Senza Censura n. 5/2001

[ ] Una testimonianza sulle F-type



Parla KERIM YALCINTEPE, prigioniero politico uscito di recente dal carcere di Sincan

Il 6 maggio 2001 sono stato rilasciato dal carcere di Sincan (tipo F) nel quale ero stato trasferito dalla prigione di Cankiri dopo la cruenta operazione del 19 dicembre 2000.
Come è accaduto in altre prigioni anche a Cankiri le forze repressive statali hanno colpito duramente, dando luogo alle azioni più efferate. Per porre termine a quelle crudeli operazioni Hasan GUNGORMEZ e Irfan ORTAKCI si sono dati fuoco e sono morti. Le forze repressive hanno dato inizio alle operazioni lanciando fumogeni, gas nervini ed esplosivi nelle celle e nei dormitori intorno alle 5 del mattino, senza che ci fosse alcun avvertimento.
Per l'effetto delle bombe quasi tutti i prigionieri hanno perso coscienza mentre il fumo impediva di vedere alcunché. Ci sono state scene di isterismo a causa dei gas nervini, alcuni compagni soffocavano, altri urlavano. Questo è quanto sono riuscito a vedere e a sentire in quelle condizioni e nel buio più totale. L'operazione è andata avanti fino alle 10 del mattino con le forze di sicurezza che ci sparavano contro con fucili a pompa. Nel corso dell'attacco 9-10 dei miei compagni sono stati feriti dalle pallottole.
Di fronte all'intensificazione dell'attacco delle forze repressive Hasan GUNGORMEZ si è dato fuoco intorno alle 11, nell'estremo tentativo di bloccare l'operazione.
Poiché il suo sacrificio non è servito a nulla, intorno alle 11.30 anche Irfan ORTAKCI e un altro compagno si sono dati fuoco.
L'intera operazione è terminata alle 16. Complessivamente sono stati utilizzati 500 fra bombe al gas nervino, bombe fumogene ed esplosivi tanto che molti di noi, alla fine, si sono meravigliati di essere ancora vivi.
I sopravvissuti sono stati selvaggiamente picchiati con tavole, manganelli e stivali, mirati scientificamente alla testa dei prigionieri.
Successivamente siamo stati condotti vicino al cancello principale del carcere dove hanno continuato a colpirci. Ci hanno ammanettato con le mani strette dietro la schiena e siamo stati costretti a sdraiarci su un pavimento fangoso. Eravamo quasi tutti in uno stato confusionale e alcuni di noi erano gravemente feriti.
Ci hanno portato via tutto, compresi soldi e abiti. Dopo un'attesa di qualche ora, alcuni prigionieri sono stati trasportati ai cellulari mentre gli altri sono stati ricoverati in ospedale.
Arrivati al carcere di Sincan siamo stati nuovamente sottoposti a tortura: ci hanno obbligato a spogliarci e ci hanno picchiato, mentre alcuni compagni venivano sottoposti a perquisizioni anali. A Sincan siamo stati condotti in celle singole o triple. Ci era consentita una sola ora d'aria alla settimana, quando i nostri familiari venivano per il colloquio. Anche il colloquio con l'avvocato era permesso una sola volta alla settimana, al massimo per un'ora. Il resto del tempo eravamo confinati in cella e non potevamo vedere nessun altro ad eccezione delle persone con cui condividevamo la cella. Chi si rifiutava di obbedire agli ordini veniva sottoposto ad intimidazioni e a sanzioni disciplinari, con la sospensione dei colloqui con i familiari e della posta per due mesi. Per questa ragione dieci compagni non hanno potuto incontrare i familiari né ricevere posta per mesi interi.
Minacce, tortura e intimidazioni erano pratica di ogni giorno.
Particolarmente solerte una guardia di nome Bekir Etyemez, che aveva già partecipato al massacro di Ulucanlar del 1999. Questo losco figuro godeva particolarmente nel torturare i prigionieri: ha attaccato il nostro compagno Selmani Ozcan più volte ed era solito minacciarci con queste parole: "se ci tagliano i nostri 100 milioni di lire turche, so bene che cosa farvi".
Selmani Ozcan era nel gruppo di prigionieri che ha portato avanti lo sciopero della fame nel 1996 e a causa del prolungato digiuno soffre di disturbi mentali. Ciò nonostante lo hanno confinato deliberatamente in una cella singola e sottoposto a tortura.
Ma Selmani è solo un esempio fra i tanti: infatti quasi tutti i prigionieri sono stati minacciati di morte e sottoposti a tortura con il chiaro obiettivo di intimidirci. Il capo delle guardie non era tuttavia l'unico a torturare i detenuti. Un gruppo di 30 guardie, la famigerata "squadretta di pronto intervento", guidava le infami pratiche della tortura, alle quali in realtà partecipavano tutte le guardie. Durante la conta, due volte al giorno, eravamo costretti a scendere nelle celle del pianterreno: a volte ci riempivano di pugni, altre di calci.
Il viaggio di andata e ritorno dall'ospedale alla prigione era per i prigionieri una vera e propria tortura e per questo motivo alcuni compagni, pur necessitando di cure mediche, non hanno potuto recarsi in ospedale.
Durante il viaggio verso l'ospedale venivamo ammanettati con le mani strette dietro la schiena e, nonostante fossimo passati dal metal detector e attraverso tutti gli altri dispositivi di sicurezza, venivamo comunque sottoposti a perquisizioni umilianti e chi si rifiutava veniva spinto a terra e picchiato selvaggiamente.
Le perquisizioni generali erano dei veri e propri saccheggi. Tutti i nostri oggetti venivano sparsi dappertutto, scritti, lettere e giornali venivano sequestrati e non ci venivano più restituiti.
Durante la perquisizione del 3 maggio le guardie hanno attaccato i prigionieri sulla base delle direttive del direttore del carcere e del pubblico ministero. Siamo stati picchiati, costretti a sdraiarci a terra e sottoposti a perquisizioni corporali. Hanno puntato e attaccato Haci Demir con queste parole: "stai facendo il lavaggio del cervello agli altri". Gli hanno spezzato due denti, lasciandolo a terra con il corpo pieno di lividi e contusioni.
A più riprese abbiamo sollecitato azioni legali contro la tortura, le minacce e le pratiche arbitrarie, ma non è servito a nulla: i responsabili non sono stati messi sotto accusa né sono cessate le torture. Il Ministro della Giustizia ha mandato gli ispettori una sola volta: ufficialmente questi personaggi avrebbero dovuto indagare sulle pratiche di tortura nei confronti dei prigionieri: li abbiamo incontrati e hanno ascoltato ciò che avevamo da dire, abbiamo raccontato loro ogni cosa, senza ottenere alcun risultato. Ci hanno detto candidamente che non potevano fare niente e che "la colpa era dei soldati".
Quando abbiamo chiesto loro perché erano venuti a visitarci in carcere, hanno prima ignorato la domanda poi, poiché insistevamo, ci hanno spiegato che erano venuti per ottemperare a una richiesta fatta dal Ministro.
In pratica il ministro aveva ordinato quella ispezione quando la denuncia dei casi di tortura era diventata di pubblico dominio e in fin dei conti il loro compito era stabilire che si trattava di "accuse false".
Erano già a conoscenza di quanto accadeva e non cercavano neanche di negarlo. D'altro canto quelle pratiche e quella violenza rispondevano a uno scopo ben preciso: spezzare la resistenza dei prigionieri e trasformarli in vegetali. Per distruggere ed annientare il nostro diritto alla difesa erano disposti a usare ogni mezzo necessario.
Con il martirio di Cengiz Soydas sono andati nel panico perché non se lo aspettavano. Cengiz ha perso coscienza di notte e non si è ripreso fino alla mattina dopo. Se ne sono accorti durante la conta della mattina e a quel punto hanno ordinato il suo trasferimento in ospedale, ma Cegniz è morto da martire prima ancora di arrivare a destinazione.
Nel corso della conversazione fra il direttore del carcere e il pubblico ministero, quest'ultimo ha detto: "E che cosa scriveremo adesso?" e il direttore gli ha risposto: "scriveremo che è morto in ambulanza durante il trasferimento in ospedale". Questa conversazione ha avuto luogo alle 9:30 del 21 marzo.
Hanno trasferito in ospedale i prigionieri che facevano lo sciopero della fame nonostante il loro rifiuto e la loro resistenza e hanno costretto i nostri compagni in lotta a viaggiare fra due ospedali e il carcere. Quei viaggi sono stati una vera e propria tortura: li hanno fatti aspettare per ore nei cellulari, negando loro acqua e zucchero. Alcuni compagni hanno perso coscienza e neanche il personale sanitario dell'ospedale è riuscito a convincere i soldati della scorta a procurare l'acqua per i prigionieri. Li hanno fatti aspettare per 6-7 ore sdraiati sul pavimento, continuando a ripetere: "Non riuscirete a vincere, arrendetevi". Era la loro tattica per cercare di spezzare la resistenza dei prigionieri, che hanno subito quei viaggi drammatici 2 o 3 volte. Non riuscivano più a camminare, ma venivano incatenati ai letti e persino in ospedale non potevano leggere i quotidiani.
Benché i prigionieri avessero rifiutato le cure mediche, sia in forma scritta sia verbalmente, esplicitando la propria volontà ai dirigenti sanitari, ai medici e al Ministro della Giustizia, non appena hanno perso coscienza sono sono stati sottoposti all'alimentazione forzata. Quasi tutti hanno perso la memoria: non ricordavano più nulla del passato né potevano sognare il loro futuro.
Senza alcun pudore hanno continuato a mentire, dichiarando che i prigionieri in lotta non ricordavano più nulla e che avevano sospeso lo sciopero.
Dicevano alle autorità, sia in ospedale che in carcere: "Se volete sospendere l'azione non c'è altro modo che accettare le nostre richieste.
Devi incontrare i nostri rappresentanti, li abbiamo autorizzati a prendere decisione a nostro nome. Moriremo e la nostra morte segnerà la nostra vittoria".
Il pubblico ministero si è comportato come alle Crociate e durante le visite nelle celle dove i compagni conducevano la lotta di resistenza continuava a dire: "Non ci saranno morti in questa prigione, le impedirò personalmente".
E aggiungeva: "Se vuoi darò l'ordine di cucinare qualcosa per te, una minestra o magari delle patate lesse".
Gli altri attivisti di questa crociata erano i direttori carcerari e i Mengele presunti medici e psicologi, che hanno fatto tutto il possibile per spezzare la resistenza nelle carceri: andavano nelle celle o chiamavano i prigionieri nelle loro stanze e li invitavano a sospendere lo sciopero della fame dicendo che, se subivano pressioni da parte di organizzazioni illegali, si sarebbero occupati della loro sicurezza.
In realtà sapevano bene che i prigionieri avevano scelto consapevolmente di partecipare alla lotta: i partecipanti allo sciopero della fame fino alla morte stavano conducendo una battaglia guidati dalla forza di volontà e dalla determinazione e le loro idee si rafforzavano giorno dopo giorno.
Questi metodi brutali continuano ad essere applicati: medici, psicologi e giudici sono gli strumenti impiegati per spezzare la resistenza dei prigionieri negli ospedali. Stanno usando anche le famiglie, ma non servirà a nulla perché alla fine i nostri compagni vinceranno. Certo, il costo che stiamo pagando è alto: 53 martiri, decine di compagni debilitati nel corpo dall'alimentazione forzata e molti altri faranno la stessa fine.
I prigionieri sono pronti a morire uno dopo l'altro e se resterà in vita anche uno solo di essi, non si arrenderà: la quarta e la quinta squadra di digiunatori sono già pronte e sono centinaia i compagni pronti a morire.
Nessuno può impedire ai compagni di raggiungere la vittoria.
Sostengono che i prigionieri "continuano lo sciopero perché subiscono la pressione delle organizzazioni illegali", ma i compagni sono soli nelle celle e negli ospedali e ciò nonostante continuano a resistere.
È chiaro ormai che la vera pressione è quella esercitata dallo stato, che applica la tortura, l'isolamento e l'alimentazione forzata.
Continuino pure a torturarci, ci trasformino in disabili, applichino l'alimentazione forzata sui nostri compagni legati ai letti, continuino a torturare, a censurare e a proibire.
Tutto ciò non servirà a nulla. Stiamo pagando un prezzo e continueremo a farlo. Fino alla vittoria.
I prigionieri sospenderanno lo sciopero della fame quando si porrà fine all'isolamento e verranno avviati negoziati con i loro rappresentanti.
Queste richieste sono state avanzate pubblicamente e sono note: coloro che persistono nel rifiutare il negoziato con i prigionieri sono responsabili della morte dei nostri compagni, delle loro malattie, sofferenze e invalidità.
Quando avremo vinto, li vedremo soffocati tutti dalla marea delle loro menzogne.

16 maggio 2001

KERIM YALCINTEPE


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