Senza Censura n. 8/2002
[ ] Palestina e Movimento
Qualche riflessione sulle mobilitazioni di questi mesi in solidarietà con la Palestina.
In questi ultimi mesi la questione della solidarietà con la lotta del popolo palestinese ha occupato l'attività di moltissimi compagni e compagne, sia sul piano locale che su scala nazionale.
L'impressione è che non siano state solo le terribili immagini passate dai media a "smuovere" le coscienze sopite da tanto tempo sulla questione specifica: ci è sembrato che molta dell'energia e della tensione sviluppatasi provenisse dall'immediato riconoscimento, nella causa palestinese, di una delle più enormi ingiustizie provocate dal sistema "globalizzato" del capitale.
E' stato come se, d'un tratto, una buona parte delle persone che nei mesi precedenti si erano ritrovate a scendere in piazza a Napoli, a Genova, interrogandosi ognuno secondo la propria cultura e/o coscienza politica sulla possibilità di affermare un modo diverso di intendere il mondo, avesse riconosciuto senza esitazione nella lotta del popolo palestinese un altro "fronte", anche se più estremo, della propria lotta.
E lo stesso dicasi, del resto, per le aree di più specifica collocazione sindacale: impegnate in questi mesi su molti fronti di opposizione alle strategie del padronato nostrano ed internazionale, hanno dimostrato una inaspettata attenzione alla questione palestinese, caratterizzando spesso molte delle proprie piazze su parole d'ordine decisamente inusuali, almeno per questi ultimi anni.
Che non si sia trattato solo di una questione "emozionale", infine, lo si può capire dalla "qualità" politica di ciò che si è espresso in questi mesi e dalla relativa facilità con cui è stato superato il pantano in cui si era in precedenza invischiato il dibattito politico, anche all'interno delle stesse aree "antagoniste", su tutta la faccenda: il processo di pacificazione.
Un processo su cui già molto si è detto, e su cui l'unica considerazione che ancora, forse, può essere utile fare è quanto abbia "anestetizzato" in questi anni la coscienza critica di interi spezzoni di classe che buona pace aveva trovato in quelle strette di mano sui prati dei padroni del mondo: speriamo almeno che possa servire a futura memoria!
La cristallizzazione, se così si può dire, di questa situazione in crescita è stata sicuramente la manifestazione del 9 marzo a Roma, dove, inaspettatamente per i più, decine di migliaia di persone si sono ritrovate su parole d'ordine decisamente "avanzate", imbarazzanti perfino per molti burocrati di Rifondazione o dei Social Forum, che infatti di tutto hanno fatto fuorché sostenere quella scadenza, contrastando in ogni modo il dignitoso e umile lavoro del Forum Palestina.
Decine di migliaia di persone che hanno ritenuto sacrosanto riprendere le parole d'ordine dell'Intifada su questioni strategiche come quella dei rifugiati o degli insediamenti sionisti, mettendo definitivamente una pietra sulle ambiguità del processo di pace; e questo indipendentemente da chi la organizzava o da quel che esprimevano le proprie rispettive "leadership".
Noi pensiamo che questi segnali siano importanti e vadano colti.
E non perché crediamo che da qui si possano costruire chissà quali passaggi (come alcuni solerti compagni dalla vista acuta e lungimirante hanno già tentato di ipotizzare): probabilmente la forma "a rete" proposta dal Forum Palestina resta il metodo più adeguato.
Del resto, l'evidente calo di tensione delle ultime settimane (nonostante in Palestina non si siano certo sistemate le cose...) è la più concreta dimostrazione del fatto che probabilmente nessuno può avere in questa fase la capacità di "sintetizzare" in progettualità organizzate quello che, lungi dall'essere un movimento dai contorni ben definiti, altro non rappresenta se non il risultato di un restringimento oggettivo, dal punto di vista individuale e politico, degli spazi di mediazione e di riformabilità della realtà. E' il frutto della disillusione nei confronti di ogni politica ipocrita e nello stesso tempo segnala una crescente consapevolezza del proprio ruolo storico e sociale all'interno di questa società, in una fase in cui la crisi comincia a farsi sentire pesantemente su spezzoni sempre più ampi di popolazione.
Ci possono essere, e ci sono stati, dei momenti in cui questa realtà diffusa ed articolata si materializza e si rende visibile attorno ad alcune parole d'ordine, soprattutto attorno a dei momenti di "autocelebrazione", le grandi manifestazioni di piazza; ma poi nel quotidiano, nel locale, per lo più si riallontana dagli ambiti militanti e torna a disperdersi nel microcollettivo, se non nell'individuale.
Di questo se ne stanno accorgendo, loro malgrado, anche i vari leaderini più o meno radicali, che pure sulla presunta capacità di "rappresentare" questo movimento hanno costruito la loro spendibilità politica negli ultimi mesi. E parlano di crisi.
Lasciamo volentieri in mano ai "signori della Politica" (più o meno antagonisti, più o meno di sinistra) i propri deliri di rappresentatività.
Il problema a nostro avviso non è la leadership di un presunto "movimento"!
Il nostro problema reale in questo momento è quello di riuscire a trovare i modi e le forme per riuscire a mantenere il più possibile la posizione e non arretrare su ciò che di positivo si è espresso dopo anni.
E di qui deriva l'importanza di una esperienza come quella delle mobilitazioni sulla Palestina.
Se l'Intifada è riuscita là dove il lavoro militante di pochi piccoli collettivi in questi anni non era arrivato, questo patrimonio và salvaguardato e difeso.
Se la forza della lotta del popolo palestinese e delle sue organizzazioni rivoluzionarie ha saputo strappare a caro prezzo ogni velo di ambiguità sulle reali intenzioni delle politiche imperialiste nell'area, è un nostro dovere politico riuscire ad amplificare e a difendere questo messaggio.
Va difeso nei contenuti, va difeso nella qualità, va difeso per quello che rappresenta, su questo come su tanti altri terreni.
Va difeso evitando di farlo ricadere nelle logiche accomodanti dell'opportunismo demagogico e pacifista, valorizzando in ogni modo quelle componenti di sinistra dello stesso movimento arabo che sono riuscite a riconquistare, anche in Italia, uno spazio di agibilità nelle scadenze, nei dibattiti, nelle iniziative di questi mesi.
Non sarà un lavoro semplice né scontato.
La controrivoluzione è molto attenta e precisa su questo piano: non è un caso che mentre in tutta Europa vengono a crearsi gli spazi politici per valorizzare dei punti di vista avanzati sulla questione palestinese e in generale sull'intera area, l'Unione Europea "certifica" il limite delle compatibilità inserendo nelle proprie liste nere delle organizzazioni cosiddette terroristiche buona parte delle organizzazioni rivoluzionarie (molte ovviamente di sinistra) che rappresentano un riferimento per lo scontro di classe in Palestina e in molte altre zone del pianeta.
Anche questo sarà un aspetto che a nostro avviso dovrà caratterizzare la continuazione del lavoro politico sulla Palestina e che è destinato ad avvicinare sempre più le problematiche dell'agire politico rivoluzionario di organizzazioni, gruppi, militanti di ogni parte del mondo con quello delle istanze di classe che vanno sviluppandosi all'interno della "Fortezza Europa" nell'era della "guerra duratura" contro ogni rivoluzione.
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