Senza Censura n. 9 - 3/2002

[ ] Guerra e contraddizioni borghesi

Le borghesie arabe tra le scelte della borghesia imperialista americana e lo sviluppo di un ampio fronte proletario

Per la borghesia araba si pone il problema dello sviluppo di una situazione di profonda destabilizzazione dell'area conseguente all'attacco Usa e Gb contro l'Iraq.
L'attuale situazione del proletariato arabo mediterraneo pone non poche incognite alle borghesie locali, e non solo, rispetto a quale sviluppo possa determinare l'attuale politica imperialista nei confronti del Popolo Palestinese, e sul piano più generale, la politica imperialista verso tutto il mondo arabo e islamico, di cui l'attacco all'Iraq è un tassello.
Secondo alcuni analisti, il tentativo di imporre un governo filo occidentale in Iraq, presenta molte affinità con quanto successo in Libano con l'invasione del 1982 da parte dell'esercito sionista. Secondo quanto riportato, la complessità della società irachena e la sua divisione interna, difficilmente consentirà di instaurare un governo che trovi una piena legittimità da parte delle varie fazioni, così come si rileva chiaramente anche nella situazione attuale in Afghanistan. La lezione impartita all'esercito israeliano in Libano dovrebbe aver insegnato l'impossibilità di imporre una leadership dall'esterno.
La popolazione araba e islamica non vede di buon occhio la presenza di un occupante occidentale sulla sua terra, e questo lo riscontriamo anche attualmente in Afghanistan, e questo creerà non poche contraddizioni alla politica di penetrazione e dominio portata avanti dalle potenze imperialiste ed in particolare da Usa e Gb.
Secondo quanto riportato da un quotidiano del Qatar, l'eventuale invasione dell'Iraq da parte degli Usa, porterà ad una situazione di destabilizzazione in tutta la regione.
In una intervista rilasciata ad un quotidiano degli emirati arabi un professore della Università di scienze politiche degli emirati afferma che "una invasione dell'Iraq è ben lontana dalla possibilità di instaurare una situazione democratica nell'area, ma alimenterà il sentimento antiamericano e le organizzazioni terroristiche". Continua nell'affermare che " la quasi totalità dei paesi dell'area ha appoggiato la campagna contro il terrorismo di Al Qaeda e i bombardamenti in Afghanistan, rendendoli obiettivi di attacchi terroristici che trovano un appoggio sempre più sentito tra le masse. Questi governi conoscono molto bene come mantenere il loro potere che ormai dura da decenni, ma una prolungata instabilità provocherebbe un generale indebolimento della loro possibilità di controllo delle istanze delle masse".
Durante l'incontro del Council of Arab Foreign Ministers svoltosi al Cairo sono emerse chiaramente valutazioni negative, da parte delle stesse borghesie arabe, nei confronti dell'attuale avventurismo americano. Molte perplessità si concentrano sul possibile coinvolgimento di Giordania e Qatar nell'attacco all'Iraq e le probabili ripercussioni sulla sicurezza nell'area, sia sul fronte interno, sia esterno.
Secondo Al Wahram Weekly sono molte le preoccupazioni dell'eventuale coinvolgimento della Giordania nel conflitto. Il Governo Giordano non ha nessuna possibilità di ottenere il consenso dalle masse per tale scelta, in quanto il sentimento antiamericano è sempre più vivo dentro la popolazione sia giordana, sia palestinese. L'eventuale attacco all'Iraq porterà inoltre ad un collasso interno dell'economia giordana legata, come già affermato nel precedente articolo, a molti interessi commerciali con l'Iraq.
Sempre più forte tende a determinarsi un panorama nel quale le borghesie arabe e islamiche cercano di trovare un loro spazio, con lo scopo di determinare una ridefinizione del livello di sudditanza agli interessi americani, nel momento i cui le scelte della borghesia usa creano una situazione oggettiva di pericolo per la stabilità dell'area e di conseguenza per la sicurezza dei loro interessi politico - economici.
Ma come già affermato esiste una contraddizione, rappresentata dallo sviluppo all'interno dei paesi arabi di una sempre maggiore mobilitazione contro l'imperialismo e le conseguenze della sua strategia nell'area, che per noi compagni, impegnati nel determinare un generale avanzamento della comprensione del quadro oggettivo, quello arabo mediterraneo, col quale le soggettività rivoluzionarie devono obbligatoriamente confrontarsi, deve rappresentare un terreno strategico di lavoro.
Lo sviluppo del conflitto arabo-sionista ha determinato nell'ultimo anno lo crescita di numerose mobilitazioni e proteste che hanno fatto avanzare le capacità di risposta collettiva delle masse popolari arabe.
Già nel mese di Aprile si registravano numerose proteste nei paesi arabo mediterranei per la politica di aggressione sionista in Palestina. Quotidiani egiziani riportano notizie di scioperi in Libia e Iraq.
Le mobilitazioni in Marocco hanno visto la composizione di un ampio fronte sindacale in solidarietà al Popolo Palestinese. Le manifestazioni hanno registrato la presenza di ampi settori di lavoratori convocati dalle organizzazioni sindacali di tutte le categorie a fianco delle associazioni di solidarietà alla lotta palestinese. A queste si sono affiancate le numerose mobilitazioni organizzate in ambito studentesco.
Migliaia di lavoratori iracheni hanno manifestato in solidarietà al popolo palestinese e contro la politica sionista nelle strade di Bagdad. Milioni di persone sono scese nelle piazze in Marocco e Sudan, e in maniera insolita anche in paesi tradizionalmente conservatori come Bahrain, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Kuwait. Nel Bahrain oltre 10.000 manifestanti hanno violentemente protestato contro la presenza delle truppe Usa nel paese. Le manifestazioni sono continuate anche nei mesi successivi. L'arrivo di Collin Powel a Beirut, nel mese di Aprile, ha trovato numerose manifestazioni organizzate da studenti ed attivisti politici, che hanno chiamato ad uno sciopero generale contro la presenza dell'esponente politico americano, denunciando il supporto usa alla politica militare sionista.
In Giordania nelle manifestazioni sono stati numerosi gli attacchi alle forze della polizia. Numerose manifestazioni sono state duramente represse dal governo giordano. Nel mese di marzo il Ministro degli interni giordano aveva ammesso pubblicamente che non avrebbe consentito in nessun modo manifestazioni contro israele.
In Siria decine di migliaia di persone hanno manifestato contro la politica sionista di occupazione e così nello Yemen.
Le proteste hanno investito vari strati della vita sociale e politica nei paesi Arabi. L'Egitto si è trovato a rappresentare uno dei paesi in cui il suo proletariato ha espresso con forza l'opposizione alla politica americana e sionista verso il mondo arabo ed in particolare verso il popolo palestinese. Tale situazione non è da sottovalutare per due questioni principali: il tradizionale ruolo svolto dall'Egitto come braccio dell'imperialismo Usa per la gestione delle contraddizioni nel mondo arabo e di penetrazione e controllo usa nell'area; per la sua presenza come partner fondamentale all'interno del processo di sviluppo nell'area degli interessi delle borghesie europee, nel quadro dell'unione euromediterranea, collegati direttamente alle contraddizioni che si sviluppano all'interno del proletariato europeo nello sviluppo del ruolo imperialista della sua borghesia.
Le organizzazioni sindacali dei lavoratori agricoli egiziane hanno promosso fin dal mese di aprile azioni di boicottaggio contro i prodotti israeliani e per l'interruzione dei rapporti commerciali con l'occupante sionista. Durante una assemblea di tutti i delegati delle organizzazioni sindacali è stata confermata la volontà di realizzare una campagna di informazione su quali aziende, in Egitto, sono rami di compagnie israeliane per il commercio di fertilizzanti e prodotti per l'agricoltura. L'Organizzazione Nazionale Egiziana dei farmacisti ha chiamato al boicottaggio di qualsiasi rapporto di cooperazione con Israele. Le proteste hanno immediatamente trovato un loro ulteriore sviluppo nella campagna di boicottaggio dei prodotti americani. "Gli arabi non possono stare a guardare mentre i loro fratelli vengono uccisi da Israele con le armi americane" ha affermato il leader dell'organizzazione. Anche i lavoratori portuali sono stati chiamati al rifiuto di scaricare prodotti e petrolio da e per israele. I lavoratori della Lega dei Piloti hanno richiesto l'immediata interruzione dei collegamenti con Israele. Già nei mesi precedenti l'appello al boicottaggio dei prodotti israeliani e americani era stato lanciato dal Egypt's Writers Federation Freedom Committee. Per cercare di stemperare la forza della campagna che si è sviluppata nel paese sono intervenute le associazioni economiche padronali, che hanno cercato di intimidire i lavoratori nella protesta contro i prodotti Usa. E' stato per questo utilizzato il dato che oltre 75000 egiziani sono occupati in settori del commercio estero, e l'occupazione in questi settori avrebbe potuto risentirne gravemente: "... dobbiamo distinguere tra quanto prodotto in Egitto sotto licenza americana e quello che è importato direttamente dagli Usa".
La campagna di boicottaggio ai prodotti americani si è allargata anche in Marocco. Secondo alcuni analisti arabi lo sviluppo della campagna di boicottaggio ai prodotti americani rappresenta un chiaro segno dello sviluppo di una coscienza di opposizione alla politica americana nei confronti del mondo arabo. Questo rappresenta un problema da non sottovalutare all'interno del quadro dello sviluppo di zone di libero mercato tra Usa e Marocco, come riportato nei numeri precedenti della rivista.
Anche in Giordania, come in tutto il mondo arabo, si è velocemente allargata la campagna di boicottaggio contro i prodotti usa. La repressione giordana ha fortemente colpito gli attivisti della campagna, che trova sempre più consenso nella popolazione, arrestando numerosi esponenti ed in particolare alcuni sindacalisti.
La maturazione delle contraddizioni sviluppate dalla politica americana ha creato una condizione che difficilmente può essere bloccata, pur non escludendo la capacità del fronte borghese di un suo recupero. La prossimità della guerra in Iraq, quanto già si è sviluppato in Palestina ed in Afghanistan, rappresenta un retroterra sufficiente ad unire la mobilitazione politica e sociale con l'innalzamento del livello di scontro determinato della sempre più sentita condizione di guerra.
In Egitto è nata la "Popular Campaign Of Resistance Against U.S. Aggression On Iraq" a cui aderiscono tutte le forze progressiste, della sinistra e sindacali che avevano partecipato alle mobilitazioni in solidarietà al Popolo Palestinese. Da una intervista emerge la chiara coscienza della strategia usa di dominio su tutto il mondo arabo a fianco del suo alleato sionista. "L'opposizione alla guerra in Iraq e alla politica americana di nuova colonizzazione è un dovere per l'onore, il futuro e il diritto di tutto il Popolo Arabo".
Le manifestazioni contro israele sono continuate ed hanno trovato un loro nuovo respiro con la visita di Peres al Cairo, che ha visto la mobilitazione di numerosi settori della società per protestare e rinnovare la campagna di interruzione di qualsiasi rapporto con israele. Grandi manifestazioni si sono svolte i tutto l'Egitto in occasione dell'anniversario dell'Intifada.
Sono le stesse parole del Ministro degli esteri russo Ivanov durante un colloquio con l'ambasciatore americano inviato a Mosca che descrivono il quadro generale dello sviluppo delle contraddizioni della politica Usa: " .... un intervento in Irak non è certamente conveniente in questa fase dove l'opposizione all'attacco contro l'Irak tende a coagularsi con l'ampio fronte di dissenso che in tutto il mondo accompagna il conflitto palestinese-israeliano,.....si registrano mobilitazioni in tutto il mondo dai paesi arabi agli stessi paesi occidentali. Questo rende molto rischioso la gestione politica interna ed internazionale che potrebbe svilupparsi dall'attacco".
Sono già molti i segnali di un inesorabile accrescimento del livello delle contraddizioni che comportano irrimediabilmente un innalzamento del livello delle modalità dello scontro anche delle forze antimperialiste, indipendentemente dalla loro collocazione politica. Questo senza perdere di vista l'obiettivo principale di tutti i rivoluzionari di incidere, fin da subito, all'interno del conflitto in atto tra Bi e proletariato internazionale, creando le condizioni per una direzione a livello internazionale nello sviluppo della prospettiva rivoluzionaria.
Il Libano è investito attualmente da un crescente sviluppo delle mobilitazioni e degli scontri all'interno dei campi dove sono presenti le organizzazioni palestinesi. I tentativi delle forze militari libanesi di arrestare alcuni militanti hanno trovato una forte resistenza militare palestinese nei loro confronti. Nel mese di settembre, sono stati numerosi gli scontri a fuoco tra militanti palestinesi e forze militari libanesi, senza che queste potessero in nessun modo riuscire ad entrare all'interno dei campi per arrestare i responsabili. Numerose sono state le manifestazioni in supporto al Popolo Palestinese e contro l'attacco all'Iraq nel mese di settembre in occasione dell'anniversario dell'Intifada. Le tensioni con gli abitanti palestinesi dei campi preoccupano anche gli esponenti dell'entourage politico americano che vedono in questo sviluppo un pericolo oggettivo nell'eventualità di un attacco all'Iraq e la partecipazione di Israele all'operazione. Certo le dichiarazioni della diplomazia Usa di richiesta di non intervento israeliano contro l'Iraq nemmeno in caso di aggressione non sono sufficienti per eliminarla come eventualità.
Nel mese di agosto una autobomba è esplosa nelle vicinanze dell'ambasciata americana di Beirut. Già nel mese di maggio un altro attentato era stato operato in Yemen contro l'ambasciata americana in solidarietà al popolo palestinese.
La presenza delle forze americane in Giordania ha già segnato profondamente le contraddizioni interne, sviluppando un ampio fronte contrario a qualsiasi operazione o esercitazione militare con le truppe usa e per una loro immediata espulsione dal paese. Un fronte che raccoglie tutte le forze di opposizione.
A quanto si va sviluppando nei paesi arabo mediterranei si uniscono le mobilitazioni nel centro dell'imperialismo, dall'Europa agli Usa.
Un dato sicuramente importante, è la ripresa di un movimento contro la guerra negli Usa, in particolare a fronte del consenso che la politica imperialista americana aveva trovato sull'onda emozionale e della gestione controrivoluzionaria degli ultimi avvenimenti da parte dell'amministrazione Bush.
Solo tra il mese di settembre e la fine del mese di ottobre sono state numerose, e quasi quotidiane, le mobilitazioni nelle città americane contro la guerra in Iraq e la cosiddetta dottrina Bush.
Nel mese di settembre migliaia di persone hanno manifestato a Washington contro la guerra, accentrando la loro critica sulla necessità di guardare alla crisi che attanaglia il sistema economico e finanziario americano con il conseguente peggioramento delle condizioni di vita della maggior parte degli americani. Ma la protesta si lega inesorabilmente con la sensazione di una violazione oramai strutturale delle libertà personali ed in particolare da parte della componente immigrata. Il responsabile del Arab American Institute ha affermato che sono un numero indefinito i desaparecidos arabi di cui le famiglie non sanno più niente, probabilmente detenuti senza nessuna prova.
Il vice presidente Cheeney, pochi giorni più tardi, è stato fortemente contestato al suo arrivo a Varmont da un folto gruppo di manifestanti contro l'aggressione all'Iraq.
Il weekend del 26 settembre, anniversario dell'Intifada, ha rappresentato un momento fondamentale nella mobilitazione. Mentre oltre 400.000 persone manifestavano a Londra contro la guerra e l'aggressione sionista in Palestina, anche negli Usa sono state numerose le manifestazioni. Oltre 2000 persone hanno atteso in Colorado l'arrivo del presidente Bush, fortemente contestato, come avverrà nei giorni successivi durante un suo intervento a Cincinnati. Nello stesso momento anche a Sidney, in Australia, proteste di piazza si sono levate contro la guerra.
Le manifestazioni negli Usa continuano. Nei primi di ottobre a Portland oltre 5000 persone. In Texas i manifestanti hanno portato come parola d'ordine "Free the Press, Stop the Bomb" e così altre migliaia a Minneapolis. Dalla Università di Syracuse studenti e personale docente hanno dato vita a manifestazione spontanee.
Le mobilitazioni continuano nelle università e nei campus universitari. Nei primi giorni di ottobre da Harvard a Boston, da Emerson alla Tuffts University, gli studenti e professori hanno manifestato, e in migliaia sono scesi in piazza il 10 ottobre.
Nei giorni successivi a San Francisco centinaia di manifestanti sono stati repressi dalla polizia che ha eseguito oltre 40 arresti.
La stampa americana riporta inoltre che alcuni manifestanti il giorno 20 Ottobre, hanno occupato l'assemblea dell'Onu per protestare contro le risoluzioni di guerra americane.
Queste sono solo alcune delle manifestazioni che si sono svolte in america.
Ma come già affermato in precedenza queste manifestazioni e più in generale la protesta contro la guerra assume importanza ancor maggiore a fronte della mobilitazione che va sviluppandosi contro la brutalità della polizia americana e la legislazione repressiva che sta eliminando qualsiasi possibilità di far valere i propri diritti da parte della popolazione arabo americana e immigrata. La situazione che si era sviluppata dopo l'11 settembre comincia a sgretolarsi e la stessa campagna antiterrorismo comincia a sviluppare profonde contraddizioni all'interno dello stesso ventre della bestia.
Anche in Europa è forte il sentimento contro la guerra che matura su un terreno già scaldato dalla coscienza antimperialista della lotta del popolo palestinese.
Proprio in occasione dell'anniversario dell'Intifada, le città europee hanno visto l'organizzazione di numerose manifestazioni contro la guerra e in solidarietà alla lotta del Popolo Palestinese. Dai 400.000 di Londra, agli oltre 30.000 di Marsiglia, Roma, Parigi, Madrid. Nelle settimane successive le mobilitazioni sono continuate a Parigi, a Glasgow, e in molte altre città europee.
La giornata internazionale contro la guerra del 26 ottobre cercherà di ricomporre in una unica giornata di mobilitazione tutto ciò che nel mondo sta combattendo contro questo ennesimo tassello di una guerra che oramai non trova soluzione di continuità.
Milioni di persone in piazza con l'intento comune di fermare la guerra, che sempre più, nonostante la direzione opportunista e la prospettiva in cui tende a collocarla, sviluppa le condizioni perché una rottura con lo stato presente delle cose possa finalmente prendere il cammino.
L'attuale situazione di opposizione alla guerra e alle politiche imperialiste che va sviluppandosi sia all'interno della periferia sia nel centro dell'imperialismo, richiede una accelerazione nella creazione della soggettività che sia in grado di affrontare, con gli strumenti adeguati, lo scontro in atto all'interno della crisi che attanaglia il sistema capitalistico in tutte le sue componenti. Un percorso che, l'attuale situazione di mobilitazione contro la guerra, può sicuramente far avanzare in particolare sul piano strategico dello sviluppo di un movimento rivoluzionario a livello internazionale. La costruzione e la valorizzazione della mobilitazione su un terreno internazionale della opposizione alla guerra può rappresentare un tassello fondamentale ed in particolare se saprà produrre la coscienza del ruolo che i rivoluzionari devono assumersi all'interno delle metropoli imperialiste a fianco della componente proletaria costretta, per le conseguenze delle politiche imperialiste, a vendere la propria vita all'interno del processo di valorizzazione del capitale nelle nostre metropoli.

Riquadro:

Solidarietà al Popolo Iracheno dai Partiti comunisti di 6 paesi Arabi

I partiti comunisti di 6 paesi arabi in un comunicato congiunto del 16 settembre dichiarano che la situazione attuale nella regione si fa molto pericolosa a causa della politica Usa. La invasione dell'Iraq, come secondo tassello della guerra al terrorismo, è sproporzionata rispetto al pretesto per l'aggressione, la presenza di armi di distruzione di massa.
Il comunicato è firmato dai Partiti Comunisti di Siria, Giordania, Libano, Egitto, Sudan e Iraq, e punta il dito sulla "... strategia planetaria degli usa per aumentare il proprio dominio politico, economico e militare, particolarmente in una regione dove si trovano le maggiori riserve di petrolio, nella bramosia di monopoli".
Essi affermano che "molti governi dell'area creano le condizioni per legittimare tale politica, come il governo iracheno che finora ha rifiutato gli ispettori (cosa poi dimostratasi il contrario ndr). Non ci sono dubbi che l'accettazione di tale risoluzione creerebbe molte contraddizioni agli usa e stimolerebbe il fronte (borghese ndr) di opposizione alla invasione dell'Iraq. Il cambiamento del regime in Iraq è responsabilità unicamente del suo popolo a fianco delle forze patriottiche che lo supportano".




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