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Censura n. 2/2000
[
] Il punto di vista della controrivoluzione
Il rapporto annuale USA sul "terrorismo"
Il rapporto annuale USA sul "terrorismo" (Patterns of Global
Terrorism: 1999) evidenzia i successi ottenuti dall'imperialismo nell'inglobare
all'interno della propria articolazione politico-operativa praticamente
ogni stato; anche rispetto a quelli individuati come "sponsors del
terrorismo" (gli stessi 7 stati dal 1993) sono stati registrati successi
significativi, tanto che alcuni sembrano destinati ad uscire dalla lista
e in ogni caso la maggior parte di essi non rappresenta più un
pericolo reale.
Il dato più rilevante infatti è, secondo questo rapporto,
il passaggio da una fase in cui esistevano gruppi ben organizzati, che
godevano dell'appoggio finanziario e logistico da parte di alcuni paesi,
a reti dai contorni più indefiniti, con diverse forme di finanziamento.
Questo non significa che gli USA rinuncino ad annientare quanto rimane
delle organizzazioni che avevano portato avanti la guerra all'imperialismo
nella fase precedente. Un esempio è costituito dal trattamento
riservato ai militanti del Japanese Red Army deportati dal Libano (vedi
SC2: Deportazioni in Giappone) e dalla determinazione ad arrivare anche
agli altri che ancora si trovano in qualche paese che per il momento non
li ha venduti al Giappone adeguandosi al diktat statunitense.
Un esempio è la Corea del Nord che, secondo il rapporto, per uscire
dalla lista dei paesi "sponsor del terrorismo", dovrà
consegnare i militanti del JRA che vivono sul suo territorio.
In generale, dare rifugio ai "terroristi della fase precedente"
(past terrorists), sebbene non sia una misura attiva, è comunque
rilevante rispetto alla politica statunitense, perché "i terroristi
internazionali devono sapere inequivocabilmente che non possono cercare
rifugio in nessuno stato e aspettare il momento in cui la pressione internazionale
sia diminuita. Il governo degli Stati Uniti incoraggia tutti gli stati
"sponsors" a tagliare ogni legame con il terrorismo - compreso
dare rifugio a "vecchi terroristi" del periodo della guerra
fredda, e a unirsi alla comunità internazionale nella "tolleranza
0" rispetto al terrorismo" ("Introduction"in "Pattern
of Global Terrorism: 1999").
Ci si potrebbe chiedere perché dopo aver diagnosticato che il pericolo
oggi è rappresentato da altri gruppi, con altre caratteristiche,
gli USA si accaniscano in questo modo ma, oltre alla funzione di esempio
per chi non si pente pubblicamente "cospargendosi il capo di cenere"
(il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina quest'anno è
stato tolto dalla lista delle organizzazioni "terroriste"!),
appare evidente la consapevolezza degli effetti dirompenti che avrebbe
ogni minima saldatura tra espressioni organizzate molto diverse tra loro
che rappresentano comunque l'espressione politica di forme di resistenza
alla penetrazione imperialista.
Gli Stati Uniti sanno bene che persino le organizzazioni che loro stessi
foraggiano in funzione anticomunista o di destabilizzazione di realtà
non perfettamente integrate, qualora siano qualcosa di diverso da milizie
paramilitari mercenarie e facciano anche strumentalmente o confusamente
leva sul malessere e la volontà di rivalsa di ampi settori popolari,
diventano inaffidabili e difficili da controllare.
Un altro elemento su cui vale la pena di riflettere è come tutta
una generazione di combattenti antimperialisti abbia rappresentato una
concezione di internazionalismo oggi ampiamente soppiantata (almeno a
livello di massa) da una lettura solidaristico-legalitaria che può
essere considerata uno dei maggiori successi dell'imperialismo a livello
ideologico, ottenuti attraverso il coinvolgimento attivo nella propria
propaganda delle sinistre istituzionali e dei settori più opportunisti
del "movimento" nei paesi del centro.
Percorsi come quelli dei compagni del JRA o di Carlos (vergognosamente
messo nelle mani nelle mani dei francesi dal Sudan già nel 94)
non basta che non rappresentino un pericolo oggi, vanno schiacciati, se
possibile ridicolizzati, come esperienze che devono essere lasciate fuori
non solo dagli ambiti di intervento concreto, ma anche da quelli dell'analisi.
Ottimismo imperialista per il Medio Oriente
La tendenza che vede prevalere nel panorama internazionale organizzazioni
reticolari che possono contare in sempre minori aiuti economici e logistici
da parte di stati "sponsors" è connessa ad altre 2 tendenze
che vengono sottolineate nel rapporto statunitense, "un cambiamento
da un terrorismo principalmente motivato politicamente a un terrorismo
con motivazioni religiose o ideologiche" e "uno spostamento
verso est del centro del terrorismo, dal Medio Oriente all'Asia del sud"
("Introduction" in P.o.G.T.1999).
Rispetto al Medio Oriente viene sottolineato l'ottimo livello di "cooperazione
per la sicurezza" di Giordania, Egitto e Autorità Palestinese.
Del resto nella sezione "The Year in Review" viene specificato
che il numero di attacchi "terroristi" è aumentato ovunque
(43%) sebbene di minore entità e con un numero inferiore di morti
(da 741 nel 98 a 233 nel 99), l'unica eccezione è proprio il Medio
Oriente dove il numero di attacchi è stato di 6 volte inferiore
rispetto al 98.
Da questo punto di vista ha avuto sicuramente un ruolo significativo lo
stretto rapporto tra la polizia segreta di Arafat e lo Shin Bet israeliano.
Nella sezione "Middle East Overview" per quanto riguarda la
Palestina viene scritto "Le forze di sicurezza dell'Autorità
Palestinese hanno prevenuto diversi attacchi terroristici nel corso dell'anno,
incluso l'arresto, a metà maggio, di 2 militanti strettamente connessi
ad un leader militare di Hamas e, all'inizio di giugno, di 10 militanti
di Hamas che avevano progettato azioni antisraeliane con esplosivi. Il
primo ministro israeliano Ehud Barak e altri funzionari di alto grado
hanno riconosciuto pubblicamente il continuo miglioramento nella cooperazione
per la sicurezza tra israeliani e Autorità Palestinese.
Funzionari dei servizi di sicurezza israeliani hanno attribuito pubblicamente
il merito ai servizi di sicurezza palestinesi di aver sventato una bomba
a Tel Aviv in marzo e almeno due attacchi contro civili israeliani in
ottobre."
A questo quadro già poco edificante possiamo aggiungere qualcosa
che non viene scritto apertamente nel rapporto ma che è noto a
tutti i palestinesi: la complicità e l'apporto decisivo dei Mukhabarat
di Arafat nella catena di assassini di esponenti dell'ala militare di
Hamas perpetrati dallo Shin Bet negli ultimi 2 anni, l'ultimo dei quali,
a metà dicembre 1999, viene citato dal rapporto statunitense come
una delle operazioni più brillanti della sicurezza israeliana.
Questa situazione, accompagnata ai livelli di repressione pesantissimi
messi in campo dall'Autorità Palestinese, ha prodotto un indebolimento
decisivo delle organizzazioni che si oppongono alla pacificazione di Oslo,
da cui la minore efficacia , oltre che il minore numero di attacchi, di
cui si compiace il dipartimento di stato USA.
Le preoccupazioni si spostano a Sud-Est? Il controverso caso "Afganistan"
Nella sezione "Asia Overview", come esempio dello spostamento
verso l'Asia del sud dell'asse del "terrorismo internazionale"
si incontra un paese, l'Afganistan, accusato di fornire rifugio a "terroristi"(non
"past terrorists") provenienti da Stati Uniti, Europa, Medio
Oriente, Asia Centrale e Sud Est asiatico. Questo segnatamente nella parte
di territorio controllata dai Taleban.
La tentazione più ovvia, visto il ruolo risaputo degli Stati Uniti
nell'ascesa dei Taleban, è quella di liquidare le "preoccupazioni"
del dipartimento di stato come totalmente ad uso e consumo dell'opinione
pubblica, soprattutto della stampa, e del congresso. E analoga lettura
potrebbe essere riservata alla sottolineatura del ruolo del Pakistan come
"supporter" di elementi "terroristi" rifugiati in
Afganistan e dei gruppi islamisti attivi in Kashmir: l'ISI, il servizio
di sicurezza del Pakistan è noto per essere una filiale della CIA.
Ma queste interpretazioni, tutt'altro che insensate, devono comunque tenere
conto della limitatezza di un'analisi "statica" di processi
che si sviluppano con grande rapidità.
E' indubbio che la CIA abbia utilizzato e continui ad utilizzare organizzazioni
islamiste all'interno dei suoi piani di destabilizzazione, un esempio
recente ed evidente è il conflitto in Cecenia, ma è altrettanto
indubbio che, anche volendo tralasciare le dinamiche di cambiamento interne
alle organizzazioni islamiste e alle reti di organizzazioni (che richiederebbero
un'ampia trattazione e maggiori elementi di conoscenza), la stessa ridefinizione
degli equilibri internazionali seguita alla crisi dell'URSS ha dato origine
a processi di integrazione più o meno rapida nell'articolazione
imperialista ad egemonia USA.
Ecco che migliaia di "combattenti per la libertà" sostenuti
dalla CIA nel conflitto contro l'URSS in Afganistan diventano "terroristi"
quando se ne vanno in giro per il mondo non solo a destabilizzare quello
che prevedono i piani USA (dalla Russia alla Jugoslavia, dalla Siria al
Libano) ma fanno saltare ambasciate americane, come in Kenia e in Tanzania,
caserme americane, come a Khobar, ecc., riconoscendo, anche se con motivazioni
religiose, nello stato sionista uno dei nemici da colpire e nella penetrazione
USA uno dei motivi del degrado dell'età contemporanea.
A questo si può aggiungere, in particolare pensando al Pakistan,
come oggi siano divenuti meno funzionali per l'imperialismo gli interventi
dei vari gruppi islamisti del Kashmir in funzione anti indiana. E' noto
il riavvicinamento tra USA e India, coronato dal viaggio di Clinton la
scorsa estate in quel paese e soprattutto dal ruolo affidato all'India
nelle rotte di trasferimento di gas e petrolio verso est, così
come la sua partecipazione agli accordi di cooperazione per la sicurezza.
Lo scorso novembre è stato formalizzato un gruppo di lavoro bilaterale
USA-India contro il "terrorismo internazionale" e possiamo considerare
un infallibile indicatore di questa tendenza l'avvicinamento significativo
che si è verificato tra India e stato sionista.
Afganistan e Pakistan, comunque, non sono ancora stati inseriti (con varie
motivazioni) nella lista degli stati "sponsors del terrorismo".
L'Europa è avanti con il programma
Concludiamo questa serie di considerazioni sparse con l'Europa, che rappresenta
una delle dinamiche più avanzate dal punto di vista della controrivoluzione,
la realtà geografica in cui l'integrazione delle strutture di intelligence,
prevenzione e repressione è stata sperimentata più a lungo
sia a livello di singoli paesi e dei paesi europei tra loro, sia rispetto
al coordinamento con le strutture statunitensi. Il rapporto registra con
la consueta soddisfazione la diminuzione di "attacchi terroristi"
nel 1999 rispetto all'anno prima e il contenimento, attraverso "misure
antiterrorismo" efficaci ed efficacemente coordinate, delle organizzazioni
politico-militari che il dipartimento di stato americano colloca nella
lista delle organizzazioni "designate" - ETA, attraverso una
collaudata cooperazione franco-spagnola, DHKP-C, attraverso la cooperazione
tra Turchia, Germania, Belgio, ecc; (vedi SC 1 - sez. LOTTE E REPRESSIONE),
PKK e GIA.
A parte un'inevitabile e, visti gli esiti, poco credibile accenno di preoccupazione
per come alcuni paesi (Italia, Germania e Grecia) hanno gestito la vicenda
Ocalan, e a parte una nota di demerito per la Grecia, ritenuta ancora
troppo poco efficace sul piano della lotta al "terrorismo" (ma
anche qui la situazione pare essere sotto controllo con la firma di un
trattato di "assistenza legale reciproca" e la definizione di
un "accordo di cooperazione di polizia" tra Grecia e Stati Uniti),
le maggiori preoccupazioni sembrano provenire dalle reazioni anti-americane
a 2 eventi del 1999: il sequestro di Abdullah Ocalan e l'aggressione NATO
contro la Jugoslavia.
In particolare quest'ultima ha visto moltiplicarsi gli attacchi anti-americani,
il maggior numero dei quali in Grecia, Italia e Turchia. Una tendenza
portata avanti sia da dimensioni organizzate che da realtà più
composite.
In questa chiave vanno probabilmente lette le enormi misure preventive
e repressive messe in campo che, ad esempio in Italia, hanno sconcertato
molti compagni per la loro presunta inadeguatezza al livello reale di
scontro. A parte altre considerazioni che si potrebbero fare, in generale,
sulla natura della controrivoluzione, è bene riflettere su come
la NATO rappresenti un obiettivo tangibile e riconoscibile che ingloba,
e sempre più tende ad inglobare l'articolazione del controllo imperialista,
un potente fattore di coesione possibile delle conflittualità dell'area
euromediterranea. La NATO, con le sue molteplici ricadute sul piano interno
ed esterno, rappresenta oggi e ancora di più in prospettiva il
legame inscindibile tra controllo/aggressione/occupazione militare e livelli
sempre più scientifici ed onnicomprensivi di sfruttamento capitalistico.
Anche se oggi la percezione e il grado di consapevolezza di questo dato
sono molto diversificati e non si collocano, comunque, su un terreno avanzato,
lo sviluppo stesso di questo controllo non potrà che rendere sempre
più evidenti i nessi che collegano soggetti che sperimentano livelli
crescenti di sfruttamento e repressione e le possibilità di saldatura.
Questo potrebbe suggerire un utile terreno di analisi al campo antimperialista
europeo.
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