Senza
Censura n. 9 - 3/2002
[
] Fronte di guerra
L'espansione dell'imperialismo americano
e gli interessi di indipendenza delle borghesie arabe
Sta continuando inesorabilmente la guerra
in Afghanistan, nonostante il basso profilo massmediatico strumentale
a sostenere la teoria della vittoria (l'uso dei massmedia è argomento
di studi dai vertici militari), come continuano gli attacchi quotidiani
alle postazioni militari Usa, dando credito al fatto che la situazione
è ben lontana dall'essersi stabilizzata, sia per quanto riguarda
la possibilità dell'istituzione di un governo filoimperialista
e quindi la soluzione allo scontro interno alla tanto cara alleanza del
nord, sia per quanto riguarda la sempre provata avversità del popolo
afghano alla presenza di un occupante, nel quale sempre di più
sono identificate le truppe occidentali e Usa in particolare.
Nel momento della stesura di questo articolo per quanto si possa quasi
con certezza, anche se in continuo movimento, delineare il panorama generale
dell'imperialismo nell'attuale fase, l'attacco finale all'Irak non è
avvenuto, anche se è facile prevedere che difficilmente verrà
annullato.
Non vogliamo sottovalutare l'opposizione di molti governi all'attacco,
normalmente ben propensi alla guerra, e quindi l'importanza della rottura
del fronte che aveva trovato nella guerra al terrorismo la sua unitarietà
tattica, ma non possiamo che inserirla all'interno di quello che è
il quadro di scontro all'interno della catena imperialista.
L'attuale crisi, che sta determinando una acuirsi dello scontro tra fazioni
della borghesia e il presentarsi sempre più pressante nello scenario
internazionale di spezzoni di borghesia nascente, come quella russa e
cinese, accelera la necessità di accaparrarsi la possibilità
di valorizzare il proprio capitale, ad ogni costo, ed in particolare a
vantaggio della fazione di borghesia dominante, gli Usa.
L'interesse della Russia è confermato dalle dichiarazioni riportate
sulla stampa araba per bocca dello stesso governo, che afferma che Iran
e Iraq sono due paesi tradizionalmente importanti. Negli ultimi dieci
anni il volume di affari tra Iraq e Russia si è aggirato sui 40
miliardi di dollari ed in particolare nel settore dell'energia e delle
telecomunicazioni. Alla fine di agosto, il ministro degli esteri russo
ha dichiarato che tra i due paesi si sta preparando un programma di sviluppo
della cooperazione nel settore industriale e tecnologico.
Se l'attacco non ci sarà, e su questo nutriamo seri dubbi, non
sarà certamente dipeso dallo sviluppo di una altra etica, ma rappresenterà
il prodotto di una opposizione al tentativo di imporre a tutti i costi
la supremazia politico-militare-economica Usa.
La ricerca di una legittimazione Onu per l'attacco all'Irak, quando era
oramai ben definita una sua totale delegittimazione anche borghese, è
il prodotto della necessità da parte degli Usa di dover fare i
conti con gli altri contendenti del quadro imperialista mondiale e ottenere
una legittimità internazionale attraverso una sua risoluzione.
Come vedremo in seguito, oltre che l'opposizione alla politica militare
Usa, in quanto strumento per la salvaguardia degli interessi della propria
BI, non assume un carattere secondario la convinzione, da parte di Europa,
Cina e Russia, dello sviluppo di un ampio fronte di contraddizioni sia
all'interno delle metropoli imperialiste, sia nella periferia. Le mobilitazioni
contro la guerra rischierebbero di andarsi a unire con gli ampi fronti
di mobilitazione di rivendicazione sociale nelle metropoli imperialiste;
nel mondo arabo la politica di sostegno Usa ad Israele ha già segnato
lo sviluppo di un ampio movimento, fortemente represso anche all'interno
di quei paesi tradizionalmente filo imperialisti come Egitto, Marocco,
Giordania, e in paesi dove si registra la presenza di ampi settori di
proletariato palestinese. Questa situazione sta creando non poche contraddizioni,
soprattutto in Libano, paese che si riaffaccia sul mercato internazionale
con numerose ambizioni in particolare nel quadro mediterraneo.
Sarebbe imperdonabile per noi non ricordare che l'attacco all'Irak non
è mai terminato dal 1991. Si contano in oltre 16.500 gli attacchi
aerei all'Irak, da parte di Usa e Gb, oltre ad una guerra di lunga durata
fatta di embargo e del continuo boicottaggio degli scambi previsti dagli
accordi oil for food. Gli Usa e Gb hanno usato la scusa del famoso "dual
use", concetto ben chiaro alla industria bellica imperialista, per
la produzione di strumenti che possono avere sia uso civile che militare,
con il quale si tende a identificare anche un composto per un farmaco
come possibile componente per un'arma chimica.
Come affrontato nei numeri precedenti di Senza Censura è chiaro
l'intento Usa di mantenersi a lungo in quella zona fino a quando non sarà
compiuto il suo progetto di dominio. Il prospettarsi di un attacco all'Iraq,
e il non improbabile estendersi della campagna antiterrorismo ad altri
stati dell'area, richiede da una parte la possibilità di usufruire
dell'appoggio logistico per le forze militari imperialiste, l'integrazione
nella campagna contro il terrorismo internazionale ha rappresentato fino
ad ora uno strumento idoneo (o con noi o senza di noi), dall'altra un
ampio fronte di consenso, o meglio di dimostrata sudditanza verso i voleri
dell'imperialismo Usa.
Secondo il Global Reserch Group "nell'ultimo anno decine di complesse
strutture operative aeree e terrestri sono state trasferite dall'Europa,
dal Pacifico e dal Central Command nel sud degli USA, e hanno messo radici
profonde in Quatar, Emirati Arabi, Oman, Yemen (12 complessive basi aeree,
navali e terrestri), Afghanistan (varie, ancora in corso di consolidamento),
Kirgikistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kazakistan (4), Georgia (una), Filippine
(una), Somalia (uno staging post per forze speciali). Esse si sono aggiunte
a quelle già preesistenti e rinforzate in Barhein (comando della
5a Flotta), Kuwait (predisposizione di mezzi per un corpo corazzato, secondo
il Wall Street Journal del 2 settembre)), Turchia (Incirlik Air Force
Base, la Ramstein dei giorni nostri ), Arabia Saudita (5 cittadelle militari,
fra le quali la gigantesca Prince Sultan con il suo CAOC, da cui è
possibile, monarchia wahabita permettendo, dirigere operazioni aeree di
ampiezza transcontinentale) e Diego Garcia, un'isola dell'Oceano Indiano
dalla quale operano i bombardieri dello Strategic Command dell'USAF, B
1 e B 52".
Secondo fonti della difesa britannica, gli Usa, si stanno preparando a
spostare circa 45000 uomini in Kuwait e Giordania. Sempre secondo le stesse
fonti Usa e Gb si stanno preparando a dislocare 60000 uomini al confine
tra Kuìwait e Iraq, circa 15000 tra il confine Giordano e quello
dell'Iraq, e oltre 15000 in territorio Kurdo, di cui 8000 arriveranno
attraverso la Turchia. Saranno utilizzati i carri armati presenti della
base di Al Doha, oltre che guerriglieri sciiti in particolare il contingente
"Bader", comandato da Ayatullah Muhammad Baqer al-Hakim, attualmente
in Iran.
Secondo il U.S. Central Command gli Usa hanno il piano di spostare 600
uomini dello staff di comando delle operazioni in Qatar, dove gli Usa
hanno l'uso della base aerea di al-Udeid, una delle più grandi
basi della regione. Come parte della esercitazione biennale "Internal
Look 03", lo US Central Command trasferirà una parte del suo
staff di comando in Qatar entro novembre.
L'obiettivo è di testare un nuovo quartier generale con compiti
di comando, controllo e comunicazione.
Già da alcuni organi di stampa è stato riportata la notizia
dello spostamento in Kuwait, in occasione dell'attacco all'Afghanistan,
di una parte del comando delle operazioni presenti nel Centro di Comando
di TAMPA (Florida) ed in particolare dopo la nomina di Tommy Franks al
comando Usa delle operazioni in Afghanistan. Nel mese di settembre in
Qatar, in un incontro tra il Gen. Tommy Franks e personale governativo
di questo paese, è stata rinnovata l'amicizia tra i due stati,
e il pieno supporto del Qatar alla lotta contro il terrorismo.
Gli Usa si sono dimostrati, nello stesso tempo, molto restii a rispondere
sul trasferimento del loro centro di comando in Qatar ed in particolare
sugli eventuali spostamenti dalle basi della Arabia Saudita. Ma una fonte
ben informata svela, nel mese di luglio, che nel Qatar sono presenti già
due basi militari Usa, una fuori dalla capitale, chiamata al-Seleyah camp,
con attrezzature veicoli e munizioni per 5000 militari, l'altra definita
"snoopy", predisposta per l'atterraggio di aerei ufficialmente
per i rifornimenti. E' chiaro il suo ruolo per l'arrivo, in gran segreto,
di quanto necessario per la costruzione di nuove basi e di personale militare
americano.
Nella metà del mese di settembre, fonti americane, rendono chiara
la strategia Usa nei confronti di coloro che daranno disponibilità
logistica o sostegno all'attacco all'Iraq. Sono emblematiche le dichiarazioni
di un membro del Governo Usa rispetto all'accordo firmato tra Usa e Arabia
Saudita. Tale accordo prevede l'appoggio della Arabia Saudita all'attacco
contro l'Iraq, consentendo però all'emirato di continuare a tenere
una immagine pubblica "di contrarietà all'attacco", comprendendone
ampiamente le motivazioni all'interno di un quadro di mantenimento di
una adeguata sicurezza interna nei confronti delle contraddizioni che
l'appoggio pubblico potrebbe generare.
Il 9 di settembre alcune migliaia di soldati Usa hanno lasciato la Giordania
dopo una serie di esercitazioni effettuate nel quadro del mantenimento
della sicurezza nell'area a fronte di una eventuale attacco all'Iraq.
Già nel mese di Agosto oltre 4000 uomini Usa e Gb avevano operato
esercitazioni nel paese. Fonti Giordane hanno prontamente affermato che
tali esercitazioni non avevano nessuna connessione con il problema Iraq.
Sono molte le fonti che attribuiscono alla Giordania un ruolo centrale
nel futuro attacco all'Iraq e come base di appoggio stabile per i militari
Usa. Ipotesi, prontamente smentita, dal ministro degli esteri Giordano.
Di fronte a ciò, alla fine del mese di settembre, il ministro degli
esteri ha continuato a ribadire la sua ferma opposizione all'uso delle
basi giordane da parte Usa e altri paesi impegnati nell'attacco all'Iraq.
Ma già nel mese di luglio secondo fonti diplomatiche è stato
firmato un accordo tra Giordania e Usa per l'utilizzo delle basi nel suo
territorio nel caso di attacco all'Iraq. Tornando indietro nel mese di
Maggio registriamo l'accordo di Usa e Gb per la costruzione di una base
per forze speciali nel deserto Giordano.
Secondo Haaretz esiste un piano segreto tra Giordania e Usa. L'accordo
prevede la garanzia Usa di provvedere all'eventuale fornitura di greggio
a buon prezzo, che la Giordania acquista dall'Iraq, nel caso della disponibilità
di consentire l'attacco alle basi lanciamissili irachene dal suo territorio.
Già nel mese di Agosto il ministro per l'energia Giordano è
stato costretto a smentire voci di contatti tra Giordania e Arabia Saudita
per la fornitura di petrolio nel caso di interruzione della fornitura
irachena.
Questo quadro, che potrebbe far prospettare un roseo panorama per gli
Usa e i suoi alleati nell'attacco all'Iraq, non rivela molto sulle perplessità
e le manovre che si sviluppano nell'area. E' proprio sul fronte della
coalizione che si determinano forti contraddizioni.
Non possiamo certamente collocare sullo stesso piano di scontro quanto
avviene tra Usa, Europa Cina e Russia, con quanto si sviluppa all'interno
dei paesi arabi e asiatici, ma la resistenza, almeno pubblica, degli stati
dell'area la dice lunga su quanto le condizioni oggettive, derivate dalle
risposte alla crisi da parte della borghesia usa, comincino a far paura
alle stesse borghesie arabe.
Nel mese di giugno, il Qatar ha siglato un accordo commerciale con l'Iraq
per implementare i loro scambi economici che consentirà di arrivare
al valore di oltre 200 milioni di dollari. In tale occasione, il ministro
del commercio del Qatar ha ammesso che l'Iraq sta firmando accordi come
questi con molti altri paesi dell'area.
Già dal mese di maggio alcuni organi di stampa dell'area parlavano
di accordi tra Iraq e Algeria sullo scambio di esperienze nel campo del
petrolio. Alla fine del mese di luglio, il governo Algerino ha dichiarato
la volontà di implementare fin da subito il suo commercio con l'Iraq
fino a raggiungere un volume di 300 milioni di dollari. Nello stesso mese,
il ministro degli esteri iracheno si è recato in visita ufficiale
nel paese con lo scopo di consolidare i rapporti tra i due paesi.
Nel mese di Maggio il ministro dell'industria iracheno ha svelato il piano
di sviluppo di un accordo di libero scambio con l'Arabia Saudita ed in
particolare per quanto concerne il settore industriale iracheno. Secondo
le dichiarazioni del ministro, il volume degli acquisti dall'Arabia Saudita
si aggirano intorno al miliardo di dollari. Ai primi di settembre si è
tenuta la prima fiera di prodotti sauditi a Bagdad che includeva l'esposizione
di prodotti elettrici e elettronici, costruzioni e prodotti farmaceutici
Nei primi di Luglio è stato firmato un accordo tra Giordania e
Iraq per il sostegno alle proprie economie. L'intento è quello
di assicurare la fornitura del petrolio iracheno alla Giordania. Così
è avvenuto anche tra Iraq e Siria. Il ministro degli esteri siriano
ha dichiarato che l'accordo prevede la fondazione di sette compagnie per
il settore di trasporto di terra e mare, fertilizzanti, petrolio e industria
avanzata.
Alla metà di settembre, un inviato del governo iracheno si è
recato in Marocco in visita ufficiale dove ha raccolto la solidarietà
del governo marocchino. Il re del Marocco, ha confermato gli ottimi rapporti
tra i due paesi, già in precedenza confermati dalla piena solidarietà
per le sofferenze del popolo iracheno a causa dell'embargo. Nel mese di
luglio il Marocco aveva ribadito la propria contrarietà all'attacco
all'Iraq e promosso l'accordo di cooperazione economica tra i due paesi.
Secondo un articolo uscito su Analisi Difesa l'Egitto, paese finora fondamentale
nello scacchiere di influenza americana, sta cercando ad ogni modo di
evitare il sostegno alla campagna contro l'Iraq. Secondo lo stesso "Dopo
aver perduto l'Arabia Saudita, paese che non solo non intende concedere
l'uso delle sue basi per operazioni contro l'Irak, ma sta stringendo con
Baghdad rapporti politici e commerciali sempre più stretti, gli
Stati Uniti stanno valutando anche la sempre più dubbia affidabilità
dell'Egitto. Il Cairo, pur incassando ogni anno oltre 2 miliardi di dollari
di aiuti americani per oltre la metà destinati alla Difesa (jet
F 16, fregate lanciamissili, tank M1 Abrams e altre moderne armi convenzionali)
sta perseguendo una politica che certo punta a riconquistare la tradizionale
leadership nel mondo arabo ma che cozza con la strategia statunitense
almeno sotto tre aspetti: la lotta al terrorismo, l'acquisizione di armi
di distruzione di massa e la nuova tensione con Israele". Prosegue
"Ad aumentare la diffidenza di Washington verso l'alleato ha contribuito
anche l'accordo firmato tra Il Cairo e Baghdad all'inizio di luglio che
permetterà all'Irak di esportare oltre 300 milioni di barili di
petrolio attraverso gli oleodotti egiziani (via Siria e Giordania) aggirando
di fatto le sanzioni dell'ONU che limitano l'export di greggio irakeno
agli accordi "oil for food". Infine, dopo le reiterate e poco
credibili smentite del Cairo, è stata confermata la fornitura dei
primi 24 missili balistici Nodong di produzione nordcoreana, giunti ad
Alessandria come prima tranche di un ordine formalizzato nel 2001 che
comprende 48 missili dotati di testata chimica e oltre 1.200 chilometri
di gittata, in grado quindi di colpire gran parte del Medio Oriente e
del bacino del Mediterraneo oltre ovviamente a Israele. Il riarmo strategico
egiziano, portato avanti nonostante le minacce statunitensi di bloccare
gli aiuti economico-militari, ha consentito a Mubarak di acquisire anche
tecnologia per lo sviluppo di armi chimiche e biologiche, di dare il via
ad un programma spaziale che prevede satelliti da osservazione e comunicazione
ed un programma nucleare che prevede la realizzazione, con il supporto
tecnico cinese, di un reattore in grado di produrre uranio arricchito
per uso militare.
La partecipazione attiva alla guerra da parte di Israele rende ancor più
forti le contraddizioni che si possono sviluppare nell'area, determinando
le condizioni per una situazione di forte opposizione all'imperialismo
all'interno degli stessi paesi arabi.
Israele si presenta così a svolgere un ruolo non più coperto
dal "diritto a difendersi" ma assume, come se prima non facesse
parte della sua strategia, l'attacco preventivo per garantire i suoi interessi
e la sua sicurezza.
Secondo fonti militari sioniste Israele non si limiterà ad intervenire
in risposta ad eventuali attacchi missilistici iracheni ma, secondo queste
fonti, dovrebbe occuparsi di individuare i nascondigli segreti di Saddam
, la sua famiglia, e i capi militari per eliminarli.
Nella fase attuale è necessario per Israele sfruttare al massimo
l'attuale clima internazionale, che da una parte gli consente di inasprire
la repressione nei confronti dei palestinesi, dall'altra di regolare i
conti nella sua guerra per il controllo delle risorse nell'area, ribadendo
la caratterizzazione parassitaria dello stato d'israele. I servizi segreti
sionisti hanno presentato un documento, come sempre non potendo fornire
le fonti, nel quale dimostrano il collegamento tra Arafat e Saddam Hussein
attraverso presunti finanziamenti per il sostegno delle famiglie dei martiri.
Il ministro degli interni israeliano, Gideon Ezra, ha ben chiarito come
"l'attacco all'Iraq consentirà di imporre un nuovo ordine
nei territori palestinesi senza Arafat".
Prosegue lo stesso ministro "...più l'attacco sarà
violento, più questo aiuterà Israele contro i Palestinesi
e l'attacco avrà sicuramente forti ripercussioni psicologiche sui
palestinesi stessi"
Israele attraverso il suo ministro della difesa, il laburista Weizman
Shiry, ha affermato che se l'attacco non avverrà in tempi brevi
sarà difficile attuarlo in futuro ribadendo che gli Usa riceveranno
tutto l'appoggio da Israele per l'attacco all'Iraq.
Yuval Steinitz, membro del Knesset's Foreign Affairs e Defense Committee
ha dichiarato che l'instaurazione di un governo filoamericano in Iraq
consentirebbe ad Israele di concentrarsi verso un altro nemico: la Siria.
"Dopo l'arrivo delle truppe americane, l'instaurazione di un nuovo
governo in Afghanistan e la futura occupazione dell'Iraq non sarà
difficile premere sulla Siria per l'interruzione del suo sostegno al terrorismo
islamico, per consentire all'esercito libanese lo smantellamento di Hezbollah,
per l'uscita della Siria dal Libano". Viene da fonti militari israeliane
il progetto di affiancare all'attacco all'Iraq il piano di attacco alle
infrastrutture militari di Hezbollah in Libano. L'intento di Israele è
chiaro: sfruttare a fianco del protettore americano la lotta al terrorismo
per ridisegnare una totale supremazia nell'area.
E' Israele il paese che maggiormente preme, dopo gli Usa e Gb, per un
attacco all'Iraq e dal quale ha già ottenuto i primi risultati
attraverso la fornitura di una enorme quantità di armamenti e missili
per il sostegno alle operazioni.
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