Senza Censura n. 5/2001 [ ] Antimperialismo e "globalizzazione" Costruire l'alternativa al "popolo di Seattle" "Il proletariato nella metropoli imperialista, organizzato, preso e controllato in tutte le manifestazioni della sua vita dal capitale attraverso gli apparati ideologici dello stato, i sindacati e i partiti, non può nel quadro nazionale costituirsi in classe. La politica proletaria può diventare strategia rivoluzionaria solo nel quadro dell'internazionalismo proletario." Stammheim, Agosto 1975 Dichiarazione di Baader, Meinhof, Ensslin, Raspe E' ormai tradizione che a ogni manifestazione del "popolo di Seattle" si assista a dichiarazioni e prese di posizione di comprensione, interesse e condivisione dei motivi delle proteste da parte delle stesse istituzioni politiche che impongono il "paradiso" del mercato e della competizione su scala planetaria. L'esito di questo dialogo a distanza (Soros che interviene in video-conferenza da Davos al Forum di Porto Alegre) può essere una gestione del liberismo dal basso (municipalismo) dove la mediazione dei partiti viene sostituita dal variegato mondo dell'"impresa sociale": fondazioni e O.N.G. La proposta Tobin-Tax dello 0,2 garantirebbe degli ottimi ammortizzatori nelle aree più disastrate del globo e una capillare rete di controllo di strutture della "società civile". In questa direzione tutto il dibattito intorno alla questione del debito e le politiche liberistiche rischia di diventare un luogo comune anche con le più buone intenzioni. Parallelamente si assiste ad un preoccupante appiattimento di una fetta consistente della sinistra di classe nell'impossibile ed inutile corsa di autorappresentazione virtuale del conflitto finendo inesorabilmente frullata nel "popolo di Seattle". In queste fasi preparatorie dei "controvertici" si parla molto del ruolo del FMI, della Banca Mondiale, del WTO che strangolano interi continenti con le loro ricette economiche. Dal Messico al Brasile, dall'India all'Argentina: nessuno, ovviamente, osa non mettere in discussione il ruolo distruttivo dei programmi di aggiustamento strutturale di questi enti economici e politici. Una consapevolezza che però diventa evanescente quanto più ci avviciniamo al continente "Europa" e agli interessi neo-impeialistici delle sue borghesie. Dalla complessa questione palestinese e medio orientale agli applausi o all'indifferenza della "società civile" e di buona parte dela sinistra antagonista di fronte alla caduta di Milosevic in Jugoslavia si assiste, drammaticamente, ad un processo di reale depoliticizzazione dei movimenti in Europa sempre più influenzati dall'ideologia riformista. La lotta alle privatizzazioni, ad esempio, implica una posizione internazionalista non tanto sul piano ideologico o necessariamente del "politicamente corretto" quanto, invece, su quello concreto di realtà e situazioni esistenti, che spesso e volentieri non sono quelle che noi vorremmo. Nella pratica bisogna mobilitarsi per bloccare e intralciare l'attuazione di queste politiche in Messico come in Jugoslavia, in Libano come in Romania. In questi luoghi gli schieramenti e le figure che si oppongono a queste politiche non sono lineari o assimilabili a progetti "eurocentrici", ma trovano radici e si alimentano di processi storicamente determinati in contesti socio-culturali peculiari. Il pensionamento del PRI messicano, ad esempio, da parte dell'imprialismo americano deve essere motivo di una riflessione più approfondita sul ruolo di questo partito-stato che raccoglieva tutto e il suo contrario e, proprio per questo, ritenuto ostacolo e obsoleto per delle politiche più marcatamente turbo-capitaliste (integrazione dei mercati, etc.). Buona parte del popolo di Seattle ha accolto con soddisfazione il ritorno della "democrazia" in Serbia dopo la "brillante" operazione della Cia contro il "mostro Milosevic", ma è consapevole di quello che l'Unione Europea sta programmando ed attuando insieme al FMI e alla Banca Mondiale in Jugoslavia? Ovvero una ferocissima politica di aggiustamento strutturale così come accade nelle altre repubbliche. L'area balcanica e la ex-Jugoslavia sono nuovi territori di conquista, oltre la tradizionale vocazione egemonica degli Usa, per l'imperialismo europeo e italiano. Privatizzazioni generalizzate, riduzioni delle pensioni, chiusura di aziende sono gli ingredienti indigesti per tutti i proletari dell'area e costituiscono la condizione imprescindibile per entrare nelle istituzioni dell'Unione Europea e della Nato. Paradossalmente il fulcro delle politiche di aggiustamento è la Bosnia. Lì le leggi sulle privatizzazioni vengono stilate direttamente da funzionari della Banca Mondiale e sono pensate in maniera tale da impedire possibili future nazionalizzazioni. Non a caso quando la Repubblica Serpska ha cercato di consolidare una parte delle privatizzazioni in fondi di proprietà di Holding pubbliche, la Nato ha sospeso di forza tale scelta per riportarla nella direzione bosniaca. Tutto questo accade a poche centinaia di chilometri da casa nostra: una tragedia con effetti devastanti sulla popolazione già vessata da sanzioni e bombe all'uranio. La "sinistra plurale" si guarda bene dal denunciare e lottare contro le migliaia di militari italiani che stanno a presidiare gli interessi del capitalismo nostrano proiettati oltre gli stesi Balcani fino alla Turchia e al Kurdistan. L'annientamento della resistenza armata del PKK non a caso è avvenuto parallelamente al brutale attacco della Nato a quello che rimaneva della Jugoslavia. La consegna di Ocalan ai boia turchi da parte del governo D'Alema ha, quindi, la stessa valenza politica dell'arresto di Milosevic. Al di là del giudizio politico sugli errori e sulla gestione delle politiche di questi anni (che non possono, evidentemente, rappresentare un modello societario di riferimento), la vera "colpa" di Milosevic e del suo governo di unità nazionale, è stata quella di difendere un'economia di mercato a direzione statale difendendo gli interessi popolari e i minimi diritti sociali, quelli che gli anti-globalizzatori nostrani dicono di voler difendere, dall'aggrassione economica del FMI, della U.E. e della Nato. Occorre che lo schieramento antimperialista raccolga la sfida di chi vorrebbe imporre un approccio generico rispetto a queste politiche cercando di offuscare e depistare, nelle forme e nei contenuti, la lotta al dominio globale del capitale tagliando con l'accetta ciò che non è compatibile con la concezione del "diritto" della "civilissima" Europa. Gli organizzatori di questi controvertici - la cosiddetta "società civile" e la sinistra neo-riformista - si preoccupano molto di vivisezionare e selezionare i movimenti che nel mondo si battono contro l'imperialismo e il liberismo: questo è buono, quello è cattivo, l'altro non ci convince. Una posizione del tutto legittima se non fosse funzionale ad una politica di contenimento dei conflitti. Il nostro compito è quello di invertire questa tendenza valorizzando quelle resistenze scomode e fastidiose perché minano gli interessi reali dell'imperialismo europeo: poco sappiamo degli scioperi dei minatori o quello degli insegnanti, o delle resistenze contro le privatizzazioni. Una resistenza che a Est e nei Balcani non è finita (ricordiamo la recente bocciatura del Parlamento Ucraino della privatizzazione delle terre). Un'infinità invece le informazioni sullo zapatismo, Porto Alegre, ecc... Nessuna operazione "nostalgica", ma solo la volontà politica di accrescere nei movimenti la consapevolezza che mai come oggi presente e futuro delle classi popolari in Italia come a Est sono stretti dalla stessa tenaglia. La guerra imperialista nel suo insieme diviene quindi discriminante di fondo per produrre nuovi schieramenti nel nostro paese. Mantenere aperto un fronte di lotta contro la Nato e tutte le istituzioni politico-militari in gestazione (esercito europeo, "polizia internazionale", etc.) pur da posizioni minoritarie nel quadro dei conflitti in Italia, è un nodo centrale della massima importanza. Va aperta una battaglia politica affinché tutte quelle migliaia di compagne e di compagni, di giovani, proletari, gruppi, collettivi, che si sono mobilitati nelle piazze durante i bombardamenti Nato sulla Jugoslavia si ricompattino mantenendo vivo il fronte di lotta alle guerre del capitale, che rappresenta a sua volta una spina nel fianco del ceto politico (istituzionale e non) che pretende la rappresentanza del "popolo di Seattle". Il secondo anniversario dell'inizio dei bombardamenti sulla Jugoslavia (il 24 marzo) non a caso è stato volutamente ignorato dalla "società civile", dai vertici di Rifondazione Comunista, dagli stessi centri sociali antagonisti, tutti presi invece con grande vigore e veemenza a dure mobilitazioni contro i fascisti di Forza Nuova. La riproposizione di un'antifascismo superficiale e strumentale al centro-sinistra che elude anche un semplice parallelo storico: gli aerei di Mussolini sui cieli della Jugoslavia e i tornado dell'ulivo sugli stesi cieli dopo più di mezzo secolo. La guerra era e rimane un tavolo su cui anche il più abile ciarlatano del gioco delle tre carte difficilmente riesce a barare. Il rilancio del dibattito e delle iniziative di lotta deve essere funzionale a questo progetto: ricostruzione di un vasto schieramento antimperialista che sappia collocare il significato storico del 24 marzo 1999 come arma di battaglia politica anche dentro ai nuovi conflitti che si apriranno dietro l'incalzare del nuovo governo di "destra" che determinerà la caduta quanto meno di alcuni paletti della concertazione. La stessa manifestazione contro la Nato a Cesena il 24 marzo, pur ignorata (guarda caso) dalla stampa prima e dopo, e che ha visto la partecipazione di un migliaio di compagni, dimostra che ci sono le basi e le potenzialità per costruire, pure fra diversità, un movimento che sia "variabile indipendente". Il 21 non saremo a Genova nel corteo "civilista" perché riteniamo che sarà impossibile comunicare alcunché in un ambito concepito ad uso e consumo di "inciuci" vari. Saremo in piazza il 20, invece, a ricordare le guerre imperialiste a chi vi resiste o rifiuta la pacificazione. E per proporre un nuovo ciclo di appuntamenti contro il "vertice" dei padroni italiani: a Cernobbio il prossimo inverno; e le mobilitazioni contro la Nato presso e basi di Ghedi e Pisignano, insieme ai compagni dell'assemblea Antimperialista e ad altre realtà che aderiranno. Coordinamento Romagnolo Contro la guerra e la Nato [ ] Close |