Senza Censura n. 8/2002

[ ] Un conflitto in crescita

Analisi sullo scontro capitale/lavoro in Italia.

L'attuale fase del capitale a livello internazionale da un lato, e la situazione specifica della realtà italiana dall'altro, sono le possibili coordinate per comprendere l'attuale stato del movimento operaio e più in generale di quello dei lavoratori. Un movimento complesso ed eterogeneo che sta avendo una forte ripresa sia dal punto di vista del dibattito che dell'iniziativa di lotta. Ripresa che ha per ora avuto i suoi momenti culminanti con lo sciopero generale del 16 aprile e precedentemente con l'enorme manifestazione del 23 marzo a Roma. Questo movimento è caratterizzato dalla presenza sia di numerose strutture sindacali che possiamo dividere in due gruppi: il sindacato confederale (cgil-cisl-uil) ed il sindacalismo di base o alternativo; che di diverse realtà territoriali di coordinamento politico dei lavoratori che però si muovono quasi totalmente in uno spazio sociale delimitato, la città o la regione di riferimento.
L'azione del movimento dei lavoratori ha avuto una forte ripresa determinata in buona misura dall'insediamento dell'attuale governo di centro-destra e dalle manovre che questo sta introducendo a partire dalle leggi delega su alcune questioni nevralgiche come la riforma dello statuto dei lavoratori (art.18 sui licenziamenti senza giustificato motivo), il sistema pensionistico, l'introduzione di ulteriori forme di flessibilità e nuove figure lavorative precarie. La sintesi del progetto governativo è racchiusa in parte nel testo presentato dal ministro per il welfare Maroni denominato "Libro Bianco" che fa proprie le esigenze del padronato italiano ma anche si allinea alle direttive che vengono indicate a livello internazionale da organismi quali l'Ocse e riprende le tesi che a livello comunitario europeo sono apparse nella "Carta di Nizza" (sono ben 16 i riferimenti a questo accordo presenti sul libro bianco). Ancora a fine aprile l'esecutivo UE invitava il governo italiano sul tema dell'occupazione a puntare alla "piena attuazione del recente pacchetto di riforme del mercato del lavoro" per "aumentare la flessibilità" con l'obbiettivo di facilitare l'accesso al lavoro, rimarcando che molto resta da fare e nuove iniziative sono necessarie. (il sole-24ore 20 aprile). La Commissione UE chiede fra l'altro l'introduzione di forme di elasticità dei salari a seconda delle aree geografiche (le cosidette "gabbie salariali") e pone molta attenzione al tema della formazione legandola ad una maggiore presenza del settore privato nella ricerca e sviluppo.
E' utile evidenziare come la gestione politica da parte di un Esecutivo dichiaratamente filo-padronale faccia in parte da detonatore di questo nuovo ciclo di lotte del movimento dei lavoratori. Non dobbiamo però scordarci come con le mobilitazioni di massa sfociate nel 1994 in diversi scioperi e con l'invasione delle strade romane di più di 1 milione di persone alla proposta dell'allora primo governo Berlusconi di riforma del sistema pensionistico il governo cadde, ma nelle successive elezioni il nuovo Esecutivo di centro-sinistra che lo sostituì varò con il ministro Dini una riforma tanto peggiorativa delle pensioni. Non solo, nell'era Prodi-D'Alema passarono tra l'altro il pacchetto Treu con l'introduzione del lavoro interinale, numerosi contratti di settore che introducevano sempre più forme di precarietà lavorativa e riduzione dei diritti (fra i quali quelli di sciopero), e la grande stagione delle privatizzazioni. La situazione politica è sicuramente cambiata, la caduta dell'attuale governo sembra molto difficile poiché il sistema maggioritario permette all'Esecutivo una certa stabilità che può essere rovesciata solo con un conflitto sociale molto alto.
Questo dovrebbe aprire una riflessione all'interno della base del sindacato e più in generale fra i lavoratori sulla possibile alternativa all'attuale governo, in un quadro politico nazionale che vede tutte le forze istituzionali interne ad una visione capitalista della società per di più in una situazione dove i margini di riforma sono sempre minori non solo per volontà dei padroni ma per oggettive condizioni economiche, appunto la crisi.
Occorre avere come obbiettivi oltre alla parola d'ordine di battere il governo quella di far vivere, crescere e sedimentare contenuti e forme che sappiano opporsi all'allargamento della precarietà, diventare baluardo di resistenza ai licenziamenti ed alle ristrutturazione e porre concretamente contenuti di trasformazione e di acquisizione di una consapevolezza di classe che faccia proprie l'antagonismo e l'inimicizia dei lavoratori verso i loro sfruttatori.
L'apparato dirigente del più importante sindacato confederale, la Cgil, appartiene in toto ai due maggiori partiti della sinistra riformista italiana, i DS e in subordine Rifondazione Comunista, e questo da solo dovrebbe ben chiarire quali siano le ragioni e le prospettive che li muovono. Non a caso una possibile proposta avanzata per dare continuità alle mobilitazioni sfociate nello sciopero generale è quella referendaria. Non possiamo non esimerci dal criticare come questa scelta sia perdente perché sposta tutta la mobilitazione dai luoghi dello sfruttamento e dalle strade all'interno di uno schema totalmente istituzionale togliendo potere decisionale ai lavoratori, aprendolo ad una decisione interclassista. Inoltre occorre ricordare che il referendum del 1982 per la scala mobile ha portato alla sua abolizione. Certamente la situazione è mutata e le mobilitazioni di questo anno ne sono dimostrazione.
Eppure qualcosa si muove. L'ampiezza della mobilitazione messa in campo apre la possibilità a voci critiche di essere presenti e visibili sia durante i cortei che nei momenti assembleari all'interno delle fabbriche e nei congressi di zona. Dobbiamo però evidenziare come la capillarità della presenza nei luoghi di lavoro, l'enorme disponibilità di funzionari, permettono alla Cgil di essere ancora oggi la sola forza in grado di sviluppare una larga mobilitazione, di costruire sia iniziative dispiegate sul territorio come gli scioperi di fabbrica e di zona sia iniziative a carattere nazionale. Su questo terreno il sindacalismo di base non è riuscito a divenire reale forza di riferimento per i lavoratori sia per l'enorme frammentazione al suo interno sia per la mancanza di strutture organizzative forti, ad esclusione di alcuni settori come quelli del pubblico impiego e della scuola o di alcune aree geografiche. Molto spesso il sindacato di base si caratterizza più sulla (seppur giusta) critica con quello confederale, sulla questione delle "tessere", ma in generale risulta la copia con contenuti più radicali delle organizzazioni da cui fuoriesce e nasce. Molto spesso prevale un chiudersi attorno alla propria organizzazione di appartenenza perdendo di vista e sottovalutando le spinte e le indicazioni che giungono dalla base dei lavoratori, che portano forme di lotta e rivendicazioni radicali, ma che vengono ricondotte nella dimensione della co-gestione pacifica e della concertazione sindacale dall'abilità dei vari burocrati. E questo è molto più facile che avvenga quando diventa latente l'incontro e la solidarietà attiva fra i lavoratori in lotta e le soggettività e le esperienze di critica di classe più avanzate.
E' utile constatare come le pressioni dei lavoratori hanno fatto in modo che anche all'interno della Cgil siano presenti esperienze, anche organizzate, che si pongono in modo critico verso le scelte della dirigenza, una di queste è senza dubbio l'area del coordinamento nazionale rsu che si è fatta promotrice di assemblee tese alla costruzione di una piattaforma rivendicativa unitaria aperta ad altre sigle, che andasse oltre la sola difesa dell'art.18 ma si spingesse per l'ampliamento dei diritti a tutta quella enorme fascia di lavoratori attualmente esclusa (tutto il precariato, i lavoratori di ditte sotto i 15 dipendenti ecc.) e spingendo per la definizione di una piattaforma rivendicativa più generale arrivando ad aderire allo sciopero generale del 15 febbraio 2002 indetto dal sindacalismo di base (per una volta compatto su una scadenza).
Ma cosa chiede la Confindustria? Essenzialmente la politica di Confindustria mira ad una costante riduzione del costo del lavoro che si traduce principalmente nell'abbassamento dei salari ai lavoratori sia nella loro forma diretta (lo stipendio) sia indiretta (attraverso la diminuzione dei carichi fiscali). Le imposte che pagano in meno le imprese contribuiscono ai tagli dello stato sociale. Nel manifesto europeo di Confindustria presentato nel febbraio scorso appaiono due parole chiave: flessibilità e liberalizzazioni. Si indicano come necessarie per il mercato del lavoro la riduzione del carico fiscale sul lavoro e l'aumento della flessibilità e della capacità di adattamento. In questo quadro dice Antonio D'Amato "..la riforma dell'art.18 può rappresentare l'inizio di un percorso di flessibilità importante, anche se sono molte altre le innovazioni che vanno fatte..." A sostegno di queste richieste interviene l'operato del governo che partendo dalle indicazioni contenute nel "Libro Bianco" ha varato un disegno di Legge Delega sul mercato del lavoro collegato alla Finanziaria 2002 che permette di annullare definitivamente gran parte dei diritti dei lavoratori. Questo disegno legge costituisce una svolta decisiva nella storia del diritto al lavoro. L'intero diritto del lavoro viene stravolto: dalla tutela del lavoro si passa all'istituzionalizzazione della precarizzazione. Si estendono sempre più i rapporti di lavoro a termine e determinati ed in generale i contratti atipici tanto da rendere superfluo anche l'art.18 che potrà divenire tutela solo per una fascia residuale di lavoratori.

Riportiamo di seguito in modo sintetico i punti della proposta di legge.
Collocamento. Viene abrogata definitivamente ogni norma residua sul collocamento pubblico e si affida ogni attività di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro a soggetti privati.
Abrogazione della legge 1369/60 che vieta l'intermediazione di manodopera. Si riconosce la liceità del trarre profitto dal lavoro altrui, attraverso una vera e propria attività di interposizione, che non sarà necessariamente temporanea, come avviene per il lavoro interinale, ma teoricamente permanente. Questa viene chiamata somministrazione, nasce la figura del commerciante di lavoro altrui. Il lavoratore viene sempre più parificato a merce.
Modifica dell'articolo 2112 C.C. Viene disposta l'eliminazione del requisito dell'autonomia funzionale del ramo di azienda preesistente al trasferimento. In sostanza qualunque pezzo di un'azienda, sia e non sia autonomo, potrà agevolmente essere ceduto all'esterno, insieme con i dipendenti relativi, senza alcuna possibilità di opporsi alla cessione.
Revisione delle misure di inserimento al lavoro non costituenti rapporto di lavoro. Si possono inserire al lavoro, per periodi da un mese a un anno, persone che dovranno lavorare normalmente, ma nei cui confronti non potrà applicarsi alcuna norma di tutela, non essendo essi titolari di un rapporto di lavoro.
Modifiche del part-time. Si intende eliminare ogni limite all'effettuazione di lavoro straordinario o supplementare nel part-time. Vengono inserite forme flessibili ed elastiche nel part-time verticale e misto. Tutto questo senza che sia indispensabile il consenso del lavoratore.
Lavoro a chiamata. Viene introdotta la figura di lavoratore intermittente, a scelta non sua ma del datore di lavoro. Il lavoratore deve restare a disposizione, ma gli verrà pagato solo il lavoro effettivamente prestato. Potrà percepire un'indennità di disponibilità. (La Zanussi aveva cercato di inserire il job-on-call nell'ultimo contratto ma è stato bocciato dai lavoratori).
Rapporti di lavoro interinale e contratti a termine. Potranno essere stipulati appositamente per la copertura delle quote obbligatorie di assunzione di lavoratori disabili e appartenenti alle categorie assimilate.
Lavoro a progetto e a programma. Possono essere stipulati contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche per una brevissima durata.
Buoni lavoro. Viene prevista l'ammissibilità di prestazioni di lavoro occasionale attraverso la tecnica di buoni corrispondenti a un certo ammontare di attività lavorativa. Nasce così la professione del negoziante che vende ore di lavoro altrui.
Job-sharing. Viene introdotta la ammissibilità di prestazioni ripartite fra due o più lavoratori, obbligati in solido nei confronti del datore di lavoro, per l'esecuzione di un'unica prestazione lavorativa.
Certificazione dei rapporti di lavoro. Le parti (datore di lavoro e lavoratore) prima di instaurare un rapporto potranno comparire avanti a un'apposita Commissione per dichiarare la natura del rapporto che andrà a costituirsi. La procedura è volontaria ma la ricattabilità di un disoccupato è evidente. Questa dichiarazione serve a prevenire eventuali vertenze future del lavoratore.
Sospensione dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Viene eliminata la reintegrazione del lavoratore in caso di licenziamento ingiustificato e sostituita con un risarcimento. Questa deroga interessa, per ora, tre tipologie:
a) rapporti di lavoro regolarizzati a seguito di misure di riemersione dal lavoro nero
b) lavoratori assunti a termine il cui rapporto venga trasformato a tempo indeterminato
c) lavoratori di imprese sotto i 15 dipendenti che abbiano superato, per effetto di nuove assunzioni, questa soglia.
Arbitrato. Vengono sostituiti i giudici del lavoro da Collegi o Camere Arbitrali che decideranno sulle controversie secondo "equità" e non secondo leggi o contratto. Il lodo arbitrale non sarà appellabile.

Di questa opera di superamento delle "rigidità operaie" abbiamo tracce nell'accordo del luglio '93 e nello Statuto dei Lavori dell'allora ministro del lavoro Treu (ora responsabile economico della Margherita). Politiche di riforma del lavoro trasversali alle forze politiche ma che hanno visto come primi attori le forze di centro-sinistra e che hanno fatto dire ad un sindacalista della Uil durante un convegno della Luiss qualche mese fa: "..il libro di Treu ...ci indica la strada, quella di un riformismo vero, da attuare con la concertazione perchè c'è l'assoluto bisogno di fissare una griglia di diritti per quei lavoratori che ne sono ancora privi..". Stiamo in effetti assistendo a cosa si riferiscono questi riformismi: all'applicare liberamente contratti a termine, lavoro interinale, part-time, collaborazioni coordinate e continuative ecc. Ma qui si fa riferimento ad un altro elemento che ha caratterizzato l'agire dei precedenti governi e dei sindacati confederali, la politica della concertazione.
Su questo tema lo stesso Governo Berlusconi forte di un'enorme maggioranza parlamentare cerca di trovare un superamento del vecchio patto concertativo e di imporre direttamente quelle politiche necessarie al padronato, per far fronte alla competizione oramai globale e utili alla ripresa di un ciclo di accumulazione, che come abbiamo visto sono indirizzate a colpire ed indebolire i lavoratori.
Dice il presidente del Senato Marcello Pera che la corporativizzazione degli interessi sociali è l'ultimo ostacolo che si frappone alla piena realizzazione di quel processo che ha visto negli ultimi tempi in Italia "l'affermarsi del sistema maggioritario, l'alternanza di governo e la fine (o perlomeno un suo notevole indebolimento) del consociativismo politico".
Ma sappiamo che quello che fa parlare così padroni e governo è l'incombenza della crisi (ricordiamo come gli Usa stanno vivendo una forte recessione così come l'economia del Giappone è in stagnazione e in depressione ormai praticamente da un decennio e queste sono le due principali potenze economiche mondiali) mentre il sindacato confederale e i partiti della sinistra riformista sono ancora ancorati all'illusione di poter negoziare, di poter ancora cogestire lo sfruttamento dei lavoratori ora che non esistono più spazi di mediazione.
E' proprio questa linea concertativa che ha condannato il mondo del lavoro alla subordinazione agli interessi del capitale, anche da un punto di vista culturale. Il muoversi in un quadro di compatibilità, il ricercare coscientemente contratti che si configurassero conformi ai criteri imposti dagli accordi di Maastricht hanno introiettato nei lavoratori gli stessi ideali dei loro padroni.
E' su questo fronte, della rottura di un patto sociale neo-corporativo, della negazione della politica della concertazione, che si è sviluppata una linea di demarcazione di classe che ha investito parte della stessa Cgil e tutti i sindacati di base. Un punto di vista di classe che se diviene punto di una progettualità politica e momento di una ricomposizione politica delle diverse anime del movimento dei lavoratori permette il consolidamento di una coscienza di classe autonoma ed indipendente dalle istituzioni statuali.
Il "rompere con la concertazione" è stato sicuramente un tratto di congiunzione fra le realtà organizzate dei lavoratori ed il più ampio movimento antiglobalizzazione e/o rivoluzionario; cosi come per la guerra scatenata contro l'Afganistan, che ha visto mobilitarsi in opposizione sia il sindacato di base che il movimento, ma non ha visto nessun segnale da parte di quelle forze sindacali e politiche che proprio per la loro adesione al sistema capitalistico hanno in passato promosso ed autorizzato la guerra nei Balcani ed ora tacciono su quelle ancora in corso.
Ancora una volta una visione miope e di parte che non riconosce come la guerra imperialista rivolta all'esterno sia la stessa cosa della guerra che viene sviluppata all'interno contro i lavoratori, che sono i lavoratori a dover pagare i costi di questa guerra attraverso misure economiche che ne peggiorano le condizioni, politiche di guerra che giustificano l'aumento della repressione ed il controllo del dissenso.
La guerra imperialista è la necessaria risposta che gli stati hanno dato e continuano a dare come sbocco alla crisi del sistema capitalistico.
Possiamo sintetizzare in alcuni punti principali le parole d'ordine che hanno mosso questo ampio movimento:
- lotta alla precarizzazione e flessibilità del lavoro
- difesa delle conquiste e dello "Statuto dei Lavoratori" e ulteriore allargamento dei diritti a chi oggi non è tutelato (lavoratori atipici, piccole aziende, cooperative)
- questione salariale iniziando a rivendicare retribuzioni a livello degli altri paesi europei
- difesa delle pensioni e opposizione alla riforma privatistica tesa allo sviluppo di un sistema di Assicurazioni private
- opposizione alla guerra.

E' comunque ancora poco presente e limitata l'attenzione alle dinamiche trans-nazionali ed al ruolo che hanno gli organismi internazionali della borghesia. Molto spesso avviene una critica degli attuali processi di globalizzazione parziale e con un approccio solidaristico verso i paesi più poveri.
Avviene una delega al "movimento no-global" di rappresentarne l'opposizione innescando una separazione tra lotta immediata e lotta generale.
Sono poi ancora mancanti o quantomeno pochi i momenti di confronto a livello europeo e internazionale. Solo le organizzazioni sindacali confederali hanno avviato un lavoro di formulazione di piani di intervento a livello comunitario.
E' tuttora debole sia a livello qualitativo che quantitativo la forza del movimento rivoluzionario. C'è la necessità di un radicamento là dove avviene lo sfruttamento, nei luoghi della produzione. Occorre estendere l'internità di una soggettività rivoluzionaria che sia da contributo attivo per superare la divisione fra lotta sindacale e lotta politica, anche qui fra particolare e generale.

Siamo comunque in presenza di un movimento che si sviluppa a partire dalle profonde contraddizioni che attraversano il mondo del lavoro, ridando forza ad un conflitto di classe che era stato solo assopito e anestetizzato. Che si confronta con la necessità di coniugare da parte padronale profitto e sfruttamento attraverso un organizzazione del lavoro che deve imporre flessibilità e precarietà e la vuole imporre attraverso forme contrattuali, salariali, e di orario sempre più diversificate. Accanto a tutto ciò viene dispiegato un attacco alle avanguardie di fabbrica, si ricerca una regolamentazione per restringere il diritto di sciopero, si sviluppa un'offensiva culturale per dividere i lavoratori cercando di contrapporre lavoratori fissi a precari, italiani ad immigrati, giovani ad anziani.
E' dalla viva contraddizione fra capitale e lavoro che prende corpo una composizione di classe frutto della nuova organizzazione produttiva e delle ristrutturazioni passate.
Giovani lavoratori interinali che entrano nelle fabbriche, per lo più del settore metalmeccanico, come ad esempio nel gruppo Fiat e sviluppano cicli di lotte. La new-economy che si presenta per chi vi lavora come un falso miraggio, con i primi licenziamenti alla Virgilio, a Blu, nei call-center come Atesia. E nelle manifestazioni occupano sempre maggiore spazio e visibilità nuove figure, sia di una nuova generazione che non ha più il mito del posto fisso e dell'attaccamento all'azienda, sia di lavoratori immigrati. Ed è proprio l'espressione del bisogno di emancipazione sociale di questi lavoratori una delle risorse più feconde dell'attuale movimento.
Se questo è lo scenario possibile, dare continuità alla mobilitazione generale contro le manovre del governo significa necessariamente tendere verso un processo di ricomposizione di un fronte di classe unitario che sappia rispondere sia all'attacco portato alle condizioni di vita della classe nel suo complesso che gettare le basi per un percorso possibile di trasformazione sociale.


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