Senza Censura n. 4/2001 [ ] Editoriale Eccoci nuovamente in diffusione (militante). Questo numero, il primo del 2001, arriva esattamente dopo un anno di un lavoro redazionale che, superando la precedente esperienza come bollettino del Coordinamento contro la repressione a sostegno di Mumia Abu-Jamal e pur riprendendo molti degli argomenti allora emersi, ha voluto cimentarsi nell'obbiettivo di costruire, come collettivo politico autonomo, uno strumento di informazione (meglio, di controinformazione) a disposizione dell'intero panorama antagonista ed antimperialista della sinistra di classe. Come ogni numero, le cose di cui parlare sarebbero veramente tante, anche a volerle soltanto elencare. Del resto, basta sfogliare la parte finale della rivista, quella cioè dedicata alle news su "lotte e repressione", per trovare un'immediata conferma di questo! Vogliamo quindi tentare di focalizzare queste poche righe redazionali su una questione specifica, cioè su quanto sta accadendo in Turchia, un argomento questo di cui abbiamo ampiamente parlato nello scorso numero, e a cui ci sembra obbligatorio dare ancora molto spazio. Lo scorso mese di Dicembre, il fascista e oligarchico Governo turco, figlio legittimo e ben rappresentativo del colpo di stato militare del 1980, ha lanciato una "strana" campagna "umanitaria", supportato dagli organi di informazione nazionali ed internazionali, i cui preparativi sono durati almeno due mesi, tutto il periodo cioè coincidente con l'entrata in sciopero della fame di migliaia di prigionieri rivoluzionari turchi, appartenenti a diverse organizzazioni (tra cui il Dhkp-c, il Tkp m-l, ecc...), atto estremo di lotta contro l'introduzione del sistema dell'isolamento carcerario. Questa campagna, denominata "ritorno alla vita", ha avuto il suo culmine con l'operazione militare che ha visto coinvolti, come sempre più spesso capita, i corpi speciali dell'esercito turco (da anni ben addestrati dalle teste di cuoio Usa/Nato) che, irrompendo dai tetti di oltre 20 prigioni sparse per il paese, hanno attaccato i prigionieri in lotta. Risultato della "campagna umanitaria" "ritorno alla vita": 30 prigionieri morti (tra cui 6 prigioniere letteralmente bruciate vive), centinaia di prigionieri feriti (ovviamente non soltanto prigionieri politici), e l'effettiva inaugurazione delle celle di isolamento per un imprecisato numero di prigionieri di cui, da due mesi a questa parte, nessuno sa nulla del loro stato di salute, se non che stanno continuando a portare avanti lo sciopero della fame, inziato il 20 Ottobre 2000. Il 19 Dicembre 2000, giorno dell'operazione militare contro la resistenza dei militanti incarcerati, le strade delle maggiori città turche si sono riempite di persone, lavoratori, studenti, associazioni per i diritti umani, e soprattuto di familiari e amici dei prigionieri, che da anni sfidano la "democratura" made in Turchia, conducendo un'eroica lotta popolare. E, come successo qualche ora prima nelle prigioni di massima sicurezza, corpi speciali di polizia armati di tutto punto hanno cercato, per altro senza riuscirci, di impedire militarmente che sul piano internazionale si potesse in qualche modo mettere in dubbio la "stabilità" del governo. Una "stabilità" che poco ha a che fare con le coalizioni finto/parlamentari (anche se è giusto puntualizzare che oggi i "Lupi Grigi" siedono in parlamento come forza della coalizione di maggioranza). Una "stabilità" che invece politicamente rappresenta una valenza ben più alta a livello imperialistico, e che va ben oltre a questo o quel presidente, a questo o quel capo di gabinetto. La Turchia ha storicamente rappresentato, con la fine della seconda guerra mondiale, un nuovo porto sull'area soprattutto per quanto riguarda gli Stati Uniti, svolgendo principalmente due funzioni a dir poco fondamentali per l'assetto imperialistico passato ed attuale: una funzione di "controllo" sulle varie nazionalità (kurda, armena, ecc...) interne e adiacenti ai propri confini; e una funzione di "base" strategica (militare ed economica), a partire dalla quale sviluppare le politiche di "investimento" attuate dalle varie forze capitalistiche. Senza dimenticare che, in tutta l'area, la Turchia detiene oggi la gestione dell'acqua. Tornando alla lotta dei prigionieri e alla relativa controrivoluzione tesa ad impedirne violentemente lo sviluppo allargato oltre i confini nazionali (vi sono prigionieri in lotta in Spagna, in Germania, in Francia, ecc...), c'è da dire che francamente nessuno di noi è rimasto particolarmente sorpreso dalla politica adottata dal governo turco in campo carcerario, proprio per il ruolo che riveste la Turchia nel fronte imperialista. Una politica peraltro già sperimentata negli USA, in Germania, in Italia.... Ad una società imperialista deve corrispondere un carcere imperialista. Vi saranno tempi differenti, differenti strumenti, ma obiettivi e soggetti rimangono sempre i medesimi. E in Italia, come nel resto dell'Europa occidentale, abbiamo esempi che lo testimoniano continuamente. L'obiettivo di contrastare l'imperialismo, qui e ovunque esso si manifesti, non può esimersi dall'affrontare e dal combattere innanzitutto il "carcere imperialista", storicamente sua espressione avanzata. Un lavoro che abbiamo cercato di riprendere attraverso Senza Censura, sia sul piano della denuncia che, dove possibile, approfondendo ed analizzando l'istituzione carceraria nel suo complesso, non più solo come "cerniera" delle contraddizioni capitalistiche", ma inserita con un ruolo centrale nel piano più generale della controrivoluzione. [ ] Close |