Senza
Censura n. 2/2000
[
] Legge e ordine Made in U.S.A. (prima
parte)
Viaggio tra 'istituzioni sociali' e 'istituzioni totali'
Quello che se segue sarà il primo di una serie di contributi sul
piano storico/analitico che cercherà di osservare, qui e nei successivi
numeri di Senza Censura, le trasformazioni che nei decenni hanno investito,
relativamente al motto "Legge e Ordine", alcuni settori portanti
della forma/struttura statunitense (vale a dire le organizzazioni sociali),
a seguito delle ristrutturazioni capitalistiche interne agli Stati Uniti.
Due saranno i piani sostanziali a partire dai quali cercheremo non soltanto
di dare un contributo su un piano puramente informativo, ma altresì
di dibattito: la riurbanizzazione sociale (dalla ghettizzazione ai ghetti-in-guerra
alla città-futura-capitalista, dal razzismo alla legislazione penale
alla criminalizzazione delle comunità escluse dai cicli produttivi)
e il sistema carcerario (dall'istituzione totale al complesso industriale
carcerario, dalle unità di controllo alle carceri di massima sicurezza
e ai bracci della morte).
La domanda che ci poniamo e che poniamo ai lettori di Senza Censura è
la seguente:
premesso che ogni organizzazione (o istituzione) sociale si impadronisce
di parte del tempo e degli interessi di coloro che da essa dipendono circuendo
i suoi componenti in una sorta di azione inglobante e che vi sono tipi
diversi di istituzioni, alcune delle quali agiscono con un potere più
inglobante delle altre, cioè con un carattere totale segnato da
un impedimento dello scambio sociale (conseguentemente con un più
alto livello di controllo), la gestione delle contraddizioni seguite alle
ristrutturazioni capitalistiche hanno fatto si che quelle che erano comunemente
definite quali istituzioni totali (nel nostro caso, le prigioni) abbiano
subito una reale quanto parziale trasformazione verso una apertura della
interazione mentre organizzazioni prima non definite "totali"
(come determinate aree urbane delle grandi metropoli e le città-fantasma
nate attorno al complesso industriale carcerario) siano invece oggi divenuti
tali? Ovvero: esiste una convivenza simultanea, all'interno di particolari
organizzazioni (per lo meno quelle a cui vogliamo fare riferimento), di
spazi precisamente determinati, (da porte, sbarre, mura di cinta, ponti,
case popolari, ecc...) così definiti "istituzioni sociali"
e spazi così definiti "istituzioni totali"?
Nel 1960 la popolazione carceraria statunitense era composta di 212.953
prigionieri; dieci anni dopo, nel 1970, la popolazione carceraria scendeva
a 196.654 unità; nel 1980 i detenuti rinchiusi nelle carceri statali
e nei penitenziari federali salivano nuovamente a 329.821 unità;
dal 1980 al 2.000, il flusso delle incarcerazioni è stato con forza
e in costante aumento: 773.519 detenuti nel 1990, 1.053.738 detenuti nel
1994, 1.752.842 detenuti nel 1998 fino ad arrivare - lo scorso mese di
Febbraio - a quota 2 milioni di detenuti. Già nel 1995 gli Stati
Uniti avevano raggiunto la percentuale di incarcerazione pro-capite più
alta al mondo.
Quella "fenomenologia della incarcerazione" così come
è stata descritta qualche mese fa da diversi quotidiani nazionali
ed internazionali altro non è che parte integrante dei processi
di ristrutturazione capitalistica fortemente veicolati dagli Stati Uniti
su scala mondiale. Recessioni economiche, tagli netti al welfare e ai
servizi sociali, razzismo, disoccupazione galoppante, ingenti investimenti
sul piano militare e altro ancora, figli legittimi della mondializzazione
del commercio sempre in continua ricerca di nuove aree da sfruttare e
nuovi mercati da conquistare, rappresentano le macrocontraddizioni sviluppatesi
esponenzialmente negli anni durante i vari passaggi e sottopassaggi economici
che sul piano interno statunitense sono stati necessari - al Capitale
- per garantire la propria sopravvivenza, messa continuamente in forte
dubbio dalle crisi che esso ha prodotto e produce.
I momenti di conflittualità sociale e politica, avanzati o arretrati
che siano, derivanti dai risultati parziali (in quanto temporanei e periodicamente
modificabili) delle contraddizioni nate da quelli che gli analisti americani
chiamano "aggiustamenti strutturali", rappresentano un elemento
che necessariamente il Capitale deve gestire dal punto di vista del controllo.
Il carcere ha da sempre rappresentato uno strumento di gestione centrale
nella politica americana. Del resto le cifre parlano da sole. Molti sarebbero
qui gli aspetti da prendere in considerazione. Ma non è certo nostra
intenzione pensare di esaurire in un breve contributo scritto la relazione
che lega l'agire repressivo del Governo attraverso i propri apparati (legislatori,
agenzie di polizia, ecc.) nei confronti di quei soggetti cosiddetti "diversi"
e di "disturbo", abitanti il lacerato tessuto sociale dei ghetti-in-guerra,
ai margini della città-futura-capitalista americana.
Pur tuttavia ci sembra importante cercare di avere chiaro attraverso quali
passaggi e quali strumenti si è arrivati oggi negli Stati Uniti
ad avere 2 milioni di persone dietro le sbarre. Il processo storico della
detenzione è stato attraversato sostanzialmente da tre fasi di
forti incrementi della popolazione carceraria: dal 1850 e il 1870, dal
al 1920 e il 1940, e infine dal 1970 ai giorni nostri. Ci occuperemo proprio
di questa ultima lunga ed, a quanto pare, inarrestabile fase.
Razzismo e controllo della classe
Il boom post Seconda Guerra Mondiale (basti pensare che nel 1946 l'economia
americana arrivò a coprire metà delle esportazioni e nel
1951 un terzo delle merci prodotte su scala mondiale) determinò
una nuova geografia sociale. La meccanicizzazione del lavoro agricolo
al Sud portò ad una vasta migrazione di afro-americani (prima impiegati
nel lavoro manuale nei campi) verso le città del Nord. Forti migrazioni
coinvolsero anche - tra gli anni '50 e '60 - comunità provenienti
dall'America Latina e dai Carabi. I riassetti urbani vennero immediatamente
vincolati al razzismo industriale e vennero amplificati conseguentemente
le difficoltà vitali presenti nei ghetti-in-guerra. Nel 1966 ci
fu una prima importante battuta di arresto. Germania e Giappone, rientrati
a pieno titolo nella competizione capitalistica su scala mondiale, misero
in seria crisi la tabella di marcia produttiva decisa dagli Stati Uniti.
Se in America - tra il 1955 e il 1970 - la produzione capitalistica aumentò
del 75%, è importante notare come in Europa arrivò invece
a sfiorare il 115% e in Giappone addirittura il 500%. E se è vero
che Giappone ed Europa partirono, o meglio, ripartirono da basi sicuramente
più limitate, è altrettanto vero che i loro tassi di crescita
furono notevolmente più alti rispetto a quelli statunitensi. Gli
stipendi di un lavoratore europeo o giapponese si attestavano su costi
inferiori rispetto a quelli dei lavoratori americani. Il costo del lavoro
negli Stati Uniti (compresi i contributi per la sicurezza sociale), era
circa tre volte più alto di quello in Europa e dieci volte più
alto di quello in Giappone. Vi è infine da mettere sul piatto della
bilancia la presenza dei cosiddetti Nuovi Paesi Industrializzati (Korea,
Jong Kong, Taiwan) che tra il 1960 e il 1970 misero in seria difficoltà,
attraverso le esportazioni selvagge di ogni tipo di merce, l'egemonia
imperialistica statunitense.
Nei primi anni '70, gli Stati Uniti accusarono una violenta crisi per
sovraccumulazione di capitali. In altre parole, il capitalismo stava venendo
soffocato dai successi della propria produzione industriale. In questo
contesto economico, le grandi fabbriche stentavano non poco a mantenere
il passo con i profitti ottenuti nel periodo post-guerra. Il prezzo delle
merci calò drasticamente. E si fece necessario allargare il campo
d'azione nel tentativo di mantenere ad un livello medio-alto i profitti.
La disoccupazione, che stando alle cifre del Ufficio d'Analisi sul Lavoro,
nel 1959 colpiva il 3,8% della popolazione, nel 1973 arrivava all'8% (Scheda
C). L'inflazione che dal 1956 al 1965 stazionava al 2% passò nel
periodo '69/'70 al 6% quindi al 12% nel 1979.
Le contraddizioni sviluppatesi attraverso le manovre governative di "aggiustamento"
si riversarono fortemente sia all'interno delle fabbriche stesse e nei
luoghi di lavoro in genere che all'interno dei ghetti-in-guerra, dove
abbassarono ulteriormente il grado di vivibilità, quando per vivibilità
si intende diritto al lavoro, alla casa, all'istruzione, ecc...Sospinti
dalle mobilitazioni popolari contro la guerra in Vietnam, i lavoratori
impiegati nelle grandi e medie industrie si fecero protagonisti di centinaia
di azioni di sabotaggio, di continui rallentamenti della produzione, di
sciopero selvaggi. Le agitazioni erano presenti in ogni settore produttivo.
Sicuramente uno degli aggiustamenti strutturali più importanti
del quinquennio 1965/1970 fu quello che investì le agenzie di polizia.
Del resto gli Stati Uniti erano "invasi da negri che davano fuoco
alle città e da comunisti" e in Vietnam l'esercito americano
stava perdendo colpi su colpi. Ed è a partire dalla seconda metà
degli anni '60 che l'allora Presidente Johnson attivò una vera
e propria guerra interna. Diede vita nel 1967 ad una nuova legislazione
penale concernente il possesso e lo spaccio di droga attraverso il Ministero
del Tesoro e il FDA che vennero destinati al Dipartimento di Giustizia,
il quale Dipartimento formò una nuova agenzia denominata Bureau
of Narcotics and Dangerous Drugs (BNDD), precursore della attuale Drug
Enforcement Administration (DEA). Allo stesso tempo Johnson invitò
il Congresso a prendere in considerazione l'ufficializzazione di un nuovo
Corpo Speciale che sapesse rafforzare i legami tra il governo federale
e le polizie locali. Per oltre un decennio, questa nuova agenzia dedita
al controllo e all'ordine e denominata Law Enforcement Assistance Amministration
(LEAA), spese miliardi di dollari per rimodellare, attrezzare (con armi
militari, tecnologie avanzate e corsi ultra-specializzati) e razionalizzare
la polizia Americana. Legge e ordine divennero parole chiave e obbiettivi
da realizzare attraverso una vasta campagna di propaganda disinformativa
basata sulla paura (chiaramente indotta) che voleva l'intero Paese attraversato
da crimini efferati. Così, durante la primavera del '68 e in piene
elezioni presidenziali, a seguito delle rivolte scoppiate in molte città
dopo l'uccisione di Martin Luther King, Johnson promulgò con l'avvallo
del Congresso una nuova legislazione penale: l'Omnibus Crime Bill, il
primo grande atto federale di questo tipo per la "Sicurezza e il
Controllo delle strade".
Poco prima della vittoria presidenziale del 1968, Nixon inviava al suo
mentore Dwight Eisenhower una lettera in cui, tra le altre cose, affermava:
"Ho raccolto forti consensi attorno a questo tema ("Legge e
Ordine") in ogni angolo del Paese, anche in aree dove il livello
di razzismo e di criminalità non desta forti preoccupazioni".
Da Presidente indirizzò molto più specificatamente le intenzioni
che prima stagnavo dietro la stesura dell'Omnibus Crime Bill, mettendo
chiaramente in relazione lo spettro del crimine, la confusione politica
e l'abuso di sostanze stupefacenti con il "problema razziale"
prodotto dalla migrazione afro-americana. E già nell'estate del
1968 una indagine del New York Times rilevava che l'81% dei suoi lettori
riteneva che la nuova politica repressiva avrebbe liberato gli americani
"dai negri e dai comunisti".. La droga divenne il centro della
strategia della Casa Bianca. Lo stesso Nixon dichiarò al Congresso
che: "Nell'ultimo decennio, l'abuso di sostanze stupefacenti si è
trasformato da un problema di ordine pubblico comunque localizzato ad
una vera e propria minaccia nazionale che mina la saluta e la salvaguardia
personale di milioni di Americani...C'è la necessità di
correre ai ripari: occorre una nuova politica a livello federale per iniziare
a fare fronte a questa minaccia crescente che vuole colpire il benessere
generale degli Stati Uniti...".
Le restrittive misure governative non tardarono ad arrivare. Mentre il
Congresso, tra il 1968 e il 1970, quadruplicò i fondi al LEAA (che
passarono da 59,4 a 268 miliardi dollari), la detenzione preventiva diventava
una drammatica realtà.. Quindi, nel 1970, in successione, vennero
siglati il Comprehensive Drug Abuse Prevention and Control Act e l'Organized
Crime Control Bill, meglio conosciuto come Racketeer Influenced and Corrupt
Organizations (RICO). E a proposito della Legge RICO, Nixon si rivolse
a J. Edgar Hoover, direttore del FBI, dicendogli: "Io ti ho dato
i mezzi. Tu fai il lavoro".
La mancanza di lavoro e la negazione dei più basilari diritti sociali,
le continue violenze e gli abusi da parte degli agenti di polizia, le
grandi mobilitazioni contro la guerra in Vietnam che portarono nelle strade
e nelle piazze delle città americane centinaia di migliaia di giovani
proletari e sottoproletari, spinsero quelli che inizialmente erano elementi
politici attivi prettamente disarticolati ad unirsi, disciplinarsi, organizzarsi.
A partire dalla metà degli anni '60, le avanguardie più
coscienti delle comunità Nere, bianche, Native Indiane e Latine
costituirono veri e propri punti di riferimento per le masse popolari
ghettizzate. La "guerra alla droga" - del resto - serviva a
preservare "gli ingenti beni americani" dai "negri e dai
comunisti". L'Amministrazione Nixon diede vita ad un nuovo Corpo
Speciale attraverso l'Office of Drug Abuse Law Enforcement (ODALE) che
faceva capo direttamente alla Casa Bianca. 300 commandos vennero inviati
da questo Ufficio, forti delle libertà offerte dalla Legge RICO,
dentro i ghetti-in-guerra. Tra il 1972 e il 1973 questo Corpo Speciale
condusse - molte volte attraverso tattiche paramilitari - operazioni preventive
e sequestri di materiali e persone. In pieno scandolo Watergate, Nixon
pensò bene nel 1973 di mischiare le carte unendo l'ODALE e il BNDD
in una nuova agenzia: il Drug Enforcement Administration (DEA). I Dipartimenti
di Polizia, che a fatica riuscivano a seguire i requisiti richiesti dalla
LEAA, iniziarono una politica gestionale di tipo manageriale: responsabili
vennero inviati a studiare i programmi delle grandi corporazioni come
Ford, IBM, Rockwell e Union Oil. Il Dipartimento di Polizia di Los Angeles
fu il primo ad agire in questo senso. Nel frattempo, mentre continuavano
gli sforzi per legare tra loro le Polizie locali e il FBI, vennero create
nuove Accademie, nuovi Corsi Mobili di Specializzazione e si iniziò
ad interagire con gli studi universitari, in particolar modo con la University
of Kentucky.
Agli inizi degli anni '70 la guerra interna impostata dal Governo raggiunse
livelli impensabili. Le tattiche di controspionaggio e di controrivoluzione
non nacquero certo in questi anni. Tuttavia proprio in questi anni le
tattiche delle agenzie di polizia subirono un forte incremento sia dal
punto di vista tecnico/tattico che sul piano della operatività.
I principali obbiettivi del FBI di Hoover erano i "militanti",
gli "estremisti", i "terroristi" e chiunque (soggetto
o comunità di soggetti) si organizzasse per contrastare la legge
e l'ordine prestabiliti. Tra il 1967 e il 1973 gli assalti mortali compiuti
da agenti di polizia passò da 76 a 131. Se nel 1968 solo 10 Stati
si erano dotati di un alto sistema informatizzato, 4 anni e 90 milioni
di dollari dopo, 47 Stati si erano informatizzati attraverso database
collegati con il Sistema principale del FBI, da poco attivato, denominato
National Crime Information Center (NCIC): lanciato nel 1967, il NCIC aveva
raccolto 500 mila profili (che passarono a 4,9 milioni di entrate a partire
dal 1974. Va tenuto presente che i profili riguardavano tutti i tipi di
crimini) e 130 mila trascrizioni quotidiane. Il NCIC aveva implicitamente
introdotto un nuovo modo di gestione/controllo delle persone basato su
una avanzata tecnologia che venne allargata ai Dipartimenti di Polizia
del Paese. Anche se il quadro fin qui descritto sembra perfettamente lineare,
così non era. I conflitti interni tra FBI e LEAA ad esempio costituivano
un problema non secondario. Per altro, continuò la militarizzazione
dei ghetti-in-guerra: a partire dal 1972 vennero acquistati e messi in
funzione 120 elicotteri all'anno, dotati di capacità sensoriali
e di registrazione visiva per la sorveglianza anche in ore notturne. La
sintesi perfetta degli sviluppi degli ultimi anni si tradusse nella costituzione
dei Corpi Speciali SWAT (Special Weapons and Tactics Teams). Nati nel
1966, vennero velocemente quadruplicati in tutto il Paese e destinati
ad operare durante azioni di crisi; concepiti da un ex marine, in un primo
momento vennero addestrati a Camp Pendalton, successivamente passarono
sotto il diretto comando del FBI.
E' in questo contesto che si ha il vero e proprio passaggio dalla ghettizzazione
alla formazione dei ghetti-in-guerra: il Vietnam si tradusse come in un
gioco di specchi i cui riflessi si tramutarono con impetuosa irruenza
contro le Comunità, secondo una premeditata suddivisione in Aree
particolari (con, ovviamente, un relativo approccio secondo l'Area). Uccisioni,
pestaggi, controlli quotidiani, minacce, violenze fisiche e psicologiche
da parte della Polizia per il "mantenimento dell'ordine pubblico"
ma anche programmi (circa 70) di relazioni con la popolazione furono il
risultato di una nuova scuola di pensiero lanciata dalla Police Foundation
di Washington DC nel 1970 con 30 milioni di dollari, messi a disposizione
dalla Fondazione Ford. New York, Syracuse, Los Angeles, Cincinnati, Detroit
e Kansas City adottarono questa nuova politica di gestione, controllo
e prevenzione dei conflitti socio/politici. Il Governo non temeva soltanto
la prospettiva rivoluzionaria di trasformazione della realtà del
Black Panther Party (per esempio) ma anche la sua continua attività
sociale e il suo radicamento all'interno della Comunità Nera. Fu
studiato - in sintesi - un doppio livello di azione che sapesse specializzare
ulteriormente il Programma di Controspionaggio meglio conosciuto come
COINTELPRO: un livello illegale, nascosto, di tipo paramilitare, destinato
all'annientamento dei singoli militanti e delle organizzazioni di sinistra
impegnate all'interno dello scontro di classe; un livello pubblico, apparentemente
propositivo, ma che tuttavia era diretto a disgregare ulteriormente il
già traballante tessuto sociale aumentando proporzionalmente il
controllo di classe da parte del capitale. Il COINTELPRO venne fatto terminare
ufficialmente tra il 1972 e il 1973 (anche se sappiamo bene come invece
sia continuato, sotto altre forme, per tutti gli anni '70, '80 e '90).
Sulla falsa riga dell'era Nixon, l'Amministrazione Carter dovette fare
i conti con una situazione generale sicuramente modificata. L'opera di
smascheramento compiuta dal Church Committee obbligò il Governo
a promulgare il Foreign Intelligence Surveillance Act, ovvero una Legge
che limitò di fatto (almeno in termini formali) le capacità
di controspionaggio della varie agenzie di polizia statunitensi.
L'avvento di Regan alla Presidenza degli Stati Uniti fu un vero e proprio
terremoto: se già l'Amministrazione Carter, nella persona di Paul
Volcker (Presidente della Federal Reserve), impostò nel 1979 una
politica di aumento dei tassi di interesse e tagli al potere d'acquisto,
diminuendo l' attività economica in generale, Regan portò
i tassi d'interesse dal 7,9% (del 1979) al 16,4% (del 1981). La grave
recessione provocata riportò a galla gli incubi della Grande Depressione.
Il piano di Regan fu tanto semplice quanto efficace: drastica diminuzione
delle tasse per i ricchi; distruzione completa del welfare; attacco al
lavoro. Prima della recessione del biennio 1980/1982, non vi erano mai
stati tagli o congelamenti dei salari a livello di grande industria. Dal
1982 vennero congelati o tagliati il 44% dei nuovi contratti il che comportò
un aumento del tasso di disoccupazione, che giunse al 10%. Nello stesso
tempo, l'Amministrazione Regan prese di petto l'American Federation of
Labor and Congress of Industrial Organizations (AFL-CIO). Durante il grande
sciopero generale dei controllori di volo del 1981, Regan diede l'ordine
esecutivo di licenziare in tronco 11 mila dipendenti che si erano astenuti
dal lavoro (tenendo presente che durante la campagna per le presidenziali
il futuro Presidente si era impegnato a sostenere l'Organizzazione professionale
dei Controllori di Volo - PATCO). Non solo. Anche il National Labor Relations
Board - l'Ufficio federale destinato alla cause legali nei luoghi di lavoro
- passò nelle mani di un acerrimo anti-sindacalista. Venne successivamente
approvata la contingenza sul lavoro e, nel 1986, il lavoro a casa. Questo
importante quanto deflagrante passaggio comportò un iper-sfruttamento
ed una esasperazione del lavoro minorile assieme all'azzeramento delle
conquiste dei lavoratori rispetto a questioni quali sicurezza e salvaguardia
sul luogo di lavoro. Nel 1982 Regan tagliò il welfare del 24%:
la spesa destinata alla nutrizione dei bambini venne diminuita del 34%;
la spesa destinata all'introduzione del latte nelle scuole del 78%; le
concessioni per i processi di urbanizzazione del 35%; le concessioni per
i programmi scolastici del 38%. Nel 1981 abolì il Comprehensive
Employment and Training Act, gettando nel lastrico più di 400 mila
lavoratori. Tagliando le sovvenzioni all'Aid to Families with Dependent
Children (AFDC), provocò il taglio di altri 500 mila posti di lavoro.
Il teorico neoconservatore George Gilder, grande stimatore della politica
reganiana, scrisse con semplice franchezza: "...i poveri devono lavorare
duro, molto più duro della classe sopra di loro..." (George
Gilder, "Wealth and Poverty", New York, 1981).
A partire dalla metà degli anni '80, la deindustrializzazione e
il declino associato alla vendita al dettaglio, alle costruzioni e ai
servizi trasformò drasticamente l'intero tessuto urbano del Nordest
e del Midwest. E anche se per diverse situazioni questo declino poteva
essere il risultato di un lento percorso iniziato anni addietro, risulta
abbastanza chiara e determinante l'improvvisa implosione economica. Detroit,
per esempio, il simbolo per eccellenza dell'America industrializzata,
perse metà della sua popolazione durante gli anni '80: la popolazione
bianca lasciò il cuore della città mentre gli afro-americani
raggiunsero nel 1990 l'80% della popolazione generale, con un 33% di povertà
diffusa. Non soltanto la popolazione bianca: anche la ristretta classe
media Nera, formatasi nel pieno dell'industrializzazione statunitense,
fuggì dalle città incatenate. In questo contesto i ghetti-in-guerra
ampliarono le loro dimensioni. Nella città di Chicago del 61,5%.
E simili valori si riscontrarono anche in città come Cleveland,
Philadelphia e Boston. Un nuovo passaggio di ristrutturazione portò
alla lenta scomparsa delle grandi industrie tradizionali che lasciarono
il posto alla cosiddetta società dei servizi. Società dei
servizi che ignorò completamente gli afro-americani. E all'interno
di questa ennesima ristrutturazione sorse la necessità per il capitale
di mettere sotto controllo un sempre più alto livello di popolazione
disoccupata, dentro un tessuto sociale del tutto lacerato. Il Governo
statunitense era completamente impegnato sul piano internazionale: vi
erano in atto diverse guerre in America Latina, si stavano apportando
programmi di aggiustamento del Fondo Monetario Internazionale e elevati
investimenti venivano spesi per la penetrazione imperialistica nei Paesi
del cosiddetto Terzo Mondo. Conseguentemente, sul piano interno, vennero
amplificate le differenze sociali e razziali; vennero saccheggiati i servizi
legati alla educazione e alla salute pubblica; continuò ad aumentare
senza sosta il numero dei disoccupati che intensificò la concentrazione
di una statica classe di senza-lavoro. Nel 1997 si contarono circa 2 milioni
di senza-tetto. Fu in risposta a questa straordinaria crisi sociale che
venne intrapresa una nuova ondata di provvedimenti a livello di giustizia
(criminale).
La "Lotta alla droga..."
Come accennato nelle premesse iniziali, il management del controllo sociale
e politico si fa per il Capitale necessario in quanto strumento di gestione
delle contraddizioni sviluppate durante le ristrutturazioni economiche,
indipendentemente dal livello di scontro di classe in atto. Se l'Amministrazione
Nixon dovette fare i conti con una diffusa classe organizzata sia sul
piano sociale che sul piano militare, all'interno delle varie lotte di
liberazione nazionali (New Afrikan e Portoricana in testa) e delle lotte
delle organizzazioni antimperialiste, l'Amministrazione Regan si trovò
a confrontarsi obbligatoriamente e a dover contenere settori della popolazione
in continuo surplus, lontani dalla politicizzazione e dalla lotta del
decennio precedente, del resto scaturiti dalle sue stesse politiche neoliberali
e figli del frutto di programmi repressivi quali il COINTELPRO. Il management
del controllo, anche in questo secondo caso, dovette necessariamente ricorrere
ad un alto livello di oppressione sociale, ad una forte segregazione e
ad una maggiore giustizia criminale: moltiplicate esponenzialmente le
differenze sociali e il livello di distribuzione delle ricchezze, i ghetti-in-guerra
diventarono una vera e propria bomba ad orologeria, pronta a scoppiare
in qualsiasi momento.
Vi furono due nodi importanti che l'Amministrazione Regan dovette sciogliere
nel decennio del suo mandato presidenziale: il sovvenzionamento di una
guerra controrivoluzionaria in Nicaragua (omaggio della Amministrazione
Carter) e il conflitto interno, arretrato sicuramente sul piano politico/militare,
vincolato alla grande crisi economica statunitense. I fatti essenziali
delle operazioni North-CIA erano risaputi fin dal 1985, quando cioè
un aereo addetto al "rifornimento" venne abbattuto ed un agente
americano, Eugene Hasenfus venne fatto prigioniero. Questi voli speciali,
che caratterizzarono la nascita, la gestione e la direzione della controrivoluzione
in Nicaragua (attraverso la formazione del Corpo paramilitare Contras,
antenato non troppo lontano dell'UCK in Kosovo), non erano a senso unico.
I responsabili dei Contras erano infatti tutti abili trafficanti di droga
e gli aerei (quasi sempre privati) addetti al rifornimento delle armi
facevano ritorno a Miami e Los Angeles carichi di cocaina. La droga venne
letteralmente iniettata all'interno delle Comunità dei ghetti-in-guerra
delle grandi città-future-capitaliste come Los Angeles o New York.
Anno dopo anno. Senza sosta. La cocaina lasciò ben presto il passo
al crack, droga sintetica simile alla cocaina negli effetti ma molto meno
cara. Il che significava aumentare a dismisura le potenzialità
di diffusione tra i settori più poveri (i più numerosi)
della popolazione. Nello stesso periodo il Governo Regan lanciò
una serie di atti repressivi sul piano legislativo giudiziario. Nel 1984
venne alla luce il South Florida Task Force, sotto il diretto controllo
dell'allora Vice Presidente nonché informatore della CIA, George
Bush. Dall'84 l'OCDETF fece tredici operazione federali nei punti nevralgici
di città come New York, San Francisco, Detroit, Baltimora, Houston,
San Diego e Los Angeles. La task force era composta da 200 procuratori,
un esercito di paralegali e 1.200 agenti provenienti da DEA, Customs,
FBI, ATF, IRS e dagli Alti Comandi dell'Esercito statunitense. Il Governo
e i procuratori generali lanciarono la loro "guerra alla droga".
In questo contesto si inserisce ad hoc la California's Camping Against
Marijuana Production (CAMP), aspetto questo interessante perché
tuttora esistente. E sempre in questo contesto giunsero una serie importanti
decisioni della Corte Suprema degli Stati Uniti. Nel 1984 venne formalizzato
il Comprehensive Crime Control Act (CCCA), una Legge che si spinse ben
più in là del Omnibus Crime Control and Safe Street Act
emanato nel 1968, aprendo di fatto e nei fatti una nuova era per quanto
concerne controllo e repressione (come sempre indirizzati principalmente
nei confronti di Neri e Latini). Ma non solo. Uno degli elementi potenziali
della Legge del '94 fu la produzione di ricchezza proveniente dalle migliaia
e migliaia di procedimenti penali (che includevano la piena confisca delle
proprietà degli arrestati), che tra il 1970 e il 1979, grazie alla
Legge RICO, portò nelle casse federali "solo" 30 milioni
di dollari. I Dipartimenti di Polizia di Stati come la Florida, la Georgia,
New York e la California diedero vita a nuove squadre anti-droga legate
a doppio filo con le agenzie federali. Le casse federali che nel 1981
raccolsero la "esigua" cifra di 100 milioni di dollari, nel
1987 arrivarono a 1 miliardo di dollari. I soldi raccolti attraverso i
procedimenti penali e le confische delle proprietà dei condannati,
continuarono in parte ad essere utilizzati per i rifornimenti di armi
destinate ai Contras. E se in un primo momento l'idea di pagare gli agenti
dei Dipartimenti di Polizia con fondi provenienti dallo stesso ciclo produttivo
risultò alquanto pericolosa, nel 1988 un budget di 330 mila dollari
venne elargito al Dipartimento di Glendale e successivamente a decine
di Dipartimenti del sud della California e della Bay Area. I Corpi Speciali
SWAT, che nel frattempo si erano diffusi a macchia d'olio per tutti gli
Stati Uniti, rinverdirono con fondi provenienti dalla "guerra alla
droga" i loro armamenti (introducendo il 9mm semiautomatico) e il
loro sistema gestionale informatizzato.
Il 1986 segnò un nuovo importante passaggio: venne infatti firmato
l'Anti-Drug Abuse Act, una Legge indirizzata a razionalizzare le pene
relative al consumo e allo spaccio della droga, in base al tipo di droga.
Una persona poteva essere condannata ad un minimo di 5 anni se: possedeva
100 grammi di eroina, 500 grammi di cocaina oppure 5 grammi di crack.
In sostanza, un apartheid rivisto e teso a colpire quasi esclusivamente
gli afro-americani, in quanto rappresentanti della quasi totalità
dei consumatori di crack. E se gli afro-americani nel 1980 costituivano
il 23% dei condannati per stupefacenti e il 12% della popolazione generale,
dieci anni dopo, gli afro-americani (che si attestavano al 12% della popolazione
generale) condannati per droga passarono al 40%. Sempre in questo lasso
di tempo, la popolazione carceraria generale raddoppiò passando
da 314.006 detenuti nel 1979 ai 712.563 detenuti alla fine del 1989. L'Amministrazione
Regan si trovò quindi a dover gestire una politica di criminalizzazione
contro le comunità dei ghetti-in-guerra, per altro ben supportata
da una legislazione criminale che lasciava via libera a agenti di polizia,
procuratori e corti di tribunali, e una nuova e imponente classe di prigionieri.
Chi pensò l'Anti-Drug Abuse Act previde questo nuovo sviluppo:
sempre nel 1986 vennero elargiti 124,5 milioni di dollari al Bureau of
Prisons che impiegò questi fondi nella costruzione di nuove carceri,
60 milioni di dollari vennero inviati alla DEA e 230 milioni di dollari
all'anno per i successivi tre anni vennero destinati al rafforzamento
per l'applicazione delle leggi statali e locali. I ghetti-in-guerra vennero
presi d'assalto da vere e proprie operazioni militari. Nei ghetti deindustrializzati
di Los Angeles venne lanciata l'Operation Hammer (di fatto una occupazione
paramilitare delle strade) che produsse 14 mila arresti (per lo più
giovani afro-americani); a New York, la Polizia lanciò l'Opereation
Pressure Point che ebbe tra gli obbiettivi Tompkins Square Park e l'adiacente
Lower East Street, quartieri poveri abitati da proletari, sottoproletari
e immigrati. A Washington DC prese piede l'Operation Clean Sweep, il che
significò 28 mila arresti (1.400 dei quali erano adolescenti accusati
di possesso di stupefacenti); a Miami l'Operation Sting portò all'arresto
di 2.595 persone nella sola estate del 1986. E mentre il Procuratore Generale
Edwin Meese si affrettava ad annunciare un nuovo salto di qualità
nella "guerra alla droga" consistente nel rafforzamento (l'ennesimo)
della cooperazione tra governo federale e locale, le Operazioni paramilitari
condotte da Polizia e Corpi Speciali produssero in molte città
un aumento della violenza tre volte superiore rispetto agli anni precedenti.
Il salto di qualità prospettato dal Procuratore Generale Edwin
Meese due anni prima, giunse (come previsto) con l'approvazione dell'Anti-Drug
Abuse Act del 1988, sotto l'Amministrazione Bush, successore di Regan
alla Casa Bianca. La nuova Legge, prosecuzione "migliorata"
delle Leggi precedenti funzionali alla "guerra alla droga",
divenne immediatamente riferimento per i Dipartimenti della Polizia ed
andò a rideterminare nuove contraddizioni a livello di tessuto
sociale. Non solo. La Legge del 1988 si mosse contemporaneamente su più
livelli. Uno di questi fu sicuramente quello della Pena di Morte. Vennero
create ad arte le condizioni affinché si potessero sviluppare i
Bracci della Morte federali che avrebbero "raccolto" chiunque
si fosse macchiato di omicidio (intenzionale e non-intenzionale) collegato
in qualche modo con il consumo e lo spaccio degli stupefacenti e limitate
le possibilità di accettazione delle petizioni habeas corpus presentate
dai detenuti. Il Bureau of Prisons ricevette 220 milioni di dollari, 900
milioni di dollari furono destinati alle istituzioni locali e 15 milioni
di dollari furono spesi in propaganda disinformativi. Nello stesso tempo
venne creato un nuovo Ufficio, l'Office of National Drug Control Policy,
e vennero investiti nuovi capitali per rafforzare gli apparati e le agenzie
militari. Il Dipartimento della Difesa ricevette 2 milioni di dollari
per "garantire" l'applicazione (con una popolazione carceraria
più che raddoppiata) delle leggi e 3,5 milioni di dollari per riequipaggiare
la Polizia con nuove armi, munizioni e vestiario militare di tipo nuovo.
1 milione di dollari venne destinato a diverse istituzioni locali tra
cui il Bureau of Justice Assistance, una riproposizione della LEAA. Vari
milioni di dollari invece finirono alla DEA, al FBI, all'US Marshal, al
Customs e nelle tasche dei procuratori. 10 milioni di dollari furono destinati
al nascente National Forest Service e ai Corpi Speciali Swat. Quest'ultimi
nel frattempo aumentarono il loro potere effettivo rispetto alle investigazioni
e alle capacità di porre in arresto le persone. Gli anni di incarcerazione
comminati salirono alle stelle, con l'introduzione di quella norma che
negli anni a seguire venne chiamata "Three strikes and Down",
ovvero l'ergastolo per chi fosse stato condannato per la terza volta per
un reato federale relativo agli stupefacenti. La Legge del 1988 si rivelò
un macigno per i già esasperati ghetti-in-guerra e per le comunità
di colore: i fondi investiti per la militarizzazione del territorio, per
i programmi anti-droga, per le divisioni fisiche di aree urbane, per la
"sicurezza personale" amplificarono a dismisura i disservizi
che non solo continuavano a mancare ma che a questo punto sarebbero diventati
cronicamente assenti. Tra il 1980 e il 1987 gli arresti per reati federali
connessi alla droga aumentarono del 161% mentre il numero dei prigionieri
condannati per droga e rinchiusi nei penitenziari federali salì
del 177%. Nella città di New York si passò dai 7.201 arresti
del 1980 ai 34.366 arresti del 1989. Il Dipartimento di polizia della
Grande Mela investì nello stesso '89 il 35% (circa 617 milioni
di dollari) del suo budget annuale nella "guerra alla droga"..
La popolazione carceraria della California passò dalle 22 mila
unità del 1980 alle 97.309 unità del 1990, con una media
di trecento arresti alla settimana. Lo Stato della California spese 3,3
miliardi di dollari per la costruzione di nuove carceri. Questo passaggio
attraversò in lungo ed in largo tutti gli Stati. Ma se a livello
internazionale l'Amministrazione Bush poté vantare la "vittoria"
sull'Iraq, i fuochi appiccati dai "dannati" di Los Angeles in
tutta la città contribuirono a far perdere a Bush ogni possibilità
di rielezione alle presidenziali del '91 a discapito dell'allora Governatore
dell'Arkansas, William Jefferson Clinton, il quale divenne nel '92 il
nuovo Presidente degli Stati Uniti.
La Tolleranza (Zero) dei Democratici
Il cambio di testimone che portò alla guida del Paese un esponente
del Partito Democratico non cambiò la politica repressiva interna.
Del resto Clinton aveva utilizzato come cavallo di battaglia nelle primarie
presidenziali la proposta di "aumentare la sicurezza nelle strade"
con l'avvallo di 100 mila nuovi agenti di polizia. Non si trattava certo
di una novità. Non solo. Sempre in piena campagna elettorale, il
non-ancora Presidente corse in Arkansas (di cui rimaneva Governatore)
per presiedere a due esecuzioni capitali. "Ricky Ray Rector, (un
afro-americano con disturbi mentali e condannato per l'omicidio di un
agente di polizia avvenuto nel 1981, ndt), ha sempre amato mangiare un
dolcetto prima di addormentarsi, e apparentemente stava aspettando di
fare ritorno nella sua cella mentre veniva sottoposto alla iniezione letale
ordinata dal Governatore dell'Arkansas Bill Clinton...Qualche ora dopo
il suo decesso, Rosenzweing, avvocato di Rector, dichiarò: 'Mi
sto precipitando a votare per Clinton' " (da un articolo di Sharon
LaFraniera pubblicato sul Washington Post il 5 Ottobre 1992). Nel primo
anno di vita dell'Amministrazione Clinton non vennero stilate legislazioni
anti-crimine. Janet Reno divenne Procuratore Generale. E Seppure quest'ultima
si sia sempre dichiarata a livello personale contro la Pena di Morte (cosa
ribadita ad una agenzia di stampa nel Gennaio scorso, N.d.R.), avvallò
fin da subito i propositi esposti al riguardo dal nuovo Presidente. Anche
su questa materia il "pensiero clintoniano" non si discostava
molto da chi lo aveva preceduto.
Ma il passaggio centrale, nonché palese espressione di un percorso
iniziato anni addietro, fu sicuramente l'emanazione della Legge anti-crimine
del 1994. Questa Legge venne concepita nel '93, un anno dopo quindi le
rivolte scoppiate a Los Angeles e in altre città statunitensi,
con quegli stessi elementi propagandati durante la campagna elettorale:
aumento delle forze di Polizia (100 mila unità in più),
radicamento a livello federale della Pena di Morte, netta restrizione
degli appelli a favore dei condannati nei procedimenti capitali.
La Legge, denominata HR 666, rappresentò la sintesi perfetta della
discriminazione razziale degli ultimi trenta anni di storia del Pese;
"una scommessa federale della lotta alla criminalità senza
precedenti", fu il ritornello ripetuto all'infinito dall'enturage
di Clinton.
Più semplicemente, si trattava di un aggiornamento delle precedenti
Amministrazioni contestualizzato alla nuova realtà sociale, politica
ed economica. Come durante l'Amministrazione Nixon, venne impostato un
programma di rafforzamento a livello statale e a livello locale.
Per realizzare questo progetto venne creato il Crime Trust Fund con il
compito di gestire più di 30 miliardi di dollari che erano stati
messi a disposizione. 8,8 miliardi di dollari, distribuiti nell'arco di
sei anni, vennero investiti nell'arruolamento di 100 mila nuovi agenti
di polizia (come previsto) e per migliorare gli aspetti tecnico/tattici
legati ai Dipartimenti di Polizia (compresi i programmi di "secolarizzazione"
tra le comunità). 7,9 miliardi di dollari vennero destinati alla
produzione in serie di nuove carceri nel momento in cui veniva data via
libera alle grandi corporazioni che vedevano da tempo nella "istituzione
carcere" un nuovo mercato redditizio.
Il "buon esempio" di Pelican Bay (carcere di massima sicurezza
al cui interno vi sono unità di super-massima sicurezza, le cosiddette
SHU ovvero le Unità di Internamento, e attualmente tra i peggiori
in quanto a condizioni di disumanità e desocializzazione, N.d.R.)
diventò il metro con cui si procedette nelle costruzioni delle
nuove roccaforti in tutto il Paese.
Non a caso l'allora Governatore della California la definì, nel
giorno della inaugurazione (14 Giugno 1990) "una prigione all'ultimo
grido che servirà da modello per il resto della nazione".
E così sarà.
La pena di Morte, grazie al rivisto Federal Death Penalty Act, venne allargata
a 16 nuovi reati; in questo modo si passò dai 12 reati punibili
con la morte del 1991 ai 118 del 1995. Venne eliminata qualsiasi possibilità
di difesa a disposizione dei condannati (quasi sempre afro-americani,
quasi sempre poveri, quasi sempre obbligati a dipendere da inefficienti
avvocati d'ufficio per nulla interessati alle sorti dei loro assistiti)
mentre ogni Stato si auto-elargì una cassa da cui attingere fondi
veruna resa effettiva, veicolata quasi sempre attraverso la propaganda
mass-mediatica e durante le campagne elettorali, delle troppe sentenze
ancora "insolute". Se nel 1991 le sentenze eseguite furono 14,
nel 1995 salirono a 55, con una media negli ultimi anni di circa 70 esecuzioni
capitali.
Venne fortemente incrementata la "guerra all'immigrazione".
Gli agenti di Polizia in pattuglia lungo i confini - grazie ad un investimento
di 1,2 miliardi di dollari - aumentando di 4 mila nuove unità in
servizio, raddoppiarono la capacità disponibile nelle operazioni
di controllo; parte dell'investimento servì anche per l'acquisto
di nuove auto, di nuove armi e di nuove apparecchiature ad alta tecnologia
necessarie nello svolgimento delle funzioni di sorveglianza.
Per gestire il passaggio di una considerevole fetta della popolazione
dallo status di "criminali alieni" (così erano definiti
gli immigrati) a nuovi prigionieri, gli Stati maggiormente interessati
dalle migrazioni - Arizona, California, Florida, Illinois, New Jersey,
New York e Texas - ricevettero 1,8 miliardi dollari che vennero investiti
tra incarcerazioni di massa e deportazioni.
Potrebbe essere un azzardo definire i ghetti-in-guerra nuove istituzioni
totali? Come a dire: reclusione senza catene. Potrebbe esserlo. Eppure,
il tipo di riurbanizzazione delle città conseguente l'introduzione
della politica cosiddetta di "Tolleranza Zero" va sicuramente
in questo senso. Dipartimenti di Polizia sempre più numerosi, sempre
più armati, sempre più liberi di colpire, incremento della
brutalità indiscriminata e arbitraria, sono diventati i nuovi strumenti
di controllo "del disagio" e del "crimine". La mega
opera distruttiva iniziata nel 1994 dal sindaco di New York, Rudolph Giuliani,
e dal suo uomo di fiducia William Bratton trova le sue radici nella seconda
metà degli anni '60, quando cioè le città venivano
divise per aree, e gli interventi di controllo e produzione del crimine
venivano gestiti relativamente alle aree in cui si andava operare. E se
allora, analisti e sociologi non riuscirono a razionalizzare i risultati
ottenuti, il modello di città-futura-capitalista messa a punto
da Bratton e Giuliani ha fatto proselitismi in tutto il Paese. Dal 1997,
città come New Orleans, Indianapolis, Minneapolis, e Baltimora
hanno riadattato la "formula New York" al loro contesto sociale.
Una cartolina dagli Stati Uniti
Non molto tempo fa, il comunismo era il "nemico" e i comunisti
erano demonizzati in misura sufficiente da garantire le ingenti spese
in campo militare. Oggi, paura del "crimine", "lotta alla
droga" e controllo del "disagio sociale" (riferito a persone
provenienti dalle Comunità di colore) continuano a correre a sostegno
di uno scopo del tutto simile: giustificare l'utilizzo di gran parte dei
fondi nel controllo, nella repressione e nella incarcerazione di una considerevole
percentuale di proletari e sottoproletari dei ghetti-in-guerra. Sappiamo
bene che i presupposti sbandierati dai mass-media e dai politici di grido,
soprattutto in tempo di elezioni, non sono i veri motivi dell'alto tasso
di criminalizzazione. Del resto sono le stesse cifre diffuse dal Bureau
of Justice Statistics che contraddicono articoli giornalistici, programmi
televisivi e conventions di partito.
Il 70% della popolazione carceraria odierna è composta da persone
provenienti dalle Comunità di colore. Gli afro-americani, che si
sono attestati al 12% della popolazione nazionale, rappresentano più
della metà della popolazione carceraria generale. L'8,3% degli
uomini Neri aventi un'età compresa tra i 25 e i 29 anni si trova
dietro le sbarre: una intera generazione incatenata. Comparando la detenzione
Nera e bianca negli ultimi settant'anni si scopre che se nel 1930 la popolazione
carceraria Nera era 3 volte superiore a quella bianca, nella seconda metà
degli anni '90, questo valore è salito a 8 volte. Una forte crescita
in questo senso la si è avuta a partire dal 1974: se allora le
persone bianche detenute erano il 57% oggi questo dato si è più
che dimezzato; mentre se nel 1974 le persone Nere rappresentavano il 38%
della popolazione carceraria, dalla metà degli anni '70 ad oggi
questa cifra è più che triplicata. Vi è un altro
dato elemento da prendere in considerazione. Mi riferisco alla incarcerazione
che ha investito la Comunità Latina: prendendo sempre come riferimento
il 1974, la percentuale di allora era non superava il 3% della popolazione
carceraria generale; questa cifra, a partire dal 1981, ha subito un drastico
innalzamento raggiungendo il 15% nel 1986 e il 18% nel 1993. In California,
uno degli Stati maggiormente coinvolti dalla migrazione di gente dalla
America Latina, i Latini rappresentano il 10% della popolazione generale
e il 35% della popolazione carceraria; e il 40% dei Latini detenuti è
composto da cittadini "stranieri".
Un'altra tesi certa è che vi è un rapporto inversamente
proporzionale tra l'incarcerazione e i crimini violenti. Uno studio fatto
nel Michigan a metà anni '90, stabiliva che seppure le condanne
per crimini violenti costituiscono il 12% dei giudizi generale effettivi,
il valore relativo al numero di arresti è salito, a partire dal
1981, del 46%. Ed è sempre a partire dall'81, quando si ha la scientifica
introduzione della droga nei ghetti-in-guerra, che la popolazione carceraria
Nera è passata dal 35% al 55% della popolazione carceraria generale.
Oggi il possesso di droga rappresenta sicuramente la fetta più
ampia delle condanne licenziate dalle corti dei tribunali americani. Jerome
G. Miller ha riportato nel suo saggio intitolato "Search and Destroy"
l'esempio della città di Baltimora dove il 56% della popolazione
giovanile Nera e' sottoposta al controllo del sistema giudiziario per
motivi legati agli stupefacenti. Ma il dato ancora una volta sbalorditivo
è che il 90% di questi ha subito condanne per semplice possesso.
Allargando il discorso su scala nazionale, si scopre che tra il 1980 e
il 1996 le incarcerazioni dovute al semplice possesso di droga è
aumentata del 863%. Questo significa che il rapporto 1980/1996 è
di 1 a 8: per una persona arrestata nel 1980 oggi se ne contano 8. Tra
le droghe, quella che ricopre l'utilizzo più diffuso rapportato
alla criminalizzazione è sicuramente la marijuana con una percentuale
del 80%. E se l'utilizzo di droga è relativamente il medesimo nelle
comunità bianche, Nere e Latine, il target della incarcerazione
è tutta un'altra storia. A Columbus, nell'Ohio, la comunità
Nera non supera l'11% della popolazione generale, eppure 9 volte su 10
conta arresti per droga. Nello Stato di New York questo dato - sommando
comunità Nera e Latina - raggiunge il 92% mentre nello Stato della
California il 71%. Le condanne sono tese, come abbiamo visto più
diffusamente passando in rassegna nei paragrafi precedenti le varie amministrazioni
presidenziali, ad abbassare i limiti della punibilità e ad aumentare
sempre più gli anni di carcerazione. La pena minima prevista per
il possesso di 5 grammi di crack è di 5 anni (uno studio del 1993
ha mostrato che su 14 mila detenuti nelle prigioni federali, l'88,3% erano
Neri, il 7,1% Latini e il 4,1% bianchi. Nelle corti federali di ben 16
Stati tra il 1987 e il 1992 non sono state condannate persone bianche
per possesso di crack). Un anno soltanto invece (si noti che la legge
relativa è stata formulata dal razzista Senatore della North Carolina,
Jesse Helms) è previsto per il possesso di 5 grammi di cocaina,
droga che rimane circoscritta alla comunità bianca.
Le misure alternative alla detenzione sono semplici palliativi. E molto
spesso la libertà vigilata diventa una trappola: le condizioni
che vengono dettate per la condotta all'esterno equivalgono ad una carcerazione
di tipo nuovo, ma pur sempre carcerazione. Generalmente passa molto poco
tempo per chi ha la possibilità di usufruire questo tipo di "beneficio"
tra il periodo della scarcerazione e il giorno del ritorno dietro le sbarre.
Vi è a monte una premeditazione da parte del Dipartimento di Giustizia
e nello specifico nella Direzione addetta al controllo dei prigionieri
in libertà vigilata. La parola d'ordine degli "ufficiali controllori"
della California è la seguente: "Giudichiamoli, Sorvegliamoli,
Inchiodiamoli, Incarceriamoli". Non deve conseguentemente sorprendere
il dato che 1 persona su 3 fa velocemente rientro in cella: fosse per
"incontri anonimi" oppure per "alto tasso alcolico"
o ancora per "allontanamento senza permesso", poco importa.
Uno studio a parte meriterebbe la carcerazione femminile. Del resto non
può passare assolutamente in secondo piano l'incremento di incarcerazione
femminile salito tra il 1980 e il 1993 del 313%. I presupposti di base
rimangono i medesimi degli uomini: si tratta di donne per lo più
afro-americane (46% della popolazione carceraria femminile generale) e
Latine (14% della popolazione carceraria femminile generale), povere,
madri o ragazze-madri, disoccupate ante l'incarcerazione. 6 donne su cento
partoriscono dietro le sbarre. Le condanne riguardano per lo più
crimini legati a violenze domestiche: il 32% delle donne in prigione (circa
4 mila) sta scontando sentenze per omicidio del coniuge, dell'ex coniuge
o del fidanzato. Le donne subiscono, a differenza degli uomini, maggiori
problematiche relative alla detenzione. Le prigioni femminili sono poche
ed in ogni caso basate su una gestione prettamente "maschile".
In questo modo, ad esempio, le donne sono costrette a fare i conti con
una quasi totale assenza di assistenza medica adeguata e visite ginecologiche,
mammografie, pap test sono arbitrariamente concessi dalle amministrazioni
carcerarie.
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