Senza Censura n. 3/2000

[ ] Sullo sciopero del 30 giugno dei lavoratori delle cooperative sociali



Il 30 giugno si è svolto il primo sciopero nazionale dei lavoratori delle cooperative sociali promosso dal sindacalismo di base, unitariamente (Slai, Cub, RdB-Cub, Confederazione Cobas, Comitato Difesa Lavoratori Coop), per richiedere migliori trattamenti economici e normativi per i lavoratori del settore, la fine degli appalti e la ripresa delle assunzioni negli enti dove si ricorre all'utilizzo di privati per la gestione dei servizi.
L'occasione del rinnovo del CCNL, uno dei peggiori in vigore, ha dato modo di poter finalmente far uscire in maniera unitaria una serie di esigenze e di obiettivi da poter porre all'ordine del giorno nel lungo periodo, nonostante che condizioni territoriali oggettivamente diverse abbiano reso necessario riuscire a calare, nelle particolari contraddizioni presenti nei singoli luoghi, i contenuti della piattaforma dello sciopero.
L'iniziativa, pur non registrando una partecipazione di massa, ha certo avuto un risultato positivo per quanto riguarda il dibattito che ha suscitato tra i lavoratori, dove c'è stata la capacità di arrivare con l'informazione e dove già da tempo esistono forme di organizzazione o autorganizzazione dei lavoratori del settore.
Non sono mancate le difficoltà derivanti dalla nuove legge antisciopero e le pressioni delle cooperative nei confronti dei lavoratori, con il fine di impedire loro la partecipazione.
Nonostante ciò in alcune città, come Bologna e Firenze, si sono svolti presidi sotto le Regioni e cortei, in altre, come Trento, Genova, Torino, l'iniziativa si è sviluppata in forme diverse.
Il settore delle cooperative sociali è un settore che in questo ultimo decennio ha visto una grossa espansione sia in termini numerici sia in termini di fatturato. Da piccole cooperative, spesso legate a progetti specifici, si è passati a grosse concentrazioni, con dimensioni di fatturato e personale dipendente e/o soci lavoratori che in molti casi superano le decine di miliardi e il migliaio di lavoratori.
Questo processo d'espansione non è certo dovuto ad un nuovo modo di vedere il lavoro e la sua funzione sociale, i rapporti esistenti al suo interno, ma al lento appropriarsi, da parte delle cooperative, di tutti i servizi privatizzati secondo il nuovo concetto di sussidiarietà portato avanti dalle amministrazioni centrali e locali del centrosinistra e centrodestra.
Il processo di sussidiarietà ha generato così una inarrestabile esternalizzazione della gestione dei servizi e una crescita esponenziale dell'uso di lavoratori dipendenti di soggetti esterni, inquadrati sotto contratti nazionali, quando vengono applicati, che "garantiscono" retribuzioni inferiori, e quindi meno costi da sostenere per i manager pubblici, con conseguente ritorno economico, e di prestigio per quest'ultimi, più flessibilità e meno capacità contrattuale, data la difficoltà per i lavoratori nel comprendere quale sia la loro controparte e l'utilizzo di contratti a tempo determinato o part-time che, con il ricatto del posto di lavoro legato all'appalto o il bisogno di implementare un magro salario, garantiscono il quieto sfruttare.
La forma cooperativa inoltre gode di trattamenti privilegiati sia nei confronti dell'ente pubblico, alle quali concede una posizione di privilegio rispetto alle aziende private "tradizionali", sia nei confronti della legislazione fiscale, attraverso sgravi, riduzione aliquote Iva, ecc.., garantendo costi minori e accesso al credito meno oneroso.
La composizione dei lavoratori è molto variegata: andiamo da lavoratori, nella maggioranza dei casi lavoratrici, espulsi dal ciclo produttivo ed approdati a lavori precari, a lavoratori alla prima occupazione, a studenti proletari con la necessità di sostenere i costi degli studi, spesso utilizzati in servizi di poche ore giornaliere e per tempo limitato nell'anno. In molti casi, per le mansioni più basse e faticose, viene usata manodopera immigrata, ricattata prima di tutto dal legame lavoro/permesso di soggiorno.
Il turn over è altissimo. In molti casi i lavoratori utilizzano, quando è loro possibile, questo tipo di lavoro sperando di acquisire titoli che consentano loro di partecipare a concorsi pubblici o sperando di approdare a lavori d'altro tipo.
E' facilmente comprensibile quali siano le difficoltà nel poter difendere i propri diritti da parte dei lavoratori in appalto e organizzarsi a tal fine.
I lavoratori sono estremamente frammentati, spesso dislocati molto distanti tra di loro, nel migliore dei casi riescono ad incontrarsi una volta l'anno all'assemblea di approvazione del bilancio, o al ritiro delle buste paga. Anche per quei pochi che cercano di organizzarsi non sono poche le difficoltà anche solo per riuscire a far veicolare le informazioni.
Il giudizio soggettivo dei Consigli di Amministrazione è, nella maggioranza dei casi, sufficiente a decretare il licenziamento di un lavoratore, il suo trasferimento, la sua riduzione di orario; tutto questo viene usato nei confronti dei più "agitati", cercando di indurli a desistere dal rivendicare i propri diritti, creando un clima di terrore attorno a tutti quei lavoratori che sarebbero ben disposti ad unirsi a loro.
La quotidianità ci insegna tutto ciò. Una quotidianità fatta di continue angherie portate avanti dai responsabili dell'ente appaltante, dai vari capetti o responsabili di area, spesso giovani e rampanti, che si accaniscono contro lavoratori che per il bisogno di un lavoro e di un salario, spesso, sono disposti a farsene una ragione e sopportare in silenzio tutto ciò.
Spesso è comprensibile la difficoltà nel riuscire a far valere le proprie ragioni. Da una parte l'esperienza della politica portata avanti dalle organizzazioni confederali ha scardinato qualsiasi fiducia nelle possibilità di cambiamento, e quei lavoratori che si sono esposti in prima persona, più che ricevere solidarietà e sostegno, sono stati lasciati a loro stessi, con le conseguenze che facilmente ci possiamo immaginare.
L'idea di lavorare in cooperativa tende ancora a far idealizzare alcune forme di rappresentanza interna, assemblee e commissioni interne, che in realtà sono costituite, nella maggioranza dei casi o meglio nella totalità dei casi per quanto riguarda le grosse aggregazioni, da "fedelissimi" della attuale politica aziendale e di cogestione dei processi di privatizzazione, con una scarsa possibilità di agire al loro interno per modificare la situazione. Le scelte delle associazioni cooperative (LegaCoop, AGCI, Confcooperative, ecc..) sono scelte politico-economiche che non devono essere messe in discussione.
Oltretutto la creazione di aggregazioni di tipo temporaneo, per acquisire quote maggiori di mercato, come i consorzi, tendono a creare centri di potere distanti dai poteri decisionali dei cosiddetti soci-lavoratori, rendendo anche le piccole cooperative interne ai processi che caratterizzano le grosse cooperative. Per non parlare dell'uso che viene fatto delle piccole cooperative da parte di grandi sfruttatori.
La poca credibilità nella pratica sindacale, si ripercuote in maniera forte anche sulla fiducia di un possibile sviluppo di una pratica diversa da parte del sindacalismo di base, nelle sue varie forme, creando grosse difficoltà di radicamento, sebbene sia necessario approfondire i limiti che questo ha dimostrato nel comprendere la ricaduta dei processi più generali in atto.
Nei fatti si registra una grossa disattenzione da parte dei soggetti sindacali dei settori dove la tendenza alla terziarizzazione è forte, non riuscendo a comprendere, nella pratica, l'estremo collegamento che esiste tra il peggioramento delle condizioni di lavoro dei lavoratori cosiddetti "direttamente comandati", e la situazione di sfruttamento a cui sono sottoposti i lavoratori degli appalti. L'inserimento dell'utilizzo dei lavoratori interinali nel pubblico impiego dimostra che al peggioramento non c'è fine, se non si comprende la necessità di combattere a ampio raggio il continuo attacco alle condizioni di lavoro e al salario.
L'eccessiva contrattazione ha portato anche ampi settori del sindacalismo di base a non considerare gli effetti di questa politica nella pratica della iniziativa politica sindacale continuando da una parte a portare avanti una teorica lotta al precariato, dall'altra a non tradurre nella quotidianità questa battaglia, con una continua accettazione, in sede di contrattazione, dei processi di esternalizzazione. Troppo facile sarebbe relegare la risposta a questo giudizio alla differenza tra lotta sindacale e la lotta politica, in quanto la conquista di nuovi diritti e il miglioramento delle condizioni di lavoro devono essere l'obiettivo di una pratica di lotta chiara, al di fuori delle logiche opportuniste di mantenimento del privilegio di contrattazione.
Le caratteristiche dell'appalto, sebbene frammentino i lavoratori, rendano differenti lavoratori che svolgono le stesse mansioni nello stesso luogo perché appartenenti a aziende diverse, rendono nello stesso tempo vulnerabile l'altra parte. Se c'è una frammentazione della contrattazione e delle aziende, c' è anche, se ci fosse uno sforzo chiaro per iniziare un lavoro in questa direzione, la possibilità di coordinare forme di lotta in modo tale da creare situazioni di sciopero e iniziative a scacchiera che potrebbero mettere a dura prova anche le nostri controparti, o meglio controparte. Una battaglia contro il peggioramento delle condizioni di lavoro, portate avanti dai lavoratori dell'ente appaltante, coordinata con i lavoratori degli appalti e sviluppata in maniera differenziata come orari e giorni, consentirebbe di adottare forme di lotta prolungate con un dispendio inferiore di energie e un risultato, in termini di avanzamento politico, non indifferente.
Fino a quando non si comprenderà la necessità di considerare i lavoratori degli appalti lavoratori che appartengono in tutto e per tutto agli organici dell'azienda appaltante, e questo non si tradurrà in una unione di iniziativa politica tra i lavoratori, sarà molto difficile agire in maniera significativa per migliorare le condizioni dei lavoratori negli appalti e fermare il peggioramento degli altri, se non in casi sporadici ed estremamente legati a condizioni specifiche in singoli territori o aziende, cooperative o meno.

Un lavoratore delle cooperative


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