Senza
Censura n. 7/2002
[
] Il
carcere italiano in tendenza
Alcune riflessioni sulla privatizzazione della privazione... e dintorni
Senza Censura ha sempre adottato come metodo di lavoro e di articolazione
dei contributi, la ricerca di dati e di notizie, la loro successiva razionalizzazione
attraverso lesposizione scritta, offrendo in questo modo elementi
e spunti di dibattito per il dibattito e liniziativa politica. Anche
quando si è trattato di lavorare attorno alla questione carcere
, lapproccio alla costruzione dei contributi è stato ovviamente
il medesimo. Nei sei numeri precedenti della rivista, abbiamo avuto modo
di affrontare parecchi aspetti dellattuale sistema carcerario imperialista,
sia dal punto di vista storico, sia al suo stato attuale - dal punto di
vista della riorganizzazione dellistituzione penale, e in relazione
alle nuove leggi in materia di controrivolzione e controllo. Crediamo
che questo modo di procedere abbia permesso a tutti quanti di avere a
disposizione maggiori elementi conoscitivi per ampliare e rafforzare il
dibattito attorno a questa questione. Fatto salvo ovviamente che essendo
la questione carcere, un nodo di enorme proporzioni, i nostri
contributi vadano ritenuti del tutto parziali rispetto al contesto generale.
Questa volta, facendo uno strappo alla regola, cercheremo di ragionare
prevalentemente in tendenza, sulla privatizzazione della privazione, ma
non solo, dellistituzione carceraria italiana.
Penitenziari privati?!
Lo spunto per lesposizioni di queste brevi riflessioni ci viene
dato dalla notizia, data pochi mesi fa e immediatamente messa tacere dagli
organi di informazione borghesi, riguardante la donazione
da parte dello Stato italiano di una area per la creazione di uno spazio/comunità/carcere
che verrebbe gestito dai responsabili della San Patrignano (spa)...si...proprio
loro...la comunità dedita al recupero e
allo sfruttamento dei tossicodipendenti. Ceravamo occupati su SC
n.6, di cercare di capire attraverso quali passaggi il carcere italiano
si stava riorganizzando. Avevamo individuato fondamentalmente tre nodi
principali:
1) lavoro in carcere;
2) gestione del controllo attraverso la tecnologia;
3) privatizzazione del carcere e dei servizi ad esso legati (e in questo
punto si inserisce Lesempio di S. Patrignano).
Il tutto nellottica di una parcellazione scientifica e quindi metodologica
del cosiddetto corpo prigioniero. Cerchiamo di capire meglio.
Un sistema che va riorganizzandosi, processo già in atto da almeno
3 anni, che per forza di cosa necessita di razionalizzare i suoi abitanti
(secondo lo stato di crisi/conflitto presente a livello sociale e politico),
deve darsi strutture adeguate. Allo stato attuale delle cose, gli edifici
adibiti a penitenziari, per come sono costruiti e organizzati e per dove
si trovano rispetto allarea urbana, sono sicuramente inadeguate
circa le intenzioni e gli obbiettivi pocanzi elencati. Ad ogni tipologia
di detenzione (e di detenuto) deve corrispondere una struttura propria,
con annessi e connessi.
Cerchiamo di vedere questa equazione dallalto: la gestione del controllo
e della sorveglianza del proletariato e del sottoproletariato metropolotano,
si specializza dando vita a istituzioni di controllo specializzate
(unificate nel complesso carcerario), gestite in modo specialistico.
Ci scusiamo per questo gioco di parole. Ma si fa necessario per introdurre
due aspetti: un sistema prima monolitico, chiuso a quadrato su se stesso,
attraverso una specializzazione ritorna a dialetizzarsi in
modo stretto con le altre istituzioni del sistema borghese. E vero,
questo è un tipo di rapporto sempre esistente. Tuttavia, la specializzazione
approfondisce ulteriormente la specialità, attributo
questo del carcere imperislista. Il carcere che va specializzandosi
è un carcere che procede verso una sempre maggiore e complessa
individualizzazione del prigioniero detenuto. Il quale ritroverà
proprio nel periodo della sua detenzione (almeno per quanta riguarda alcune
tipologie di detenuti) un rapporto diretto di inclusione col tessuto sociale
esterno. Paradossale?! Non proprio.
La notizia legata al carcere di S. Patrignano non ci ha colto di sorpresa.
Di fatto questo era un passaggio già scritto nei decreti legge
di cui abbiamo parlato su SC n.6. Un passaggio dato che sta trovando solo
ora una sua attuazione pratica. Veniamo ora alle tendenze, oggetto di
qusto articolo. Questo tipo di gioco potrebbe risultare fine
a se stesso, ma non è detto. Del resto abbiamo a disposizione campi
in cui questo tipo di intervento è già in atto da diversi
anni.
Ragioniamo quindi in prospettiva, ma con una mano salda al presente.
Una nuova architettura (prima tendenza)
Abbiamo visto su SC n.6, come buona parte della nuova legislazione in
tema di carcere, vada verso un forte ampliamento del lavoro detenuto e
verso la costruzione di nuove strutture penitenziarie. Questi due passaggi
centrali nella riorganizzazione in atto necessitano di una nuova architettura
della reclusione. Non ragioniamo qui di architettura in senso stretto
(anche se sicuramente è questo un aspetto che cercheremo di sviluppare
nel prossimo futuro), ma bensì in senso lato. E in tendenza. Non
è un nostro obbiettivo arrivare a leggere palle di vetro. Tuttavia
ci limitiamo a seguire da vicino un processo strutturale che seppur giovane
sta già dando i suoi primi risultati. E facendo questo cerchiamo
di buttare locchio là...dietro langolo. Cerchiamo di
capire meglio gl elementi che entrano in gioco. Prima di tutto la suddivisione
del corpo detenuto in 4 categorie; in secondo luogo lintroduzione
del lavoro come elemento qualificante oltre che centrale.
Allaspetto del lavoro abbiamo dedicato un paragrafo specifico nellultimo
numero della rivista, a cui vi rimandiamo. Eviteremo quindi di ripetere
i medesimi concetti già espressi. Rimane comunque importante sottolineare
come lo stesso ministero di grazia e giustizia (fanno fede le recenti
dichiarazioni del Ministro Castelli, ma anche quelle del suo predecessore
Fassino) stia puntando molto su questo aspetto. Il detenuto delle carceri
italiane (siano esse statali, siano esse - a maggior ragione - private)
dovrà lavorare (e produrre). Il lavoro diverrà il metro
di giudizio nel passaggio dei livelli detentivi, e per il completo reinserimento
nella società. Per fare questo le attuali strutture carcerarie
devo essere affiancate e successivamente superate da nuove strutture che
meglio possano rispondere da una parte, al livello del controllo metropolitano
che esige limperialismo nella sua attuale fase; dallaltra
parte rendere in propositivo la detenzione attaverso una ricerca di profitto
proprio con il lavoro dei prigionieri. Nuovo cemento. Nuove pareti. Nuove
sbarre. E nuovi luoghi dove costruire. Tutto questo per permettere che:
- il controllo sia rapportato al tipo di struttura ove agito;
- i detenuti possano lavorare in strutture adeguate e quindi rendere al
massimo il livello di produzione;
- le merci prodotte o i servizi offerti attraverso il lavoro detenuto
possano immediatamente ricollegarsi col resto del ciclo produttivo.
Per fare questo ce bisogno non soltanto di una nuova architettura
ma anche di uan nuova localizzazione delle strutture stesse allinterno
del contesto urbano.
Un carcere a misura di città (seconda tendenza)
La costruzione delle nuove carceri sarà strettamente legata alla
riurbanizzazione delle metropoli e al recupero verso il profitto
delle aree rurali. In questo modo: il carcere sarà in parte (e
in alcune sue forme) una struttura interna al tessuto sociale della città
(e non più un corpo completamente estraneo così come è
allo stato attuale); le aree rurali fino ad oggi lasciate improduttive,
diventaranno fonte di ricchezza attraverso la costruzione di nuove prigioni,
la gestione a 360gradi delle stesse, e attraverso i servizi legati ad
esse.
Questo è - in sintesi - esattamente quanto è successo negli
Usa, e riportiamo questo esempio per avere un piano di confronto pratico.
Per quanto riguarda la situazione del complesso carcerario italiano, come
abbiamo già avuto modo di dire in altre occasioni, i tempi sono
- rispetto allattuale presente - dilatati e quindi altro non possiamo
fare che tracciare una seconda tendenza, grazie anche alla scorta sia
dellattuale processo in atto, sia grazie agli esempi di sistemi
carceari più avanzati (come quello statunitense per lappunto
o inglese o ancora sudafricano).
Rispetto ai due punti descritti pocanzi in sintesi, non crediamo
di uscrire troppo dal seminato quando ci riferiamo alla situazione italiana.
In breve. La suddivisione in livelli di pericolosità del corpo
detenuto implica di per sè, che vi sarà un investimento
sui detenuti appartenenti al livello più basso, in termini di sfruttamento
di lavoro e servizi offerti. Non soltanto. Essendo gli stessi in attesa
del cosiddetto reinserimento nella società, diverrà
necessario creare uno o più filtri affinchè il rapporto
detenuti di primo livello / tessuto sociale, sia il più stretto
possibile. Questo aspetto ovviamente risiede altresì nella necessità
di una nuova architettura (E in affetti i due elementi architettura/reinserimento
sono strettamenti connessi tra loro). Il cercho si chiude. Alla base di
tutto vi sarà il lavoro. Gli strumenti/filtro saranno rappresentati
da tutti quegli organismi statali e privati (comunità, associazioni
e altro ancora) che interni o in relazione con la struttura carceraria,
avranno in cura (o affitteranno) i detenuti a basso livello di pericolosità.
In sostanza , il controllo verrà agito principalmente attraverso
la sorveglianza e la disciplina al lavoro, caratteristica questa necessaria
per il completo reinserimento nella società. Questo
stesso discorso varrà ovviamente per tutto il corpo detenuto (che
esso si trovi interno o esterno alle prigioni).
Il passaggio di livello sarà semplicemente subordinato alla disciplina
al lavoro.
Negli Stati Uniti questo tipo di procedimento è in atto ormai da
oltre ventanni. Vi sono esempio clamorosi come il carcere di Pelican
Bay (California), ma in generale questa politica specializzata
di reinserimento (cioe di controllo) è del tutto
effettiva e metodologica. Intere strutture carcerarie, parte di esse o
emanazioni (leggasi la struttura che prenderà in mano San Patrignano),
sono by pass tra listituzione carceraria centrale e il contesto
metropolitano. Ricapitolando:
- specializzazione del sistema carcerario;
- suddivisione del corpo detenuto;
- rapporto istituzione penale/tessuto urbano;
- rapporto istituzione penale/ciclo produttivo.
Questi quattro punti sono costantemente in dialettica tra di loro. E procedono
in avanti, in attesa di nuove verifiche sul campo. Il sistema carcerario
italiano si fa più complesso. Non potrebbe essere altrimenti. Di
questa complessità noi stiamo prenendo in considerazione solo una
parte di essa, ma teniamo ben presente che il tutto sarà decisamente
più composito. Sarà più composito a livello strutturale.
Sarà più composito sul piano del controllo. Sarà
un sistema, ancora una volta, specializzato.
Un corpo detenuto sempre più giovane (terza tendenza)
Il carcere trae in generale i suoi abitanti dal conflitto
socio/politico metropolitano. Il carcere continua ad essere la cerniera
di questo conflitto, mano che pesca nel bacino della esclusione e della
espulsione dal ciclo produttivo.
Nel paragrafo precedente abbiamo brevemente preso in considerzione il
rapporto tra istituzione penale e tessuto metropolitano. Cerchiamo ora
in sintesi di allargare riaprire il cerchio, aggiungendo proprio lelemento
della conflittualità, per rispondere alla seguente domanda: da
chi sarà composto il nuovo corpo detenuto? Arriviamo così
alla terza tendenza. Facendo leva nuovamente sullesempio statunitense,
che crediamo faccia proprio al caso nostro (seppur con alcuni distinguo
storici già trattati in precedenza in altri contributi sul tema),
siamo portati a pensare che il futuro corpo detenuto sarà composto
per lo più da soggetti appartenenti ad una fascia detà
che va dai 19 ai 27 anni.
Negli Usa questa fascia rappresenta circa il 60% dellattuale popolazione
carceraria. In Italia, 3/4 del corpo detenuto (circa 54mila prigionieri)
è composto da immigrati e tossicodipendenti (o comunque soggetti
legati alla droga). Molte sono state le dichiarazioni tese a riconvertire
questi dati nella direzione di un sempre minore numero di tali soggetti
posti sotto controllo.
Tuttavia, non ce ne vogliano i vari ministri di grazia e giustizia, così
non sarà. Vi sarà - a fronte anche del discorso fin qui
fatto sulla riorganizzazione dellistituto penale italiano - una
redistribuzione di questi soggetti in luoghi più adeguati ove essere
sottoposti ad una sorveglianza specializzata.
Situazioni come quella di San Patrignano (sia private, sia pubbliche)
avranno in carico le migliaia di tossicodipendenti.
Altre strutture specifiche verranno adibite alla cura degli
immigrati, che fa bene ricordare, nel nostro paese rappresentano (a differenza
ad esempio di paesi come Francia o Gran Bretagna) un fenomemo sostanzialmente
nuovo e del tutto in espansione. Il controllo (e lesclusione) che
questi soggetti stanno subendo e subiranno allinterno della metropoli,
verrà riflesso sul piano della reclusione. A questi due soggetti,
si affiancheranno migliaia di giovani proletari e sottoproletari, sempre
più in mano ad una pecarizzazione di massa, sempre più esterni
ai cicli produttivi, sempre più dediti ad attività extralegali
(e non potrebbe essere altrimenti). Bonnie Kerness, del PCJ, camminando
per le strade del New Jersey (USa) ci diceva: Vedete questi ragazzetti
per la strada?! Al momento non fanno nulla...presto saranno nuova manodopera
a costo zero nelle carceri dello stato.
Lesempio americano è solo un esempio e un punto di confronto.
Tuttavia là la precarizzazione selvaggia reganiana è stata
attuata ormai quasi ventanni fa...
Ipse Dixit
Conclusioni ovviamente anche questa volte non ve ne sono. Del resto sarebbe
paradossale porre delle conclusioni a delle tendenze in essere. Concludiamo
queste brevi riflessioni riportando due interventi che si inseriscono
allinterno del discorso fatto fino ad ora. Leggiamo.
È noto che le idee camminano sulle gambe degli uomini, per
cui anche in questo caso liniziativa dei singoli è molto
importante. Certo le condizioni al contorno sono fondamentali. Infatti
Lei cita tre casi paradigmatici (Milano Opera; la Gorgona, Trieste): due
penitenziari sono inseriti in un contesto socio-economico favorevole dove
addirittura, nel decennio trascorso, si è determinata una cronica
carenza di manodopera, almeno per un certo tipo di attività; il
terzo è per lappunto una colonia penale che, come dicevo
prima, si presta molto bene per il lavoro dei detenuti.(...) Sicuramente
la legge Smuraglia è un notevole passo in avanti per facilitare
il lavoro dei detenuti, ma non è certamente la molla decisiva.
Il vero impulso deve essere dato dalla forte volontà di realizzare
questo progetto. Occorre superare una continua serie di ostacoli legati
alle abitudini, alle esigenze culturali, alle procedure regolamentari,
alla carenza di fondi e di personale - perché in realtà
far lavorare i detenuti in Italia costa molto - e, infine, a questioni
normative per le quali, mi sembra, siano maturi i tempi per un loro superamento.
(...) Questo (In quasi tutti i Paesi europei il lavoro penitenziario è
remunerato molto meno che in Italia) è uno dei punti dolenti più
delicati, poiché implica posizioni ideologiche. È prevalente,
infatti, presso una imperante corrente di pensiero, che remunerare poco
i detenuti significa sfruttarli. È del tutto evidente che un datore
di lavoro a parità di costo preferisce un non detenuto, con il
risultato che poi per questi ultimi manca il lavoro. La legge Smuraglia
va ad ovviare parzialmente a questa situazione, ma non è sufficiente.
Io credo che occorra cominciare a porsi il dato che il lavoro, oltre che
essere educativo e a creare grandi opportunità di reinserimento
per i detenuti, possa anche essere una forma di risarcimento nei confronti
della società e pertanto che sia valido il principio per il quale
esso sia meno remunerato rispetto agli standard contrattuali.
[Intervista al ministro della Giustizia Roberto Castelli, tratta da Le
Due Città, giornale della Polizia Penitenziaria]
Oltre alle aziende, anche le carceri potrebbero rientrare nel processo
di privatizzazione. Ad annunciarlo è il Presidente del consiglio,
Silvio Berlusconi, che al termine dell'incontro con il Presidente del
Cile, Ricardo Lagos, accenna a questa possibilita'. ''Noi - ha detto il
Premier - guardiamo alle tante cose positive realizzate in Cile. Ad esempio
la privatizzazione del sistema carcerario''.
[(ASCA) - Roma, 27 febbraio 2002]
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