarie, ma più in generale contro chiunque si organizza
su un terreno antagonista ed infine sarà lo strumento repressivo
di punta contro l'immigrazione clandestina grazie alla clausola sulla
schiavitù che colpirà non gli schiavisti, ma gli "schiavi".
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