Senza
Censura n. 2/2000
[
] Il Montenegro
Una nuova pedina nel "monopoli" globale
Seguendo la tragica vicenda jugoslava, in questi anni ci è capitato
una infinità di volte di dire a noi stessi: "la realtà
supera - e di gran lunga - la fantasia".
La stessa sensazione dobbiamo provarla oggi per la problematica, davvero
paradossale, apertasi in Montenegro.
Il Montenegro è, insieme alla Serbia, una delle due repubbliche
che costituiscono la attuale federazione jugoslava (RFJ).
La sua estensione territoriale è molto limitata, ma la sua importanza
strategica è enorme visto che rappresenta l'unico sbocco al mare
per la RFJ e la propaggine più occidentale di tutto il mondo slavo-ortodosso
non ancora inglobato nelle strutture euroatlantiche - quindi di interesse
rilevante ad esempio per una Russia che possa ipoteticamente svolgere
un ruolo autonomo sullo scenario internazionale - con tutte le implicazioni
che questo comporta dal punto di vista del controllo strategico delle
vie di comunicazione.
Perciò l'imperialismo oggi si accanisce a voler staccare questo
ulteriore pezzetto di terra da ciò che rimane della Repubblica
Federativa e Socialista di Jugoslavia.
In caso di riuscita, gli strateghi di Bruxelles e del Pentagono otterrebbero
la fine della "Jugoslavia" anche come denominazione politico-istituzionale.
Allora avremmo, si, la "Serbia" come Stato a se, ma non "Grande"
bensì piccolissima, e possibilmente vassalla dell'Impero come la
Serbia occupata dai nazisti, governata dal collaborazionista Nedic durante
la II Guerra Mondiale.
Si determinerebbe poi un ulteriore parallelismo con la situazione balcanica
durante il nazifascismo, quando il Montenegro era occupato dagli italiani.
All'inizio del 1998 in Montenegro, in seguito ad elezioni contestate a
causa di brogli, diventava presidente Milo Djukanovic, ex compagno di
partito del predecessore Momir Bulatovic.
Entrambi i personaggi provengono dall'area politica socialista, ma laddove
Bulatovic è jugoslavista intransigente e vicino alle posizioni
socialdemocratiche di Milosevic, Djukanovic appartiene al settore più
opportunista e liberista, con addentellati nella criminalità organizzata
che, nel Montenegro attuale, gestisce circa il 50% dell'economia.
In poco più di due anni attorno a Djukanovic è stata creata
una corte di quasi 20mila "pretoriani" armati ed addestrati
dalla CIA e dal Mossad, secondo quanto riportato dalla Transnational Foundation
TFF (TFF Press Info #91, 8/4/2000; http://www.transnational.org).
Con i bombardamenti della primavera del 1999 il governo Djukanovic ha
mostrato tutta la sua attitudine antijugoslava fino al collaborazionismo
con gli aggressori.
Mentre a Titograd-Podgorica si susseguivano le manifestazioni anti-NATO,
guidate dai sostenitori di Bulatovic, Djukanovic era in tournee in varie
capitali occidentali a fare "diplomazia" ovvero ad incassare
assegni.
Il governo montenegrino non ha fatto applicare le chiamate di leva né
tante altre disposizioni legate allo stato di emergenza, benché
bombe "umanitarie" siano cadute anche in varie località
montenegrine, innanzitutto vicino agli aereoporti militari.
Da allora esso cerca anche di gestire autonomamente i valichi di frontiera
e le dogane, causando momenti di tensione con l'Armata Jugoslava specialmente
ai confini con la Croazia e con l'Albania.
Alla fine del '99 il governo montenegrino ha cercato di prendere il controllo
dell'aereoporto di Titograd-Podgorica impiantando un posto di polizia
sulla pista.
Ne è seguito un tira-e-molla inquietante e particolarmente difficile
per una Armata Jugoslava nel frattempo impegnata a registrare continue
violazioni dello spazio aereo jugoslavo da parte degli aerei della NATO,
soprattutto nella zona delle bocche di Cattaro, al confine con la Croazia.
Il 5 agosto 1999 Djukanovic presentava un documento-piattaforma per "ristrutturare"
la Federazione trasformandola in una confederazione tra due Stati completamente
autonomi, persino con due eserciti e due valute distinte.
Da allora, uomini di Djukanovic hanno incontrato emissari del Dipartimento
di Stato USA ed europei.
Il 31 agosto Veselin Vukotic, responsabile governativo per le privatizzazioni
e membro del Gruppo G-17 degli economisti legati alla opposizione jugoslava
filo-occidentale, dichiara a Guido Ruotolo sul "Manifesto" che
le imprese montenegrine non verranno "svendute" al capitale
straniero bensì, più semplicemente, "regalate"
perché altrimenti non sarebbero appetibili.
Il 27 ottobre 1999 a Djukanovic, nel corso dell'ennesimo incontro con
i suoi "datori di lavoro" (nella fattispecie il coordinatore
del "Patto per i Balcani", il tedesco Bodo Hombach), viene dato
il via libera per alcuni passaggi molto gravi.
Innanzitutto viene introdotta la "cittadinanza montenegrina".
Dopo due giorni il governo montenegrino, in maniera assolutamente arbitraria
ed anticostituzionale, istituisce una sua propria Banca Centrale ed introduce
l'uso del marco tedesco come valuta "parallela", e per il pagamento
di tutti i dipendenti della amministrazione pubblica, in questo modo ricattati
e legati a sé.
La mossa, come rivelato già sul "Manifesto" del 15/9/1999,
era stata decisa ben prima di ottobre dall'americano Steve Hanke, "consulente
economico" di Djukanovic e di vari altri governi neoliberisti balcanici,
ad esempio quello bulgaro.
Trentacinque tonnellate di marchi in moneta sonante vengono allora trasferiti
con un primo carico via aerea dalla Germania all'aereoporto di Dubrovnik,
e di qui via terra in Montenegro attraverso doganieri compiacenti ("Junge
Welt" 8/11/1999).
Il tasso di cambio è fissato al triplo del cambio ufficiale.
In seguito alla introduzione del marco tedesco a quei tassi ovviamente
l'inflazione in Montenegro ha fatto un balzo pauroso.
Per evitare di subirne le conseguenze, la Serbia ha dovuto interrompere
ogni transazione economica.
In particolare, camion dalla Serbia carichi di merci sono bloccati alla
frontiera interna con il Montenegro.
Su questa storia della "chiusura delle frontiere commerciali"
naturalmente i nostri mezzi di disinformazione di massa hanno molto ricamato,
cercando di convincerci che Milosevic, non soddisfatto dell'embargo cui
è sottoposta la Serbia, voglia a sua volta fare l'embargo contro
il Montenegro.
In realtà la Serbia cerca semplicemente di non morire di inflazione.
A metà gennaio si scatena una ridda di voci su preparativi in atto
per la accoglienza di profughi albanesi, e non solo, dal Montenegro in
Albania in caso di inizio di una nuova guerra.
In marzo si parlerà invece di agenti speciali britannici della
SAS attivi in Montenegro per "preparare l'evacuazione" (Sunday
Telegraph 19/3/2000).
Alla fine di gennaio 2000 a Belgrado viene ucciso Arkan, che intretteneva
stretti rapporti con l'area di Djukanovic, e pochi giorni dopo lo stesso
Ministro della Difesa della RFJ Pavle Bulatovic, montenegrino, viene assassinato
da chi evidentemente vuole tagliare ogni "cordone ombelicale"
simbolico tra Belgrado ed il Montenegro.
Ovviamente, anche l'Italia fa la sua parte: l'8 agosto 1999 "Il Manifesto"
informa che centinaia di agenti dei servizi segreti italiani sono stati
mandati in Montenegro.
Alla fine di ottobre 1999 "a Bar c'è stata una invasione 'pacifica',
anzi concordata con gli 'inviati all'Avana'...
A Bar sventola la bandiera italiana...
E' un presidio, per il momento, è soltanto un ufficio di collegamento
della Direzione centrale della polizia criminale.
Quattro 'investigatori' italiani - un maresciallo della GdF e un altro
dei Carabinieri, un ispettore della polizia e un funzionario dell'Interpol
- rappresentano le prima teste di ponte italiane in territorio 'nemico'"
(G. Ruotolo su "Il Manifesto" del 4/11/1999).
Il quotidiano triestino "Il Piccolo", che è storicamente
legato agli interessi coloniali italiani nei Balcani ed ha sempre delle
pagine di politica estera sull'Europa centroorientale molto più
aggiornate di ogni grande quotidiano nazionale, da mesi va cianciando
di "una grande 'voglia d'Italia'" che si sarebbe sviluppata
in Montenegro.
Ad esempio il 18/3/2000 il giornale scrive che "l'Università
popolare di Trieste, d'intesa con il Ministero degli Affari Esteri, ha
avviato una serie di iniziative volte alla diffusione della lingua italiana
e della cultura italiana in Montenegro, dove esiste un grande desiderio
'd'Italia'" (spec. corsi di lingua e letteratura italiana eccetera).
E' noto che certi ambienti di destra italiani coltivano da sempre un "feeling"
per questa repubblichetta, un tempo italiana, che diede i natali - non
va dimenticato - alla Regina Elena, moglie di Vittorio Emanuele III...
A causa degli evidenti interessi economici e strategici a fare del Mare
Adriatico un "lago interno italiano", come dicevano i fascisti,
viene accuratamente coltivato un buon rapporto tra le classi dirigenti
montenegrina ed italiana.
Questo benché alla fine del 1999 la magistratura napoletana abbia
rinviato a giudizio, tra gli altri, il Ministro degli Esteri del Montenegro
Branko Perovic per collusioni con la camorra.
Dopo pochi giorni il governo montenegrino viene "rimpastato"
in una operazione di facciata con la quale cerca di mettere da parte gli
elementi più imbarazzanti per potere continuare, oltreché
a fare traffici illeciti, anche a godere del sostegno italiano ed occidentale.
Nel frattempo, vari incidenti causati dai contrabbandieri montenegrini,
albanesi e pugliesi (una vera e propria "internazionale" del
contrabbando di droga e di sigarette) sul mare Adriatico ("corbelli")
ed in Puglia ("blindati") hanno una certa eco sulla stampa italiana,
che pure evita di andare alla radice del problema del contrabbando.
Con il contrabbando delle "bionde", in particolare sigarette
Philip Morris, sotto la supervisione della Camorra del boss Prudentino
e di altri, da anni la cricca di Djukanovic sostiene se stessa e la sua
clientela.
In totale si valuta che nel 1999 il governo montenegrino abbia ricevuto
55 milioni di dollari dagli USA, mentre almeno altri 60 milioni sono stati
richiesti per il 2000 (cfr.
"Il Manifesto" del 2/3/2000).
Certo, l'Occidente non può fare a meno di darglieli se vuole il
Montenegro per se, anche considerata la necessità dei montenegrini
di acquistare merci in Occidente, a caro prezzo, dopo il blocco determinatosi
con la Serbia...
Perciò, già 20 milioni di euro sono stati accordati dal
"Patto di Stabilità", cioé dalla Trilateral Commission,
per il 2000 (B92 29/3).
Peraltro, l'embargo di USA ed UE contro la RFJ in effetti non è
stato applicato né al Kosovo-Metohija, nè al Montenegro;
aerei di linea hanno collegato Titograd-Podgorica con le grandi capitali
occidentali per tutti questi mesi.
I collegamenti in Adriatico sono aumentati: ad esempio è stata
istituita una linea marittima Trieste-Bar, mai esistita prima, deserta
di passeggeri ma sempre piena di strani containers.
Da un certo punto di vista, il copione per il distacco del Montenegro
dalla RFJ sembra ricalcare la strategia di moda in tanti scenari contemporanei.
Si "monta" una problematica indipendentista in uno Stato che
si intende indebolire, e poi, a scelta, si persegue uno dei due seguenti
obiettivi: A - si mantiene aperta la questione all'infinito perché
non la si vuole realmente risolvere essendo sufficiente la destabilizzazione
perpetua dell'area interessata a fini di inserimento e controllo militare/economico
permanente (è il caso del Kurdistan iracheno, dove il nazionalismo
kurdo risponde a logiche imperialiste); B - si porta la situazione fino
a livelli insostenibili, mirando precisamente alla frantumazione del paese
e contemplando all'uopo ogni possibile opzione compreso l'intervento militare
imperialista direttamente sul territorio a favore di una delle parti in
causa (esempi: Kosovo, Timor Est; in futuro, forse, Cecenia, Sudan, Tibet...).
Entrambe le strategie si basano sull'uso strumentale della "autodeterminazione
dei popoli" o dei "diritti umani", attraverso campagne
portate avanti dalla stampa e da enti e fondazioni solo apparentemente
"culturali" o "filantropiche" che lavorano a mettere
le popolazioni le une contro le altre ("differenzialismo etnico")
e tutte al servizio dei poteri stranieri - altro che "autodeterminazione"!
Ma da questo punto di vista la problematica apertasi in Montenegro rimane
davvero paradossale: i montenegrini non sono "altro" dai serbi
bensì sono, storicamente e culturalmente, i serbi "più
serbi" di tutti.
Essi infatti rivendicano la non-soggezione all'occupazione turca, dalla
quale riuscirono in grande misura a salvaguardarsi "arroccandosi"
sulle aspre montagne.
Oggi, i montenegrini che abitano in Montenegro sono circa 600mila, a fronte
di ben un milione di abitanti della Serbia aventi origini e parentele
montenegrine.
Questo sarebbe un ulteriore fattore a scoraggiare una divisione tra i
due territori, ad aggiungersi al fatto che l'economia montenegrina è
notevolmente dipendente da quella serba.
Dalla Serbia si deve importare praticamente tutto, e soprattutto beni
agricoli visto che il territorio montenegrino è aspro e montagnoso,
un po' come quello abruzzese.
Ecco perché oggi, nonostante tutto, l'esito di un nuovo ipotetico
referendum sull'indipendenza non sarebbe affatto scontato.
Gli scenari più probabili della secessione ci sembrano due: o si
fa il referendum, lo si perde, si accusa "Milosevic" di brogli
e si fa scoppiare un putiferio, determinando il "necessario"
intervento della NATO; oppure si dichiara l'indipendenza evitando di tenere
il referendum, per poi scagliare la NATO a "difesa" di un Montenegro
"attaccato" dall'Armata Jugoslava qualora questa intervenisse
ad impedire un atto che sarebbe, oltreché vergognoso come tutte
le secessioni jugoslave di questi anni, anche palesemente illegittimo
in assenza di una consultazione popolare.
Sia la Albright sia Robertson lo hanno ha già detto: "se vi
attaccheranno, non resteremo insensibili".
Maggio 2000
Coordinamento
Romano per la Jugoslavia
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