Senza Censura n. 6/2001

[ ] La prospettiva del movimento



Un intervento del CPA di Firenze su Genova

Da Seattle in poi c'è un gran parlare di globalizzazione e movimenti antiglobalizzazione, strutture sovranazionali, multinazionali e potenti della terra. Ogni incontro di questi organismi sovranazionali è stato caratterizzato da grosse contestazioni da parte di una massa eterogenea di soggetti con un minimo denominatore comune: la lotta contro la globalizzazione.
Particolare interessante è la forte attenzione che i massmedia borghesi hanno dato a tali contestazione, a differenza di quanto è successo per i vertici e controvertici di questi organismi dalla metà degli anni 80 per tutti gli anni 90 (G7 a Napoli, Colonia, Maastricht, ecc..) tanto da poter far pensare che qualcosa sotto ci cova.
Questa valutazione non presuppone una nostra presa di distanza dal cosiddetto movimento antiglobalizzazione, di cui teniamo in giusto conto le positività che esso esprime, facendo una profonda differenza tra coloro che opportunisticamente si fanno portabandiera di tale movimento, tentando di trovare referenti e prospettive sempre più interne alle compatibilità del sistema, e coloro che, per una giusta tensione contro la condizione oggettiva che vivono e vedono vivere, si pongono in antagonismo con i padroni del mondo.
All'interno di questo panorama emerge il grosso limite della prospettiva che la parte positiva di tale "movimento" può darsi a fronte, a nostro avviso, di una analisi della fase attuale parziale o estremamente superficiale, in particolare per quanto concerne la collocazione del problema globalizzazione e strutture sovrannazionali. Ed è grazie a questi limiti se è possibile che un partito come i Ds può pensare di partecipare alle manifestazioni dopo aver partecipato alla gestione di guerre, ristrutturazioni e tagli fatti in nome del capitale transnazionale; se il governo regionale toscano può partecipare alle mobilitazioni dopo essere stato in prima fila nella difesa degli interessi padronali, come nel caso dell'Alta Velocità, con tutti gli scempi che ha prodotto, ed essere stato tra i principali proponenti dei famigerati centri di detenzione per immigrati nella regione, la cui installazione è stata fermata solo da una grossa mobilitazione o aver consentito che nell'area occupata dal Cpa si potesse andare in deroga alle leggi nazionali sulla superficie del centro commerciale COOP che vorrebbero costruire al nostro posto. Mentre assistiamo a solenni prese per il culo di finti negoziati strumentali all'una come all'altra parte, testimonianza del resto dell'inutilità di trattative con soggetti del calibro di Scaloja e Ruggiero, dovremmo essere al fianco di questi soggetti in un qualsivoglia Forum sociale che durerà il tempo necessario per la ricerca di contenimento stesso della protesta? No grazie. Non vi è con questi, come con i loro ascari, differenza di vedute ma vero è proprio conflitto.
Queste valutazioni ci rendono necessario un approfondimento di tematiche più generali, senza nessuna pretesa di farlo da un piedistallo, ma partendo dalla convinzione che proprio la chiarezza può consentire di stare al meglio all'interno di tali contestazioni, rivendicando però l'importanza di individuare il terreno di scontro quotidiano e non un semplice scadenzismo che sebbene manifesti un "essere contro", rende difficile capire quali sono i nostri antagonisti reali. E' innegabile che il capitale, nella sua attuale collocazione trasnazionale, ha la necessità di valorizzarsi, a fronte di una difficoltà che è evidenziata dalla esistenza di un enorme capitale finanziario che non trova una sua valorizzazione all'interno della produzione. Non sono stati sufficienti in questi anni le ristrutturazioni produttive, i tagli e le privatizzazioni, le grosse concentrazioni monopolistiche, gli interventi statali o sovrannazionali, la delocalizzazione della produzione a riaprire una fase di accumulazione, e se qualche recupero c'è stato è durato ben poco, portandosi immediatamente come conseguenza un intensificarsi delle crisi economico finanziarie, come ad esempio in Asia.
L'organizzazione sovrannazionale che il capitale si è dato,FMI, BM, WTO, G7 o 8, è il tentativo di risolvere il problema della valorizzazione del capitale stesso.
E' quindi impensabile una democratizzazione di questi organismi in quanto questo significherebbe che esiste un capitalismo buono, ed esistono in fondo Stati democratici, siano essi i vecchi stati nazionali o le aggregazioni imperialiste nate in funzione della competizione e della penetrazione globale, disposti a lottare contro la supremazia delle multinazionali, e quindi fazioni della borghesia disposte a passare sopra il proprio interesse rappresentato dalla valorizzazione del loro capitale sulle spalle del proletariato internazionale, i lavoratori tutti, ed in particolare della classe operaia, nella sua attuale connotazione. Così come è inutile insistere sulla pretesa illegittimità dei padroni quando essi si possono vantare di vivere nel mondo libero e di essere stati eletti liberamente a fronte dei vari cattivi dittatori del mondo. Il diritto, internazionale come interno, si basa sui rapporti di forza ed è su questi che bisogna intervenire.
Un elemento che riteniamo manchi, se non in una chiave pseudopacifista (che peraltro non ha disdegnato di appoggiare l'intervento imperialista in Ex Jugoslavia) nell'analisi sulla fase attuale è la Guerra come elemento di penetrazione capitalista. Le guerre del Golfo e in Jugoslavia sono stati passaggi indispensabili per il controllo di aree di non indifferente interesse per quanto riguarda le risorse energetiche e per mettere muto chiunque non si pieghi agli interessi della borghesia.
La guerra è lo strumento basilare per la politica imperialista, la Nato rappresenta l'egemonia degli Usa sul piano militare, la sua industria bellica rappresenta, data la sua supremazia attuale, un potente strumento di valorizzazione del capitale Usa, le nuove strategie militari (scudo spaziale, allargamento Nato ad Est, creazione di un esercito europeo sotto la Nato e quindi sotto gli Usa) rappresentano oltre che strumento di controllo politico economico, fonte di valorizzazione per il capitale bellico.
Il tentativo della creazione di un Esercito Europeo libero dai vincoli Nato, e quindi Usa, rientra pienamente nella necessità di dotarsi di uno strumento idoneo a svolgere al meglio i compiti militari del nuovo polo imperialista europeo; i processi di concentrazione dell'industria bellica, paralleli alla formazione dell'esercito europeo, oltre che rappresentare un buon terreno di valorizzazione del capitale europeo, rappresentano il chiaro intento di contendere sul piano internazionale l'egemonia su questo terreno agli Usa.
Il capitalismo è guerra, la globalizzazione è guerra, l'imperialismo è guerra, e se ci limitassimo all'uso delle parole avremmo fatto tutti contenti.
E'una guerra unitaria dell'imperialismo contro tutti coloro che non si piegano alle volontà dei padroni del mondo, e guerra delle varie fazioni per accaparrarsi quanto più possibile, sarà guerra tra loro quando non ci sarà più niente da spartire.
Spesso abbiamo visto che l'esistenza di organismi sovrannazionali é stata usata, da molti settori "antagonisti", per dichiarare finito il ruolo dello stato, nazionale o meno, e così il suo ruolo storico come organo di imposizione degli interessi della borghesia. Senza voler assolutamente imporre dogmi, di cui non ci sentiamo portatori, ci sembra che ciò, se non è profondamente errato è assolutamente superficiale. Parallelamente ad una organizzazione sovrannazionale della borghesia anche lo stato ha assunto compiti diversi, ma sempre all'interno del suo ruolo di organo di governo della borghesia, sia essa nazionale o trasnazionale. Certamente la nascita di una borghesia transnazionale determina che non esistono più semplicemente interessi di una borghesia nazionale ( che certo non è ancora esente dal condizionare le scelte dei processi trasnazionali, es Ue) e di conseguenza anche i singoli stati si devono adeguare a tali esigenze, ma questo non significa che sia finito il loro ruolo. Il Fmi-Bm è composto da Stati, il G8 è composto da Stati, il Wto è composto da Stati, la NATO è composta da Stati.
E' fuorviante ritenere che gli stati nazione, luogo di rappresentanza politica delle borghesie, dell'Europa imperialista piangano la loro incapacità di governare le scelte economiche imposte da FMI o dal G8 o dal WTO quando sono proprio loro a deciderle.
Altro sono la politica di rapina dei paesi imperialisti o i padroni del mondo nei confronti di quei paesi che non sono in grado di porre sul tavolo un rapporto di forza tale da concertare l'intervento del capitale, che non sarà risolta dalla eliminazione del debito di questi paesi, funzionale più all'entrata di capitali stranieri che ad un miglioramento delle condizioni di vita dei proletari.
Ma questa opera di rapina non è nuova ne più selvaggia, a meno che non si voglia eliminare l'esperienza colonialista e imperialista di questo secolo.
Le ristrutturazioni in chiave autoritaria dello stato, passate attraverso l'esigenza di governi stabili, l'inasprimento delle misure repressive, il ruolo centrale di gestione del conflitto e del consenso, la formazione di eserciti nazionali professionali con funzioni di controllo e intervento interno, ci danno una lettura diametralmente opposta a quanto qualcuno afferma.
Le ristrutturazioni produttive, gli interventi a sostegno della valorizzazione del capitale (rottamazione, misure fiscali, legislazione del lavoro, ecc..) vengono portate avanti dai singoli stati, all'interno delle esigenze di valorizzazione di un capitale che sempre più assume una caratteristica sovranazionale.
E' questa sostanzialmente la novità, se così ormai può essere definita.
Gli stati, e quindi le borghesie nazionali, si sono sempre più organizzate in chiave sovrannazionale, con la creazione di blocchi e alleanze in funzione di una guerra economica tra le varie fazioni della borghesia internazionale. Nella formazione di stati sovranazionali, come la Ue, si riproducono totalmente le caratteristiche proprie dello stato.
La creazione del polo europeo, di una sua politica economica e militare, deve essere vista, così come le strategie imperialiste Usa, come elemento fondamentale, non solo per noi che ci viviamo, nel complesso della strategia del capitale europeo in funzione della competizione globale, identificandolo come antagonista delle prospettive di liberazione dallo sfruttamento capitalista. Così come non dobbiamo cadere in un eurocentrismo, cercando di creare una giusta dialettica tra la contraddizione principale rappresentata dall'imperialismo e la necessità di individuare il fronte del nemico a noi più vicino.
Altro aspetto che secondo noi è fondamentale è il conflitto capitale/lavoro.
All'interno delle contestazioni manca una sostanziale presenza dei lavoratori, che in questi anni hanno subito in maniera maggiore le conseguenze della cosiddetta "competitività internazionale". E l'oscuramento di fatto dello sciopero del 20 del sindacalismo di base da parte dei media ma anche da parte del Gsf, che ha preferito inseguire la Cgil, è la verifica di questo. Si preferisce parlare di fame nel mondo, Aids in Africa(senza nulla togliere a questi temi importantissimi).. che di flessibilità, precariato e sfruttamento dei lavoratori europei.
Questo è un grosso limite superabile unicamente con l'individuazione di una strategia che vada a collocare la lotta anticapitalista nella quotidianità, all'interno delle contraddizioni che si manifestano sui posti di lavoro.
La lotta contro la distruzione dell'ambiente potrà trovare una sua chiara connotazione anticapitalista nel momento in cui la direzione sarà assunta dai lavoratori e saprà unire la lotta contro lo sfruttamento nei posti di lavoro alle rivendicazioni del proletariato metropolitano.
La lotta contro le politiche dei potenti, potranno fare un salto di qualità quando saranno calate nella quotidianità dei lavoratori che lottano contro gli effetti delle privatizzazioni, i licenziamenti e le ristrutturazioni, dei proletari per la mancanza dei servizi, ecc..
Dall'Argentina all'Indonesia sono milioni i lavoratori che si scontrano duramente contro le politiche di Fmi e Bm, della General Motors o di qualsiasi altra multinazionale, ma la maggior parte di coloro che discutono di controvertici non dimostrano attenzione verso questa potenzialità. Unire a livello internazionale queste lotte è un impegno a cui non ci possiamo sottrarre, perché riteniamo che queste, assieme a coloro che stanno lottando dalla Colombia al Nepal, come nei Paesi Baschi e in Turchia e Palestina, rappresentino una prospettiva reale di un nuovo mondo.
Ed è quindi dai nostri territori che dobbiamo partire per costruire una reale prospettiva di mondo migliore che non può che passare attraverso la distruzione stessa del sistema in cui viviamo, costruendo organizzazione politica non finalizzata ad occupare spazi di legittimità all'interno di questo sistema, ma ad attaccarlo e distruggerlo. Agire territorialmente non vuol dire non accettare la necessità attuale di organizzarsi internazionalmente. Anzi, vuol dire porre delle basi reali per affrontare lo scontro a cui siamo obbligati.
E questo non vuol dire che qualsiasi miglioramento per le condizioni dei proletari a livello internazionale ottenuto con la lotta, indipendentemente dalla presenza dell'opportunismo, non sia per noi una conquista, ma al tempo stesso sappiamo che niente ci verrà concesso più di quanto a loro non serva per riprendere fiato, per poi levarcelo il giorno dopo.
E' per questo che oltre Genova cercheremo di stimolare per quanto siamo in grado di farlo, tale processo, rapportandoci con tutti coloro che al di là dello scandenzismo, ritengono che non ci siano più compromessi possibili, riprendendo quella nostra caratteristica di essere dove il conflitto si manifesta.
Premesso che non siamo appassionati dal dibattito sulla zona rossa e che non basiamo il nostro agire politico sull'organizzazione di controvertici, e del resto non siamo pagati a differenza di altri per stare a Genova per mesi, saremo a Genova venerdì 20 ad appoggiare lo sciopero dei sindacati di base, all'interno del corteo di CUB e SLAI Cobas come centro sociale e come lavoratori e scenderemo in piazza sabato 21.


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