Senza Censura n. 3/2000

[ ] Considerazioni preliminari sull'agire di classe a inizio millennio



Queste note sono un primo prodotto di una discussione che si sta sviluppando fra una serie di compagni del Collettivo Rete Operaia (Precari Nati) di Bologna. Si tratta essenzialmente di una bozza preparatoria per un lavoro più generale sulla situazione attuale legata al mondo del lavoro, da svolgere con altri gruppi e compagni interessati a questo tema.

Viviamo una fase sociale scossa da innumerevoli cambiamenti che riguardano sia l'organizzazione del lavoro sia la composizione di classe. Tuttavia il sistema di produzione capitalista si basa come prima su un continuo bisogno di accumulazione e capacità di valorizzazione: questo processo porta ad un continua ricerca di profitto attraverso l'estensione dello sfruttamento dei macchinari e della forza lavoro, che rimane la base dell'esistenza del profitto grazie all'estrazione di plusvalore. A questo si aggiunge la gara speculativa, fenomeno proprio dell'attuale sistema di produzione.

Una nuova articolazione del capitale
nella divisione internazionale del lavoro
1
Se si considera come campo d'indagine la grande industria, le modificazioni più evidenti e vistose hanno riguardato i sistemi di produzione interni e la relativa strategia di vendita e di pianificazione del prodotto.
Consideriamo l'industria perchè rimane il cuore del capitale produttivo: il luogo dove si esplicitano in maniera più chiara e cruda i rapporti di forza tra le classi. In questo spazio il padronato sperimenta forme di controllo sui lavoratori e fornisce schemi generali per la società, oppure riutilizza e amplia alcune anticipazioni di altri settori (1). Scartiamo ovviamente l'ipotesi che sia il mercato a determinare l'organizzazione del lavoro e il relativo processo produttivo, in quanto è la ricerca del profitto che rimane centrale nella strategia involontaria del capitale.
Il passaggio dalle cittadelle industriali autonome a un più articolato sistema di produzione a rete ha modificato il volto delle aziende e la loro organizzazione interna. La catena di montaggio si è diluita nel territorio e accanto ad una ditta madre convivono una miriade di ditte monoterziste. Il fenomeno non investe solo distretti produttivi limitati geograficamente, ma l'intero pianeta. Non è un caso che in numerose ditte di Bologna i ragazzi delle catene di montaggio montano componenti prodotti in tutto il mondo. Vi è uno stoccaggio limitato e ad una scomposizione fisica della fabbrica in tante piccole ditte - che rappresentano i vari reparti - corrisponde sul lato finanziario un accentramento accelerato.
In questo il cosiddetto modello emiliano rimane un esempio molto esaustivo: si basa su una miriade di ditte, per la maggior parte con un numero di addetti che si aggira sul centinaio. Tuttavia questa miriade di fabbriche sono concatenate fra di loro sia rispetto al flusso produttivo (guarda in questo senso il numero di componenti prodotti esterni alla Ducati o alla Malaguti in regione) sia a livello di pacchetti d'azioni: non è un caso che il passato ministro dell'industria abbia indicato per il modello emiliano un processo di strutturazione in consorzi dei distretti produttivi.
Questa scomposizione-ricomposizione non è un fenomeno che investe solo le aziende, ma la stessa organizzazione interna. Le nuove tecniche produttive legate alla "filosofia" giapponese delle isole di produzione sono una conferma di questa tesi (2). Attraverso una maggiore specializzazione e con uno stoccaggio limitato - contrapponendosi alla filosofia della produzione seriale - si realizzano prodotti finiti già immediatamente destinati alla vendita. Questo constante controllo del ciclo si esplica a monte del processo produttivo, nell'immagazzinare scorte destinate all'immediato montaggio, e alla fine del processo produttivo, con l'immediata vendita del prodotto già predestinato ad un acquirente prima della produzione.
Questa è una tendenza generale: non è la fine della produzione in serie. Anzi, il modello che maggiormente viene sperimentato è una serialità limitata camuffata come diversificazione del prodotto per assecondare il "gusto" del cliente. Emblematico è lo schema della Smart, fabbrica dove ogni veicolo è personalizzato dall'acquirente prima delle vendita - e quindi prima della produzione -, ma le scelte rimangono limitate. Puoi scegliere il colore degli interni, il colore dei cerchioni e del cruscotto (prima della realizzazione), ma hai una gamma prestabilita di possibilità: è, più semplicemente, come una scatola di lego dove con una confezione puoi fare diverse costruzioni, ma queste rimangono sempre rinchiuse in un numero finito.
Altro esempio può essere la virtuale scelta dell'acquirente che prenota una moto prima della vendita in ditte come la Ducati-motor. La produzione dei motocicli è calibrata dalle richieste mese per mese: quando gli operai montano una moto in una catena di montaggio il prodotto è già venduto. Ovviamente questo accelera i processi di realizzazione dei profitti che vengono rivalorizzati dal mercato finanziario.

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La rete produttiva ora viaggia a una velocità più che raddoppiata per aumentare i margini di profitto, ma questo la rende molto più precaria. Se da un lato spinge per annullare le spese morte, per permettere una immediata vendita delle merci oltre che per un maggiore sfruttamento della forza lavoro, dall'altra parte è la stessa organizzazione del lavoro a offrire spunti interessanti di attacco per la classe operaia.
Per un verso è il cambiamento dei rapporti tra la ditta madre e l'indotto a offrire ora la possibilità di incidere nel processo produttivo complessivo di un prodotto ad una piccola ditta dell'indotto come alla casa madre. In questo modo il blocco degli straordinari alla Verlicchi (ditta produttrice di telai per la Ducati) ha portato al blocco delle catene di montaggio alla Ducati senza che questa azienda fosse stata toccata dalla lotta.
Su un piano più generale, l'estensione della catena produttiva sul territorio ha creato delle macro-aree di produzione che non portano alla fine dello Stato e delle politiche protezioniste (con i conflitti militari connessi), ma a una nuova regolamentazione del sistema di concorrenza tra Stati e più in generale tra capitali(3). L'interrelazione tra ditte porta come risultato che un prodotto finito ha una miriade di ditte che contribuiscono alla sua realizzazione e una relativa intensificazione dei rapporti commerciali su scala mondiale. Questo processo è il prodotto dell'estensione della classe operaia.

3
Alla flessibilità produttiva si lega la contrattualistica "precaria" che rende operativo tale sistema. La classe operaia è chiamata all'interno delle aziende con una miriade di contratti che, oltre a dividerla sul piano giuridico, la plasma rispetto ai picchi produttivi. Non è un caso che il grosso della flessibilità si giochi oltre che con lo sviluppo di nuove forme contrattuali (v. il lavoro interinale in Italia che - ricordiamo - è stato avallato con l'aiuto indiretto di Rif. Comunista) attraverso una "contabilizzazione" dell'orario su base annua per determinare mese per mese, settimana per settimana, l'orario di lavoro assecondando i dettami produttivi del periodo. Tuttavia, questo porta ad accrescere l'instabilità e l'insicurezza nella classe operaia.
Non rimpiangiamo il posto fisso (= galera a vita) perché lo consideriamo semplicemente un dato modello per un dato momento dell'accumulazione capitalista. Riteniamo che esso fosse legato solo marginalmente alla forza operaia poiché rappresentava un sistema che vedeva nella "forza lavoro fissa" il soggetto di una fase espansiva accelerata. Inoltre era un'ottima soluzione rispetto ad una accelerata ed espansiva distribuzione dei prodotti e un forte legante ideologico tra la classe lavoratrice e le strutture di potere (4)
Ma ora un lavoratore precario è sballottato di mese in mese in aziende diverse. La ditta non può avvalersi dello "spirito di famiglia" e neppure forzare troppo rispetto al coinvolgimento nell'organizzazione del lavoro: si rende quindi più visibile l'alienazione e la merda del lavoro capitalistico...

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Riteniamo che nell'attuale strategia del capitale vi sia, come nel passato, la capacità molto reale di prendere in considerazione la lotta di classe e di proporre soluzioni per ostacolarla.
La distruzione delle cittadelle operaie, oltre ad assecondare un sistema di produzione più flessibile, è dovuto anche alla possibilità di disinnescare delle comunità operaie combattive che, omogeneizzate e concentrate, accrescevano la loro forza.
Si delocalizzano le fabbriche in zone dove si presume che la lotta operaia non sia alta o radicata e dove lo Stato concede aiuti finanziari come una minore pressione fiscale. Anche in questo, come agente economico, lo Stato non scompare e diventa, al contrario, un elemento fondamentale per lo sviluppo del capitale (le recenti vicende della Candy nella Repubblica Ceca ne sono una dimostrazione lampante). Tuttavia non bisogna farsi abbagliare dalla mitologia del piccolo è bello: accanto a fenomeni di "scomposizione" ve ne sono altri di accentramento.
La recente reindustrializzazione di determinate zone degli Stati Uniti e dell'Europa, per esempio, più che alla specifica agevolazione "territoriale" degli sgravi fiscali alle aziende è legata alla necessità di concentrare un determinato processo produttivo in un area non troppo vasta per favorire un maggiore controllo del flusso produttivo (è di questi giorni la scelta di Benetton di spostare in Veneto una parte della produzione perché questo assicurava una più immediata realizzazione del prodotto).
Inoltre, la stessa scomposizione interna della fabbrica sul modello delle isole di produzione - rispetto alle catene di montaggio - oltre ad assecondare gli attuali standard di produzione è un sistema per distruggere la collettività operaia interna e per incrementare il controllo sui lavoratori. Dietro alla qualità totale si maschera una non troppo velata pressione ideologica del padronato per rendere maggiormente docili gli operai. La creazione di fittizie "gerarchie orizzontali" tra i lavoratori come i team leader o i gruppi di qualità (in cui i lavoratori vengono coinvolti dalle aziende valorizzando una loro apparente capacità decisionale e direzionale) sono un rozzo tentativo di omologazione alla mitologia aziendalista e padronale.
Segnali in controtendenza ve ne sono stati: numerose ditte giapponesi e tedesche che utilizzavano il metodo della partecipazione e qualità totale hanno dovuto abbandonare questo modello. Quando i lavoratori hanno capito il gioco che c'era dietro la musica aziendale sulla migliore qualità della vita e del prodotto si è interrotta immediatamente e ha reso palese a tutti come questi modelli non servivano a migliorare la produzione in senso stretto, ma ad esercitare un maggiore controllo sulla forza lavoro. Con questo non sosteniamo che sia sufficiente affrontare in maniera soggettivista lo sviluppo del capitale e la relativa azione operaia. In Italia vi è già stata una liturgia che predicava "il salario come variabile indipendente del sistema economico" credendo alle virtù taumaturgiche della lotta di classe e rifiutandosi di studiare in quali condizioni la lotta di classe poteva svilupparsi.
Ma se è vero che il padronato propina continuamente consolazioni ideologiche al proletariato per incrementarne il lavoro, questo non toglie che esso stesso è determinato, in generale, dal piano di accumulazione del capitale e che la relativa risposta del proletariato è figlia di precise soluzioni materiali che presuppone di volta in volta il capitale.

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Questo piano oggettivo e soggettivo del capitale è regolato dal suo continuo bisogno di accumulazione e perciò è nella sua organizzazione variabile che trova - paradossalmente - la sua stabilità.
Tuttavia gli elementi di novità presenti in questa fase non sono legati alla "qualità".
Basta avere presente che il principio base rimane quello dell'accumulazione e della ricerca di profitti per accorgersi immediatamente che la cosiddetta "globalizzazione" è una bufala postmodernista figlia di settori borghesi incapaci di leggere i processi reali del capitale e che camuffano questa mancanza con paccottiglie. Il capitalismo è un modello globale in quanto il sistema espansivo e monopolistico è proprio del capitale fin dalle sue origini. Così come il plusvalore rimane al centro del sistema di produzione capitalista, la sua componete finanziaria e speculativa è l'emblema della crisi in cui versa e del necessario superamento in senso comunista.
E' nella sua dimensione quantitativa che cambia.
Una ditta produttrice di un determinato oggetto è prima ricorsa a esterni per la circolazione e la vendita della merce, ma attualmente abbisogna di una maggiore scomposizione anche nel suo processo interno di produzione.
Questo processo aumenta e affina l'uso del capitale fisso e chiede una maggiore partecipazione al capitale variabile. E' in questo senso che l'estrema specializzazione delle singole aziende corrisponde a una "quantitativa" differenza del presente sistema di produzione capitalista. Questo ha come dato fondante un maggior sfruttamento del lavoratore nel processo lavorativo e un accresciuto bisogno di estrazione di plusvalore.


La situazione di classe
1
L'aumento dello sfruttamento legato ai ritmi e al tempo di lavoro si traduce in una maggiore pressione nei confronti della classe operaia. A questo è connessa la sua crescente pauperizzazione attraverso il continuo ridimensionamento dei salari e una sempre maggiore precarietà contrattuale legati alla flessibilità produttiva.
Scartiamo le visioni semplicistiche e drogate della New economy e dell'onnipresente capitale finanziario che nascondono l'inasprirsi delle condizioni di vita dei proletari: la prima è un modo abbastanza rozzo di bleffare rispetto ad una situazione di crisi (5); il secondo è un sottoprodotto del capitale produttivo. La continua divaricazione del capitale finanziario rispetto al capitale produttivo porterà a un risveglio rovinoso visto che gli indici fittizi del capitale finanziario non corrispondono a quelli del capitale produttivo (si è già visto il calo delle "meravigliose" ditte virtuali di internet) (6).
Il padronato in questo momento ha assunto sempre più una connotazione sociale complessiva, in questo senso l'affermazione marxiana che il capitalismo non è solo la divisione in classi ma è fondamentalmente un rapporto di produzione (tanto che si potrebbe immaginare un capitalismo composto solo da padroni-tecnici, ma non è il nostro caso) si realizza in tutta la sua potenza. Avviene sì la polarizzazione sociale spinta - sempre più settori della classe media vengono inghiottiti dal proletariato (meno male!) -, ma al tempo stesso il padronato cerca sempre più di "smaterializzarsi" e di sfruttare l'essenza espansiva del sistema di produzione capitalista: si moltiplicano le società per azioni, strutture su cui vi sono maggiori margini di speculazione. Vi è un sempre più un accelerato processo di concentrazione di capitali che rende obsoleta la figura del padre padrone con cilindro... Si inglobano le società minori, aumenta il valore delle azioni, l'accorpamento di mansioni corrisponde a un maggiore risparmio sui costi.
Se si osserva che uno dei grandi attori del periodo è il fondo di investimento (come il fondo pensioni), si riscontra immediatamente che il criterio principale non è lo sviluppo produttivo, ma la riduzione dei costi. Il piano dove si gioca questa partita sono i mercati azionari con la spettacolarizzazione del valore delle azioni. Tale processo - supportato dalla crescente spinta monopolistica propria del sistema di produzione capitalista - abbisogna di una nuova figura sociale di padronato, meno statica e, paradossalmente, più "flessibile".
Tuttavia, il padronato viene immediatamente ricomposto come settore sociale visibile nel momento in cui il proletariato muove all'attacco e, inevitabilmente, ricrea le condizioni della vecchia "lotta di classe" ri/producendo questo processo all'interno delle aziende: il principale teatro dove gli attori della società hanno un copione fissato dalle leggi dell'economia e dove tale rappresentazione si manifesta in tutta la sua grandezza. La visibilità del padronato poi si manifesta già nella dimensione delle lobby di manager e imprenditori che si rinchiudono nelle cittadelle finanziarie e urbane. In questo senso si orienta una ristrutturazione urbana accelerata che ricorda il vecchio castello: in molte città negli USA o nel Sud Africa vi sono quartieri militarizzati destinati ai "nuovi padroni". Come un tempo il problema non è tanto quello di organizzare dei raid contro queste cittadelle, ma di utilizzare l'economia come arma contro i padroni rischierando in campo la potenza e l'importanza del capitale produttivo.

2
La classe operaia subisce un attacco continuo da parte del capitale: la giornata lavorativa è stata estesa a livello mondiale. Inoltre, se le ore lavorate dalla classe operaia nel mondo sono aumentate quantitativamente, si deve considerare anche l'aumento qualitativo dell'orario di lavoro: è evidente a tutti che un'ora di lavoro degli anni '50 non può essere paragonata ad un'ora di lavoro nel 2000 (7). Accanto a questo si ha l'espansione della classe operaia nel mondo, fattore connesso al meccanismo di accumulazione ed espansione-fagocitazione del capitale.
Ai fautori del postmoderno farà rabbrividire sapere che la classe operaia industriale in senso stretto, come massa e tasso di occupazione, non è mai stata così numerosa. La massa degli occupati nell'industria è, al 1995, pari a circa 500 milioni di addetti: tre volte e mezzo di più, in termini assoluti, di quanto lo fosse nel 1950. E la sua crescita è considerevole anche in termini relativi dal momento che, nello stesso periodo, la popolazione mondiale è solo raddoppiata. Il che significa che vi è oggi, nel preciso momento storico in cui il proletariato industriale è dato per morente, una giornata lavorativa sociale nell'industria mondiale non inferiore ai 4 miliardi e mezzo di ore di lavoro e, probabilmente, superiore ai 5 miliardi di ore.
E se è vero che dagli anni '60 negli USA, dagli anni '70 in Europa e nel decennio successivo in Giappone, l'occupazione industriale è in calo - percentuale prima e assoluto poi -, questo accade non perchè l'industria sia "superata", ma perchè essa ha raggiunto livelli eccezionali di produttività (in media più che doppi rispetto a quelli dei servizi). Oltre a questo bisogna contare che molte figure inserite nel lavoro industriale sono state contrattualmente "spostate", ma rimangono localizzate all'interno dell'industria: contabilità, pulizie, ristorazione collettiva, logistica...
Si scopre forse l'acqua calda ma vi è una continua ricerca di "immagazzinare" forze umane nel processo produttivo; il che non riguarda, ovviamente, solo le industrie in senso stretto.
L'industria dei trasporti" è considerata da Marx come la "quarta sfera della produzione materiale" (accanto all'industria estrattiva, a quella manifatturiera e all'agricoltura); di conseguenza: "Il rapporto fra i lavoratori produttivi, è qui esattamente lo stesso che nella altre sfere della produzione". La logica alla base di questo ragionamento è la seguente: il trasporto modifica il valore d'uso di una merce. "Le masse di prodotti non aumentano per il loro trasporto. Anche il mutamento delle loro proprietà naturali, operato eventualmente per suo mezzo, non è, con alcune eccezioni, un deliberato effetto utile ma un malanno inevitabile. Ma il valore d'uso delle cose si attua soltanto nel loro consumo, e il loro consumo può rendere necessario il loro mutamento di luogo, cioè l'aggiunto processo di produzione nell'industria dei trasporti" (K.Marx).
Se si considera che il terziario classico - come la sanità - serve per il mantenimento della forza lavoro, il cerchio si chiude. Un discorso a parte si dovrebbe aprire rispetto al settore delle telecomunicazioni, ma non crediamo che questa sia la sede.
La stessa rincorsa per l'unificazione di importanti settori (bancario, automobilistico, ecc.), attraverso il fluttuante scontro tra monopoli, rende ancor più evidente la rincorsa del capitale alla ricerca di maggiori profitti con l'ausilio di una politica speculativa che maschera lo stato di crisi, ma al tempo stesso ne dimostra i limiti offrendo alla classe operaia un motivo materiale di unità internazionale che, ancora una volta, si ricompone all'interno del processo di lavoro complessivo. Tale fenomeno ha modificato l'organizzazione del lavoro e la stessa "pianificazione-caotica" del capitale, che deve impostarsi sempre rispetto a tempi limitatissimi non potendo garantire una stabilità dei mercati.
Si può trovare una nuova classe operaia in Brasile o in Cina che, in questi anni, conduce lotte asprissime contro il piano del capitale (si guardi in proposito le lotte operaie con scioperi selvaggi in Cina contro l'introduzione di nuove forme di organizzazione del lavoro di matrice americana); l'Europa o gli Usa - ancora maggiore centro produttivo del pianeta - conoscono una risposta della classe, ma questa non riesce a mostrarsi in maniera visibile e tale, comunque, da determinare una comunità proletaria attiva. Rimane però una manifestazione sotterranea della classe che - anche se in modo limitato - arreca ai padroni numerose difficoltà e suscita paure rimosse. Non è un caso che l'avvicinarsi della crisi inasprisca e irrigidisca il padronato tanto da essere spaventato da una minuscola rete di militanti sindacalisti di base neokenesiani!
Tuttavia è evidente che toccare il nervo del capitale (elemento produttivo) provoca spasimi nella controparte, vista l'estrema difficoltà a proporre dei "cuscinetti sociali" nel momento in cui le garanzie e le possibilità di offrire un salario indiretto si sono assottigliate.

3
Prima di poter individuare quali possono essere le prospettive rivoluzionarie in una fase come quella attuale occorre chiarirne alcuni nodi irrisolti. Se il problema del precariato, come abbiamo visto, è legato alle strategie di una produzione "flessibile" e al dispiegamento di un maggiore controllo formale-contrattuale, il problema della disoccupazione si aggiunge a questo.
Si è restii a considerare la disoccupazione come formazione di un esercito industriale di riserva e come elemento fondante di questa società. Come abbiamo visto l'accumulazione del capitale si riproduce su scala allargata: più capitalisti o più grossi capitalisti e, di conseguenza, più salariati. L'accumulazione del capitale è l'aumento del proletariato.
Ma con il progresso delle macchine (e il relativo incremento della quantità di lavoro) sono necessari sempre meno operai per produrrete una medesima quantità di prodotti e si determina, in alcune zone del pianeta, una diminuzione della classe operaia impiegata. Vi è quindi un soprannumero di operai rispetto all'ampliarsi del capitale. Questa componente operaia è il cosiddetto esercito industriale di riserva che, in questa fase, viene pagato al di sotto del valore del lavoro, viene impiegato irregolarmente o è abbandonato alla miseria. Questo esercito di riserva è necessario al capitale in quanto infrange la forza degli operai occupati regolarmente e permette di tenere i salari bassi: "Quanto è maggiore è la ricchezza sociale...tanto maggiore è la sovrappopolazione relativa ossia l'esercito industriale di riserva. Ma quanto maggiore sarà questo esercito di riserva in proporzione all'esercito operaio attivo (occupato regolarmente), tanto più in massa si consoliderà la sovrappopolazione, ossia gli strati operai la cui miseria sta in rapporto inverso con il tormento del loro lavoro. Quanto maggiore infine lo strato dei lazzari della classe operaia e l'esercito industriale di riserva, tanto maggiore il pauperismo ufficiale. Questa è la legge assoluta dell'accumulazione capitalista" (K.Marx).
La sua fine, come problema sociale, è legata a filo strettissimo con le sorti generali della società capitalista!.

4
Questo processo di espansione ha reso maggiormente internazionale il movimento operaio e questo fenomeno non è ancora divenuto patrimonio del "senso comune". Tuttavia si sono evidenziate le prime stridenti contraddizioni che hanno toccato anche le centrali borghesi di sinistra.
Le lotte che si sono sviluppate dopo il Nafta, ad esempio, oltre a interessare il Messico, hanno avuto un altro epicentro nelle grandi aziende automobilistiche americane, dove il mafioso sindacato di regime americano ha dovuto ufficialmente contrastare questo processo di internazionalizzazione del capitale perché stritolava e stritola la forza-lavoro operaia degli USA portando alle estreme conseguenze la concorrenza tra forza-lavoro degli USA e dell'area Nafta. Questo esempio coglie solo in parte - e in negativo - quello che sta avvenendo: era una mobilitazione di difesa e fautrice di un impossibile ritorno al protezionismo economico e sociale dei salariati statunitensi.
Altri esempi sono stati più esaustivi di questa internazionalizzazione del capitale e della risposta operaia. Con la crisi asiatica si è aperto un varco per la forza operaia che ha prodotto numerosi conflitti in gran parte localizzati in Corea, cuore produttivo delle economie emergenti asiatiche, ma che hanno trascinato con loro anche i propri "indotti". Numerose vertenze che si erano aperte nel '96 in Corea sono risultate vittoriose solo grazie alla cooperazione tra operai coreani e indiani legati allo stesso processo produttivo (giacché esistevano numerose ditte monoterziste in India). L'attacco alle condizioni di vita dei lavoratori in Corea corrispondeva materialmente e non idealmente all'abbassamento del tenore di vita di molti lavoratori indiani.
Attualmente i lavoratori sono unificati in questa immensa catena di montaggio e la loro collocazione è di per sé internazionale, non tanto per effetto di una solidarietà proletaria e di condizioni sociali comuni, ma semplicemente per l'articolazione stessa del capitale.
Tuttavia questo piano oggettivo necessita di una spinta soggettiva internazionalista e di una maggiore interrelazione tra il partito storico (la classe operaia in lotta) e quello formale (i gruppi di lavoratori militanti e rivoluzionari). Non si invoca la formazione di fantomatici partiti - perché questo piano è superato dalla lotta di classe stessa quando essa si manifesta in tutta la sua ampiezza -, ma di una rete di militanti che riesca a saper leggere le modificazioni in modo dialettico e offra spunti alla classe per ribaltare l'economia contro i padroni.
In piccolo il tentativo prodotto dai compagni del CRO (Collettivo Rete Operaia) di Bologna nella lotta sviluppatasi alla Nuova Star di Zola Predosa (Bologna) va in questa direzione. La Nuova Star è una ditta che produce cerniere per elettrodomestici. Durante uno sciopero per il contratto interno - che ha visto anche picchetti e blocco delle merci in uscita e entrata - i compagni hanno cercato di ricostruire la catena produttiva della Nuova Star prendendo contatti con altri stabilimenti. Si è stabilito un legame con operai della "Balay" di Saragozza, ditta spagnola produttrice di elettrodomestici che monta i componenti della Nuova Star. Gli operai delle due aziende hanno avuto modo di conoscere le condizioni di lavoro dei rispettivi stabilimenti e di rendersi conto della loro unità d'intenti.
Questo non ha prodotto un soviet né, tanto meno, la rivoluzione, ma la prospettiva che in tale vertenza si è aperta o semplicemente prospettata è risultata interessante. I gruppi di lavoratori rivoluzionari sono lo strumento e la proiezione in avanti della lotta di classe, ma rimangono, appunto, strumento e non motore della lotta perché questa - lo si voglia o no - rimane in mano alla collettività operaia nel suo complesso.
Questo scenario porta con sé altre conseguenze per la classe lavoratrice. Una delle più evidenti, con l'affermarsi di un precariato diffuso, è la fine delle strutture sindacali di mestiere ma anche di quelle di categoria quando questo turnover investe sensibilmente i diversi settori. Inoltre, dal momento che vi è l'impossibilità di un riformismo classico, vista la fase in atto, si sviluppa un "riformismo al contrario" dei padroni che acutizza la polarizzazione sociale.
Nella non mediazione prende corpo la proposta del potere operaio ossia la capacità di porre sempre e in ogni lotta il problema del potere, cogliendo la complessità del fenomeno sociale in atto. Non è quindi compito dei lavoratori rivoluzionari inseguire i sindacati o denunciare il loro lassismo, ma indicare il ruolo di questi e l'impossibilità di essere altrimenti. Se questa società è in crisi sta a noi smascherarla e prestare maggiore attenzione alle manifestazioni della classe. Ovviamente bisogna dotarsi di una scala di importanza rispetto all'intervento, della capacità di veicolare messaggi e porsi il problema dell'unificazione del partito formale con il partito storico senza snobbare nessuna manifestazione di lotta di classe: astrarre la dimensione comunista dove questa si pone nel corpo della classe.

C.R.O.-Precari nati Bologna

Note
(1) E' famoso l'utilizzo dello zero stock toyotista ripreso dal sistema di distribuzione dei supermercati americani
(2) Guarda in proposito al precedente articolo su Senza Censura rispetto all'introduzione del Kaizen in Ducati-Motor
(3) Vi è da parte degli Stati un interessarsi ad aree non racchiuse nei confini nazionali geograficamente intesi. Si pensi alla forma di cogestione fra le diverse borghesie nazionali nel Nafta in America.
(4) Per una parziale valutazione sul sistema del posto fisso legato allo stato sociale vedere: Stato sociale contro la crisi, crisi dello stato sociale. in Precari nati n.5, 1999; oppure rispetto al rapporto tra modificazione del tempo di lavoro, rispetto a flessibilità, precariato e fine dello stato sociale il libro: Stop the clock!, critiques of the new social workhause, con i diversi saggi dei gruppi Wildcat per la Germania, Mouvement coomuniste perla Francia, Aufheben per la Gran Bretagna e Precari nati per l'Italia. I testi sono stati tradotti anche in italiano, per chi li volesse può contattare C.R.O.-Precari nati c/o Diego Negri CP 640 40124 Bologna oppure e-mail ti14264@iperbole.bologna.it
(5) Paolo Giussani, Crescita Speculativa, è il testo di una conferenza tenuta a Milano nell'aprile 2000 di prossima pubblicazione su Precari nati
(6) L'economia finanziaria è molto spesso un sottoprodotto dell'economia reale produttiva, non è un caso che miriadi di ditte fantasma-virtuali su internet siano in realtà le infinite scatole cinesi delle ditte reali. La speculazione è nata con il capitalismo e ne rappresenta la vera chiave di lettura per indicare i limiti interni del sistema di produzione capitalista. Tale forma è l'esempio massimo del ruolo parassitario del capitale e della sua necessaria abolizione da parte del proletariato. Il capitalismo invece di guadagnare e accumulare poco producendo molto e facendo consumare molto, guadagna e accumula enormemente producendo poco e soddisfacendo male il consumo sociale.
(7) I lavoratori statunitensi producono ora in meno di sei mesi quello che producevano in un anno, tanto che, in astratto, il loro tempo di lavoro avrebbe potuto dimezzarsi lasciando inalterato lo standard produttivo (e di consumi) che mezzo secolo fa veniva preso come punto di riferimento dal mondo intero. E invece, nessuna particella di questo incremento di produttività si è tradotta in una diminuzione degli orari di lavoro. Al contrario, tra il 1969 eil 1989 gli occupati a tempo pieno hanno visto crescere, in media il proprio orario di lavoro annuo di 158 ore (una mezz'ora di lavoro in più al giorno, un mese in più all'anno). P.Basso, Tempi moderni orari antichi, Milano 1999, Franco Angeli.


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