Senza Censura n. 6/2001

[ ] Zona di Libero Scambio euromediterranea



Una frontiera a geometria variabile... a seconda delle esigenze dell'Unione Europea

Nel "nuovo ordine mondiale" le grandi potenze si contrappongono per blocchi economici. Le aree di influenza politica coincidono ancora più che prima con quelle economiche. Da anni gli Stati Uniti affinano i nuovi strumenti della gestione dell'economia e della politica del mondo, creando zone di libero scambio con le loro periferie; prima attraverso il NAFTA (che li lega a Canada e Messico), e poi attraverso il FTAA (che includerà tutti gli stati americani ad eccezione di Cuba).
Ma se di quanto accade dall'altra parte dell'Atlantico, così come del funzionamento delle zone industriali di esportazione (Export Processing Zones) dell'Asia se ne comincia a parlare anche in Europa e in Italia - e nascono dei movimenti di contestazione - ben poco si parla invece di come la stessa Europa stia cercando di inserirsi nel "nuovo ordine mondiale". Se oramai sigle quali NAFTA, FTAA incominciano a dirci qualcosa, ZLS ci dice veramente poco. Eppure da oltre cinque anni l'Unione Europea è impegnata a costruire la sua zona di libero scambio, la sua area di influenza economica e politica, la ZLS euromediterranea per l'appunto. Se tutti gli accordi verranno ratificati, la zona includerà entro il 2010, da una parte i paesi membri dell'Unione, dall'altra 12 paesi della riva sud ed est del Mediterraneo: Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Siria, Giordania, Libano, Israele, Autorità Palestinese, Cipro, Malta, Turchia. Sarà una grande regione economica e politica che includerà ben 27 paesi. Nella retorica ufficiale dovrebbe avere lo scopo di ridurre il divario tra le due rive. Un divario che in termini di cifre si può sintetizzare e rendere più comprensibile con delle formule chiare anche se alquanto semplificanti. Un francese è 14 volte più ricco di un egiziano. Francia, Italia, Spagna e Grecia rappresentano l'88% del PIL dell'intera regione.
Per l'Unione europea la creazione della zona di libero scambio euromediterranea è un investimento molto importante, che non richiede grandi sforzi. Consiste da una parte nell'erogazione dei cosiddetti aiuti allo sviluppo che da ora vengono legati alle riforme liberiste realizzate e non più al volume, al PIL, al numero d'abitanti; dall'altra nel sostegno e nella legittimazione alle elite al potere, spesso corrotte e dittatoriali e con problemi di consenso tra la propria gente (dal 1995 al '99 sono stati stanziati solo 3,424 miliardi di euro per l'insieme dei PTM = paesi mediterranei extra-UE).
Per i Paesi Terzi Mediterranei (PTM) l'ingresso nella ZLS comporta degli impegni assai gravosi. Significa dei cambiamenti sostanziali che si traducono essenzialmente nei seguenti punti: 1) la fine dei privilegi commerciali e l'eliminazione, in "rispetto" delle regole dell'OMC (Organizzazione Mondiale per il Commercio), di gran parte dei dazi doganali per i prodotti manufatti di origine europea; 2) l'adozione di politiche economiche neoliberiste sulla scia dei piani di aggiustamento strutturale già sperimentati nella regione da Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale; 3) un fattivo aiuto nel controllo dei flussi migratori e dei movimenti islamici; 4) concessioni all'Unione di garanzie politiche e di sicurezza.
La grande novità del partenariato, al di là della retorica ufficiale, sta nell'accesso dei prodotti manufatti europei sui mercati dei paesi terzi. Per i paesi della riva sud-est del bacino non ci sono grandi novità positive: già da anni i loro prodotti industriali hanno libero accesso sul mercato della comunità, mentre i prodotti agricoli, nonostante le insistenti richieste dei PTM, continuano ad essere esclusi dal libero scambio. I benefici della ZLS per questi ultimi dovrebbero venire da una ristrutturazione delle loro economie in senso liberista il che vuol innanzitutto dire capacità di attrarre grandi investimenti stranieri e capacità di rendersi estremamente competitivi in un mercato di libera concorrenza; questa la sfida su cui puntano UE, BM, FMI e che secondo questi istituti va perseguita a botte di privatizzazioni, d'attrazione degli investimenti esteri e soprattutto di quelli delle grandi multinazionali, di aumento della competitività del costo del lavoro attraverso la flessibilità del lavoro e la messa all'asta della manodopera locale. Queste politiche, lungi dal mettere in crisi i poteri clientelari e autoritari a cui si rivolgono, danno anche ulteriori strumenti alle élites al potere per il controllo e la repressione di ogni eventuale opposizione. La creazione di una zona di libero scambio sembra infatti aver bisogno di rafforzare l'approccio autoritario. Si può anzi constatare che la conseguenza della mondializzazione del liberismo in questi paesi produce trasformazioni economiche che spingono i regimi ad armarsi contro il malcontento delle popolazioni, dovuto ad un ancor più flagrante scarto tra ricchezza di pochi e povertà estrema dei molti costretti anche a vivere in condizioni di crescente degrado ambientale (per esempio la nascita di bambini deformi nei pressi di tante fabbriche in Marocco e altrove).
La logica della zona di libero scambio impone ai PTM da una parte l'apertura delle loro frontiere agli ormai assai competitivi prodotti europei, superiori spesso per qualità, per questioni di etichetta, e ora anche per prezzi; dall'altra una serie di grandi trasformazioni politico-economiche. In uno studio fatto sulle imprese tunisine, ad esempio, è stato calcolato che solo il 33% di queste sono in grado di affrontare la liberalizzazione degli scambi, un altro 33% deve operare una grande ristrutturazione se vuole sopravvivere e un altro 33%, costituito per lo più da aziende a conduzione familiare, è destinato a chiudere di fronte all'apertura dei mercati. D'altronde negli stessi documenti di BM, FMI, OCSE, non si fa mistero che la liberalizzazione degli scambi sul medio e breve termine porterà a delle gravi difficoltà all'interno dei PTM e soprattutto a una diminuzione della produzione interna e ad un aumento della disoccupazione, mentre i tanto sospirati vantaggi dovrebbero arrivare solo sul lungo periodo. Data questa situazione la ZLS, come tutti i nuovi meccanismi economici neoliberisti, più che vettore di "prosperità condivisa" si presenta come vettore di nuove diseguaglianze. Non è allora esagerato, né troppo pessimistico prevedere un aumento del divario tra le due rive e un nuovo e maggiore divario all'interno dei paesi delle due sponde del Mediterraneo. I "profitti" della globalizzazione economica riguardano infatti solo piccolissime parti delle popolazioni sia a Nord sia a Sud, seppure è ovvio che le prime godono di situazioni d'indiscusso privilegio sulle seconde.
Inoltre non bisogna dimenticare che le trasformazioni imposte ai PTM dall'ingresso nella ZLS rappresentano un'ulteriore spinta ad emigrare per le popolazioni della riva sud-est del Mediterraneo, già vessate dalla mancanza di prospettive occupazionali (ma iperstimolate ai consumi) e da regimi quanto meno autoritari: del tutto infondata infatti l'idea, largamente propagandata da governanti e fautori del liberismo, che la liberalizzazione degli scambi porti ad una riduzione dei flussi migratori. Studi sul NAFTA realizzati dalla stessa OCSE dimostrano che da quando c'è l'accordo le migrazioni messicane verso gli Stati Uniti, legali e illegali, sono aumentate! Eppure la sola risposta elaborata dai paesi europei ai movimenti di persone, risposta che si va sempre meglio definendo all'avvicinarsi dell'istituzione della ZLS, sono i controlli dei flussi, gli accordi sulle quote, sulla riammissione degli irregolari e dei clandestini, il rafforzamento degli apparati polizieschi e di sicurezza, la criminalizzazione delle migrazioni illegali, considerate alla stregua dei narcocrimini e di altre attività illecite. Le migrazioni qualora non rispondano a precise esigenze economiche, politiche e demografiche decise di volta in volta dai membri dell'UE, a seconda delle loro necessità, diventano sempre più una questione di sicurezza, di ordine pubblico. Mentre le frontiere cadono per merci, capitali e per i cittadini dei paesi dominanti, diventano sempre più invalicabili per uomini e donne dei sud. Ma quanto accade al confine tra Stati Uniti e Messico, una frontiera controllabile più facilmente dei 15000 km di frontiera europea, dimostra che è impossibile voler controllare, attraverso un potenziamento degli apparati di sicurezza, i flussi, generati fondamentalmente dall'insostenibilità delle situazioni all'interno dei paesi di partenza, all'aspirazione a sfuggire al peggioramento delle condizioni di lavoro, di reddito e di vita, aspirazione all'emancipazione e anche da una richiesta dello stesso mercato, regolare e irregolare. Il risultato è quantificabile in enormi sprechi per le sempre più sofisticate e dispendiose attività di controllo, in enormi guadagni per il business della sicurezza e in sempre più numerosi morti nel tentativo di migrare. Al di là della retorica ufficiale l'idea di una zona di libero scambio provoca un'ulteriore restrizione dei diritti e delle libertà nell'area del Mediterraneo.


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