Senza Censura n. 7/2002

[ ] E sul fronte interno.... leggi anti terrorismo!

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo di un avvocato di Roma relativo alla ristrutturazione della cosidetta legislazione antiterrorismo.
A seguito della decisione quadro del Consiglio d’Europa sulla lotta contro il terrorismo (COM 2001 521), assunta - dopo gli attentati al cuore degli USA - con lo scopo di armonizzare le legislazioni nazionali in materia, “per una più efficace cooperazione di polizia e giudiziaria, attraverso la definizione degli elementi costitutivi e l’indicazione delle entità delle sanzioni da applicare”, il Governo italiano ha prima emanato il decreto legge n. 374 intitolato “Disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale”, poi convertito in legge, la n. 438 del 15 dicembre 2001.

Il decreto, che contiene modifiche al codice penale e anche di procedura penale, innanzitutto amplia la figura di reato dell’associazione sovversiva con finalità di terrorismo, ossia l’art. 270 bis c.p., introducendo un reato unico per l’eversione interna ed internazionale. Il nuovo articolo 270 bis prevede, oggi, da 5 a 10 anni di reclusione per la mera partecipazione, da 7 a 15 anni di reclusione per la costituzione, l’organizzazione, la direzione ed anche il finanziamento delle associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale, descritte come quelle associazioni “che si propongono il compimento ai danni di uno stato estero, di un’istituzione o di un organismo internazionale, di atti di violenza”.

Il successivo art. 270 ter c.p., introdotto con questa legge, prevede il nuovo e specifico reato di assistenza agli associati che punisce le ipotesi di assistenza ai membri del gruppo “eversivo/terroristico” fuori dei casi di favoreggiamento personale e reale e di concorso nel reato.

La vicenda dell’attacco alle “due torri” e al Pentagono ha solo accelerato un processo di progressivo innalzamento della soglia del controllo, della prevenzione e della repressione sul piano internazionale, e ha giustificato l’introduzione di una figura di reato da molte parti ritenuta necessaria, dal momento che l’art.270 bis c.p. (associazione sovversiva con finalità di terrorismo) per giurisprudenza costante non risultava applicabile ad organizzazioni che si ponevano fini di “eversione” degli ordinamenti di paesi stranieri.

Infatti, in Italia tutti i processi a carico di presunti “terroristi” islamici a cui era stato contestato l’art. 270 bis si sono conclusi, con riferimento a questa contestazione, o con sentenza di assoluzione, dal processo della Achille Lauro al più recente proscioglimento dei 40 presunti aderenti al GIA nel novembre 2000 a Bologna, o con una modifica dell’imputazione nell’art. 416 c.p. (associazione a delinquere), come nel caso degli algerini del FIS, presunti appartenenti al GIA, nel 1999 a Torino, e nel processo contro gli stessi tuttora in corso ed in via di definizione a Napoli.

Accanto all’uso strumentale e all’abuso che è sempre stato fatto dei reati associativi, ciò che più preoccupa è la definizione che oggi si vorrà dare del termine “terrorismo” che determina gravi conseguenze sul piano della repressione. In Italia è stata necessaria una legge di interpretazione autentica (la L. 304 del 1982) per definire la “finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico” come finalità di eversione dell’ordinamento costituzionale, inteso come insieme di quei principi, valori, forme di organizzazione dello stato sulla base della Carta costituzionale.

Ma a dover ragionare sul piano internazionale, il timore fondato è che il termine terrorismo, che non potrà più essere usato nella accezione propria del diritto interno, possa essere esteso a qualunque attività politica caratterizzata da violenza nei confronti di qualunque potere costituito, a prescindere dalla presenza anche di quei requisiti minimi di democraticità formale.
Un esempio: in questa nuova alleanza mondiale contro il terrorismo, in cui una serie di stati dittatoriali, autoritari e repressivi trovano la loro legittimazione, si potrebbero considerare - per ragioni di carattere strategico - una serie di partiti e organizzazioni che resistono e lottano contro tali regimi come associazioni terroristiche internazionali da perseguire in ogni angolo del mondo (si pensi ad esempio ai partiti kurdi, e in particolare al PKK che, già considerato associazione eversiva in Germania, ora potrebbe esserlo ovunque), e per i quali non sarebbe più invocabile il concetto di “guerra e lotta di liberazione”.

Ma ancora, e soprattutto, le nuove norme incriminatrici rappresentano una vera e propria criminalizzazione di ogni antagonismo sociale e politico in qualunque forma esso possa articolarsi.

La finalità di terrorismo, infatti, si desume quasi sempre dalle modalità della condotta ed è ovviamente molto ampia: “al fine di sovvertire o tentare di sovvertire le strutture politiche economiche o sociali del paese” (dalla decisione quadro del Consiglio d’Europa), un fine insito in molte delle battaglie politiche del movimento antiglobalizzazione, pur non caratterizzate da metodi violenti o intimidatori. In tal senso, diventa un gioco da ragazzi, in tempi di crisi sociali, politiche ed economiche come questi che viviamo, e di conseguenti azioni di protesta, etichettare tutto come “terrorismo” in modo da isolare, frantumare e reprimere il vasto movimento di resistenza ed opposizione che si è imposto alla ribalta internazionale.
Anzi, le manifestazioni e i controvertici che si sono svolti in Europa negli ultimi mesi (da Goteborg a Genova, fino all’ultimo a Monaco) rientrano interamente nello schema del nuovo reato previsto dall’art. 270 bis c.p., diretto contro chiunque si propone il compimento di atti di violenza sulle cose ai danni di un’istituzione o organismo internazionale (G8, NATO, WTO, OCSE; etc.).

Deve far riflettere che questi enti sono elevati da queste norme a rango di organismi statali e, nella relazione introduttiva alla decisione quadro del Consiglio d’Europa, vengono posti sullo stesso piano tutti gli organismi internazionali senza distinzione di sorta, attribuendo legittimazione a quegli organismi sovranazionali che, rappresentando gli interessi di pochissimi stati che decidono per il futuro dell’intera umanità, sono totalmente privi di qualsiasi sia pur minima legittimità democratica.

Inoltre, il cosiddetto “finanziamento” delle presunte associazioni terroristiche viene introdotto come condotta penalmente rilevante anche per le associazioni terroristiche internazionali oltre che per le associazioni sovversive interne. Si tratta di un termine così vago da poter essere facilmente utilizzato per colpire addirittura le attività di autofinanziamento classico dei gruppi politici indipendenti (cene a sottoscrizione, concerti, etc.), nonché le attività di finanziamento in favore delle organizzazioni straniere che lottano per la libertà nei loro paesi (es. palestinesi, kurdi, colombiani, etc.).
Ancora, come già accennato, l’art. 270 ter che punisce l’assistenza ai membri delle associazioni previste dagli art. 270 e 270 bis, fuori dei casi di favoreggiamento o concorso nel reato, mira a colpire tutti coloro che di fatto non hanno commesso alcun reato ma che potrebbero essere definiti per così dire simpatizzanti di queste presunte organizzazioni “politico-terroristiche”, e che forniscono vitto, ospitalità, mezzi di trasporto e strumenti di comunicazione informatica ai partecipanti alle “associazioni terroristiche”.
Per il resto, il decreto legge è in sintonia con quanto detto.
Quanto agli strumenti procedurali, è da segnalare l’estensione dei casi di perquisizioni e intercettazioni preventive telefoniche, ambientali e telematiche fino a 80 giorni, e altre misure di prevenzione, proprie della disciplina antimafia.
Ed è proprio in nome di tali nuove norme che sono state compiute e continuano con una frequenza quotidiana, le perquisizioni-rastrellamenti effettuati, per esempio, nella capitale dalle forze dell’ordine nelle abitazioni e nelle sedi di lavoro di cittadini cosiddetti extracomunitari in quanto “sospettati” di appartenenza e/o finanziamento di associazioni terroristiche internazionali.

Superfluo precisare, per quanto detto finora, che l’esito di tali operazioni di “pulizia etnica” è stato esclusivamente di espellere e rinchiudere nei centri di detenzione per immigrati qualche centinaio di “clandestini” senza mai trovare un solo indizio sull’esistenza di presunte “cellule terroristiche”.
A tale proposito, grande preoccupazione causa, in particolare, la disposizione circa l’utilizzabilità degli esiti di tali attività di intercettazioni preventive: quali sarebbero i soli fini investigativi se poi di tali attività ne è esclusa la menzione negli atti di indagine?

Si tratta chiaramente di un allargamento dei poteri di sorveglianza e controllo che si estenderanno, come un Grande Fratello di Orwelliana memoria, su tutti coloro che, da singoli o in gruppi, vengono considerati non compatibili, e, quindi, potenzialmente pericolosi per il sistema.

Infine, altra novità importante introdotta dalla legge antiterrorismo è costituita dall’ampliamento dei casi di attività sotto copertura in modo davvero sconcertante (è prevista per esempio l’attività di infiltrazione telematica), norma questa di particolare gravità se si pensa che difficilmente agenti delle forze dell’ordine italiane possano infiltrarsi con successo in gruppi islamici, mentre verrà utilizzata per le infiltrazioni sempre più incisive ed efficaci condotte all’interno dei movimenti sociali e delle strutture politiche.

Un’ultima considerazione: la decisione quadro del Consiglio d’Europa ha, inoltre, impartito “raccomandazioni’ (ossia indicazioni immediatamente esecutive in tutti gli stati membri della UE) sulle limitazioni da introdurre nelle legislazioni nazionali in tema di asilo politico e immigrazione, riducendo ulteriormente e praticamente azzerando la possibilità, già molto ridotta in Italia, di ottenere il rifugio o l’asilo politico, o un qualsiasi titolo di soggiorno valido in quella che, già configuratasi come “fortezza Europa’, tenta ogni giorno di più di rafforzare le sue mura.

Nella legge italiana, tuttavia, non si fa alcun accenno a tale questione, forse in attesa che venga varata - probabilmente entro la fine di marzo - la legge Bossi-Fini in tema di immigrazione che, prima ancora del Consiglio d’Europa, aveva proposto una disciplina in materia più repressiva, razzista e xenofoba, che impedisce, per esempio, addirittura la cosiddetta “coesione familiare”, ossia la possibilità di far arrivare dal paese di origine la propria famiglia e ricostituire il nucleo familiare, diritto sancito da numerosissime convenzioni internazionali, ma, come abbiamo visto, dopo l’11 settembre anche i più elementari diritti umani vengono calpestati e cancellati in nome della “sicurezza e della lotta al terrorismo”.


*Riquadro*

Riunione Cag e Ministri Interni Ue
Capacità di Polizia Internazionale

Il 19 Novembre 2001 il Consiglio Affari Generali, con la partecipazione dei Ministri dell’Interno, ha approvato un documento al termine della “Police Capability Commitment Conference”, con cui i paesi membri si impegnano, entro il 2003, a costituire una forza di polizia internazionale per missioni all’estero.
Con questa conferenza, vengo rispettati gli impegni intrapresi ai Consigli Europei di Feira e di Göteborg, relativi ad una forza di 5.000 uomini, di cui 1.000 impiegabili entro trenta giorni (divenuti ora 1.400).
Le forze di polizia saranno anche del tipo militare (Carabinieri, Gendarmerie…).

I contributi nazionali sono così suddivisi:
NAZIONE//CONTRIBUTO//impiegabili in 30 giorni

Italia // 971 // 242
Germania // 910 // 90
Francia // 810 // 300
Spagna // 500 // 300
Regno Unito 450 40
Portogallo // 250 // 200
Grecia // 180 // 20
Svezia // 170 // 50
Olanda // 133 // 20
Belgio // 130 // 100
Danimarca // 125 // 25
Austria // 110 // 20
Irlanda // 80 // 80
Finlandia // 75 // 15
Lussemburgo // 6 // 1

[Da www.iai.it]





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