Senza Censura n. 8/2002
[ ] Editoriale
"Per trovare un parallelo ... bisogna risalire fino ai tempi di Silla e dei triunvirati di Roma. Gli stessi eccidi in massa a sangue freddo; la stessa noncuranza nel massacro di fronte all'età e al sesso; lo stesso sistema di torturare i prigionieri; le stesse proscrizioni, ma ora di una classe intera; la stessa caccia selvaggia ai capi nascosti, per non lasciarne sfuggire nemmeno uno; le stesse denunce di nemici politici e privati; la stessa indifferenza per il massacro di persone assolutamente estranee al conflitto. La sola differenza è che i romani non avevano le mitragliatrici per ammazzare in massa i prigionieri, e non avevano la legge nelle loro mani, né sulle labbra il grido di civiltà"
(K. Marx, La guerra civile in Francia).
Ormai da diversi mesi assistiamo quotidianamente alla mattanza scatenata dall'entità sionista per tentare di porre fine all'intifada Al-Aqsa. Questa non è altro che la prosecuzione della guerra genocida nei confronti del popolo palestinese iniziata quasi sessanta anni fa dal cane da guardia dell'imperialismo occidentale, e principalmente dell'imperialismo USA, nell'area mediorientale. E d'altro canto - e al di là delle apparenze e delle pubbliche dichiarazioni dei portavoce e rappresentanti dei governi dei diversi stati imperialisti - una quanto meno temporanea soluzione, "pacifica" o meno, del conflitto in Palestina rappresenta in questo momento una condizione essenziale ed imprescindibile per riapprofondire, con mezzi politico-militari adeguati, l'intervento delle potenze imperialiste occidentali nell'area mediorentale.
Ma il dirompente riemergere della questione palestinese come aspetto centrale della faglia di crisi mediorientale pone anche fine alle illusioni di pacificazione dell'area basate su un'intesa di cogestione euroatlantica (miseramente franata nel recente vertice madrileno) e mette in evidenza due cause "storiche" della sua più recente esplosione.
Una oggettiva: sulla scia dello scatenamento della guerra mondiale al "terrorismo", Israele mira a recuperare e rilegittimare il proprio precipuo ruolo di cane da guardia dell'imperialismo occidentale tentando di ritagliarsi uno spazio di autonomia di gestione politica. Uno sforzo che da anni l'entità sionista persegue (vedi ad esempio gli accordi bilaterali sulla sicurezza stipulati negli anni scorsi con la Turchia), ma che, nello stesso tempo, evidenzia appunto la "crisi storica" di questo ruolo costringendola ad esporsi sia sul piano "interno" che sul piano internazionale, direttamente o tramite le proprie "comunità" presenti negli stati occidentali.
L'altra soggettiva: la radicata e radicale capacità di resistenza del popolo palestinese e delle sue più autentiche espressioni politiche. Sotto questo profilo, e malgrado il tentativo delle potenze occidentali (USA e UE) e dell'entità sionista di creare in loco una "opposizione di sua maestà" in grado di esprimere una classe dirigente affidabile, è evidente che solo dalla nuova Intifada e dalla lotta (con ogni forma) di tutte le forze e le organizzazioni della Resistenza palestinese potrà emergere una nuova leadership capace di guidare la rivoluzione palestinese.
In questo senso sono paradigmatiche le vicende che hanno contraddistinto la maggiore organizzazione della sinistra palestinese: il FPLP.
Nonostante le pressioni e le limitazioni imposte dall'ANP, le organizzazioni della sinistra palestinese sono tornate a radicarsi profondamente nel tessuto sociale riuscendo ad esprimere, nelle condizioni date, un potenziale politico-militare adeguato allo scontro in atto e accrescendo significativamente la propria autorevolezza tra le masse.
D'altro canto, queste stesse vicende (come anche la recente inclusione delle organizzazioni della sinistra palestinese tra le organizzazioni "terroriste" da parte dell'UE) mettono in luce il carattere di lungo periodo e i reali obiettivi di ciò che ieri veniva chiamato "processo di Oslo" e che oggi si chiama "guerra mondiale al terrorismo".
E che tutte queste vicende abbiano un nesso diretto con i processi di esecutivizzazione che caratterizzano gli stati della metropoli imperialista e il processo di riallinemento nella gerarchia del sistema degli stati imperialisti è del tutto evidente. Tanto per fare un esempio, è noto che negli USA dopo l'Anti-Terrorism and Effective Death Penalty Act del 1996 (che oltre a sospendere selettivamente l'habeas corpus, attribuisce ai procuratori generali la facoltà di usare le forze armate contro la popolazione civile) è stato recentemente approvato l'USA Patriot Act, una legge che attribuisce direttamente alle "forze dell'ordine", e senza autorizzazione di un giudice, poteri speciali in materia di intercettazioni ed espulsioni - senza processo - di immigrati clandestini e/o "in regola". Un processo di adeguamento dei poteri "interni" che, com'è altrettanto noto, è in rapido sviluppo anche nei paesi europei e, in particolare, nel nostro paese.
Tuttavia, dal punto di vista della riapertura di prospettive concrete di liberazione, la rilevanza e la capacità di attrazione internazionale della questione palestinese per la sinistra radicale dei paesi della metropoli imperialista è sotto gli occhi di tutti: la stessa, sottovalutata, liberazione del sud del Libano dall'occupante israeliano da parte dei combattenti di Hezbollah e della Resistenza libanese ha dimostrato nei fatti la possibilità di sconfiggere i piani dell'imperialismo. E non è certo casuale che proprio sulla questione palestinese si sia dato nel nostro paese un livello di ricompattamento e di autonoma mobilitazione di massa (come nella manifestazione di marzo a Roma) che non si riscontrava da diversi anni. E non è certo casuale la successiva scelta politica di riformisti vecchi e nuovi di defluire dal movimento di sostegno all'intifada Al-Aqsa proprio nel momento di massimo bisogno di sostegno internazionale da parte dei partigiani palestinesi.
La stessa vicenda dell'espulsione dei tredici partigiani palestinesi presenti nella chiesa della natività ha messo in luce l'effettiva portata dell'intervento delle forze riformiste e neoriformiste nel movimento di sostegno all'Intifada: un intervento del tutto strumentale all'attività diplomatica e "umanitaria" delle potenze imperialiste nell'area del conflitto che è finalizzata alla messa al bando delle principali organizzazioni della Resistenza palestinese inclusa la sinistra di Al-Fatah (le brigate dei martiri Al-Aqsa).
Dall'altro lato, questa stessa vicenda ha dimostrato il ritardo ormai storico della sinistra radicale del nostro paese nella considerazione e valutazione della Resistenza palestinese quale efficace motore per un ricompattamento politico delle forze anticapitaliste ed antimperialiste presenti nella metropoli imperialista: questione su cui da diversi anni la nostra rivista si sforza di ricondurre l'attenzione e il dibattito all'interno della sinistra radicale giacchè un arretramento della rivoluzione palestinese costituirebbe obiettivamente, determinando condizioni ancor più sfavorevoli per la classe, un ulteriore presupposto per un più profondo attacco al proletariato della metropoli da parte della borghesia imperialista.
Come precisava diversi anni fa la nostra compagna Patrizia Borin, commentando le cause e i prevedibili esiti del processo di Oslo, "è comunque opportuno ricordare come su questa sconfitta storica del popolo palestinese abbia pesato come un macigno l'assenza, a livello internazionale, di una sinistra che sapesse o volesse porre al centro della propria progettualità e del proprio lavoro politico il rafforzamento dei rapporti con le forze anticapitaliste del sud del mondo e l'intervento conflittuale nelle situazioni in cui si vanno definendo nuovi assetti di potere".
Ragione per cui, anche in questo numero e per quanto è stato possibile al collettivo redazionale, Senza Censura si è sforzata di riportare l'attenzione sulla questione palestinese collocandola nel quadro delle immediate prospettive di sviluppo dell'intervento imperialista nell'area mediorientale (EUROMED) e di altri importanti punti di crisi del vicino estero dell'UE (Turchia).
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