Senza Censura n. 2/2000

[ ] L'UE grande potenza


Alcune riflessione su guerra e conflitti interimperialisti

"Migliori capacità militari europee, non nuove istituzioni, sono la chiave per una identità di sicurezza e difesa europea nella Nato più vibrante e influente"
Kyl Amendament del 1998
(Senato USA)

Dalla fine della campagna aerea contro la Yugoslavia il tema della costruzione di una "nuova Nato" sembra essere alla ribalta degli organi di informazione borghese e all'ordine del giorno nelle agende dei vari vertici delle potenze occidentali.
Nel fuoco di una campagna che ha visto l'impiego coordinato - anche se con qualche difficoltà - di forze aeree di 14 paesi operanti da ben 47 basi diverse, è emerso con pressante evidenza il problema di una direzione politico-militare unitaria delle operazioni belliche temporaneamente superato con l'avvio di un sistema di consultazione permanente fra i cinque maggiori paesi della Nato (il Quint tanto sbandierato recentemente da D'alema).
E' evidente però che la questione non può essere risolta con strumenti transitori investendo il problema strategico di un riallineamento globale delle gerarchie del sistema degli stati imperialisti e di una ridefinizione operativa delle funzioni e delle sfere di influenza dei poli imperialisti.

Ciò ha prodotto, produce e produrrà frizioni e conflitti interimperialisti tra le due sponde dell'atlantico che però, come nel caso dell'adottanda moneta unica e dell'ancora costituendo spazio giuridico europei, non sembrano assumere per ora il carattere di contraddizione antagonista. Anzi, sembrano favorire ed accelerare il rafforzamento del legame transatlantico a scapito di altre opzioni di gestione del dominio globale.
Sintomatici in questo senso sembrano essere il "flop" registrato dalla riunione del WTO a Seattle e le difficoltà evidenziate nella scelta del successore di M. Camdessus alla direzione del FMI.
Le difficoltà emerse nel trovare un accordo accettabile per l'integrazione delle nuove potenze emergenti - in particolare nell'area asiatica (Cina e India) - nei meccanismi di gestione della fase "neoliberista" del mercato mondiale fanno pendant con l'innovativa scelta di Horst Kohler alla guida del FMI. Gli accordi di Bretton Woods, riservando la direzione del Fondo Monetario ad un europeo rappresentante dei paesi alleati degli USA nel secondo conflitto mondiale, rappresentavano e cristallizzavano un equilibrio finanziario tra le potenze imperialiste. Questa scelta, in ultima analisi concordata tra le due sponde dell'atlantico, esprime un riallineamento della bilancia di potenza in campo finanziario attribuendo al nocciolo dell'imperialismo UE la responsabilità della gestione degli equilibri del più importante organismo di controllo economico-finanziario della borghesia imperialista. Ciò, in qualche maniera e al di là delle apparenti frizioni, evidenzia l'interesse vitale per l'imperialismo USA - dopo la fine del cd. mondo bipolare - di rafforzare alleanze strategiche per la conservazione del dominio globale. Naturalmente la soluzione non è né stabile né definitiva, ma le attuali relazioni transatlantiche sembrano somigliare sempre più a quelle che hanno caratterizzato i rapporti fra Inghilterra e USA nel passaggio dal vecchio colonialismo alla fase imperialista del capitalismo.

Nel documento approvato dai capi di stato e di governo partecipanti alla riunione a Washington del North Atlantic Council in occasione del 50° dell'Alleanza si ribadiva l'interesse funzionale ad una organizzazione comune vista la "molteplicità di rischi, militari e non", di "instabilità entro e intorno all'area euroatlantica" (The Alliance's Strategic Concept, 23-24/04/1999). Così come, da parte USA, si è ribadita la necessità di un "burden sharing" (condivisione di oneri) da parte europea nell'edificazione del secondo pilastro dell'Alleanza: l'identità di sicurezza e difesa europea (ESDI).
E' in questa prospettiva che il Consiglio Europeo di Colonia (giugno 1999) ha stabilito un calendario di massima per arrivare nel 2003 alla piena operativà di un esercito e di una stato maggiore europei; che il succesivo vertice UE di Helsinky ha formalizzato la costituzione del primo corpo di armata europeo con autonome capacità di trasporto e di intervento anche di media durata; che i gruppi del "complesso militar-industriale europeo" in forte espansione orientano i propri investimenti nei settori dell'aerospaziale e dell'aero-navale. Certo, vista la posta economica e geo-politica in giuoco, non si tratterà di un processo lineare e incontrastato.
La segretaria di stato Madeleine Albright ha recentemente sottolineato che la costituzione dell'ESDI deve rispettare la condizione del rispetto della cd. clausola dei 3D: no Decoupling (scollamento degli interessi euroatlantici), no Duplication ( duplicazione delle strutture logistiche e degli armamenti), no Discrimination ( discriminazione nelle strutture e operazioni comuni dei paesi aderenti alla Nato, ma non all'UE).
Ma qui il contrasto è fra i fautori (europei ed americani) di una nuova Nato quale partenership euroatlantica di controllo globale e i fautori (europei ed americani) di un pilastro europeo dell'alleanza quale potenza di controllo regionale, non fra sostenitori e "nemici" dell' ESDI.

La politica estera USA sembra definitivamente passata dalla strategia reaganiana delle operazioni "overwhelmig force" (con forze schiaccianti), utilizzata negli anni '80 e culminata nella guerra del Golfo, ad una strategia di "lift and strike" ben rappresentata dal massacro Yugoslavo. Questa, se da un lato rappresenta un'implicita ammissione dell'incapacità degli USA a svolgere il ruolo di "comando unipolare" della borghesia imperialista, dall'altro evidenzia la necessità di un consenso strategico delle potenze "amiche". Come ha candidamente ammesso nell'audizione alla commissione difesa del senato USA nel luglio 1999 il segretario alla difesa, William Cohen, l'aggressione alla Yugoslavia ha avuto "un obiettivo strategico, oltre che umanitario": proteggere la stabilità regionale in Europa e in particolare in Europa sudorientale. Quindi per ora il problema del riarmo europeo sembra più di ordine quantitativo che qualitativo.
Piuttosto, questo riarmo dovrebbe produrre effetti ben più immediati e notevoli sul processo di strutturazione degli equilibri istituzionali dell'UE e dei diversi paesi aderenti.
Della soluzione di questi problemi "internazionali ed interni" si è iniziato a discutere nel recentissimo Vertice dei ministri degli esteri e della difesa dell'UE a Bruxelles (marzo 2000) e verosimilmente saranno oggetto del prossimo vertice a Firenze.
Non è sicuramente un caso che l'attuale coordinatore della politica estera e di sicurezza comune (PESC) e, contemporaneamente, segretario generale dell'UEO sia quel Javier Solana che, come segretario generale della Nato, impartiva benedizioni democratiche e umanitarie ai bombardatori della Yugoslavia. Questi ha ribadito che in ogni caso "molti Paesi europei saranno costretti a ristrutturazioni dolorose delle forze armate e a stanziare fondi supplementari per la difesa" sostenendo, insieme ad alcuni governi europei, che le future strutture dell'ESDI debbano avere una sede e funzioni "autonome" rispetto agli organi di governo dell'UE, trattandosi di un'entità "separabile ma non separata dalla NATO".

Ma anche la questione del controllo politico dell'esercito europeo rientrerà nella concreta realizzazione che troverà la riequilibratura della partnership euroatlantica e la connessa questione della definizione degli assetti istituzionali interni dell'UE. In un recente documento comune, Helmut Schmidt e Valery Giscar d'Estaing, rivendicano la necessità di un'accelerazione nel processo di cessione di sovranità da parte degli "stati dell'euro" e nella stesura di una costituzione federale che attribuisca pieni poteri ad un consiglio governativo ed un parlamento federali. Il documento prepara la prossima iniziativa politica in Germania di Jacques Chirac che il prossimo giugno illustrerà personalmente al Bundestag i termini dell'accordo franco-tedesco in materia.
In definitiva, nessuno sulle due sponde atlantiche, al di là delle apparenti contraddizioni "diplomatiche", mette più in dubbio l'impellente necessità del riarmo europeo, la costituzione di un suo potenziale militare - quanto meno di rilevanza regionale -, la sua diretta assunzione di responsabilità economica e politico-militare nel controllo del proprio vicino-estero.
La tesi - agitata da certa sinistra di Maastricht (anche "estrema") -che vede nel conflitto balcanico una riflesso diretto della concorrenza euro/dollaro appare perciò riduttiva, unilaterale e fuorviante.
Non considera adeguatamente che l'esperienza di dominio globale della borghesia imperialista è ormai più che secolare e che nella prospettiva della sua conservazione ben possono darsi passaggi di egemonia e ridefinizioni delle gerarchie di sistema tra stati o gruppi di stati "indolori" (così come è avvenuto per Inghilterra e USA nella prima metà del '900). Come le contraddizioni in seno al popolo - per fare una parafrasi - anche le contraddizioni in seno alla borghesia non assumono necessariamente un carattere antagonista.
Nel modo di produzione capitalista è la contraddizione borghesia/proletariato ad essere strutturalmente antagonista (come lo è quella tra capitale e lavoro). Ed è questa contraddizione che costringe il sistema sociale borghese dominante a "rivoluzionare" continuamente i suoi modi di produrre e i suoi sistemi di dominazione politico-militare.
Sottovaluta che, in ogni caso, la spartizione del vicino-estero europeo tende a ridefinire non solo i rapporti di forza fra poli imperialisti, ma anche e soprattutto all'interno del polo imperialista europeo, nel processo di strutturazione dell'UE grande potenza.

Non valuta adeguatamente il fatto che, come scrivevamo all'inizio dell'intervento in Yugoslavia (Quaderno di Controinformazione Internazionale n.10 - "La Guerra in Yugoslavia. Cause e Sviluppi), il neo-espansionismo occidentale emerso con la fine del cd. mondo bipolare è "costruito sui sacrifici imposti ai proletari dell'occidente (privatizzazione dei servizi sociali, restrizione del diritto di sciopero, licenziamenti di massa, attacco generalizzato alle condizioni di vita dei proletari) e sulla miseria imposta ai proletari dei paesi della periferia (distruzione delle economie di sussistenza, affamamento, imposizione di governi filoccidentali subalterni alle politiche di genocidio imposte dal FMI-BM)".
Che la trasformazione del vicino-estero europeo in periferia dell'UE comporterà, come già emerge dall'esperienza balcanica, un impegno economico e politico-militare diretto, permanente e crescente dei paesi dell'Unione e dell'Italia in particolare, facendo dell'uso della violenza e del militarismo un aspetto centrale della dominazione politica all'interno e all'esterno della fortezza Europa (fenomeno a cui non sembra estranea la costituzione in Italia di una quarta Forza Armata).
Che verosimilmente questo sviluppo accelererà il processo di esecutivizzazione delle democrazie imperialiste dei paesi dell'Unione dando ulteriore impulso all'attacco alle condizioni economiche e alle garanzie giuridiche del proletariato occidentale.
Ciò rende sempre più evanescente il miraggio (vagheggiato dalla sinistra di Maastricht) di un'Europa sociale in grado di garantire condizioni di vita "decenti" ai propri salariati e ripropone al movimento antimperialista e anticapitalista la necessità di riaprire il dibattito sulla prospettiva di liberazione facendolo vivere nelle sempre più frequenti e diffuse espressioni della resistenza della classe nell'UE e nei Paesi oppressi dal suo imperialismo.

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