Senza Censura n. 6/2001

[ ] Niente sarà come prima!!



Allargamento della Nato ad est e guerra


Niente sarà come prima!! Dopo l'attentato alle Twin Towers ed al Pentagono questa frase è risuonata a destra e a sinistra.In realtà potremmo dire che poco è cambiato. Poco cambia dalle guerre umanitarie precedenti contro i famosi criminali contro l'umanità.
Questo alla luce di una prima difficoltà nel dover affrontare il problema dell'allargamento della Nato davanti alla "coalizione internazionale antiterrorismo" e alla luce della guerra che l'imperialismo sta combattendo contro un nemico, che al di la di Bin Laden o altri, è oggettivamente rappresentato da chi mette in discussione i suoi interessi.
La grande coalizione contro il terrorismo potrebbe in un primo tempo spiazzare coloro che in questi anni hanno cercato di comprendere gli sviluppi della politica di allargamento della Nato, quale ruolo assume nello scontro borghesia imperialista/proletariato internazionale, in quanto, con un buon supporto mass mediatico, sembra avere uno sviluppo indipendente da questa.
Ma come vedremo non è altro che il suo naturale sviluppo.
Il quadro che si sta definendo non può essere considerato indipendente dal processo di penetrazione nell'area caucasica per il controllo o meglio per l'appropriazione delle enormi risorse energetiche presenti nell'area, consentendo definitivamente agli Usa e al suo suo capitale (quello meno "globalizzato"), con una chiara legittimazione internazionale, di dominare in un area tradizionalmente di influenza sovietica prima, russa e cinese oggi. Un dominio che non passa unicamente attraverso la presenza militare, ma con il supporto di questa, tende a definire una nuova gerarchia nei confronti di Russia e Cina.
Non può ritenersi indipendente dal processo di Partners for Peace, a cui partecipano peraltro numerosi paesi nati dalla frammentazione della URSS (primo passo, per i paesi partecipanti, per adeguare le strutture militari e politiche ai dettami Nato e per dimostrare l'attaccamento agli interessi della borghesia imperialista).
La "grande coalizione antiterrorismo non può ritenersi indipendente dai patti di cooperazione con i paesi del Mediterraneo (nella sua estensione che va da Gibilterra al Mashrek) e dalle manovre congiunte che ormai da anni si stanno susseguendo in maniera serrata. Certo questo fronte è quello che risentirà maggiormente del nuovo quadro politico e anche gli Usa e gli altri attori internazionali (Gb, UE, Russia, Cina, ecc..) lo sanno benissimo. Il quadro interno dei paesi arabo-mediterranei risente, in maniera notevole, delle istanze antimperialiste e antiamericane radicatesi in questi anni nel proletariato locale. Ragione, come già evidenziato nei numeri precedenti di Senza Censura, di un certa cautela per l'adesione di questi paesi al Patto Atlantico (definizione che comincia a essere obsoleta).
Lo spostamento delle forze militari americane dall'europa verso l'area caucasica era già da tempo preparata all'interno di un quadro di trasformazione della strategia politico militare Usa ed in particolare dentro un quadro di ridefinizione del ruolo dell'Europa all'interno della Nato. Trasferire la politica militare a monte, direttamente nelle aree dove si trovano le risorse energetiche assumendo il controllo diretto di queste, porrebbe gli Usa in una posizione dominante rispetto agli altri contendenti rappresentati da Ue, Cina e Russia, anche se sempre più si troveranno a fronteggiare gli effetti delle contraddizioni che vanno e andranno a svilupparsi.
Le cosiddette misure contro il terrorismo internazionale erano già in atto in particolare tra tutti quei paesi che, interni, Partners o cooperanti, hanno rapporti più o meno stretti con la Nato ovvero tra quei paesi che, in modi e fasi di sviluppo diversi, hanno aperto le proprie frontiere agli interessi della borghesia imperialista. Basta ricordarsi gli ultimi accordi imposti alla Grecia dopo gli attentati contro personale americano e inglese durante e dopo la guerra in ex Jugoslavia, o i numerosi patti bilaterali con i paesi del Magreb, o gli accordi tra i vari paesi del G8 (G7+1 ancora per poco), o gli ultimi accordi presi all'interno del G8 proprio in Italia.
E' chiaro che l'esistenza attuale della Nato e il suo allargamento non dipende dalla necessità di difesa nei confronti di uno stato aggressore.
E' stato più volte ribadito nei documenti ufficiali che la politica di allargamento ha il chiaro scopo di garantire stabilità e sicurezza in quei paesi che aspirano ad entrare in pieno nel grande giro del capitale internazionale. Stabilità richiesta non dai proletari, dai lavoratori, quanto necessaria per intraprendere i processi di penetrazione economica. Il concetto di stabilità si traduce, nella realtà, in quell'insieme di politiche controrivoluzionarie tese a garantire alla borghesia imperialista i propri interessi economici e ad intervenire direttamente nella loro applicazione.
Secondo lo stesso Nuovo Concetto Strategico della Alleanza Atlantica, la Nato si pone, a fronte della fine del nemico sovietico, come una grande coalizione antiterrorismo. Terrorismo inteso come qualunque atto che metta in qualche modo in discussione il dominio della attuale borghesia imperialista da parte sia del proletariato, che sempre dovrà organizzarsi su scala internazionale, sia di fazioni della stessa borghesia.
Sono quindi estremamente fuorvianti le attuali posizioni generiche "contro il terrorismo", in quanto in tale "slogan" si nascondono le future politiche controrivoluzionarie che si scaglieranno sul proletariato internazionale, che sempre più dovrà trovare la sua autonomia dalle attuali fazioni della borghesia imperialista nel nord come nel sud del mondo.
E' il cinismo con cui vengono usati i morti delle Twin Towers ( e non quelli del Pentagono) che deve prima di tutto scandalizzare. L'uso che ne viene fatto, per accelerare tutti quei processi di dominio globale da parte della borghesia imperialista, è il vero scandalo e la divisione in cui il proletariato internazionale potrà incorrere deve essere combattuta. Troppo facile sarebbe rimanere a chiedersi a chi serve quanto è successo, in quanto il dominio della borghesia impone una lettura che nasconda il suo dominio e le sue politiche controrivoluzionarie dalla lettura della fase attuale.
Se un nemico considerato invincibile non si dimostra tale, nonostante tutto il suo apparato militare e tecnologico, non è certo un dato negativo nello scontro classe capitale, borghesia imperialista/proletariato internazionale, come è certo che sempre più lo scontro tra varie fazioni della borghesia, all'interno del panorama internazionale attuale, produrrà guerre e distruzioni che ricadranno sulla vita del proletariato internazionale che quotidianamente vive il peso dello contraddizioni che questo sistema produce.
Quello che è cambiato è la velocità con cui procederà il processo di allargamento di dominio attraverso la nuova Nato e la sua strategia. Il processo già avviato subirà una accelerazione non priva però nel suo procedere di numerose contraddizioni tra le varie fazioni della borghesia e nello scontro borghesia/proletariato, che solo una maturazione della prospettiva rivoluzionaria internazionale potrà valorizzare.
Quanto affermato ci consente di affrontare, senza farsi condizionare oltremodo dai fatti attuali e dalla lettura che la borghesia tenta di imporre, quanto avvenuto e quanto sta avvenendo nei processi di allargamento ad est della Nato.

Uno sguardo indietro
A fronte di una situazione internazionale di generale ridefinizione, si è andata sviluppando la necessità di modificare la strategia politico militare della Nato con il fine di renderla funzionale alla politica di espansione del capitale Usa e Ue verso Est.
I numerosi focolai di instabilità, in molti casi frutto di una guerra sporca portata avanti dalla borghesia imperialista in chiave antisovietica, cominciavano a far temere il sorgere di molte difficoltà nella possibilità di valorizzazione del capitale all'interno di questi paesi.
Per molti sarebbe più chiaro sintetizzare che tale passaggio avviene a fronte della prospettiva di globalizzare il sistema capitalista, nella sua generalizzazione e che per fare ciò era ed è necessario poter disporre di un adeguato sistema di controllo politico-economico-militare a supporto degli interessi Usa in particolare.
L'istituzione nel 1991 del Consiglio di Cooperazione del Nord Atlantico (che sarà formato dai 16 paesi Nato, i sei ex Varsavia e le repubbliche ex sovietiche esclusa la Georgia) nasce con la funzione di "avvicinare" i paesi una volta avversari (almeno sulla carta) attraverso contatti, supporto economico e esercitazioni militari comuni. Dalla sua prima riunione si preparò ad affrontare il problema dell'allargamento della Nato davanti alla richiesta di adesione da parte di Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia (Dicembre 1991) oltre che della stessa Russia, quest'ultima giudicata "chiaramente" prematura.
Ma il coinvolgimento degli stati frutto della frammentazione dell'URSS andava a creare una situazione piuttosto particolare per quello che rimaneva della repubblica sovietica, che si vedeva direttamente minacciata da un eventuale acceleramento di tale politica di allargamento. Lo scontro che si apriva, pur rimanendo chiaramente nelle sedi diplomatiche, si è protratto fino al 1995 ed oltre.
Ma lo sviluppo della politica di allargamento della Nato, pur con numerose contraddizioni interne, procede senza sosta parallelamente allo sviluppo dell'idea di una Identità Europea di Difesa pilastro; secondo le ambizioni di molti analisti europei, di un processo di riequilibrio con la capacità politico-militare Usa.
Tra i paesi Nato si evidenziavano pareri discordanti sulla opportunità di velocizzare i processi di integrazione dei nuovi candidati in particolare per quanto riguardava la possibile instabilità che poteva delinearsi a causa dell'acuirsi di contraddizioni all'interno dei paesi in questione, Russia compresa (ripresentando una divisione Est Ovest di recente superata), per un possibile rallentamento della capacità decisionale Nato oltre che per la loro inadeguata struttura militare in termini di tecnologia, compatibilità e interoperabilità degli equipaggiamenti. Dall'altra parte si vedeva di buon occhio la possibilità di togliere alla Russia un possibile veto nei confronti delle scelte dei paesi di sua influenza; la possibilità di istituire periodi di osservazione per quei paesi candidati nei quali adeguare la struttura operativa militare, la propria struttura politica ed economica alle "democrazie" Nato. Per molti poteva essere l'Ue a spingere per un maggiore impegno per il mantenimento della sicurezza e la stabilità nell'area, anche a fronte dell'allargamento dell'alleanza.
Da tali divergenze emerge chiaramente la riluttanza europea a voler accelerare un processo che presupporrebbe un grosso sforzo di accelerazione dei processi di unione politica e militare europea (in questa fase ancora pieni di contraddizioni) riconoscendo così nello stesso tempo, la chiara inferiorità, nei confronti Usa, da un punto di vista politico militare.
La Russia, dal canto suo, esprimeva preoccupazioni legittime nei confronti di una presenza militare ai suoi confini, oltre che il timore che la sua industria militare venisse messa in crisi dai rapporti con Usa e Ue.
La sintesi delle contraddizioni interne è stata rappresentata dall'iniziativa che la Nato ha preso nel 1994 e nota come Partners for Peace. Tale istituzione (o cooperazione che dir si voglia) non ritrova l'essenza del suo significato nella traduzione italiana "Paternariato per la Pace". Sarebbe più esatto definirlo Paternariato per la Stabilità e la Sicurezza. Essa nasce con lo scopo dichiarato dei membri di sviluppare un rapporto di cooperazione militare mediante addestramenti, esercitazioni comuni, al fine di acquisire capacità e interoperabilità per azioni comuni fuori area e sviluppare, promuovere una gestione "trasparente" del settore della difesa. Questi obiettivi furono individuati dai ministri della difesa Nato nel 1993 in Germania. I paesi ex Varsavia (gruppo di Visegrad - Polonia Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) ritennero questo passaggio la manifestazione della volontà di rimandare il loro ingresso nella Nato a tempi successivi.
I timori della Russia venivano temporaneamente messi a tacere a Mosca in un incontro tra Eltsin e Clinton nel 1995 nel quale venne assicurato che l'adesione dei candidati del gruppo Visegrad non sarebbe avvenuto prima di tre anni dalle elezioni in Russia del 1996. Il PfP ebbe così l'adesione della Russia, sebbene continuasse a affermare che l'accelerazione dei processi di allargamento non era coerente con gli interessi della propria sicurezza.

Secondo alcuni giornali russi del 1995, oltre alla raccomandazione di instaurare una stretta unione politico militare con la Biellorussia allo scopo di schierarvi unità corazzate nelle vicinanze di Polonia e Lituania, lo stato maggiore presentò a Eltsin un programma di riposizionamento dei missili strategici contro Polonia e Repubblica Ceca, dopo la loro disponibilità a ospitare armi nucleari Nato.
Nello stesso anno continuano le esercitazioni sul poligono veneto di Celluna-Meduna di soldati cechi, ungheresi, polacchi, albanesi, rumeni e slovacchi, oltre a francesi, spagnoli e portoghesi.
Il vertice di Madrid del 1997 sancisce l'invito formale ai tre paesi certi (Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca) e l'apertura dei negoziati per la loro adesione. Nella stessa occasione viene presentata la richiesta di candidatura della Slovenia sostenuta dall'Italia.
La Albright appena nominata Segretario di Stato definisce l'allargamento Nato uno strumento per la stabilità di un'area che ha visto il sorgere di due guerre mondiali.
Ad uno spostamento del baricentro dell'allenaza verso sud dimostrano la loro contrarietà i paesi Nato del nord, che tentavano di mantenere invariata la concezione della bassa importanza del fianco meridionale.
Nei mesi successivi Solana, allora segretario della Nato e boia della guerra in ex Jugoslavia, tenta di mettere a punto un accordo con il governo di Mosca per una cooperazione bilaterale, comprendente l'attuazione di un meccanismo di consultazioni per quanto riguarda azioni da prendere sulla questione della sicurezza e stabilità internazionale, senza però concedere diritto di veto alla Russia per eventuali nuove adesioni alla Nato; diritto concesso invece per rivedere il trattato sulle armi strategiche, in modo tale da consentire una nuova dislocazione dei missili russi verso l'area caucasica. Ma il ruolo secondario a cui si vuole relegare la Russia non soddisfa molti dello suo stato maggiore.
Nei fatti Eltsin acconsentirà all'ingresso di Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia nella Nato, con la garanzia che non vengano dislocate nei loro territori armi nucleari, oltre che ad una promessa, da parte di Clinton, di favorire l'ingresso della Russia nel WTO e l'aumento del suo ruolo nel G8, oltre a cospicui aiuti finanziari.
In uno studio russo del 1997 si definisce lo sviluppo di stretti rapporti con gli Usa e la Nato come una necessità per mantenere il ruolo della Russia all'interno dell'area Europea e non solo, aprendo contemporaneamente i propri mercati al capitale Usa e Ue, pur salvaguardando settori importanti come quello della produzione di difesa.
E' chiaro che la scelta sui modi e i tempi, riguardo l'allargamento Nato, avviene sotto i dettami di Washington, e si traduce nell'opposizione alle proposte di candidature presentate da Ue o singolarmente da Francia e Italia (Slovacchia, Bulgaria e Romania, Slovenia), facendo attenzione a non sbilanciare il predominio USA e del suo alleato Gb nei confronti degli "alleati europei".
Con il vertice di Washington del 23 Aprile, in piena guerra alla ex Jugoslavia, il 1999 si rivela come anno chiave del processo di allargamento della Nato a Est: viene definito il Nuovo Concetto Strategico dell'Alleanza Atlantica. Una alleanza sempre meno Atlantica e sempre più proiettata verso zone di influenza ex sovietica, proiettando il suo raggio di azione verso la penisola caucasica. Il vertice di Washington sancisce l'entrata ufficiale dei tre paesi candidati Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca avvenuto il 12 Marzo a Independence (Missouri), con il benvenuto della Albright che affemava "non saranno gli ultimi ad aderire alla Nato".
Nella stessa occasione il Segretario Generale della Nato, Javier Solana, osservava che "Allargando l'appartenenza a queste tre democrazie si aiuta a stabilizzare una regione, che storicamente è legata a molti dei disastri di questo secolo".
Con l'ingresso nella Nato i tre Paesi godranno della protezione dell'ombrello nucleare americano e saranno "agganciati" al sistema di difesa antiaerea del l'Alleanza.
I tre paesi si impegnano ad applicare il principio di fondo della Nato, quello relativo alla difesa collettiva in caso di aggressione di uno degli aderenti.
Il supporto militare e logistico per gli attacchi alla ex Jugoslavia dimostra fin da subito l'indubbia utilità di tale passaggio per il controllo politico militare dell'area sud est, riaffermando che l'integrazione di altri paesi dell'est europeo consentirà una maggiore capacità di intervento nelle "crisi fuori area".
Altro passo importante è la conferma e l'intensificazione dei rapporti di partenariato con l'Ucraina (Nato-Ucraine Commission) già ufficializzato il 24 Aprile 1999, rafforzato in occasione del vertice di Firenze del 2000.
Nel 2000 nove paesi dell'Europa centrale e dell'est, Lituania, Lettonia, Estonia, Bulgaria, Romania, Slovenia, Slovacchia, Albania e Macedonia prepararono un piano congiunto per affrontare, con una strategia comune, la prossima fase di allargamento della NATO che dovrebbe espandere il numero di membri dell'alleanza a 28 nazioni,. I ministri degli Esteri di questi paesi hanno firmato un documento a Vilnius, capitale lituana, dichiarando di aver messo da parte le varie rivalità nazionali per adottare una politica congiunta finalizzata a persuadere l'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico a invitarli a far parte dell'alleanza militare occidentale nel prossimo summit del 2002.
Secondo alcuni analisti, questo pone il problema, alla NATO, di accogliere le richieste di adesione senza paralizzare le istituzioni di un'alleanza militare che opera, finora, sulla base del consenso unanime. Esistono inoltre i problemi di adattamento del comando militare integrato della NATO e dei processi decisionali a un gruppo allargato. La futura espansione, pone in serio rischio i rapporti con la Russia, che ha accettato solo con gran riluttanza l'incorporazione di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca.
Mosca ha spesso avvertito che l'inclusione delle ex repubbliche sovietiche dell'Estonia, Lettonia e Lituania non sarà tollerata. E la nuova politica di difesa trasformata in legge dal presidente Vladimir Putin descrive l'espansione delle alleanze militari a ridosso delle frontiere russe come una minaccia per gli interessi di sicurezza della nazione.
Sempre secondo fonti di esperti militari, confermate dal segretario generale Nato George Robertson, che sostituisce Solana passato a capo della PESC, a pregiudicare il rapido ingresso di questi paesi nell'organizzazione di sicurezza sarebbe stata l'esperienza maturata dai vertici della Nato con gli altri paesi già entrati a far parte della NATO nel 1999 (Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca). Problemi relativi alla sicurezza delle informazioni e soprattutto agli alti costi di integrazione delle forze armate di questi paesi, che al momento non sono sostenibili economicamente neanche tramite aiuti specifici dei paesi fondatori della Nato. Al di là dell'aspetto politico, l'integrazione dei paesi ex comunisti nell'Alleanza richiede la completa standardizzazione degli equipaggiamenti e delle procedure con quelli occidentali, adeguamento che richiederà investimenti per decine di miliardi di dollari.
Il Nuovo Concetto Strategico dell'Alleanza si configura nella realtà come lo strumento politico per il rafforzamento dell'identità Nato, quale strumento militare del processo di espansione ("globalizzazione") degli interessi della borghesia imperialista a livello mondiale che racchiude però in se numerose contraddizioni, tuttora vive, tra i suoi componenti.
E' chiaro che per i paesi Ue è necessario, per garantire gli interessi della loro borghesia e portare avanti la naturale espansione a Est, la presenza, il controllo della sicurezza e la stabilità nell'area, ritenuta possibile attualmente, secondo la totalità degli analisti politico militari, unicamente attraverso una stretta cooperazione sotto l'ombrello Nato.
Con Bush si è accelerato quel processo che già si era delineato con il nuovo concetto strategico ed in particolare la necessità di costruire una identità europea di sicurezza in grado di assumersi le sue responsabilità per la sicurezza e la stabilità dell'Europa e della sua area di influenza ed espansione naturale.
Secondo quanto riportato all'interno dei documenti "Revolution in Military Affaire" emerge l'esistenza di una decisione Usa di mantenere una posizione più defilata nelle questioni che non interessano direttamente la loro sicurezza e quella dei loro interessi nel mondo e quindi richiamare la Ue ad un maggiore impegno, in termini di risorse, per quanto riguarda la stabilità dell'europa e le eventuali crisi di area.
Questo non cancella, anzi manifesta, le contraddizione tra gli interessi Usa e Europa.

Lo spostamento degli interessi Usa verso Est e la guerra
E' innegabile che gli interessi americani si siano spostati verso l'area di ex influenza sovietica ed in particolare verso l'area caucasica e l'Asia orientale.
Dalla politica di Clinton, prudente verso Taiwan e l'area del Pacifico, si è passati ad una politica aggressiva verso la Cina arrivando a vendere armi avanzate a Taipei, ribadendo la predominanza Usa in quell'area, a fronte del tentativo di espansione cinese alle isole Spratlys, rivendicate da tutti i paesi rivieraschi del sud est asiatico, e ai tentativi di riunificazione con Taiwan.
La Cina non ha mai nascosto di voler diventare una superpotenza e in questi ultimi anni sta producendo il suo massimo sforzo per prendere il ruolo che fu della Russia.
Oltre ad aver aumentato il proprio bilancio alla difesa, comprando aerei dalla Russia e sviluppando la ricerca in campo missilistico, è diventata più aggressiva a livello diplomatico. (come ha dimostrato il recente caso dell'aereo-spia americano EP-3E, costretto ad atterrare ad Hainan).
Ai margini del confronto ufficiale, tra minacce e rappacificazioni, lo scontro si gioca su altri campi di battaglia, dove la Cina cerca di colpire gli Usa indirettamente: dal febbraio scorso, ha rivelato la Cia, Pechino ha cominciato a sostenere il programma missilistico del Pakistan, mentre le vendita di armi cinesi ha avuto recentemente un'impennata con le grosse forniture a Iran, Corea del Nord e Libia. Gli Stati Uniti, dal canto loro, un mese dopo l'incidente dell'EP-3E, hanno ripreso i voli-spia sulla Cina.
Il progetto di espansione a Est della Nato si conferma come la costruzione del supporto politico militare alla politica espansionistica Usa, nel nome di una crociata contro il terrorismo internazionale.
Il cinismo con cui Usa e Gb bombardano in questi giorni il popolo afgano in nome della lotta al terrorismo internazionale supera qualsiasi atto di guerra. Tutto quanto era già preparato e, prima o dopo, l'occasione ci sarebbe stata o al massimo sarebbe stata creata.
In un articolo redatto quest'anno da alcuni esperti militari veniva scritto:
certo non c'è più la Guerra Fredda e la "minaccia comunista... è stata sostituita in parte da quella terroristica ma non c'è dubbio che la disinvolta spregiudicatezza della politica estera di Bush potrebbe riservare presto nuove sorprese anche in altre aree calde del mondo confermando quanto dichiarato fin dalla campagna elettorale e cioè la volontà di ridurre gli impegni nelle lunghe e spesso inconcludenti missioni di pace per concentrare gli sforzi politici e militari nelle iniziative di interesse strategico per gli Stati Uniti".
Già dall'estate di questo anno alcuni esperti militari affermavano che la priorità strategica accordata dall'Amministrazione Bush all'area del Pacifico e al Sistemadi Difesa Antimissile, il ritiro di parte delle truppe schierate in Bosnia e il rifiuto di Washington di inviare reparti operativi in Macedonia (ma solo unità di supporto logistico) stavano rafforzando l'ipotesi di un progressivo ritiro dei 100.000 militari statunitensi ancora schierati in Europa.
Finanziariamente non ha alcun senso schierare un esercito per lungo tempo a fare la guardia a incroci stradali o a fare il semi-poliziotto o la balia in Bosnia o in altri teatri di Peace Support Operations. Queste missioni saranno sempre più spesso affidate alle forze armate dei paesi europei che, pur con qualche eccezione, per capacità militari e cultura sono espressamente dedicate alle operazioni di pace.
Richiamare alla responsabilità militare la Ue nell'area balcanica non è certo lasciare a questa il controllo dei futuri corridoi di passaggio delle risorse energetiche verso il mediterraneo, ma il chiaro desiderio Usa di imporre la sua strategia politico militare, senza la possibilità di metterla in discussione da parte del polo imperialista europeo. Obbligare l'Europa a sostenere lo sforzo di svolgere direttamente un ruolo militare nei Balcani e tenerlo occupato su quel fronte, difficilmente, per posizione geografica, strappabile in toto agli interessi della borghesia europea, vuol dire poter riaffermare la propria supremazia sul resto del pianeta. Inoltre la presenza della Turchia e l'attuale posizione governativa del governo italiano nei confronti della politica Usa garantisce il perseguimento degli interessi politico economici di quest'ultimo.
Gli spostamenti di truppe verso l'area di guerra consente di rischierare così le truppe Usa e GB verso le nuove, o meglio vecchie, aree di interesse politico militare.
Nel timore di dover fare il parente povero della Nato in questa ridefinizione degli interessi strategici Usa, in particolare in relazione agli sviluppi della "sindrome dei Balcani", numerose fonti bulgare hanno ipotizzato che l'Occidente si stia preparando all'eventualità' di sostituire, per intero o in parte, i contingente KFOR in Kosovo con soldati provenienti da altri paesi più poveri, come la stessa Bulgaria o la Romania, il cui "inquinamento" o la cui uccisione in eventuali scontri sarebbe meno "imbarazzante".
Certo non colgono la ragione "chiave" dello spostamento, ma i timori espressi dalla Bulgaria rispecchiano in pieno quale ruolo sia riservato attualmente ai paesi partners.
Unità militari bulgare hanno già condotto azioni di esercitazione nel teatro occidentale. A ottobre 2001 dovrebbe tenersi l'esercitazione "Autunno 2001", dove sarà elaborato il teatro Meridionale, come aveva comunicato il gen. Mihov.
Secondo alcuni analisti, la Bulgaria assume una importanza sempre maggiore nell'allargamento ad est della Nato e dell'area di influenza occidentale sia per motivi economici che militari.
Per l'approvvigionamento di risorse energetiche la Bulgaria costituisce una possibile alternativa al Corridoio n°8 in quanto geograficamente collegata ai paesi dell'area caspica. Da un punto di vista militare, sempre secondo alcuni analisti, è più vicina dell'Italia al teatro operativo balcanico, presenterebbe meno problemi politici in caso di azioni di guerra alleate e dispone peraltro di un buon numero di basi aeree moderne e di grandi dimensioni per ospitare centinaia di jet da impiegare nell'attacco NATO.
La Bulgaria aspira ad entrare nella NATO e punta, anche per le importanti ricadute economiche, a ricoprire il ruolo di grande base logistica in un'Alleanza Atlantica allargata ad est. Italia e Francia hanno firmato già un contratto di affitto per l'utilizzo rispettivamente di un'area addestrativa nei pressi di Kaskovo e del poligono di Novo Selo.
La coalizione antiterrorismo e la disponibilità di molti paesi che si sono schierati a favore dell'intervento non deve fare stupire nessuno in quanto come più volte abbiamo affermato, la Nato esiste in funzione della necessità di garantire al livello planetario gli interessi della borghesia imperialista. Chiunque violi gli interessi della borghesia imperialista è un terrorista, qualsiasi popolo che resiste alla penetrazione e al dominio capitalista è un terrorista.
Alcune fonti d'informazioni riportano di una esercitazione anglo-ceca del novembre 2000 a Kolin, nella Boemia Centrale, che simulava un'incursione per liberare l'ambasciata britannica a Praga caduta nelle mani di un gruppo terroristico. Nell'esercitazione è stata testata la capacità di collaborazione tra i ministeri degli interni e le squadre speciali dei due paesi, e ciò ha permesso di affinare procedure, tattiche e tecniche comuni.
Secondo fonti ufficiali si è trattato di un'esercitazione di assistenza umanitaria e mantenimento della pace, ma molti ritengono che "CENTRASBAT 2000" condotta in territorio kazako lo scorso anno da 300 paracadutisti della 82a Divisione statunitense, rappresenti la volontà di Washington di cooperare con le repubbliche ex sovietiche dell'Asia Centrale e con Russia e Cina nel contrastare la penetrazione del terrorismo islamico di matrice afgana in questa regione. L'esercitazione ha visto la partecipazione di 2000 militari del Kazakistan, Kyrghizistan, Uzbekistan, Azerbaijan, Georgia, Turchia, Mongolia e Russia mentre Francia, Ucraina e Gran Bretagna hanno inviato degli osservatori.
La partecipazione statunitense è stata organizzata dal Central Command che ha competenza sull'area operativa che si estende dall'Africa Orientale al Medio Oriente, dall'Oceano Indiano all'Asia Centrale. Secondo alcuni analisti la collaborazione con il Kazakistan è al tempo stesso un'esigenza dettata dai problemi di sicurezza e stabilità determinati dalla guerriglia islamica, ma anche un'esigenza economica dal momento che tutte le più importanti società petrolifere del mondo hanno investito miliardi di dollari per sfruttare i giacimenti di gas e petrolio del paese che verranno convogliati con lunghissimi oleodotti fino al Mediterraneo. Anche per questa ragione USA, Russia e Cina appoggiano militarmente il Kazakistan contendendosi però l'influenza sulla regione.
Sempre secondi alcune fonti l'esercito kazako, in fase di ristrutturazione, verrà organizzato su unità piccole ma autonome, specializzate in operazioni antiguerriglia su terreno montuoso e nel controllo del territorio mentre sono previsti maggiori scambi e collaborazioni con il vicino Kyrghizistan con l'obiettivo di contenere lo sviluppo della guerriglia islamica concentrata nella Valle di Fergana, a poche decine di chilometri dal confine kazako.
Nel Luglio del 2001 in Ucraina si sono svolte manovre militari congiunte tra paesi Nato e paesi Baltici e repubbliche ex sovietiche membri del PFP, denominate Peace Shield 2001, esercitazione di peacekeeping. Alle manovre hanno partecipato oltre all'Ucraina, Azerbaijan, Biellorussia, i paesi Nato (escluse la Francia e la Spagna), Kazakhistan, Moldavia, Romania, e con la presenza come osservatori di Russia e Turkmenistan. Le esercitazioni, secondo quanto riportato comprendevano manovre militari e training simulati. Sarebbe molto interessante sapere di quali simulazioni si trattasse.
Secondo alcuni analisti al contrario della guerra del Golfo, conflitto mediatico per eccellenza, l'operazione militare condotta da Stati Uniti e Gran Bretagna contro il "terrorismo integralista" è stata attuata, fino a questo momento, nel più rigoroso silenzio stampa. Le poche notizie trapelate ogni giorno hanno smentito di volta in volta il panorama in precedenza delineato, non consentendo di individuare, con certezza, i nemici e gli alleati della potente coalizione.
Non c'è quindi da meravigliarsi davanti agli atteggiamenti apparentemente schizofrenici di paesi come Arabia Saudita, o come Uzbekhistan e Tadjikisthan, per la presenza islamica.
Non c'è da dimenticarsi che il Pakistan è un alleato degli americani nell'area e non c'è quindi da stupirsi del suo atteggiamento attuale schiacciato com'è dal pericolo di una guerra interna senza fine che impedirebbe le possibilità di garantirsi il mantenimento di una parte dei suoi interessi nell'area.
Le difficoltà dell'Egitto e di altri paesi dell'area nel dare disponibilità alla presenza di forze Nato per l'attacco all'Afghanistan non dipende certo da remore morali verso il popolo afgano, ma da una chiaro timore, da parte dei governanti, di moti di rivolta popolare che rischierebbero di compromettere gli interessi della borghesia imperialista in quell'area e che rischierebbero di unirsi con le istanze proletarie che nascono dalle condizioni economiche sempre peggiori, a causa delle numerose ristrutturazioni e privatizzazioni imposte dal quadro di sviluppo dell'economia capitalista nell'area attraverso i dettami FMI o Banca Europea.
Egitto, Marocco, Giordania sono da tempo coinvolti nelle esercitazioni Nato con alcuni paesi europei (Italia compresa) e hanno già da tempo una presenza militare Usa come nel caso di Egitto e Marocco. Anche per l'Algeria la situazione non si presenta semplice data la sua instabilità interna, questione berbera e islamista, oltre ad una perenne crisi economica, nonostante il suo accresciuto ruolo di partners militare americano nell'area.
Secondo alcuni analisti la campagna lanciata da Washington e Londra costituisce una sfida epocale per le repubbliche asiatiche ex sovietiche di Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kyrghizystan. A questi paesi si presenta un'occasione unica per ottenere contropartite economiche e politiche utili a consolidare la transizione dall'era sovietica ancora in corso e penalizzata negli ultimi anni proprio dalle difficoltà economico-finanziarie russe.
Nell'attuale crisi con l'Afghanistan, Mosca ha offerto convincenti garanzie di sicurezza nell'area, con i 25.000 uomini schierati in Tagikistan e le basi militari in Uzbekistan (previste dagli accordi della Comunità degli Stati Indipendenti) messe a disposizione degli anglo-americani. Garanzie rafforzate non solo dalla presenza militare statunitense ma anche dal potenziamento dei legami con la NATO, già peraltro esistenti dopo l'integrazione delle repubbliche asiatiche nella Partnership for Peace con lo scopo di rafforzare la collaborazione nei settori della sicurezza e difesa.
La Russia non poteva non essere coinvolta nella operazione di guerra nell'area, sia per la naturale presenza nell'area e per la volontà occidentale di non inasprire tensioni che potrebbero portarla vicino alla Cina, sia per il clima di "collaborazione" nei processi di espansione occidentali. Il prezzo da pagare alla Russia sarà probabilmente la possibilità di chiudere i conti con le istanze islamiche presenti all'interno e alle sue aree di influenza e interesse economico, politico, militare, ripresentandosi a pieno titolo nello scenario politico militare dell'area.
Dieci paesi dell'ex blocco dell'est, candidati a entrare nella Nato, hanno assicurato oggi all'Alleanza il loro sostegno "incondizionato" nella lotta al terrorismo in cambio dell'impegno di Washington che avrebbe promesso loro "storiche" svolte sull'allargamento Nato da discutersi a Praga nel 2002. I nostri governi appoggeranno in tutto e per tutto la guerra al terrorismo.
"La comunita' euroatlantica deve costituire il fondamento di una vasta coalizione destinata a combatterlo", hanno affermato, in un comunicato pubblicato al termine del vertice di Sofia, i presidenti di Bulgaria, Lituania, Lettonia, Estonia, Slovacchia, Slovenia, Romania, Macedonia, Albania e Croazia. - (Afp-Internazionale).
La disponibilità alla guerra diventa oggi la discriminante per i paesi che aspirano ad entrare sotto l'ombrello Nato e, di conseguenza, all'interno del processo di valorizzazione del capitale transnazionale e impegnarsi per garantire gli interessi della borghesia imperialista Usa è il miglior modo per dimostrare la propria affidabilità.
La situazione di crisi con l'Afghanistan e la collaborazione di tutte le repubbliche ex sovietiche di questa regione con gli Stati Uniti pone il rischio di nuove insurrezioni e "azioni terroristiche" di matrice islamica tese a destabilizzare le basi avanzate russo-americane. Per questa ragione la presenza militare statunitense che va configurandosi in Uzbekistan e Tagikistan dovrà con ogni probabilità essere confermata anche dopo la fine della crisi afghana così come il supporto economico di Washington dovrà favorire l'avvio di importanti riforme economiche e politiche necessarie a favorire lo sviluppo.
Sarà quindi una guerra che si dispiegherà sempre più contro il proletariato arabo e islamico, non più disposto a sottostare al dominio imperialista. Un proletariato che rischia di trovarsi schiacciato tra la borghesia imperialista e le borghesie reazionarie islamiche, unico fronte, in questa fase, che abbia sviluppato la capacità di dirigere le istanze di liberazione.
Sarà una guerra interna alle metropoli imperialiste dovrà sarà necessario colpire le istanze rivoluzionarie del proletariato, mettendo in atto tutto l'apparato repressivo e controrivoluzionario che già abbiamo visto nel suo sviluppo durante la guerra in Ex Jugoslavia.
Ed è quindi sostanziale non fermarsi a semplicismi di sorta portando acqua al mulino di chi vuole dividere a tutti i costi il proletariato internazionale attraverso appartenenze religiose o altro, imponendo a questo o a quello di schierarsi dietro la direzione di fazioni della borghesia imperialista che perseguono, nonostante le divisioni o fratture, lo stesso fine.
La guerra che cercano di sviluppare nel proletariato deve essere combattuta con la guerra contro il nostro nemico storico, la borghesia imperialista.
La guerra che si vuole creare tra le varie anime del popolo palestinese è parte della guerra che la borghesia imperialista porta, attraverso il servo sionista, contro il popolo palestinese e le masse arabe e islamiche tutte, contro il proletariato metropolitano nella periferia come nel centro. Il portato storico e politico per le masse arabe e islamiche della lotta palestinese non dovrà spegnersi o essere lasciato nelle mani della borghesia imperialista in chiave controrivoluzionaria.
E solo la guerra alla guerra in atto che può garantire lo sviluppo di una prospettiva rivoluzionaria.
La pace che si vuole imporre al popolo palestinese è parte della guerra portata contro il popolo afgano e si potrà parlare di pace nel mondo quando il proletariato riuscirà a vincere la guerra contro l'imperialismo e i suoi strumenti di dominio, la Nato in primis. Sta a noi garantire l'appoggio a tutti coloro che non si piegheranno agli intersessi imperialisti.
Ed è quindi necessario che un nuovo fronte entri in gioco, che garantisca lo sviluppo di una autonomia da parte del proletariato internazionale nei confronti della borghesia imperialista, che ritrovi la strada dello scontro rivoluzionario a livello internazionale, che sappia portare alla luce cosa si nasconde nelle attuali politiche di guerra, nello sviluppo della Nato, che sappia far individuare il nemico, indebolirlo e portarlo allo scoperto dimostrando la sua vera essenza.


FONTI:

- Centro Alti Studi per la Difesa - seminari anni accademici 1998/1999, 1999/2000 - www.casd.it

- Istrid - www.istrid.it

- Analisi Difesa - www.analisidifesa.it

- Nato - www.nato.int

- Nato expansions - www.fas.org/man/nato/index.html

- Bulgaria Italia - www.bulgaria-italia.com

- Ungheria Italia - www.ungheria-italia.com


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