Senza Censura n. 8/2002
[ ] Lavoratori delle pulizie in lotta!
Pubblichiamo alcuni estratti del Dossier "Lotta Sporca" fatto nel marzo 2002
dal Collettivo per la Rete dei Lavoratori - Milano.
La lotta dei lavoratori delle pulizie ferroviarie è appena iniziata. Le vicende che hanno caratterizzato questa vertenza, durante la settimana che va dall'11 al 16 febbraio sono momenti di un percorso che sta proseguendo ora, tra l'altro, con il tentativo di coordinarsi autonomamente a livello nazionale.
Questa vicenda è parte integrante del processo di ristrutturazione complessiva delle ferrovie in Italia e in Europa, la lotta attuale si inserisce nel quadro delle risposte date dai lavoratori a questo processo.
È un passaggio della modificazione della composizione sociale dei lavoratori, nello specifico dei servizi, attraverso un processo di "rottamazione", come lo definì il governo di centro-sinistra, della forza lavoro con più anzianità di "servizio" e una immissione di giovani leve operaie autoctone, immigrate dal sud o da altri paesi, nell' industria e nei servizi.
È un aspetto della trasformazione del profilo contrattuale, del quadro di condizioni retributive e normative e non ultimo delle condizioni di lavoro delle "classi subalterne" che sta procedendo incessantemente.
La visibilità della lotta s'è avuta attorno alle 9 di Lunedì 11 con l'occupazione dei binari della Stazione Centrale di Milano. Si è sviluppata immediatamente "a macchia di leopardo" su tutta la penisola, articolandosi con le iniziative autonome prese nella propria realtà locale, fino all'accordo raggiunto con la proroga al 6 Maggio, previa relativa cancellazione degli scioperi già previsti per il 18 e 19 Febbraio.
Le azioni di lotta sono così scemate, con la convocazione delle assemblee relative alle presentazione dei contenuti dell'accordo, il giorno seguente.
La lotta, anche se più sotterranea, sta proseguendo, seppur con mille difficoltà, nel tentativo di sedimentare il salto di qualità fatto durante quei giorni, cercando innanzitutto di rispondere collettivamente alle provocazioni padronali, che mirano a rompere l'unità dei lavoratori.
Le aziende che sono subentrate cercano di risolvere con una trattativa per singolo lavoratore l'intera vicenda, incentivando i licenziamenti volontari, facendo pervenire lettere dal sapore minatorio. In queste lettere viene chiesto di presentarsi il giorno x alla tal ora, nella sede della nuova ditta che ha vinto l'appalto, per discutere della proposta dell'assunzione pena, l'irrevocabile rinuncio alla futuro reintegro presso la ditta vincitrice!.
La lotta prosegue anche contro le provocazioni del governo che ha attivato una commissione d'inchiesta per accertare eventuali "irregolarità" (sciopero non annunciato e blocchi vari) nello svolgimento dello sciopero, con l'intenzione di comminare pesanti pene pecuniarie ai lavoratori più attivi.
L'occupazioni dei binari, il monitoraggio delle stazione contro la possibilità di utilizzo, come successo in precedenza, di personale esterno o dipendenti di Treni Italia per la pulizia delle stazioni, il presidio dei punti fondamentali del traffico su rotaia, il blocco del traffico, oltre allo sciopero "bianco" (cioè il mancato svolgimento delle proprie mansioni rimanendo sul posto di lavoro) sono state forme di lotta intraprese per un breve, ma intenso, periodo di tempo.
Queste lotte senza alcuna forma di collegamento e coordinazione, hanno avuto una conseguenza visibile, amplificato dai media, involontari mezzi di comunicazione tra i lavoratori e stimolo alla riproducibilità delle azioni stesse, riempiendo le cronache dei giornali e i servizi dei telegiornali.
Lavoratori "manuali" vicini al licenziamento, di cui molti assunti con contratti a tempo determinato o interinali, tra cui molti proletari provenienti da ogni parte del globo, impiegati in un servizio esternalizzato, ad alta intensità di lavoro e con una bassa composizione tecnologica, hanno espresso direttamente la propria forza.
Sono usciti dall' invisibilità, rompendo, in parte, una equazione entrata nel senso comune dei lavoratori, ricatto=passività, mostrando come si lotta contro l'abbassamento delle condizioni di lavoro, contro i licenziamenti, contro la precarietà sociale.
L'incisività della loro azione è stata l'aver colpito un nervo scoperto di questa organizzazione sociale: i flussi di pendolari verso le aree metropolitane, aumentando la già latente congestione, come a Milano; hanno paralizzato, sedendosi sull'asfalto, un nodo fondamentale del traffico, come Porta Pia a Roma, mandando in tilt il sistema del traffico metropolitano, facendo cancellare 179 corse degli autobus, riducendone della metà 84, deviandone oltre 230; hanno presidiato la Galleria di Santa Lucia a Salerno sempre il 14, provocando la soppressione di tutti i treni diretti sia al Nord che al Sud.
Le forme di lotta si sono modellate sulle relazioni quotidiane che la cooperazione sociale sul posto di lavoro sviluppa: il lavoro di squadra. Hanno ribaltato l'organizzazione del lavoro contro aziende appaltatrici e Treni Italia, cercando poi di coordinarsi a livello cittadino a Milano, tra le varie realtà territoriali, per ottimizzare le azioni di lotta, e impedire l'uso di crumiri, facendo dei picchetti volanti una arma vincente.
Quest'arma è stata però spuntata sul nascere dai confederali che l'hanno congelata nelle calde stanze della Camera del Lavoro a Porta Vittoria.
Più intense sono le relazioni di comunicazione tra lavoratori, più intensa è la cooperazione sociale, più forte quindi è la partecipazione effettiva, cioè l'organizzazione diretta dei propri fini, sui "piazzali" e sui "parchi".
La giornata del blocco in stazione centrale si è contraddistinta per un continuo scambio di vedute, un confronto con i sindacalisti, una attenzione particolare a cosa stava succedendo nelle altre stazioni, con un orecchio alla radio e un occhio verso la televisione.
È partendo dalla propria realtà di lavoro, che cresce una forza effettiva in grado di dirigere la lotta, rompere le gabbie della contrattazione e esautorare le direzioni sindacali.
I bonzi sindacali si sono proclamati rappresentanti di una lotta che non hanno contribuito a sviluppare, che non hanno appoggiato e che hanno cercato di frenare, esaurendone la forza propulsiva, come nel caso del "dirottamento" - deciso in gran segreto, solo da loro, dell'appuntamento che i lavoratori si erano dati in segreto a Lambrate, mentre le forze dell'ordine credevano che fosse a Rogoredo, verso una inutile assemblea alla Camera del Lavoro a Porta Vittoria, assemblea utile solo a disorientare i lavoratori e renderli meno fiduciosi nelle proprie capacità di mobilitazione.
I sindacalisti di mestiere cercheranno sempre di appropriarsi della forza sociale dei lavoratori per trasformarla in loro forza contrattuale da spendere sui tavoli delle trattative al ribasso.
In questi giorni i lavoratori si interrogano sulla bontà o meno dell'ultimo accordo e più di uno sostiene che a Dicembre, a ridosso di Natale e Capodanno, si dovesse continuare la lotta per arrivare alle trattative al rialzo e non accettare invece la "mini" proroga fino a febbraio.
Questo è il loro compito, pompieri durante la lotta, compiacenti con la contro-parte durante le trattative, bugiardi nelle assemblee quando cercano di far passare le sconfitte per vittorie, e fare ingoiare l'ennesimo accordo bidone agli operai.
I lavoratori hanno sviluppato una adeguata intelligenza collettiva trovando nelle forme di lotta applicate, uno sbocco necessario alle altre manifestazioni di lotta, partendo dal proprio posto di lavoro, aggredendo il territorio immediatamente circostante.
Hanno saputo anticipare le scadenze, intervenendo per tempo, scavalcando le organizzazioni sindacali che avevano organizzato gli scioperi per il 18 e 19.
La lotta di classe non è una battaglia campale che inizia e finisce sul teatro dell'azione nel corso del suo svolgimento, certamente la sua efficacia immediata è quella sviluppata in un dato luogo, in un determinato momento, all'interno di un particolare contesto, ma le sue premesse e le sue conseguenze definiscono un processo più ampio.
Si scontrano due forze: una si è fatta le ossa nella quotidiana resistenza all'intensificazione dello sfruttamento, nell'auto-riduzione dei ritmi, nel rifiuto a compiere mansioni rischiose o usuranti o turni impossibili, producendo risposte che magari sono semplicemente solo una addizione di singoli comportamenti individuali che creano comunque rogne all'azienda.
È comunque in questo tiro alla fune ingaggiato con l'azienda, che chiede sempre quell'"in più" agli operai, che matura la coscienza della propria forza data dalla propria collocazione: le necessità dell'azienda diventano una potente arma di ricatto in mano ai lavoratori.
Stato e padroni e mass-media possono incassare il colpo, registrarlo e reagire di conseguenza attingendo dal loro arsenale, sfruttando ogni risorsa. Prima, durante la lotta isolano i lavoratori, facendo credere che il loro caso è un caso particolare all'interno del loro settore, proprio quando la loro condizione particolare, è una condizione generale.
La precarietà sociale diffusa è un territorio di frontiera, una no man's land in cui si incontrano giovani, e meno giovani precari, lavoratori soggetti a procedimenti di mobilità e cassa integrazione, meno prosaicamente al licenziamenti, le fasce meno tutelate del proletariato femminile tra precarietà nei servizi e lavoro domestico e naturalmente la forza-lavoro multinazionale arrivata nel breve-medio periodo in Italia.
Tacciano le forme di lotta di "inciviltà", e non come, parte di un processo di trasformazione verso una migliore forma di organizzazione sociale che si sedimenta in una comunità di lotta: lo sviluppo di rapporti sociali differenti, che sono il contenuto dell' autonomia proletaria. Attribuiscono le forme di lotta alla "disperazione" e non all'intelligenza collettiva che prende forma nel momento in cui deve dare uno sbocco efficace alla propria azione per renderla effettivamente incisiva. Il blocco sociale dominante copre la fragilità dell'attuale organizzazione complessiva della mobilità e la sua facile congestionabilità, perché sanno che il loro possibile uso operaio per estendere il conflitto è una arma potente.
Eccezzziunale veramente?
Veramente eccezzziunale!
Ovvero crisi del capitale
e azione autonoma di classe...
Cos'hanno in comune un lavoratore di una piccola azienda di un distretto industriale tra la Francia e la Germania che produce la Smart, un disoccupato piqueteros che vive in Argentina e un lavoratore delle pulizie ferroviarie a Milano?
Tutti questi lavoratori per dare uno sbocco positivo alla propria lotta bloccano il traffico di uomini e/o di merci in un punto vitale, hanno colpito le terminazioni nervose dei "poderosi" muscoli del capitale, gonfiati dagli steroidi dell'ideologia borghese e dalla precedente passività della classe.
Sono una manifestazione del cervello sociale in azione, della critica pratica dell'esistente, la propaganda del fatto, che la più grande forza produttiva della storia non è il capitale ma il proletariato checché ne dicano gli imbecilli e i rassegnati che pensano di avere a che fare con un mostro invincibile.
È significativo che in pochi mesi alcune città, tra le più importanti, di importanti paesi a capitalismo avanzato in Sud-America, in Europa e in Asia siano state piegate dall'azione dei lavoratori.
Gli scioperi in Argentina prima e dopo l'insurrezione del 19-20 Dicembre a Buenos Aires e non solo, lo sciopero dei lavoratori delle pulizie ferroviarie a Milano, Roma, Napoli, ecc., gli scioperi in Corea del sud, nelle ragioni che li hanno causati, nel contenuto positivo che hanno espresso e nelle forme che hanno assunto, l'inizio di un ciclo di lotte a livello internazionale, all'interno della manifestazione sempre più sincronica della crisi di accumulazione del capitale.
Che sia il taglio di costi di Treni Italia, la privatizzazione-ristrutturazione-razionalizzazione dei settori di proprietà statale in Corea del Sud o l'azzeramento totale delle prospettive di sopravvivenza per la maggioranza della popolazione, nell'avanzamento della crisi come in Argentina, il proletariato non ci sta a pagare i costi complessivi di questo sistema di produzione: quando irrompe sulla scena, non è più solo il capitale e la sua necessità di accumulazione a essere messa in crisi, ma il capitalismo come rapporto sociale ad entrare in crisi.
L'attuale ritmo di accumulazione e le condizioni necessarie che lo permettono, cioè il livello di integrazione e di sincronia a livello mondiale delle differenti parti della cooperazione sociale produttiva e distributiva e dei servizi, rendono questo "ingranaggio" particolarmente fragile, mentre gli effetti dell'azione dei lavoratori producono un effetto a catena sia a "monte" che a "valle" rispetto a dove è stato prodotto l'inceppamento. Se ogni anello della catena è al massimo della tensione per tirare il carro dei profitti capitalistici, la sua rottura, per la tensione accumulata, sarà particolarmente gravida di conseguenze.
Pensiamo all'effetto provocato dai blocchi autostradali, con l'annullamento del traffico su gomma, delle merci, durante i conflitti sul rincaro dei prezzi del carburante in Italia, Francia, Spagna e Inghilterra o nel corso di altre delicate vertenze negli anni passati.
Code ai valichi, fabbriche a cui non arrivano semi-lavorati da lavorare ulteriormente o prodotti da assemblare, merci che non possono essere immesse nel mercato...
Super-mercati i cui generi alimentari freschi cominciano a esaurirsi velocemente e a ruota, tutti gli altri prodotti, mentre alcuni generi alimentari non possono essere lavorati (latte e suoi derivati, ecc.)...
Stazioni di servizio che prosciugano in fretta il carburante, meccanici e quanti altri contribuiscono alla manutenzione, a cui manca quel 'pezzo' che hanno ordinato...
Cantieri a cui non arrivano cemento, calce, mattoni, sabbione, perché le scorte nei magazzini si sono esaurite, insomma, una bella porzione sempre più crescente di lavoratori costretti a stare con le mani in mano, mentre tutto va a rotoli, che lottano con le aziende che vogliono mandarli a casa senza rimborsarli completamente, o per niente!
Senza menarcela troppo, questa descrizione da un quadro in potenza di ciò che sarebbe potuto essere e di ciò che potrebbe essere se...Sommando una serie di fattori di criticità e connettendo le loro relazioni reciproche, avanziamo ipotesi sulle loro conseguenze reali e facciamo una previsione che non è aria fritta rispetto agli sviluppi di una vertenza particolare. Il fatto che:
- si produca ormai solo quello che si è sicuri di vendere e si distrugge o si fa marcire ciò che non si può vendere (come in agricoltura) e quello che deve essere consumato in fretta (rottamazioni di automobili, motorini, ecc.)
- che i polmoni di scorte nella catena produttiva da cui attingere in caso di mancata consegna di un prodotto siano minimi e che i magazzini siano sempre più luoghi di transito dei prodotti "in entrata" e "in uscita", che non luoghi di stoccaggio vero e proprio
- che la dilatazione dell'indotto trasformi quello che una volta era lo spazio che ci poteva essere tra capannone e capannone della stessa fabbrica nella distanza tra uno stabilimento ed un altro rende il capitale più fragile e relativamente più facile far salare la baracca...
[Per chi desidera il dossier completo, richiederlo a: rossoconte@hotmail.com]
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