Senza
Censura n. 7/2002
[
] Crisi
economica in Turchia
Riflessioni su crisi, stabilità e strategie imperialiste
Il 7 febbraio 2002 il Fondo Monetario internazionale ha stanziato il ventesimo(20)
prestito allo stato turco per fare fronte alla crisi economica e finanziaria
che da anni incombe sul paese. Il prestito, che fa seguito a quello di
4, 6 miliardi di dollari del maggio 2001, è di oltre 16 miliardi
di dollari, cifra tra le più esposte, condizionata allapprovazione
delle ennesime riforme strutturali di liberalizzazione del mercato finanziario
e del lavoro e di privatizzazione delle imprese pubbliche.
La crisi finanziaria è infatti tornata prepotentemente a riaffacciarsi
in Turchia dopo che il prestito FMI di 10 miliardi del dicembre 2000 non
aveva risollevato leconomia in crisi.
Anzi, mentre il 2000 aveva comunque visto una crescita del PIL(+7.4%)
il 2001 vede una secca contrazione dello stesso(-8.1%); lo stock di debito
pubblico è triplicato nel 2001 da 36,34 a 105,8 milioni di miliardi
di lire turche; i consumi sono ovviamente pesantemente diminuiti(-9%)
così come gli investimenti. Linflazione, veloce tarlo che
erode gli stipendi dei lavoratori del settore privato (gli stipendi del
settore pubblico sono indicizzati con linflazione stessa)riducendone
sensibilmente il potere dacquisto, era di ben 55.7% su base annua
nel 2000 e la propaganda di governo e istituzioni internazionali faceva
credere che sarebbe calata nel 2001 grazie alle mitiche riforme strutturali
in corso.
Ma questo non è avvenuto e nel 2001 linflazione si è
attestata sul 54%. La crisi economica mondiale, la diminuzione dellattività
economica, le previsioni errate sulle entrate fiscali e quindi sul bilancio
centrale non hanno fatto altro che portare ad una ulteriore diminuzione
della spesa pubblica, gravata dal peso enorme delle spese militari.
Gli investimenti esteri, lungi dallaumentare, di fronte allincertezza
sono drasticamente diminuiti, così come in tutti i paesi del mondo
che non fanno parte di UE e Stati Uniti, confermando come in realtà,
di norma e ancor di più in una fase di crisi ormai strutturale,
i trasferimenti di capitale nel mondo avvengano tra i paesi a industrializzazione
avanzata. Linstabilità politica e sociale turca del resto
non aiuta a favorire questi investimenti come nel caso emblematico del
progetto Grande Anatolia che vedeva impegnate numerose imprese occidentali
(tra cui litaliana Impregilo) nella costruzione di un sofisticato
sistema di dighe sullEufrate e che recentemente hanno ritirato il
loro impegno non considerato più redditizio e sicuro.
Le dighe, che hanno già seppellito interi villaggi, costringendo
al trasferimento migliaia di persone e la cui continuazione è ancora
più distruttiva per il Kurdistan turco, consentirebbero alla Turchia
un controllo ancora maggiore sulle riserve dacqua che fluiscono
successivamente in tutto il Medio Oriente.
Le imprese straniere fino ad oggi in Turchia, quasi tutte coinvolte in
joint ventures con il 55% degli investimenti nel settore banche e servizi,
non hanno mai portato in Turchia nuove tecnologie o i settori di ricerca
e sviluppo più avanzati, nellintento di intervenire in un
mercato del lavoro a buon costo, puntando poi allo sfruttamento delle
risorse naturali.
I più importanti investimenti stranieri in Turchia sono quindi
investimenti portfolio, rappresentanti più che altro
un debito per il paese investito. Ogni dollaro investito nel
mercato finanziario turco negli ultimi 10 anni nel giro di un anno ha
lasciato il paese con il valore di 1.6 dollari. Il guadagno, la valorizzazione,
del 60% è stato prodotto dal lavoro sottocosto, creando crisi periodiche
pagate a caro prezzo dalla classe operaia turca, con licenziamenti, perdita
del potere dacquisto e soprattutto perdita di forza nei confronti
dei padroni. Gli stipendi stessi sono legati al tasso di produttività,
sicché nei momenti di crisi e quindi di calo produttivo calano
gli stipendi, trascinando i lavoratori turchi nella povertà.
Esemplare il caso del settembre 1998, quando migliaia di lavoratori di
industrie occidentali (FIAT, Renault, Valeo, Bosch
.), si sono ribellati
dando le dimissioni dal sindacato ufficiale per aderire ad un sindacato
indipendente. Le imprese, di comune accordo e nel segno della solidarietà
borghese, non accettarono incontri con i lavoratori continuando ad esercitare
pressioni. In seguito a migliaia di lavoratori venne data solo la scelta
tra il licenziamento e ladesione al sindacato ufficiale, sancendo
di fatto la chiusura della libertà di organizzarsi in sindacati
indipendenti.
Del resto su 224 imprese straniere in Turchia il sindacato, anche quello
ufficiale, è presente solo in 86. Il lavoratore che sceglie il
sindacato indipendente viene licenziato.
Attraverso i prestiti e le riforme strutturali il capitale
ha messo mano in buona parte della struttura economica determinando il
peggioramento delle condizioni di un proletariato cui sempre più
viene richiesto. La crisi colpisce i lavoratori in modo ugualmente pesante
con aumenti di tutti i beni di prima necessità e con licenziamenti
di centinaia di migliaia di persone a cause della chiusura di oltre 10.000
aziende. Nel febbraio 2001 gli interessi sui debiti sia esteri che interni
rischiavano di non essere assolti nonostante il prestito di dicembre.
Questo avrebbe significato il crollo del sistema finanziario e bancario
turco innescando una reazione a catena simile a quella avvenuta successivamente
in Argentina.
Nello stesso febbraio del 2001 la svalutazione della lira decisa dal Primo
Ministro Ecevit, dopo accese dispute con il Presidente Sezer, invece che
portare una boccata dossigeno alleconomia, ha prodotto una
drastica caduta della moneta ed al collasso finanziario della fine di
febbraio.
Numerose manifestazioni di lavoratori dipendenti con artigiani e piccoli
commercianti, che vedevano i loro risparmi scomparire nel baratro delle
banche, hanno riempito le strade di Ankara, Istanbul e delle principali
città turche e kurde: manifestazioni di centinaia di migliaia di
persone represse più volte con la violenza della polizia paramilitare
turca. I manifestanti, che si sono scontrati duramente con la polizia,
chiedevano le dimissioni del primo ministro Ecevit, accusato per la corruzione
dilagante e per avere portato il paese al collasso economico ed indicavano
le istituzioni internazionali come FMI e BM, responsabili della crisi.
L11 aprile 2001 50.000 tra artigiani e commercianti scendono in
piazza a seguito della crisi e dopo che già lavoratori pubblici
e privati avevano riempito le strade delle città turche.
Gli scontri con la polizia sono particolarmente duri e spingono il governo
Ecevit a dichiarare il divieto di organizzare qualsiasi tipo di dimostrazione
per un mese. Ovviamente sotto accusa dello stato e dei media turchi sono
le organizzazioni islamiche e della sinistra rivoluzionaria e tanto basta
per il socialdemocratico Ecevit a eliminare le foglie di fico
al regime turco. Il 14 aprile, nonostante il divieto, i sindacati, compresi
quelli governativi, riuniti nella Piattaforma del Lavoro, proclamano scioperi
e manifestazioni in oltre 50 province, teatro anche questi di incidenti
con la polizia e di repressione feroce.
Gli obiettivi dei lavoratori sono i responsabili della situazione, FMI
e governo turco, luno strumento degli interessi del capitale occidentale,
laltro suo suddito in nome di una borghesia corrotta e di un apparato
burocratico militare che sovrintende alla tutela degli interessi USA nella
regione. Tutto questo, appunto, mentre i prezzi salgono alle stelle, la
disoccupazione è in aumento costante, e la moneta continua a perdere
peso e potere dacquisto.
Le classi medie sono investite in pieno dalla crisi e partecipano, anche
con settori reazionari, alle proteste. Per fare comprendere come la crisi
che sta colpendo la Turchia sia profonda basta vedere come anche gli stessi
militari, che detengono buona parte del potere reale in Turchia, abbiano
dovuto rinunciare, o ritardare, una commessa di oltre 10.000 milioni di
Euro per lacquisto di 1000 carri armati e 145 elicotteri.
Alcuni cenni sulla questione islamica: saliti al potere con Erbakan come
risposta allavanzare della crisi e della povertà nel dicembre
95, sono stati prima estromessi dal governo per poi fare un accordo
di alternanza con il Partito di destra della Madrepatria.
Successivamente, in seguito alla percezione di ciò che lislamismo
avrebbe potuto rappresentare nellarea, il partito islamico è
stato sciolto e molti elementi presenti nella burocrazia e nella scuola,
le scuole craniche, esautorati. Da qualche anno ormai e dopo aver cambiato
nome più volte, gli islamici sono forza di opposizione moderata
nel parlamento, cercando di resistere alla spinta che li vuole vedere
fuori dalla laica Turchia, ammorbidendo le loro posizioni.
A risolvere il pericoloso stallo del paese dopo la seconda
crisi finanziaria nellarco di tre mesi, viene chiamato un nuovo
ministro delleconomia, che accorpa tutti i portafogli economici:
KEMAL DERVIS, uno dei vice presidenti della Banca Mondiale, che in breve
annuncia un piano di riforme economiche mirante a risanare il sistema
finanziario, come condizione di base per un sano sviluppo economico nonché
per ridurre drasticamente il peso dello stato nelleconomia attraverso
drastici provvedimenti legislativi.
Dopo che una serie di leggi in tal senso vengono approvate dal Parlamento,
non senza contrasti fra i tre partner della coalizione di governo, il
Fondo Monetario Internazionale il 25 maggio scorso concede un ulteriore
finanziamento alla Turchia, quale continuazione dellaccordo dellanno
precedente.
A tali fondi si aggiungono anche stanziamenti della World Bank per 2 miliardi
di dollari.
Solo con questi ulteriori finanziamenti diventa possibile superare la
fase di scontro sociale e di crisi finanziaria. Immettendo nuovi capitale
nella malata economia turca, che verranno presto richiesti, maggiorati,
in un circolo vizioso pagato dalla popolazione .
I paesi occidentali, principali creditori, ed il FMI rispondono alle proteste
ed alla crisi imponendo un loro uomo di fiducia, dando ancora, necessariamente,
credito allinsostituibile regime turco. Impongono direttamente un
uomo del loro apparato a portare in fondo le uniche riforme strutturali
che conoscano: privatizzazioni, tagli dei salari e dello stato sociale
e libertà completa nel mercato del lavoro.
Già negli ultimi anni erano state messe sul mercato
diverse aziende statali, oltre 40, con la Petrol Ofisi, ancora senza acquirente,
azienda di distribuzione di prodotti petroliferi come impresa centrale.
Con Dervis vengono messe sul mercato la Turk Telecom, molto interessata
Telecom Italia, la Turkish Airline, aziende energetiche; vengono aboliti
alcuni monopoli fiscali. Vengono contemplate nelle indicazioni del Fondo
per accedere al prestito, quindici riforme strutturali: oltre alle privatizzazioni,
tagli alla spesa pubblica, ristrutturazione e privatizzazione delle tre
banche principali.
Lo scontro è anche interno al regime turco, e trova il Presidente
Sezer schierato a difesa dei privilegi della burocrazia e degli stessi
militari turchi che non vedono di buon occhio la perdita di peso dello
stato nelleconomia e che, strumentalmente, usano la piazza stessa
per legittimarsi o, in futuro, arrivare a legittimare un ennesimo colpo
di stato militare, dopo che negli ultimi trentanni sono stati protagonisti
di altri tre golpe che hanno duramente represso le aspirazioni del popolo
turco.
Comunque i militari turchi tengono tuttora sotto tutela la politica
turca attraverso il Consiglio di Sicurezza Nazionale, presieduto dal capo
dellesercito e supremo organo nella gerarchia istituzionale. La
Difesa assorbe bel il 15% del PIL, superiore persino alla percentuale
USA dellultimo bilancio. Questa cifra, oltre che per mantenere una
enorme massa di privilegi della nomenclatura militare turca e di tutta
uneconomia di guerra che gli ruota attorno (basti pensare ai rifornimenti
da quelli tecnologici a quelli alimentari, in cui la corruzione è
la norma), è necessaria al regime turco per portare avanti la guerra
interna che da anni lo vede impegnato contro i kurdi e contro la sinistra
rivoluzionaria turca.
Questa guerra interna, da poco in parte rientrata per le scelte compiute
dal PKK, ha assorbito un enorme quantitativo di uomini e mezzi impiegati
nel Kurdistan turco così come nelle principali metropoli turche
ed è necessaria al rafforzamento del ruolo dei militari in Turchia.
Non a caso, e nonostante la cessazione dellattività armata
kurda, ogni quattro mesi viene tuttora rinnovato lo stato di emergenza
in tutte le province a maggioranza kurda . Da oltre ventanni comunque
la questione kurda, la cui popolazione rappresenta il 20% della popolazione
e oltre 15 milioni di abitanti, è un forte elemento di instabilità
per il regime di Ankara, che fonda parte della sua identità sul
kemalismo, cioè il panturchismo, che nega oggettivamente ogni rivendicazione
anche solo culturale da parte di qualsiasi minoranza etnica.
La necessità dellennesimo prestito per fare fronte ad i debiti
del 2002 rimette i litiganti sulla stessa linea soldi per loro ed il peso
della crisi sui lavoratori.
Nei giorni precedenti lo stanziamento del prestito infatti, il dissenso
tra il Presidente della Repubblica Necdet Sezer ed il superministro delleconomia
Kemal Dervis sulla privatizzazione del trattamento dei dipendenti bancari
(voluta da questultimo) aveva fatto temere alla oligarchia economico
militare che governa la Turchia di dover affrontare senza la copertura
economica occidentale lennesima congiuntura di crisi.
Ma al WEF di New York Dervis, ex numero due della Banca Mondiale, forte
dellaccordo raggiunto in extremis con il Presidente Sezer, si era
presentato molto sicuro di se.
Dervis era ottimista perché sapeva di parlare pochi minuti in anticipo
rispetto allannuncio ufficiale con cui il Fondo Monetario Internazionale
avrebbe dato il via libera ad un programma di aiuti triennale da 16.2
miliardi di dollari (di cui sei dovrebbero essere restituiti dalla Turchia
al Fondo stesso).
Ora il programma di aiuti raggiunge la cifra complessiva di 31 miliardi
di dollari. Una cifra che fa di Ankara il maggior beneficiario del Fondo
di ogni tempo.
Meglio di così non poteva andare per Kemal Dervis, ex funzionario
del Fmi ed oggi zar incontrastato della politica economica turca e forse
in futuro anche della politica. Con i 31 miliardi di dollari di prestito,
Ankara ha superato i 22 miliardi concessi a Buenos Aires, il secondo mercato
emergente in crisi profonda con cui il Fondo però è stato
molto meno premuroso.
Il segreto del successo di Ankara è tutto racchiuso nel rapporto
preferenziale che il Paese della Mezza Luna può vantare con gli
Stati Uniti e naturalmente con le istituzioni finanziarie internazionali:
la Turchia può mettere sul piatto il suo <peso> strategico
e militare nellarea di competenza nella lotta al terrorismo. E tanto
basta per rassicurare gli uomini del Fondo Monetario e gli investitori
privati.
Dervis ha rassicurato gli operatori di New York affermando che un 35%
di inflazione annua nel 2002 è perfettamente raggiungibile e ha
fatto balenare la possibilità di una inflazione sotto le due cifre.
Lapprovazione era ampiamente attesa commenta a caldo
Riccardo Barbieri, responsabile della ricerca sui mercati emergenti della
<Morgan Stanley> a Londra perché nelle ultime settimane
il Governo e il Parlamento turchi si erano dati molto da fare per approvare
un serie di riforme convenute con Fondo Monetario.
E molto importante continua Barbieri che il
Governo Ecevit non abbia ceduto sulla ricapitalizzazione del sistema bancario
su cui il presidente della Repubblica, Ahmet Necdet Sezer, aveva messo
il veto. Poi il braccio di ferro tra Governo e presidente era venuto
meno. Interessante anche il varo della legge sugli appalti pubblici (Il
Sole 24 Ore 5 febbraio 2002). Gli Stati Uniti hanno creato anche una Commissione
di Partnership Economica con la Turchia nel gennaio 2002 a dimostrazione
dellinteresse statunitense a mantenere a galla i sudditi turchi.
Come immediata conseguenza delle misure prese due delle maggiori banche
statali, la Ziraat (la banca di sostegno al settore agricolo) e la Halk,
chiuderanno un totale di 897 filiali, trasferendo allamministrazione
statale 16000 dipendenti, non potendo assumere che personale con contratto
privatistico. Questo perché i dipendenti pubblici in Turchia non
possono essere licenziati.
Lultimo estratto del quotidiano della Confindustria sintetizza bene
i motivi che hanno spinto gli Stati Uniti, ma anche la UE, a mantenere
in vita il regime turco. Dalla seconda guerra mondiale la Turchia ha rappresentato
un elemento fondante della strategia politico militare delloccidente
capitalista.
Paese con oltre 60 milioni di abitanti, che unisce Europa ed Asia, che
assicura il controllo di un bene centrale per tutto il medio oriente come
lacqua, stato laico baluardo al cosiddetto pericolo islamico,
testa di ponte militare più volte utilizzata come base per gli
attacchi in Iraq o in Afganistan e, soprattutto, fedele esecutore delle
indicazioni imperialiste, la Turchia ha oggi il secondo esercito della
NATO, integrato in particolare con le forze USA e GB, e il suo ruolo militare
si è ulteriormente amplificato nella guerra infinita che gli Stati
Uniti hanno dichiarato per rafforzare il loro dominio. Svolge un ruolo
significativo di difesa degli interessi USA anche nellambito del
politica europea di sicurezza e difesa (PESC). Infatti nel 1999 la Commissione
Europea, riconoscendo lo status di paese candidato alla Turchia, pianifica
una serie di misure per sostenerne i rapporti.
Tra queste lassociazione della Turchia alle posizioni ed alle azioni
comuni definite nel quadro della PESC. Da quel momento numerose divergenze
segnano i rapporti in ambito PESC tra UE e Turchia che, spinta dagli Usa
stessi, si impegna a evitare che il progetto di esercito europeo acquisti
un peso troppo rilevante allinterno della gerarchia NATO. Alla fine
del 2001 le principali richieste di Ankara vengono soddisfatte come risultato
degli incontri che Stati Uniti e Gran Bretagna, in nome della UE, conducono
con la Turchia.
Per accogliere le condizioni che la Turchia poneva per non porre il veto
allaccesso alle risorse NATO da parte della forza europea costituenda,
la UE ha concesso ad Ankara potere decisionale sulluso della forza
europea nella regione di interesse turco e ha escluso dal raggio di intervento
della forza le divergenze tra paesi NATO, essendo la Turchia interessata
a non internazionalizzare un eventuale crisi con il vicino greco.
E evidente il ruolo che gli Stati Uniti giocano nella vicenda evidenziato
dalla mediazione precedente allaccordo ed alla successiva visita
di Powell ad Ankara allindomani dellaccordo. Non è
possibile per limperialismo USA la perdita di una pedina tanto importante
in questa fase e questa pedina, o meglio loligarchia al potere in
Turchia, va finanziata, sorretta per evitare il crollo che abbiamo visto,
per esempio in un caso del tutto simile, in Argentina. In Turchia il FMI,
comunque, continua a riversare le sue finanze in un pozzo senza fondo
per consentire che non si incrini il fronte capitalista.
Una classe politica e militare, il cui potere è legato in forma
inscindibile alla tutela degli interessi del capitale e la cui stessa
esistenza verrebbe meno se rifiutasse le scelte occidentali, che è
incapace di portare il paese in un a situazione di tranquillità;
le cui ambizioni sono del resto vanificate dallo strapotere Usa e UE che
non permettono che la Turchia stessa svolga un ruolo di potenza nellarea,
riducendola più a sentinella dei propri interessi che non a partner
partitario, come lo sciovinismo turco vuole fare credere.
I tentativi di rafforzamento degli interessi economici e militari passa
attraverso la tutela occidentale che ne controlla i processi produttivi
e militari. Il commercio stesso continua ad essere orientato sempre verso
loccidente in un eterno scambio ineguale che Ankara vedrebbe di
buon occhio rovesciato verso i suoi vicini orientali e meridionali ma,
anche per le posizioni di poco successo nellarea (come quella di
legarsi militarmente ed economicamente ad Israele in perfetta linea NATO-USA
che gli è costata lesclusione dalla Conferenza degli Stati
Islamici), la Turchia non riesce ad imporsi come potenza importante e
determinante nellarea stessa.
In questa situazione il pericolo di un colpo militare, necessario probabilmente
per gli Stati Uniti se la crisi e le proteste avanzassero, diventa reale.
I settori popolari mobilitati in difesa dei loro interessi, classe media
in piazza, questione Kurda irrisolta, corruzione dilagante e crisi finanziaria
diventeranno le cause di un ennesimo golpe nel paese o riusciranno a portare
allemancipazione del popolo turco e kurdo? E fino a quando il capitale
occidentale, nella grossa fase di crisi che attraversa, sarà in
grado di mantenere in vita la moribonda Turchia?
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