Senza Censura n. 8/2002
[ ] Turchia: tra volontà di potenza e crisi economica
Il controllo degli Usa nello stato cerniera dell'Eurasia.
La Turchia, membro NATO fin dal 1952, ha ricoperto da quel momento in poi il ruolo fondamentale di argine e fortezza rispetto alla crescita dell'influenza sovietica nell'area euroasiatica.
Questa importanza strategica ha trasformato la Turchia in uno stato militarizzato, teatro di numerosi colpi di stato, l'ultimo nel 1980, che hanno bloccato qualsiasi ipotesi di cambiamento sociale del paese.
L'imperialismo nordamericano infatti non poteva consentire che lo stato che doveva fare da argine al comunismo da una parte e cane da guardia verso il mondo arabo dall'altra, potesse solo avere uno sviluppo democratico tale da mettere in difficoltà la tutela degli interessi USA nella regione.
L'esercito turco è diventato così il secondo esercito della NATO in termini numerici (oggi conta oltre 700.000 uomini), il reale detentore del potere politico con una notevole influenza nell'economia costituendo vere e proprie holding che hanno mantenuto con il tempo stabili i loro interessi.
La Turchia è tra i maggiori paesi importatori di armamenti: è al terzo posto nel mondo per quanto riguarda l'importazione di grandi sistemi d'arma.
Sono inoltre tra i principali clienti degli Stati Uniti. La Turchia compare tra i primi dieci importatori mondiali di armi e attrezzature dagli Usa. Va considerato che se nei primi posti della graduatoria figurano paesi come il Giappone, la Gran Bretagna, la Germania, il cui interscambio in questo settore è legato anche ai rapporti che ci sono all'interno dell'Alleanza atlantica, seguiti dall'Arabia Saudita, che paga per la guerra del Golfo una bolletta di 63 miliardi di dollari di importazione di armamenti, subito dopo ci sono l'Egitto e la Turchia. Non a caso i paesi cardine della strategia statunitense nel Medio Oriente e nel Golfo Persico. La Turchia, dall'80 all'89 era beneficiaria di sovvenzioni da parte degli Usa. In altre parole gli Usa pagavano per le esportazioni delle loro armi al paese asiatico. Di fatto il governo turco riceveva come sovvenzione questi armamenti.
Questo fino all'87. Poi dopo la fine della guerra fredda, la Nato si è data una strategia, l'importazione è cresciuta, le sovvenzioni sono calate, mentre sono aumentati i prestiti commerciali che devono essere pagati. Fino al '96 questa tendenza è stata confermata, addirittura dal '93 in poi le sovvenzioni sono scomparse, mentre il livello di acquisizione degli armamenti è rimasto alto, cosa che è la le principali cause della debolezza economica e dell'enorme indebitamento turco.
Da un punto di vista strategico la dissoluzione dell'URSS sembrava offrire ai turchi l'occasione per allargare la propria influenza nell'area verso gli ex stati sovietici, molti turcofoni o con una forte presenza di popolazione di origine turca interna, che faceva sognare dei tempi dell'Impero ottomano.
Nel 1991 Ankara è stata la prima a riconoscere prima l'Azerbaigian, poi in blocco tutte le ex Repubbliche sovietiche originate dal summit di Minsk, aspirando a capovolgere a proprio vantaggio la rottura degli equilibri nell'area, attrezzandosi per poter svolgere quel ruolo che il panturchismo ha sempre rivendicato come obiettivo.
Ma presto la leadership turca ha dovuto fare i conti con una torta che USA e UE fanno già fatica a spartirsi, mentre nuove potenze regionali come l'Iran aspirano ad avere un impegno importante.
Gli Stati Uniti hanno infatti gestito in proprio tutto l'aspetto militare, stabilendo le prime basi militari in Uzbekistan ed a seguire negli altri stati caucasici con la determinazione di essere il gestore principale di fronte a Cina, Russia ed Iran degli interessi strategici legati all'area asiatica..
La guerra contro l'Irak , se ha evidenziato come, a equilibri cambiati, l'importanza strategica per gli USA e l'Europa non potesse affatto diminuire, ha ulteriormente danneggiato la Turchia nei suoi rapporti con il mondo arabo, la cui rottura arriverà poi nel '96 per l'accordo formale con Israele e con la esclusione dalla Conferenza dei Paesi Islamici. Il successivo embargo verso l'Irak ha fatto perdere all'economia turca un importante partner commerciale con cui aveva un volume di affari di oltre 6 miliardi di dollari nel 1990, che solo recentemente dal 2000 in poi ha ripreso a funzionare. Nel 2001 il volume degli interscambi era sul miliardo di dollari e nell'arco dei dieci anni le perdite economiche sono state notevoli.
La Turchia, da bastione anticomunista, nell'ultimo decennio ha trasformato il proprio ruolo a cerniera tra l'Europa e l'Asia. Fedele alleato degli interessi nordamericani, che controllano attraverso investimenti indiretti e, avendo in mano insieme alle imprese europee, l'economia reale turca, quindi tengono in mano l'oligarchia al potere, non riuscendo a diventare a sua volta un investitore estero significativo nonostante le potenzialità notevoli che possiede, si è limitata appunto a ruolo di ponte o di passaggio tra l'Eurasia, con la capacità al più di stabilire relazioni culturali con gli stati caucasici attraverso trattati di amicizia dove il ruolo delle imprese turche (molto poche quelle con capacità di operare all'estero) è assai limitato.
Gli interessi degli Stati Uniti e della UE nell'area sono stati prioritariamente cercare di mantenere la Russia isolata rispetto alle sue ex province e tagliarla fuori dalla gestione degli interessi economici legati alle risorse naturali ed al loro trasporto.
Con la guerra del Golfo gli USA si sono piazzati stabilmente anche militarmente nella regione, con basi militari ed un rafforzato ruolo di paese guida degli interessi delle oligarchie locali come le dinastie saudite e giordane, appoggiando il regime dei talibani con l'obiettivo di formare un corridoio che dall'Afganistan, dal Pakistan, attraverso i paesi del mar Caspio e quindi la Turchia unisse le economie dei paesi dell'Asia centrale con l'Europa sotto la sua direzione evitando le interferenze di paesi come India, Cina ed Iran oltre alla Russia.
Nel 1993 a questo scopo viene lanciato dall'Unione Europea, con l'appoggio degli Stati Uniti, il programma TRACECA (Transport Corridor Europe-Caucasus-Asia), che mira al potenziamento della rete di comunicazione, allo sviluppo dei progetti comuni di oleodotti e gasdotti (Inogate) e contestualmente nasce un progetto di corridoio aereo (Southern Ring Air Route), che comprende un'importante integrazione tariffaria e doganale che mira alla formazione di una zona di libero scambio, rompendo il monopolio russo. Questo programma, pur con le difficoltà che ha avuto fin dalla sua partenza nel '94 a causa dell'instabilità della regione rappresentava un buon punto di partenza nei rapporti con i nuovi stati e confermava il ruolo ponte destinato alla Turchia, come terminale o passaggio di comunicazioni gestite in altra sede, danneggiata anche dalla chiusura dei rapporti commerciali che si andava prefigurando con la Russia, principale regione di commercio dell'intera area per l'economia turca. Le difficoltà nella realizzazione di questo disegno, principalmente per gli ostacoli incontrati con quella parte di borghesia araba ed islamica antagonista agli interessi Usa e con cui avviene la rottura nel 1998 che hanno favorito il dinamismo ed il ruolo russo e iraniano, insieme con la difficile congiuntura economica che dura ormai da 10 anni, con una conflittuale situazione interna con gli islamici in crescita, la presenza del movimento curdo per l'autodeterminazione e di un movimento rivoluzionario e sociale turco, hanno tenuto la Turchia in condizione di debolezza, facendo pagare prezzi sociali altissimi ed evitando il tracollo definitivo solo per l'appoggio economico del FMI (per gli aspetti interni vedere meglio Senza Censura n. 7 - ndr).
Le relazioni con Israele sono allora la logica conseguenza dell'atteggiamento internazionale turco. Già nei primi anni '90 vengono stretti i primi rapporti economici, mentre nel 1996 è stipulato un vero e proprio accordo politico e militare di scambio di rappresentanze e progetti comuni, sempre a guida israeliana. La realizzazione di questo accordo, fortemente voluto dagli Usa e da Israele risponde al disegno strategico di controllo dell'intera area mediorientale da parte nordamericana, garantendo un'alleanza militare di tale portata da funzionare da deterrente per qualsiasi altro paese dell'area, rompendo l'isolamento di Israele ed il fronte arabo-islamico, ed aveva come iniziale obiettivo stringere la Siria, nemico storico di entrambi i paesi, ed appunto mantenere il controllo di risorse importanti come l'acqua.
L'alleanza si basa principalmente sulla cooperazione politico-militare, che prevede esercitazioni congiunte e sulla collaborazione tra i rispettivi servizi segreti, sul rafforzamento dei legami economico-commerciali e sui negoziati per le questioni idriche e petrolifere.
Benché l'aspetto dell'alleanza che colpisce maggiormente sia quello militare, la portata degli accordi in campo economico è importante. L'entità dell'interscambio commerciale tra i due paesi è passata dai 420 milioni di dollari del 1996, a due miliardi di dollari alla fine del 2000. Israele è soprattutto interessato ad investire nel settore dell'agricoltura ed in quello dell'energia idroelettrica, approfittando della disponibilità di acqua della Turchia, ma la cooperazione industriale nel campo della Difesa e la vendita di armi restano i motori trainanti del nuovo asse.
La Turchia, che ha recentemente varato un imponente piano di ammodernamento delle proprie Forze Armate, per il quale ha stanziato 150 miliardi di dollari da spendersi 25 anni, trova, infatti, in Israele un partner ideale, le potenzialità tecniche di quest'ultimo, supportate dall'appoggio degli Stati Uniti. Il programma di riarmo turco garantisce anche di porre un freno alla crisi che aveva investito l'industria militare israeliana.
Agli inizi del 1998, l'ammontare dei sistemi d'arma trasferiti era di circa un miliardo di dollari, la maggior parte dei quali provenienti dall'industria aeronautica. Ora, la Israel Aircraft Industries, arriverà ad esportare beni per oltre 1,5 miliardi, in gran parte generati dalle commesse ottenute dalla Turchia. Tra i contratti siglati, il più importante prevede l'ammodernamento dell'intera flotta dei Phantom II F-4, al quale parteciperanno non solo le imprese israeliane del settore, ma anche molte fabbriche turche.
Tutto ciò rientra in un ben definito progetto di interconnessione e di cooperazione industriale tra i due paesi, che mira a coinvolgere i principali settori industriali che impiegano alta tecnologia.
Alla prima commessa farà seguito un contratto di 500 milioni per la costruzione dei missili in Turchia. L'importanza del subappalto è data principalmente dalla cessione di tecnologia. Le imprese turche beneficeranno del know-how sui vettori, sviluppato negli ultimi anni da Israele, grazie al supporto tecnico ed agli ingenti fondi degli Stati Uniti. La cooperazione in questo delicatissimo settore strategico, presuppone anche la realizzazione in comune del sistema balistico antimissile Arrow, base del nuovo piano di difesa israeliano.
In campo "civile" l'accordo ha favorito l'ingresso delle multinazionali israeliane all'interno del sistema produttivo turco, principalmente, oltre che nel fondamentale settore agricolo, dove Israele è leader nella produzione di sementi geneticamente modificate, soprattutto nel comparto tessile e di abbigliamento con aziende come la Calvin Klein e nel comparto dei prodotti cosmetici con aziende come Estee Lauder, l'Oreal, Rubinstein. Queste holding hanno aperto i primi stabilimenti in Turchia, principalmente in Turchia meridionale e mediterranea, coprendo un mercato di oltre 66 milioni di abitanti e di lavoratori.
Un altro aspetto centrale nel ruolo della Turchia e motivo dell'alleanza con Israele è la questione dell'acqua. L'acqua rappresenta un bene primario per tutta l'area e le maggiori risorse idriche sono proprio in territorio turco, dove sono presenti grandi laghi e dove nascono il Tigri e L'Eufrate. L'acqua diventa quindi una formidabile arma per il controllo egli equilibri. E' stato quindi rilanciato un vecchio progetto, Manavgat, che prevede l'esportazione in Israele di acqua turca mediante navi cisterna o contenitori galleggianti con rimorchiatori scortati dalla Marina militare.
Di recente realizzazione il "Progetto Grande Anatolia" (PGA) è il piano di sviluppo economico della regione turca, che prevede la rimessa a coltura del deserto anatolico. La sua realizzazione ha contemplato la costruzione di 20 dighe ( per costruire le dighe nel Kurdistan turco sono stati sommersi centinaia di villaggi kurdi creando l'ennesima immigrazione di massa verso le città turche e kurde) sui corsi dei due fiumi. Se impiegate per scopi strategici, esse sarebbero in grado di far diminuire di oltre il 40%, la portata dei fiumi siriani, e addirittura del 90% di quelli irakeni. Israele, che ha applicato l'innovazione tecnologica industriale al settore dell'agricoltura, al fine di massimizzarne i rendimenti, è in grado di sfruttare al meglio una risorsa che nella regione sta ormai diventando più preziosa del petrolio.
Per implementare il traffico idrico, nella seconda metà del 1999, i due paesi hanno istituito una commissione congiunta per regolamentare l'esportazione di acqua dalla Turchia verso Israele.
I due paesi con la regia statunitense si vogliono porre quindi come potenze dominanti nell'area tentando di stabilire un equilibrio basato sulla sproporzione delle forze militari e sulle potenzialità di controllo delle risorse.
Le relazioni con Israele non aiutano certo a migliorare i rapporti con i vicini arabi. Nel 1997 la Turchia viene espulsa dalla Conferenza dei Paesi Islamici e, se riesce ad ottenere dalla Siria la rinuncia ad appoggiare il PKK, cosa che porterà poi alla cattura di Ocalan che si trovava a Damasco, accentua l'isolamento turco e la necessità da parte degli altri stati di raggiungere forme di accordo che potessero bilanciare l'alleanza turco-israeliana. Anche in questa luce vanno visti il riavvicinamento tra Arabia Saudita, dove il principe ereditario aspira ad una maggiore indipendenza dagli Usa, ed Iran con la ripresa delle relazioni diplomatiche, e lo sforzo nordamericano di mantenere militarmente arretrati Irak e Iran con lo spauracchio del terrorismo e la tesi dell'asse del male.
La guerra in Afganistan, e la probabile guerra contro l'Irak, rafforzano la Turchia per il suo ruolo irrinunciabile di portaerei e di media potenza regionale, ma aldilà di episodici fatti, non sembra dare ad Ankara quelle possibilità di sviluppare un proprio imperialismo.
In campo militare c'è una maggiore assunzione di responsabilità e dal maggio 2002 un contingente turco di 90 militari ha preso la guida del contingente Nato nel paese afgano, ma permangono a monte tutti quei problemi che non permettono alla Turchia di espandere il proprio dominio.
Inoltre la Turchia non vede affatto di buon occhio la prossima guerra contro Saddam, amico personale del Primo Ministro turco Ecevit, che potrebbe essere il viatico per la nascita di uni stato curdo nel nord Irak, che Ankara non vuole considerandolo un futuro nemico regionale e catalizzatore delle proteste della popolazione curda che vive nei confini turchi. Nonostante ciò, nel momento in cui verrà deciso dagli Usa, Ankara dovrà accontentarsi delle briciole e di quello che le verrà passato.
Ormai da tempo vi è infatti un rapporto di stretta collaborazione con il Partito democratico del Kurdistan, principale partito del Kurdistan irakeno, rapporto basato sulla comune avversione verso il PKK ma che potrebbe velocemente volgere al contrario a condizioni mutate.
Qualche analista sostiene poi che un regime democratico, cioè l'ennesimo regime coloniale al soldo degli Usa e dell'UE, potrebbe favorire finalmente l'accesso turco verso il medio oriente.
In cambio della rinuncia ad un ruolo proprio di potenza regionale la Turchia ha ricevuto dal FMI miliardi di dollari di prestiti che le hanno permesso di restare a galla, o meglio che hanno permesso alla classe politica, militare ed economica che controlla la società turca di non sprofondare.
Anche nella questione di Cipro non vi sono state proteste ed è migliorato giocoforza anche il rapporto con la Grecia. E' stata lasciato di fatto carta bianca verso il movimento rivoluzionario turco e kurdo, cosa che ha portato alla recente messa al bando in Europa fra le organizzazioni cosiddette terroristiche del Dhkc-p ed del PKK, a seguito delle proteste veementi dei ministri turchi nel gennaio 2002 quando i due partiti non erano stati inseriti dagli europei nella lista delle organizzazioni terroriste.
Il ritardo nell'ingresso in Europa più che alle denunce per il mancato rispetto dei diritti umani va visto come intenzione europea di mantenere la Turchia incapace di svolgere una funzione autonoma e sotto costante ricatto, va visto come intenzione della UE di non allargare l'Unione con uno stato con un'inflazione del 64% ad oggi, uno stato da mantenere ancora in una condizione semicoloniale, governato da una cerchia ristretta di elite dirigente, come il ministro dell'economia il liberalizzatore Dervis (ex numero due della Banca Mondiale), che ha studiato in Europa o negli Usa, ansiosa di mettere in pratica gli insegnamenti e le direttive dei padroni.
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