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Censura n. 9 - 3/2002
[
] Nato: tra inadeguatezza ed espansione
Questo articolo è parte di una sorta di trilogia
che vuole abbracciare, certo con nessuna presunzione di essere esaustivi,
il quadro Nato in una fase di guerra: dalla discussione sulla sua collocazione
e ruolo, l'espansione del suo terreno di influenza e integrazione fino
a valorizzare le mobilitazioni che si prospetteranno contro il vertice
Nato di Praga (così come abbiamo fatto per il dimenticato vertice
di Monaco del Febbraio scorso, non potendone certamente farne un resoconto).
Per quest'ultimo cercheremo di far conoscere ciò che si prospetta
per chi si mobiliterà a livello di controllo e repressione.
Negli ultimi mesi sono state molte le interpretazioni sul ruolo della
Nato, quale utilità può rappresentare per gli Usa, per l'Europa
e quale ruolo può assumersi la Russia, nell'attuale panorama di
guerra di lunga durata, all'interno della quale lo scontro per l'egemonia
nel panorama imperialista si fa sempre più forte.
In questo quadro si intrecciano diverse ipotesi sul ruolo attuale e futuro
della Nato, il suo utilizzo da parte della BI Usa per la costituzione
di alleanze variabili facendo leva sul grado di interoperabilità
tra le sue varie forze militari. Un grado di interoperabilità che,
come abbiamo visto anche nei numeri precedenti di SC, è ampiamente
supportato da un allineamento dei paesi aderenti o in PFP agli interessi
della borghesia imperialista ed in particolare di quella Usa.
Limes ha ospitato un forum interessante a questo proposito, che ha coinvolto
figure non di secondo piano, sulle problematiche legate all'attuale ruolo
della Nato e la sua espansione. Il dibattito prende spunto dalle argomentazioni
del saggio di John C. Hulsman (e altri autori americani della Heritage
Fondation) che si articola su tre punti: la Nato non ha più una
importanza centrale e vano è continuare la discussione sulla suddivisione
degli oneri (burden sharing); l'attuazione di iniziative Cjtf va valutata
in modo "entusiastico"; la Pesd è una buona cosa, ma
non accresce l'impegno militare europeo; la Nato allargata deve avere
un rapporto speciale con la Russia e elaborare una nuova dottrina strategica
di flessibilità.
L'intervento dell' ambasciatore italiano Vittorio Ferraris tende a collocare
la necessità della Nato e della sua espansione come un nodo centrale
per quanto riguarda gli interessi di sicurezza europea e proprio rispetto
ai limiti oggettivi di quest'ultima che ritiene fondamentale la sua centralità,
pur rilevando molti limiti a fronte di un nemico non ben definibile: ".....la
Nato non aveva né la struttura, né la forza per un'azione
militare antiterroristica su vasta scala. Contro chi poi? In Afghanistan,
dove l'azione bellica è stata vinta dagli americani quasi da soli?
Contro altri potenziali focolai terroristici, ad esempio in Iran o in
Siria? La Nato quindi è fuori giuoco nel tipo di conflitto attuale
contro un nemico incerto e con obiettivi di azione preventiva (come sarebbe
nei confronti dell'Iraq)".
Per quanto riguarda il ruolo dell'Europa sono evidenziate alcune discrepanze
tra quanti pretendono un maggiore investimento di risorse, sia finanziarie
sia di uomini, da parte dell'Europa. " ... La ricchezza europea è
di carattere consumistico e di benessere diffuso, ma la società
europea non è in grado di assumersi maggiori oneri per la difesa
esterna se non incidendo sul benessere e quindi sulla solidità
sociale......... Se maggiori oneri per la sicurezza dovessero essere assunti
dai Paesi europei prevarranno le esigenze di sicurezza interna, a cominciare
dal controllo dell'immigrazione incontrollata, considerata un pericolo
imminente. Le esigenze della sicurezza interna prevalgono su quella della
sicurezza esterna contro un nemico non ben noto".
In questo passaggio si evidenzia quanto già espresso in precedenza
sul tema delle contraddizioni che la creazione del polo imperialista europeo,
in funzione di una minore sudditanza agli interessi della borghesia usa
da parte della BI europea, si porta dietro, ricollocandolo in una situazione
di dipendenza dal sistema politico militare americano.
Il rischio di dover dirottare risorse, finora indirizzate verso la sempre
meno possibile gestione delle contraddizioni interne al conflitto tra
gli interressi della BI/proletariato metropolitano all'interno dell'attuale
crisi capitalistica, pregiudicherebbe quella funzione di controllo che
tanto utile si è dimostrata per il contenimento della spinta rivoluzionaria
all'interno delle metropoli imperialiste europee. Tale situazione, si
riflette chiaramente sulle aspettative rispetto alla creazione di una
sicurezza europea indipendente da quella usa attraverso la Nato.
L'intervento afferma, infatti, che "Poche illusioni devono essere
alimentate sul futuro della Pesd o della Forza Rapida d'intervento, deliberata
a Helsinki dall'Unione Europea nel dicembre 2000. Sarà una forza
modesta, utile per il mantenimento della pace (peace-keeping) e per interventi
umanitari, del tutto inadeguata per conflitti di più vasta portata,
e a grande distanza dall'Europa. Aggiungasi che l'aver abolito quasi ovunque
(resta solo la Germania) la coscrizione obbligatoria darà vita
a eserciti modesti in numero e in cui una larga parte numerica delle forze,
sarà ben poco motivata: ciò è vero soprattutto per
l'Italia, ove l'abolizione della coscrizione ha costituito probabilmente
un grave errore, che indebolirà irrimediabilmente la capacità
militare del Paese e soprattutto il senso del dovere di un servizio per
il bene pubblico".
Il ruolo futuro della Nato e la sua attualità rispecchia chiaramente
il quadro attuale della scala imperialista, ed è ben esplicitato
nelle conclusioni di questo intervento, che afferma "La Nato peraltro
deve rimanere attiva non per la sua utilità di strumento bellico
contro il terrorismo, bensì perché rappresenta tuttora il
maggior legame fra l'Europa e gli Stati Uniti e fra i Paesi europei, che
ne fanno parte, sia nell'addestramento, sia nella condivisione di materiale
bellico e di dottrina militare. Tuttavia la standardizzazione del materiale
bellico è ancora cammino lungo, poiché oggi più che
mai gli interessi nazionali prevalgono anche nel settore industriale".
E' chiaramente la guerra imperialista di lunga durata, come risposta e
conseguenza della crisi attuale, che determina il terreno politico militare
come terreno di confronto e mediazioni tra le varie fazioni della borghesia
imperialista, flessibili nelle alleanze ma rigidamente uniti, nel salvaguardare
gli interessi dell'imperialismo.
Le motivazioni sul ruolo della Nato nell'attuale fase sono ben esplicitati
da l'intervento del Gen. Jean della Università LUISS di Roma, collocandole
all'interno del quadro di mantenimento e ulteriore conferma della supremazia
degli interessi della BI americana all'interno del sistema imperialista.
Egli afferma che "L'unilateralismo americano nella guerra al terrorismo
ha inferto un duro colpo alla Nato come alleanza integrata. La questione
era già nell'aria. L'apporto che la Nato può dare agli Usa
in operazioni congiunte non compensa la diminuzione di flessibilità
politica e strategica, dovuta al fatto che si deve decidere in comitato,
come avvenne, con esiti addirittura allucinanti, nella guerra del Kosovo".
Prosegue " Ma Washington è in grado di mobilitare l'intervento
delle capacità che le servono, senza passare per la burocrazia
dell'Alleanza. In caso di necessità, gli europei faranno a gara
a precipitarsi alla Casa Bianca ad offrire il loro aiuto. Penso che gli
americani si siano molto divertiti a vedere i Capi di Stato e di governo
europei litigare per avere l'onore di contribuire maggiormente e di essere
arrivati prima degli altri".
Quanto sopra affermato è quanto abbiamo visto in questi ultimi
mesi in cui, in nome della guerra al terrorismo, si sono intensificati
gli sforzi oggettivamente necessari per la borghesia usa nel quadro della
guerra imperialista: molti degli stati europei si sono precipitati alla
corte di Bush rompendo quella unitarietà europeo che sempre più
tende ad assumere una caratterizzazione estremamente formale, tutti impegnati
a ridefinire le sue gerarchie interne.
Secondo quanto affermato, prosegue il Generale Jean ".... nell'attuale
situazione, sono gli europei ad avere maggiore bisogno degli Usa che questi
ultimi dei primi. Devono quindi trangugiare i bocconi amari, le critiche
e i rimbrotti che provengono da oltreoceano. Hanno bisogno della Nato,
non solo per le minacce residuali che possono provenire all'Europa dalla
proliferazione missilistica e di armi di distruzione di massa, ma anche:
a) per non dibattere del problema delle armi nucleari europee; b) perché
gli Usa rimangono indispensabili per fornire una leadership, per mantenere
la Turchia legata all'Occidente; c) per inserire la Russia nello spazio
di sicurezza ed in quello economico europeo".
Secondo il Gen. Fabio Mini (Afsouth) il quadro attorno al quale si costituisce
il dibattito sulla utilità della Nato dipende direttamente dalla
teoria "tutti per uno" che gli Usa stanno, all'interno della
guerra al terrorismo, cercando di imporre. Per una grossa parte della
borghesia Usa ".... la Nato deve servire gli interessi USA, deve
spendere, organizzarsi ed equipaggiarsi per essere interoperabile con
gli Usa, non deve neppure ostacolare le iniziative Usa; gli assetti comuni
della Nato devono essere a disposizione e in grado di sostenere qualsiasi
iniziativa Usa anche (e soprattutto) se non condivisa. Paradossalmente,
l'esortazione a rifuggire dalla teologia dell'Alleanza come strumento
difensivo operativamente e geograficamente limitato per rivolgersi alla
realtà è pronunciata in nome di una nuova super-teologia
che invoca un'alleanza senza limiti, riserve e dissensi nei confronti
degli Usa".
Precedentemente al crollo dell'URSS, in una fase in cui la crisi non aveva
espresso tutta la sua forza su tutti i piani, la lotta contro il pericolo
del comunismo aveva visto pressoché unito il fronte borghese e
la organizzazione del sistema decisionale aveva oggettivamente riprodotto
tale quadro. Ma all'interno dell'attuale quadro lo sviluppo di nascenti
spezzoni di borghesia imperialista impone una ridefinizione del meccanismo
in mano alla fazione di borghesia dominante. "I problemi sorgono
quando non c'è condivisione, quando si tende a prevaricare o a
forzare la mano. Allora il meccanismo decisionale s'inceppa e la macchina
militare o gira a vuoto o rimane inattiva. Il ricorso alle coalizioni
nell'ambito dell'Alleanza è un modo per liquidare i principi appena
citati. L'invocazione della flessibilità e dell'operatività
cela l'esigenza di aggirare le resistenze, le diversità di opinione,
le giuste ragioni degli altri".
Ma questa situazione rischia di creare non poche difficoltà nel
quadro della situazione futura. La domanda è, fino a quando la
borghesia europea sarà disposta a rimanere relegata a dover da
una parte essere richiamata ad un maggiore investimento militare, dall'altra
a dover sottostare agli interessi e alla supremazia della borghesia americana?
La stessa possibile integrazione della Russia nella Nato può all'interno
di questo panorama sviluppare forti contraddizioni, ed in particolare
per la ostilità che si creerebbe ad una situazione in cui il suo
ruolo potrebbe essere relegato a semplice spettatrice davanti ad un intervento
militare Usa con alleanze variabili Nato. Inoltre questo potrebbe determinarsi,
davanti agli interessi contrapposti di spezzoni di BI, come nucleo di
un fronte di opposizione all'arroganza Usa.
La Nato non rappresenta chiaramente per gli Usa lo strumento necessario
per effettuare le operazioni militari in quanto è provato un rafforzamento
della sua potenza militare e industriale militare. La preparazione per
le operazioni militari in Afghanistan, Iraq hanno visto un finanziamento
notevole per il rinnovamento e implementazione dell'apparato militare.
La Nato per gli Usa deve essere lo spazio all'interno del quale ritrovare
una legittimità e consenso alle sue strategie politico militari.
"Sarebbe in sostanza una sorta di Onu della parte del mondo che percepisce
la propria cultura come quella giusta, unica, ineludibile" come la
definisce il Gen. Jean, "che può delegare di volta in volta
le azioni necessarie a uno o a più membri". Il richiamo alla
legittimazione Onu per l'intervento in Iraq cerca di ribaltare questo
quadro imponendo agli usa un ulteriore livello di mediazione internazionale.
L'articolo di John C. Hulsman (e altri autori americani della Heritage
Fondation) da estrema importanza all'interno delle alleanze variabili
alla Combined Joint Task Force (Cjtf), proposta per la prima volta al
summit Nato di Bruxelles del gennaio 1994, che consente coalizioni volontarie
per affrontare quelle sfide alla sicurezza che non minacciano gli interessi
di sicurezza primari di tutti i membri dell'alleanza.
Le Cjtf mettono sul tavolo una valida opzione preservando la possibilità
che gli americani impediscano all'alleanza di agire in modi contrari ai
loro basilari interessi nazionali, perché non tolgono agli Stati
Uniti il loro potere di veto sulle direttive politiche ed operative dell'alleanza.
In un'epoca in cui gli interessi americani ed europei sono nel migliore
dei casi complementari, ma certamente non identici; questa opzione "sì,
ma" è imperativa.
L'opzione Cjtf si è già rivelata utile. La missione di pace
in Macedonia, per esempio, è stata una Cjtf de facto: gli europei
forniscono la maggioranza delle forze militari, che tuttavia usano mezzi
comuni della Nato. Ed è così che deve essere, dato che,
la crisi in Macedonia, ha indubbiamente maggiore importanza strategica
per paesi quali l'Italia e la Germania che per gli Stati Uniti, i quali
hanno potuto sostenere diplomaticamente la missione senza essere gravati
militarmente ed economicamente.
Piuttosto che trascinare Stati membri in missioni di secondario interesse,
od obbligare nazioni non contrarie, ma disinteressate, a impedire del
tutto la realizzazione di una missione, le Cjtf forniscono alla Nato una
terza risposta politica grazie alla quale sia gli alleati europei sia
gli Stati Uniti possono decidere di non opporsi a una missione, ma optare
di non parteciparvi direttamente.
Ed è in questo quadro che dovrà essere letta la politica
di espansione della Nato e i suoi processi di integrazione anche parziale
a est come a sud, definiti, nel quadro delle relazioni politico militare,
dalle esigenze degli interessi della borghesia Usa.
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